Saggio 1. Nell’angolo nord-ovest della trincea, all’interno del Saggio 1, è stato
5. L’Eneolitico in Italia settentrionale
5.1. Il sito di Ponte Molino (MN)
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Il sito di Ponte molino è situato nell’omonima frazione, nei pressi del comune di
Ostiglia (MN). Il sito è stato
individuato grazie a ricognizioni di
superficie ad opera del Gruppo
Archeologico Ostigliese, ed oggetto di due campagne di scavo sistematiche nelle estati del 2008 e del 2009, dirette dal dott. James Tirabassi (Musei Civici di Reggio Emilia) e dalla dott.ssa Elena Menotti (Soprintendenza archeologica della Lombardia). Nel sito è stato rinvenuto un paleosuolo e diversi pozzetti di discarica. Oggetto del presente studio è l’analisi di alcuni livelli di un pozzo utilizzato inizialmente per il prelievo di acqua, in seguito come rifiutaia.
L’analisi dei materiali
archeologici è ancora in corso, ma il conterso cronologico dovrebbe essere compreso tra la fine dell’Eneolitico e forse l’inizio dell’Età del Bronzo.
La prima osservazione, alla luce dei dati emersi, si evince dal rapporto tra le percentuali delle specie coltivate e selvatiche rinvenute nei diversi campioni. È evidente ovunque
la netta prevalenza dell’attività
agricola sulla raccolta, anche se le quantità possono aver subito una parziale distorsione a causa della selettività prodotta dalla carbonizzazione. Possiamo affermare, inoltre, come non siano presenti aree di concentrazione di una singola varietà ma vi sia una distribuzione piuttosto uniforme dei macroresti all’interno degli strati e delle strutture esaminati. Per ciò che concerne l’agricoltura, le uniche testimonianze riguardano i cereali, non essendo stati
Fig. 110. Il paleosuolo individuato a Ponte Molino.
rinvenuti legumi appartenenti a specie certamente coltivate, quali fava, lenticchia o pisello, tipologie che in altri siti sono invece abbastanza frequenti a partire dal Neolitico.
I due generi individuati sono il grano (Triticum sp. L.) e, in misura minore, l’orzo (Hordeum vulgare L.), le colture fondatrici dell’agricoltura del Vicino Oriente, da sempre gli alimenti base del Vecchio Mondo in un arco cronologico che va dal Neolitico al Medioevo. È stato possibile determinare diverse specie di grano: Triticum dicoccum Schranch, Triticum spelta L.,Triticum
monococcum/dicoccum e Triticum dicoccum/spelta. Non sono stati individuati, invece, frumenti nudi (Triticum aestivum/durum), anche questi già presenti in
Italia in insediamenti neolitici.
Particolare è il caso di Triticum
spelta L., cereale che alle nostre
latitudini non ha molti confronti prima dell’Età del Bronzo, mentre è presente abbondantemente a nord delle Alpi, circostanza che ha portato
ad ipotizzare una coltivazione
successiva di questa specie. In realtà,
recenti studi effettuati su
insediamenti quali Sammardenchia (UD), Bazzarola (RE), La Marmotta (RM), sembrerebbero comprovare l’esistenza dello spelta
nel Neolitico. Quindi, la vera
problematica, parrebbe spostarsi più sul numero dei siti indagati e sul volume dei campioni esaminati. Purtroppo, a Ponte Molino, Triticum
spelta L. è stato determinato solo
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% US 2 T. 2 US 2 T. 5 US 2 T. 9 US 2 T. 12 US 2 T. 19
Frammenti Reperti integri
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% US 2 T. 2 US 2 T. 5 US 2 T. 9 US 2 T. 12 US 2 T. 19
Specie coltivate Specie selvatiche Indeterminabili 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% US 2 T. 2 US 2 T. 5 US 2 T. 9 US 2 T. 12 US 2 T. 19
Cereali indeterminabili Frumenti Orzo Orzo/Frumento
Fig. 112. Lo stato di conservazione.
Fig. 113. I diversi cereali individuati.
sulla base di alcune cariossidi mentre mancano completamente le furcule, resti botanici che renderebbero certa l’attestazione della coltura di questa specie sul territorio. Le uniche furcule determinate sono riferibili a orzo (Hordeum vulgare L.) e farro (Triticum dicoccum Schrank).
Altra considerazione riguarda il numero complessivo delle furcule e dei frammenti di spiga, che occupa circa il 23% del numero complessivo dei cereali. Ciò indica chiaramente la coltivazione in loco, probabilmente in aree prossime all’insediamento. In particolare, nel taglio 9, furcule e frammenti di spiga arrivano a toccare il 36%, inducendo a pensare ad una sorta discarica degli scarti della pulitura dei cereali. Infine, la categoria maggiormente rappresentata in tutti i campioni è quella che comprende i frammenti di cariossidi non meglio determinabili a causa dello stato di conservazione e della dimensione limitata dei reperti.
Analizziamo ora la componente selvatica. Anche all’interno di questa categoria è possibile riscontrare prevalentemente la presenza di specie spontanee utilizzate dall’uomo, che potevano migliorare le loro qualità alimentari attraverso la tostatura, come le ghiande, le nocciole, le corniole o alcune Rosaceae, frutti eduli di tradizione neolitica.
Le ghiande, oltre a testimoniare l’utilizzo alimentare umano ed animale (lo studio archeozoologico segnala la diffusione dell’allevamento), documentano il ricoprimento vegetale, ovvero l’esistenza, seppur
marginale del querceto (attestato anche dai primi dati forniti dall’analisi antracologica in corso). Alcuni resti sono attribuibili a frammenti di vinaccioli; la dimensione e lo stato di conservazione dei reperti non consente di specificare se si tratti di vite selvatica o domestica né tanto meno di avvalorare l’ipotesi di produzione di
bevande fermentate (supposizione analoga nel caso del corniolo).
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% US 2 T. 2 US 2 T. 5 US 2 T. 9 US 2 T. 12 US 2 T. 19
Frammenti di cariossidi Cariossidi Furcule Frammenti di culmo
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% US 2 T. 2 US 2 T. 5 US 2 T. 9 US 2 T. 12 US 2 T. 19 UMBELLIFERAE PORTULACACEAE RUBIACEAE LABIATAE GRAMINACEAE POLYGONACEAE LEGUMINOSAE CORYLACEAE FAGACEAE VITACEAE ROSACEAE CORNACEAE
Fig. 115. Rapporto fra parte edule e scarto nei cereali.
Il 36% dei reperti riferibili a specie spontanee (in US 2 T. 2 arriva al 70%) è raggruppato nella categoria Rosaceae, identificata solo dal nome della famiglia botanica. In questo gruppo rientrano frammenti di frutti che, a causa del loro stato di conservazione non sono meglio determinabili, potrebbe infatti trattarsi di piccole parti di mela selvatica, sorbo, o biancospino. Infine, ultimo dato da rilevare, è l’assenza del sambuco, pianta generalmente presente ed utilizzata dall’uomo a partire dal Neolitico fino all’Età del Bronzo.
Per ciò che concerne la vegetazione erbacea, essa è generalmente poco documentata, le scarse attestazioni riguardano prevalentemente infestanti dei raccolti (Vicia sp. L.), che in alcuni casi poteva rientrare anche nell’alimentazione, Galium sp. L. e Portulaca oleracea L.) o piante ruderali diffuse in aree antropizzate (Lamium sp. L, Fallopia convolvulus (L.) Holub.), a ulteriore testimonianza dell’impatto antropico sul territorio.
L’analisi dei macroresti vegetali di Ponte Molino fornisce quindi una ricostruzione paesaggistica del territorio insediativo, mostrando interventi antropici consistenti nell’ecosistema. La messa a coltura di terre adiacenti al villaggio è confermata dall’alto numero di resti di cereali (cariossidi e parti della spiga) e da specie infestanti e ruderali, dimostrando un impatto già considerevole sul paesaggio, attraverso azioni finalizzate alla creazione di spazi aperti per l’agricoltura che, come già osservato, doveva rivestire un ruolo primario nell’economia di sussistenza dell’insediamento. Nello stesso tempo, le esigue testimonianze di boschi di quercia e le più numerose attestazioni di piante di margine boschivo mostrano un ambiente aperto, prativo e arbustivo in cui gli spazi potevano essere utilizzati anche come pascolo per gli animali allevati. Il quadro così dipinto mostra quindi una totale continuità con la tradizione neolitica italiana, sia dal punto di vista delle coltivazioni che delle preferenze alimentari concernenti le specie eduli spontanee.