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Nel caso degli insetti nocivi, una sintesi fornita da Korichevaet al., (1998) illustra questo punto molto bene. La cosiddetta“plant stress hypothesis” (PSH), secondo la quale piante soggette a condizioni di stress sono più suscettibili ad attacchi d‟insetti perché i tessuti diventano più nutritivi o le concentrazioni di fenoli si abbassano, è diventata quasi paradigmatica, ma in realtà gran parte dell‟evidenza a supporto della PSH è alquanto circostanziale.

Gli autori hanno inoltre rilevato una grande variabilità nei risultati, associata soprattutto alle diverse categorie.

In termini di prestazioni, la meta-analisi dimostra che, in generale, gli insetti xilofagi e i fitomizi sono favoriti su piante stressate, mentre i defogliatori e gli insetti galligeni sono sfavoriti. In definitiva, lo studio conferma le ipotesi di Larsson (1989), secondo cui, in termini di prestazioni su piante stressate, le diverse categorie possono essere classificate come favorite da condizioni di stress dell‟ospite come segue: xilofagi > fitomizi > minatori > defogliatori > galligeni In situazioni sperimentali in cui più di due livelli di stress (piante stressate/non stressate) sono stati usati è stato notato che spesso le prestazioni degli insetti aumentano con lo stress fino ad un livello soglia, per poi diminuire, cioè in funzione quadratica

Ovviamente la situazione è complicata ulteriormente da interazioni fra l‟ambiente, il genotipo della pianta ospite, e il background genetico della particolare popolazione dell‟insetto.

In ogni caso, fra i defogliatori, un risultato molto interessante della meta-analisi è che questi insetti sembrano più favoriti dallo stress su piante a crescita rapida che non su piante a crescita lenta.

Anche questo risultato appare quindi in contrapposizione con il paradigma vigore = resistenza. È comunque ovvio che per poter prevedere le risposte degli insetti a varie situazioni di stress per l‟ospite è fondamentale capire quali siano le risposte fisiologiche della

pianta alle varie situazioni di stress. Uno degli stress più importanti è, naturalmente, lo stress idrico, ma in molti casi altrettanto importante è il cosiddetto stress nutrizionale, spesso dovuto a carenze di azoto, l‟elemento meno disponibile e più limitante alla crescita vegetale in ambienti più o meno naturali.

Studi sugli effetti della disponibilità di azoto sono principalmente, e per necessità, incentrati su piante arboree in ambienti controllati, come ad esempio nel paesaggio urbano.

Varie ipotesi hanno cercato di modellare la risposta della pianta alla disponibilità variabile di azoto.

Praticamente tutte evidenziano una compensazione fra condizioni che favoriscono la crescita della pianta (per esempio alta fertilità azotata) e accumulo di sostanze di difesa

contro insetti e patogeni (principalmente metaboliti secondari). Fra le varie ipotesi con maggior credito, forse la più matura (Stamp, 2003) è la “growth-differentiation balance hypothesis” (GDBH) (ipotesi del bilancio crescita differenziamento)(Herms e Mattson, 1992).

In situazioni in cui il tasso netto di assimilazione (fotosintesi) ha raggiunto livelli stabili (di saturazione) la GDBH prevede una compensazione fra carbonio usato per il metabolismo primario (fondamentalmente, tasso di crescita relativa) e quello usato per il metabolismo secondario costitutivo .

In effetti, Herms (2002) ha dimostrato che in quasi tutti i casi in cui è stata studiata, la fertilizzazione azotata, pur rendendo gli alberi più vigorosi, o non ha effetto sulla resistenza, o gli alberi diventano più suscettibili agli insetti nocivi.

Questo è vero anche per grandi esperimenti di fertilizzazione in bosco, che comunque in generale non sono attendibili perché caratterizzati da mancanza di replicazione a fini statistici.

Casi in cui la maggior vigoria di piante conduce a maggior suscettibilità a insetti sono stati documentati anche in situazioni di gradienti naturali di fertilità del suolo.

Recentemente è stato dimostrato un effetto in questa direzione anche nel caso dell‟interazione fra Pinus resinosa e Diplodia pinea (agente di disseccamenti comune anche in Italia) (Blodgett et al., 2005).

Resta comunque vero che, in generale, conifere in condizioni di stress moderato, anche nutrizionale, sono in genere più suscettibili ad insetti floematici come gli scolitidi .

Uno dei fatti più interessanti venuti alla luce in studi recenti condotti è che l‟eccessiva fertilità del suolo può portare anche a scompensi a livello di colonizzazione da parte di microrganismi benefici come i funghi micorrizici. Finora si era pensato che un eccesso di azoto o fosforo fosse direttamente inibitorio per questi fungi associati così intimamente al suolo, ma è senz‟altro possibile che la depressione della colonizzazione micorrizia di piante soggette ad eccessiva fertilità

sia dovuta anche a complessi meccanismi di feedback positivo attuati attraverso effetti incrociati a livello di metabolismo secondario. Kleczewski, Herms, e Bonello (non pubblicato) hanno infatti documentato, su Betula papyrifera, effetti della fertilità eccessiva a livello di apparato radicale che sono praticamente opposti a quelli evidenziati più sopra per la parte epigea della pianta. Se infatti il metabolismo secondario a livello di foglie e floema secondario del fusto e dei rami tende ad essere soppresso in condizioni di elevata fertilità (in correlazione negativa con i tassi di crescita del fusto e della chioma), a livello di radici primarie e secondarie la situazione è invertita, con ridotti tassi di crescita/espansione dell‟apparato radicale, associati a maggiori livelli di metaboliti secondari (particolarmente lignine) e ad una riduzione della colonizzazione micorrizica. Come se non bastasse, la situazione si complica ulteriormente quando le piante sono contemporaneamente interessate da organismi diversi, per esempio un patogeno radicale e uno scolitide (una situazione comunissima nei soprassuoli forestali). Indipendentemente dalla comunità biotica nel suo complesso, la mera presenza di un patogeno può rendere una pianta più o meno suscettibile ad un insetto (e viceversa), a seconda di molti fattori, alcuni ambientali (tipo quelli esposti qui sopra), altri biotici.

Nel secondo caso, è sempre più chiaro che fenotipi attenenti a fenomeni di resistenza (o suscettibilità) sistemica indotta possono essere molto importanti nella definizione della resistenza di un albero. In studi è stato dimostrato, per esempio, che piante mature di Pinus ponderosa, inoculate in bosco con Heterobasidion annosum (agente di marciume radicale), diventano più resistenti all‟attività trofica del coleottero scolitide Ips paraconfusus

(McNee et al., 2003) Similmente, piante di pino di Monterey (Pinus radiata) inoculate in campo con

Fusarium circinatum (agente del cancro resinoso dei pini) diventano più resistenti ad inoculazioni successive con lo stesso patogeno (Bonello et al., 2001).

In entrambi i casi il fenomeno descritto viene definito come resistenza sistemica indotta (systemic induced resistance o SIR). Più recentemente abbiamo dimostrato che l‟ospite, in

questo caso il pino nero, è in grado di mediare interazioni fra un patogeno come D. pinea e un insetto defogliatore come Neodiprion sertifer (comune in Italia). In particolare, inoculazioni con il patogeno possono rendere l‟ospite ancora una volta più resistente a successivi attacchi, sia da parte dello stesso patogeno, sia dell‟insetto, e viceversa (Eyles

et al., 2007). Tali fenomeni di SIR sono stati dimostrati ripetutamente nel sistema P. nigra - D. pinea, a patto che l‟induzione venga praticata nel floema secondario del fusto o di un ramo e l‟inoculazione successiva avvenga pure in un‟area diversa del fusto o un ramo (Blodgett et al.,

2007;Eyles et al., 2007).

In tutti questi casi, se si ritiene che l‟inoculazione iniziale (l‟induzione) sia un caso di stress biotico, allora nuovamente la contrapposizione fra vigore e resistenza appare lampante. D‟altro canto però, abbiamo documentato casi in cui un‟induzione da patogeno sul fusto induce suscettibilità sistemica indotta (systemic induced susceptibility - SIS) sui getti, sia allo stesso patogeno (Blodgett et al., 2007), sia a patogeni diversi, per esempio nel caso H. annosum - P. nigra - D. pinea (Bonello et al., 2008).

Questi fenomeni hanno quasi sicuramente un significato ecologico, perché appare possibile che alberi interessati da stress biotico possano risultare più, e non meno, resistenti ad attacchi successivi.

Questo fenomeno è esemplificato dal fatto che in studi sull‟epidemiologia del cancro resinoso del pino di Monterey è stato notato che, in parecchie zone d‟incidenza della malattia, molte piante sono andate in remissione nel tempo, anche a partire da situazioni di epidemia molto diffusa (Gordon, 2006). E più recentemente Gordon et al., (comunicazione personale) hanno condotto inoculazioni di alberi in aree con due tipologie contrastanti: la prima comprendente zone affette da più di un decennio di epidemia, la seconda senza segni evidenti di malattia o con una storia epidemica molto più breve (< 2 anni). Le piante nella zona a più lunga incidenza della malattia si sono rivelate, in media, più resistenti di quelle caratterizzate da una storia epidemica più breve. Inoltre, la frequenza delle lesioni più lunghe causate dal patogeno in seguito alle inoculazioni (la misura della suscettibilità) si è rivelata più alta fra le piante nella seconda area. Tutto ciò