• Non ci sono risultati.

Saggio 1. Nell’angolo nord-ovest della trincea, all’interno del Saggio 1, è stato

7. L’Età del Ferro in Italia settentrionale

___________________________________________________________________________

La data di inizio dell’Età del Ferro in Italia è posta convenzionalmente agli inizi del IX secolo a.C. È peraltro solamente a partire dall’inizio dell’VIII secolo a.C. che si afferma in area alpina una produzione di oggetti in ferro. Per le maggiori proprietà di resistenza il ferro soppianta progressivamente il bronzo nelle realizzazione di attrezzi e armi. Il ferro è però destinato a mantenere un ruolo subordinato per quanto riguarda la produzione di oggetti di ornamento. La lavorazione di questo metallo è fonte di una nuova ricchezza e potere, destinati a modificare equilibri non solo nelle relazioni di scambio ma anche negli assetti sociali e culturali.Collocazione cronologia e culturale. In Italia settentrionale l’Età del Ferro è suddivisa in due grandi periodi: ad un primo periodo, con inizio nel IX secolo a.C, segue, a partire dall’ultimo venticinquennio del VI secolo a.C., il secondo periodo. La conclusione di quest’ultimo è riconducibile al processo di romanizzazione.

Nell’odierno Trentino Alto Adige, la prima Età del Ferro prosegue con le fasi B e C della Cultura di Luco, che manifesta una contrazione del numero di siti. Quest’ultima, verso la metà-fine del VI secolo a.C. viene sostituita dalla Cultura Fritzens-Sanzeno (nome derivante rispettivamente dalle località austriaca e trentina), detta anche retica. Nel corso della prima

Età del Ferro, nel VIII secolo a.C., condizioni socio-economiche favorevoli mutano

profondamente il precedente assetto territoriale, con una riduzione degli insediamenti, alla quale corrisponde lo sviluppo di Este e Padova e di altri centri minori.

Ricorre in questo periodo il fenomeno della cosiddetta «Arte delle situle», cioè dell’uso di fabbricare recipienti e coperchi in lamina di metallo, decorandoli a sbalzo dal retro con un punzone, e con un bulino sul dritto. L’area interessata da questo fenomeno artistico si estende dal Po al Danubio durante un arco cronologico che va dal VII/IV al III secolo a.C.

Il repertorio tematico è il risultato di un patrimonio espressivo comune, nel quale interagivano anche influssi che provenivano da altre culture limitrofe (veneti, etruschi, celti). Il linguaggio comune dell’Arte delle situle viene interpretato come esito dell’attività di maestranze

specializzate itineranti, che operavano su commissione di ceti aristocratici interessati ad ostentare questi oggetti di lusso di natura esotica.

In Trentino-Alto Adige si manifestano le fasi B e C della Cultura di Luco, caratterizzata da una concentrazione del numero di siti.Nel corso della seconda Età del Ferro, tra la fine del VI e il III secolo a.C., quando nella pianura padana i centri paleoveneti iniziarono a connotarsi

in senso urbano con forme consolidate di differenziazione sociale, nella fascia prealpina veneta prende corpo una cultura locale detta Gruppo Magré, dove interagiscono tratti retici alpini e veneti. In Trentino-Alto Adige la precedente Cultura di Luco-Meluno è sostituita verso la metà-fine del VI secolo a.C. dalla Cultura Fritzen-Sanzeno, che viene detta "retica" per la parziale coincidenza del suo territorio con quello assegnato dalle fonti scritte ai Reti. Nel VI secolo i Veneti acquisiscono l’alfabeto, che presenta notevoli affinità con il

latino.Aspetti rituali. Nelle necropoli individuate in Trentino (Romagnano – Prà Secco, Olmi di Nomi e Coel di Zambana), lungo la valle dell’Adige appare consolidata la pratica della cremazione dei defunti e la deposizione di urne cinerarie in fosse di terra semplici, oppure protette da lastre di pietra che formavano delle cassette quadrangolari, in qualche caso provviste anche di una copertura.

Nell’ambito delle manifestazioni culturali si evidenzia la prosecuzione del fenomeno dei roghi votivi (detti Brandopferplätze), sviluppatosi con il Bronzo Recente e soprattutto con la Cultura di Luco A del Bronzo Finale nel XII secolo a.C. Questo rituale è attestato a Mechel in val di Non, ai Campi Neri di Cles e in alcuni altri siti.

Modalità insediative ed economia. Rispetto al periodo precedente, con l’Età del Ferro si

assiste ad un cambiamento dei modelli insediativi e dell’assetto del territorio. In Trentino rari sono i siti con funzione residenziale, frequentati senza soluzione di continuità dal Bronzo Recente e Finale fino alla prima Età del Ferro. Questa persistenza si registra solo nel sito dei Montesei di Serso. Se si esclude quest’ultimo sito, che costituisce un caso isolato, con la prima Età del Ferro si nota quindi l’interruzione dell’utilizzo a scopo residenziale di parecchi dossi e ripari sottoroccia frequentati precedentemente, probabilmente per motivi di natura socio-economica.

Nell’Età del Ferro diviene frequente l’ubicazione degli abitati in aree strategiche, poste a controllo di vie di comunicazione.

Le notizie sugli insediamenti così come sull’economia di sussistenza riflette un’estrema povertà di informazioni rispetto a questo periodo.

L'età del ferro L'età del ferro in Europa e in Italia In Italia intorno al 1000 a.C. si ha la possibilità di distinguere l'identità di molti popoli, stabilizzati nelle loro sedi definitive. Di essi abbiamo notizia dalle fonti classiche. Si formano ora delle culture regionali diverse che distinguiamo col nome delle rispettivi genti (Celti, Illiri, Iberi, Liguri, Reti, Veneti, Etruschi ecc.) oppure con il nome del luogo dove sono state fatte le prime e significative scoperte

(cultura di Golasecca estesa all'incirca alla Lombardia attuale, villanoviana in Emilia). E' possibile a partire da questo periodo tentare di identificare le identità etniche con quelle linguistiche e culturali, anche se spesso le facies definibili in base alla cultura materiale non sono sovrapponibili all'area indicata dalle fonti per una determinata etnia. Il passaggio all'età del ferro varia nelle diverse zone d'Europa, in alcune regioni si data all'XI sec. a.C. in Italia intorno al IX, l'uso del ferro però e pienamente diffuso a partire dal VII sec. a.C.. Nel IX secolo si formano in Etruria i primi centri protourbani "villanoviani" (Tarquinia, Cerveteri, Veio ecc.), mentre le prime città furono le prime colonie greche della Sicilia Meridionale fondate circa alla metà dell'VIII sec. a.C.. Gli agglomerati erano costituiti da migliaia di individui, in Italia settentrionale e nelle zone a nord e a est delle Alpi, non vi sono però vere e proprie città prima della romanizzazione. Un processo protourbano si sviluppa nella pianura padana - ma non nell'Italia orientale (Friuli - Venezia Giulia) - tra il VI e il V sec. a.C. Nell'Europa Centrale lo sviluppo protourbano si ha tra il III e II sec. a.C. (oppida celtici). L'effetto di questo processo fu l'intensificazione dei traffici con importazioni soprattutto di oggetti di prestigio dalle aree più progredite, l'emergere di ceti dominanti (aristocrazie) accoglimento di idee religiose e politiche. Agli inizi dell'età del ferro si formano una serie di gruppi locali contraddistinti da elementi culturali particolari. In questo periodo la produzione dei vasi fittili raggiunge una forma di standardizzazione nelle forme e nelle dimensioni. [Vi è una straordinaria ripresa della circolazione di artigiani anche a grande distanza che taglia trasversalmente le facies culturali, si forma una cerchia di artigiani che producono oggetti ad alto valore artistico che si spostano in un raggio molto ampio ma producono per ceti particolarmente elevati. Negli oggetti destinati alla tesaurizzazione compare l'aes rude, a partire da VI secolo compaiono spesso nei ripostigli e nei corredi tombali. Il loro valore premonetale è evidente nella costante misura ponderale. Tra i motivi decorativi che lasciano intravedere aspetti del culto, persiste ancora il motivo della barca solare e degli elementi ornitomorfi. Compaiono gli alari fittili configurati forse legati al culto del fuoco e del focolare, e le figurazioni di cavalieri e di cavalli. Solo a partire dal V sec. a.C. sorgono i primi santuari a carattere comunitario, luoghi di aggregazione di diverse cerchie culturali. (segue

7.1. Il sito di Oppeano (VR)

___________________________________________________________________________

Il presente lavoro intende esporre i primi risultati relativi all’analisi archeobotanica intrapresa nel sito di Oppeano. Scopo principale dello studio dei reperti carpologici è quello di esaminare le diverse specie di vegetali legate alla sussistenza, considerando anche i reciproci

rapporti nella composizione dell’alimentazione, ricostruire l’ambiente mediante

l’osservazione delle associazioni floristiche, definire le probabili attività umane connesse all’agricoltura ed il relativo calendario agrario, valutare le modalità e l’entità dell’impatto antropico sui processi di modifica del paesaggio naturale, precisare i diversi utilizzi delle piante (alimentare, oleario, tessile, tintorio, medicinale, ecc.), fare luce sulle tecniche di stoccaggio delle eventuali derrate identificate.

L’esempio di Oppeano può considerarsi rappresentativo in quanto, fin dall’inizio delle ricerche, è stata predisposta una serie di analisi (floristiche, faunistiche e geologiche) atte a ricomporre tutti gli aspetti della vita dell’insediamento, partendo dalla cultura materiale e dalle evidenze archeologiche fino al complesso dei dati paleoambientali e sedimentologici, con la consapevolezza di come, soltanto attraverso la multidisciplinarità sia possibile attuare una ricostruzione approfondita e completa del passato di un territorio176.

L’analisi carpologica ha per il momento riguardato il materiale prelevato nel corso della campagna di scavo archeologico del 2004, inquadrabile, dal punto di vista cronologico, nella Seconda Età del Ferro.

In dettaglio, la ricerca ha preso in esame diversi campioni asportati da unità stratigrafiche relative a strutture antropiche, fosse in particolare, come US 140, che ha restituito un grande numero di macroresti (Figura 1), US 143 e US 200. Sul fondo di US 140 era situato un contenitore ceramico, di cui è stato analizzato il contenuto (US 202), insieme al terreno posto al di sotto del vaso (US 202177). Lo studio archeobotanico del sedimento all’interno dei recipienti è finalizzato alla ricerca delle derrate alimentari; perciò è stato esaminato anche il terreno presente in due vasi rinvenuti ancora in situ: US 155 e US 161 (Figura 2).

176 Desidero ringraziare vivamente il prof. Alessandro Guidi per aver incentivato ed appoggiato l’analisi

archeobotanica del sito. Un sentito ringraziamento va anche alla dott.ssa Federica Candelato e al dott. Massimo Saracino per la collaborazione nelle fasi di campionamento e per aver fornito la documentazione archeologica di confronto.

177 Il confronto fra il terreno presente nel vaso e intorno ad esso consentirà di capire se nel contenitore siano

I campioni sono stati sottoposti agli abituali trattamenti di laboratorio: flottazione manuale e successiva setacciatura dei residui in acqua corrente con maglie di setaccio di 1 e 0,5 mm; asciugatura; vaglio allo stereomicroscopio dei residui di flottazione e setacciatura178; determinazione mediante atlanti specifici e collezione di confronto. Ovviamente, il grado di determinazione dei reperti è strettamente legato allo stato di conservazione dei macroresti.

Questa accurata tecnica di trattamento dei campioni consente altresì il ritrovamento di una serie di attestazioni (non strettamente archeobotaniche) di piccole dimensioni, come frammenti ceramici, metallici, osteologici, di microfauna, ittiofauna, malacofauna, ecc. Particolare è stato il rinvenimento di un minuscolo frammento di fibra carbonizzata (Figura 3), trovata all’interno del vaso US 202. Chiaramente, data la carbonizzazione e l’esiguità della testimonianza, non è consentito azzardare ipotesi in merito alla natura del reperto (origine animale o vegetale) e tanto meno alla dimensione o alla funzione dell’oggetto di cui era parte. Per quanto concerne l’analisi paleocarpologica, sono stati rinvenuti 4.692 reperti botanici (non distribuiti equamente nelle differenti unità stratigrafiche), riferibili a 43 diversi generi, afferenti a 26 famiglie botaniche179 (Tabella 1).

La prima osservazione riguarda lo stato conservativo generale dei reperti, valutato in base all’incidenza statistica dei macroresti integri su quelli frammentari180 (Figura 4). È possibile osservare come i resti carpologici interi coprano, in media, il 32% dei rinvenimenti (senza grandi differenze fra le strutture), valore che indica uno stato di conservazione sufficientemente buono; altri siti mostrano che le percentuali dei frammenti possono arrivare a quantità ben superiori, rendendo l’analisi meno dettagliata. Evidentemente, ad Oppeano, sia il sedimento, sia le vicissitudini post-deposizionali si sono rivelate favorevoli al mantenimento dei residui vegetali. Nonostante ciò, bisogna evidenziare che alcuni generi sono comunque rappresentati unicamente da frammenti, come il corniolo, il nocciolo e la vite.

Un altro dato concerne la modalità di conservazione dei reperti (Figura 5): l’88% dei resti carpologici si presenta carbonizzato (anche in questo caso, la situazione all’interno delle strutture è piuttosto omogenea). La carbonizzazione181 è lo stato conservativo più frequente nei depositi archeologici e non è altro che la trasformazione della sostanza organica in carbone per eccessiva cottura o azione diretta del fuoco. Un volta divenuto carbone, il resto

178 Il vaglio di entrambi i residui, pur richiedendo molto tempo ed attenzione, è certamente il sistema che

consente il recupero di tutto il materiale botanico presente nel sedimento.

179

Per la nomenclatura botanica il testo di riferimento è Pignatti S., 1982. Flora d’Italia. Edagricole, Bologna.

180 In tutte le fasi dell’analisi, i frammenti sono sempre stati divisi dai reperti interi per il loro diverso peso

statistico.

181 Da non confondere con la carbonificazione, il processo naturale di fossilizzazione a cui è soggetta la sostanza

botanico non è più soggetto al degrado naturale; la carbonizzazione consente la conservazione nelle più varie condizioni di giacitura e nei più diversi contesti cronologici. Per contro, questo processo causa l’alterazione della composizione del macroresto, ma spesso anche della dimensione e della forma, tanto che sovente i reperti si presentano distorti e, di conseguenza, difficilmente determinabili. Una combustione regolare in ambiente povero di ossigeno, al contrario, consente una adeguata conservazione del materiale vegetale.

Il restante 12% si presenta invece mineralizzato. La mineralizzazione avviene per precipitazione di fosfato di calcio182, che si fissa nel resto vegetale e si sostituisce progressivamente alla materia organica. Perché avvenga la mineralizzazione, è necessario, dopo un’iniziale saturazione in acqua (in cui il fosfato di calcio è in forma solubile), alternanza di periodi di secca e di sommersione. I sali si cristallizzano nei tessuti vegetali, conservando la forma dell’armatura interna del reperto botanico; epidermide e ornamentazioni vengono distrutti, rendendo così più complessa la determinazione specifica. Nel caso di Oppeano, la presenza di materiale mineralizzato induce a pensare a numerosi sbalzi della falda acquifera, peraltro evidenziati sia dallo studio geologico, sia dalla condizione in cui sono stati rinvenuti i reperti archeologici ed osteologici, fortemente concrezionati. È interessante notare come le specie mineralizzate siano prevalentemente legate all’ambiente naturale (di nessun interesse antropico, come il ranuncolo o il garofano selvatico) o riferibili a piante che non necessitano di un contatto con il fuoco nei processi di utilizzo da parte dell’uomo (sambuco, spinacio selvatico, carice, iperico).

L’analisi statistica dei diversi campioni non ha rilevato particolari concentrazioni (nemmeno all’interno dei contenitori ceramici), documentando una situazione piuttosto uniforme, che testimonia principalmente gli scarti alimentari quotidiani, i resti delle manipolazioni dei vegetali oppure i residui delle piante che vegetavano nei pressi dell’abitato, distribuiti in modo casuale sulla superficie insediativa. La mancanza di particolari concentrazioni di vegetali all’interno dei vasi può essere spiegata ipotizzando la cessazione del loro impiego come contenitori di granaglie e il conseguente collassamento e riempimento con il terreno circostante, oppure il fatto che, nel corso del loro utilizzo non fossero destinati alla raccolta di derrate, bensì di liquidi o altre preparazioni, che non lasciano tracce a livello macroscopico.

I dati relativi alla sussistenza sono percepibili, in primo luogo, con il calcolo del rapporto fra le specie selvatiche e quelle coltivate riscontrate nei diversi campioni (Figura 6):

182 I fosfati possono derivare dalle ossa presenti nel terreno archeologico (o da materia fecale), il calcio dalle