US 88 Strato antropico epigravettiano
4. Il Neolitico dell’Italia settentrionale
4.3. Il sito di Rivaltella Cà Romensini (RE)
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Il sito di Rivaltella (alle porte di Reggio Emilia) fu scoperto nel 1979 a seguito di lavori meccanici di sbancamento. Nell’occasione furono recuperati materiali archeologici che furono portati al Museo Archeologico di Reggio Emilia. Constatata l’importanza e l’interesse di tali resti, a partire dal 1981 e negli anni seguenti si susseguirono alcune campagne di scavo archeologico a cura dei Musei Civici di Reggio Emilia, dirette dal dott. Tirabassi.
Lo scavo ha interessato un ampio tratto di paleosuolo antropizzato93, al di sotto del quale sono stati rinvenuti due pozzetti e una canaletta. Uno dei due pozzetti conteneva i resti di un inumato rannicchiato. Altro ritrovamento importantissimo è stata l’identificazione di una fornacetta per la cottura della ceramica. Il sito è posto su di un
terrazzo di età würmiana,
conformemente agli insediamenti
neolitici, che in genere si
impostano su questi suoli.
Lo studio carpologico si è
occupato dell’analisi di 5
campioni provenienti dal
paleosuolo; i prelievi sono suddivisi a seconda del livello (US 2, US 3, US 4); US 2 è a sua volta suddivisa in tre tagli artificiali. Le evidenze sono riferibili ad un momento iniziale della Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata I fase (contemporaneo a Ponte Ghiara).
In totale sono stati conteggiati 1.074 resti carpologici, tutti carbonizzati, diffusi in modo piuttosto uniforme nelle US analizzate. Non sono state identificate concentrazioni particolari di macroresti e la stratigrafia non mostra sostanziali differenze tra i livelli. Moltissimi reperti riguardano resti alimentari, di cereali in particolare, mentre per quanto riguarda i legumi, non sono stati rinvenuti resti certi della loro coltivazione94. Importante è invece il ritrovamento di un seme di lino, che ne attesterebbe quindi la sua coltivazione. Come già espresso, il lino, essendo un seme ricco di sostanze oleose, favorisce la sua combustione
93 Tirabassi, 1987.
94 L’unico legume rinvenuto, la veccia, è considerato un’infestante dei raccolti, anche se è a tutti gli effetti una
pianta alimentare, avendo le stesse proprietà nutritive. Fig. 91. Il sito di Rivaltella in fase di scavo.
esplosiva, rendendolo più difficilmente rintracciabile, soprattutto in siti che non mantengono materiale vegetale in stato conservativo diverso dalla carbonizzazione.
Analizzando il grafico che mostra lo stato dell’economia di sussistenza ed in particolare il rapporto fra le specie eduli e selvatiche, è visibile come in tutti icampioni le specie coltivate arrivano a toccare oltre l’80% dei resti, attestando quindi che le pratiche agricole sono ormai alla base dell’alimentazione.
Osservando nel dettaglio le specie coltivate, si evince che l’agricoltura non si discosta da quanto già dedotto dall’analisi degli
altri siti: la cerealicoltura domina
indiscussa, essendo stato rinvenuto un solo seme di lino. Moltissimi sono i frammenti di cereali non determinabili, che non sono stati inseriti nel grafico in quanto avrebbero reso praticamente invisibili le altre specie. Per quanto riguarda i diversi generi, spiccano i valori del frumento non
meglio identificabile, denominato Triticum sp. L., mentre per ciò che concerne i reperti megli conservati, è stato possibile distinguere sia frumenti di tipo vestito (la maggior parte) che nudi, attestando quindi la loro presenza già nel corso del Neolitico. La tipologia più frequente è certamente il farro (Triticum dicoccum Schrank), seguito dal piccolo farro (Titicum monococcum L.), con presenze minori di farro grande (Triticum spelta L.), tra l’altro identificato attraverso l’esame delle spighette, quindi mediante una determinazione più sicura di quella
ottenibile con l’analisi delle sole
cariossidi. Si rileva infine una sporadica attestazione del nuvo frumento vestito, anche se in misura molto minore rispetto ad esempio al sito di Ponte Ghiara (PR), coevo peraltro a Rivaltella.
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% US 2.1 US 2.2 US 2.3 US 3 US 4 TOT. SPECIE COLTIVATE SPECIE SELVATICHE FRAM. INDET.
Fig. 92. L'economia di sussistenza del sito.
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% US 2.1 US 2.2 US 2.3 US 3 US 4 TOT.
Linum usitat issimum L. Hordeum vulgare L. Hordeum/T rit icum T riticum aestivum/durum T riticum dicoccum Schrank T rit icum dicoccum/spelt a T riticum monococcum L. T riticum spelta L. T rit icum tipo t imopheevi Zhuk. T riticum sp. L.
Fig. 93. L'insieme delle specie coltivate.
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% US 2.1 US 2.2 US 2.3 US 3 US 4 TOT. Cariossidi e frammenti Spighette e glume
Una ulteriore interessante osservazione è data dall’analisi delle tipologie di resti legati ai cereali, ovvero il rapporto tra i residui della parte alimentare (cariossidi e frammenti) e dello scarto dei cereali (basi delle glume e delle spighette). Dall’immagine si può notare come vi sia un certo equilibrio nelle due tipologie di resti, leggermente a favore degli scarti. Questo denota il mancato ritrovamento di strutture o aree di stoccaggio dei resti, bensì la presenza di zone di trattamento delle derrate, che probabilmente erano poste nello spazio insediativo. In alcuni casi può capitare di trovare concentrazioni di scarti della pulizia dei cereali all’nterno di fosse di discarica, ma non sembra essere questo il caso, in quanto i residui sembrano essere stati abbandonati semplicemente sul terreno.
Per ciò che concerne la vegetazione spontanea, anche in questo caso è stata operata la suddivisione tra tipologie arboree ed erbacee per osservare il ricoprimento vegetale dell’area. È evidente un certo equilibrio nella rappresentazione statistica di entrambe, a dimostrazione della presenza di diverse aree occupate dal bosco ma soprattutto l’esistenza di zone aperte,
ottenute presumibilmente mediante
disboscamento, per ricavare spazi da dedicare alle attività agricole e di allevamento. Le famiglie botaniche identificate sono: Fagaceae, a cui si
riferiscono cicatrici95 e frammenti di ghiande, frutti che a quest’epoca sembrano destinati sia
all’alimentazione animale che umana, ma probabilmente legati (grazie alla presenza di tannini) ad attività di concia dei pellami; Corylaceae, cioè numerosi frammenti di nucule di nocciolo. Il nocciolo è uno dei frutti maggiormente apprezzati nella protostoria italiana, in quanto facilmente conservabilie e trasportabile, di ottimo gusto e ricco di sostanze nutritive. Si pensa che il suo utilizzo potesse essere legato anche all’ottenimento di olio. Sono attestati alcuni piccoli frammenti di vinaccioli, ma data la frammentarietà dei resti non è possibile stabilire se si tratti di vite selvatica o coltivata. Presumibilmente, nel corso del Neolitico, la viticoltura ancora non era presente e nei siti analizzati il ritrovamento di vinaccioli è sempre piuttosto sporadico. Infine, si menziona la famiglia botanica Caprifoliaceae, ed in particolare al sambuco (Sambucus ebulus L. e Sambucus sp. L.). Il sambuco è un resto molto diffuso negli insediamenti neolitici, sicuramente perché di base la pianta è molto comune nei contesti
95
Segno lasciato dall’intersezione del frutto della quercia, la ghianda, con la sua cupula.
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% US 2.1 US 2.2 US 2.3 US 3 US 4 TOT. CAPRIFOLIACEAE CORYLACEAE FAGACEAE VITACEAE
della Pianura Padana, ma la sua massiccia presenza nei depositi archeologici innegabilmente induce a pensare ad un qualche utilizzo. In effetti, i fiori del sambuco sono eduli, mentre dalle sue bacche violacee è possibile ottenere un succo presumibilmente utilizzato nelle operazioni di tintura delle fibre tessili. Diversamente da altri abitati, non sono state rilevate tracce della famiglia botanica Rosacee, i cui componenti in genere sono abbastanza frequenti. Stiamo parlando della mora, del biancospino, del prugnolo e del melo.
Per ciò che concerne la vegetazione erbacea, non sono molte le famiglie botaniche rappresentate, ma le tipologie rinvenute sono prevalentemente infestanti dei coltivi o vegetano in zone antropizzate, come il
farinello (Chenopodium gr. album96),
il bromo (Bromus sp. L.), il caglio (Galium sp. L.), il ui nome deriva dall’uso per fare cagliare il latte ed alcuni appartenenti alla famiglia
Polygonaceae, come il romice (Rumex sp. L.) e il poligono convolvolo (Fallopia convolvulus (L.) Holub.). Ad alcune di queste
specie sono riconosciute anche proprietà medicinali, ma visto il loro scarso numero questo impiego rimane puramente un’ipotesi. Infine, dal punto di vista paleoambientale, l’associazione Polygonum/Chenopodium denota terreni umidi, limosi e ricchi in nitrati, adatti per la cerealicoltura, soprattutto di cereali esigenti come il frumento.
96 Il nome volgare della pianta, farinello, deriva dal fatto che in alcuni periodi, soprattutto in carenza di cereali,
questi frutti possono essere stati macinati per l’ottenimento di una farina edule.
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% US 2.1 US 2.2 US 2.3 US 3 US 4 TOT. CHENOPODIACEAE GRAMINACEAE LEGUMINOSAE POLYGONACEAE RUBIACEAE