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Essere libero vivendo la felicità

“La felicidad es la plenitud de

la realización activa del hombre, en lo que tiene de propiamente humano” . 201

Nella vita umana, la circostanza diventa per la persona non una serie di eventi legati tra di loro ma la sua esperienza vitale, con la quale l’io ha a che fare. La realtà radicale dell'essere umano comprende la circostanza della quale la persona è una specie di demiurgo che fa del mondo il suo mondo.

Ibidem.

200

J. Marías, Historia de la filosofia, cit., p. 77.

Fare il mondo in maniera demiurgica è per Marías la realizzazione dello “stare vivendo” nel mondo: “Hemos visto que para el hombre «estar» es

«estar viviendo»; estar en el mundo quiere decir estar haciendo el mundo, estar «mundificando»; el hombre no es ciertamente creador, y por eso «se encuentra» en el mundo; pero es demiurgo: hace el mundo —«su» mundo— con aquello que le es dado, pero solo es hasta entonces circunstancia” . 202

Per il filosofo spagnolo è chiaro che l'essere umano fa il proprio mondo con la circostanza che gli è data; esso, infatti, non potrebbe fare il mondo dell’altro o costruire il proprio con la circostanza altrui; la circostanza, infatti, è circostanza di ognuno, perché è l’io che è “inserito” in essa e la modella.

Quando la persona umana fa il suo mondo con la circostanza data, significa che lo sta modificando, non creando. Per modificare il mondo la persona umana inizia non solo dalla sua realtà vitale ma anche da quella realtà circostanziale con la quale si identifica e dalla quale pre-tende verso quello che vuole essere. La pre-tensione circostanziale fa parte dell’essere umano. La realtà dell’io non si riduce a se stesso ma si estende anche alla circostanza; l’io, cioè, è la sua realtà circostanziale, che “Pero no se olvide

que el hombre modifica y transforma la circunstancia […] el hombre puede modificar sus proyectos, limitarlos, elegir entre ellos…” . La circostanza 203

non limita l’uomo, anzi, è essa che viene limitata da lui, essa è circostanza di un chi, che le dà un senso con lo “stare vivendo”.

J. Marías, Antropología Metafísica, cit., p. 125.

202

J. Marías, La Felicidad Humana, cit., p. 36.

Tornando alla circostanza orteghiana, si comprende che è l’io a dare un senso alla circostanza, che viene assegnata dal caso e si manifesta nel destino personale, riguardo il quale Marías afferma: “El destino, libremente

aceptado pero no elegido —es decir, elijo que sea «mi» destino, lo «adopto», pero no elijo su contenido—, es mi vocación, y la realidad de esta es lo que llamamos felicidad” . Decidere liberamente di adottare il proprio destino 204

significa assorbire la circostanza orteghiana, in cui l’io si identifica veramente con quello che fa e con quello che è.

Nella dichiarazione precedente il filosofo spagnolo ha definito la strada per la felicità verso la quale l’uomo pre-tende. La felicità viene nella misura in cui la persona umana accoglie la sua circostanza e la fa diventare la sua realtà radicale. La realtà radicale è l'assimilazione della circostanza, del destino che è stato liberamente accolto. La persona umana trova la vera libertà non solo nell'eleggere il suo destino non scelto, ma soprattutto nello “stare vivendo” la propria circostanza come realtà radicale, che è la sua vita progettata verso il futuro.

La libertà umana è per il filosofo spagnolo sinonimo della felicità; quando si sta vivendo in libertà, si sta anche vivendo nella felicità: “La vida

umana es libertad […] mientras uno vive está eligiendo, ejerciendo la libertad. Mientras uno es feliz en cualquier forma, vive su felicidad como instalación” . Si è detto in precedenza che per essere felici si deve vivere, 205

J. Marías, Antropología Metafísica, cit., p. 284.

204

J. Marías, La Felicidad Humana, cit., p. 246.

ma per vivere la persona deve essere installata nel presente così da progettarsi da esso verso il futuro.

Si deve ricordare che l'installazione nella felicità non vuol dire che l’essere umano deve essere passivo: “… la felicidad no es un «estado», sino

una instalación vectorial” . In tale installazione la persona manifesta la 206

propria intimità che, essendo svelata nella realtà che vive la persona, è una realtà imperfetta nella quale l’essere umano cerca una stabilità. La felicità è per il filosofo motivo di speranza, perché grazie a lei la persona si può stabilizzare nel momento in cui sta vivendo: “La felicidad es en cierto sentido

—¡quién lo duda!— el goce y posesión de la realidad. Entendemos por felicidad, por lo pronto, una cierta posesión de la realidad” . Marías dichiara 207

che per essere felici si deve possedere — in un certo senso — la realtà, però si è anche detto che la realtà è momentanea e fugace: allora per lui che vuol dire possedere la realtà?

Il filosofo chiarisce che per parlare di realtà si deve parlare dell’io 208

che è nella realtà stessa, dal momento che senza di lui questa non può essere concepita; la realtà, infatti, è di qualcuno che si "sta facendo” con essa: “Decir realidad, por tanto, es ponerme yo, como un elemento

constitutivo o ingrediente de eso que llamo realidad, sin el cual ésta carece de sentido” . Possedere la realtà è concepirla primariamente nell’io, che 209

Ivi, p. 247.

206

J. Marías, Ensayos de Teoría, Barna, Barcelona 1954, p. 83.

207

Cfr. Ivi, p. 84.

208

J. Marías, Introducción a la Filosofia, Revista de Occidente, Madrid 1947, p. 343.

deve identificarsi con essa a causa del suo farsi con le cose collocate nella realtà che lo circonda.

L’essere reale significa essere radicato nella realtà e fare di essa un costituente della propria vita, dandole un senso: “…la realidad en cuanto

realidad, se constituye en mi vida; ser real significa, precisamente, radicar en mi vida, y a ésta hay que referir toda realidad, aunque lo que es real pueda trascender, en cualquier modo, de mi vida. En otros términos, mi vida es el supuesto de la noción y el sentido mismo de la realidad, y ésta sólo resulta inteligible desde ella; esto quiere decir que sólo dentro de mi vida se puede comprender en su radicalidad, en su sentido último, el término real” . La 210

realtà è reale se si radica come esperienza profonda e vitale nella vita personale dell’io, diventando non solo ingrediente ma base della vita stessa.

Nella persona umana si può parlare di felicità soltanto se essa apre liberamente la propria vita alla manifestazione personale del tu, nel quale e col quale, grazie ai progetti comuni ad entrambi, la felicità si manifesta non rinunciando alla realtà, pur nella co-implicazione nella relazione personale.