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Evoluzione di una cooperativa in impresa capitalistica: le teorie del ciclo d

Capitolo 2 Caratteri economico-aziendali dell’impresa cooperativa

2.4 Evoluzione di una cooperativa in impresa capitalistica: le teorie del ciclo d

Ma che cosa porta storicamente il modello cooperativo a diventare così simile all’impresa capitalistica? Se all’inizio il modello aziendale cooperativo sembrava una vera rivoluzione nel senso dell’equità sociale e della solidarietà tanto da essere in rottura con il modello classico, sembra che nel tempo abbia ereditato così tante caratteristiche da quest’ultimo da renderne difficile una distinzione. Le ragioni di questa “involuzione” derivano, comprensibilmente, dalla crescita dimensionale e dalle esigenze di avere a che fare con costi, ricavi, bilanci. Diversi studiosi hanno affrontato questo problema nella sua dimensione evolutiva. L’argomento è vasto e mi limiterò soltanto ad alcuni contributi che facciano comprendere questa interessante prospettiva di studi. In particolare mi soffermerò sulle teorie dell’adattamento, che individuano il germe del cambiamento in fattori interni all’impresa. L’azienda come sistema vitale si modifica adattandosi al suo ambiente per sopravvivere.

In economia siamo abituati a parlare di ciclo di vita del prodotto. Con questa definizione si intende lo studio evolutivo di un prodotto nelle sue diverse fasi (lancio, maturità, declino etc.), la risposta del mercato associata a ciascuno stadio evolutivo e le strategie ottimali che un’impresa deve adottare per trarre correttamente profitto da quel determinato prodotto in quel determinato stadio della sua esistenza (investire in pubblicità, fare guerra di prezzi, investire in ricerca e sviluppo, abbandonare gradualmente la produzione etc.). Per ciclo di

vita delle imprese cooperative, invece, intendiamo “l’insieme delle modalità strutturali secondo le quali si sono venute storicamente modificando le imprese cooperative in quanto sistemi”35.

2.4.1 L’approccio contingente strategia – struttura di Scott.

La metafora alla base di questo approccio è di tipo biologico. L’organismo aumenta le sue dimensioni differenziandosi e specializzandosi. E così fa la cooperativa.

Scott individua tre fasi di evoluzione. Il suo scopo è dimostrare come la strategia e gli obiettivi influenzino la struttura stessa dell’impresa.

Fase 1 Fase 2 Fase 3

Strategia

- unica linea di prodotto a limitata ampiezza -mercato geografico circoscritto

- unico canale distributivo - processi produttivi scarsamente integrati - limitato investimento in ricerca e sviluppo

- unica linea di prodotto - più mercati

geografici/segmenti - più canali di distribuzione - processi produttivi integrati verticalmente

- forte investimento in ricerca e sviluppo

- più linee di prodotti - molteplici mercati - molteplici canali

Organizzazione Struttura elementare Struttura funzionale Struttura divisionale

Ecco, quindi, un semplice modello che ci fa comprendere come l’azienda non sia una realtà statica, ma un sistema in evoluzione. Le esigenze cambiano nel corso della vita e bisogna sempre individuare la forma più opportuna per assicurare la sopravvivenza. Quello appena visto è un modello generale applicabile a qualunque tipo di impresa, non necessariamente cooperativa. Per qualunque azienda, alla crescita della dimensione, corrisponde un aumento della complessità strutturale.

2.4.2 Il ciclo di vita delle imprese cooperative. Meister e Zan.

Ad occuparsi nello specifico delle cooperative con un approccio evolutivo furono, in particolare, due studiosi: Albert Meister e Stefano Zan.

Meister studiò molto le cooperative negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso e si rese conto dell’importanza di una variabile che le accomunava e le distingueva dagli altri tipi di impresa: l’autogestione. Le cooperative, infatti, all’origine esprimevano principalmente la volontà di “creare, come reazione alla realtà circostante, cellule di vita democratica, di creare o di rispettare l’eguaglianza fra i membri, e di basarsi sul massimo di partecipazione di tali membri e sulla democrazia diretta”36. Quindi, per Meister, il fulcro dell’analisi della trasformazione cooperativa è proprio l’evoluzione nei processi di partecipazione e democrazia. Al fine di analizzare questi aspetti, egli individua quattro tappe di evoluzione:

Fase 1: La conquista.

E’ la fase della costituzione della cooperativa, caratterizzata da un forte entusiasmo, ottimismo e speranze. In questa fase l’ideologia ha un ruolo forte: la cooperativa deve creare nuovi rapporti sociali basati sull’uguaglianza in contrapposizione alle ingiustizie del mondo esterno. Tutti collaborano allo sviluppo della nuova creatura, le decisioni vengono prese dall’assemblea (democrazia diretta), molti compiti sono svolti da volontari, non ci sono veri e propri “ruoli”. Questa fase, sebbene sia idilliaca sotto il profilo sociale, rivela i suoi limiti sotto il profilo economico: l’eccesso di democrazia spesso si traduce in impossibilità di prendere delle decisioni e in scarsa efficienza.

Fase 2: Il consolidamento economico.

A generare questa fase transitoria sono proprio i limiti ai quali si accennava nella prima fase. Si inizia a sentire la necessità di un approccio pratico piuttosto che di un approccio idealista che spesso porta all’immobilità. Come abbiamo visto nel precedente paragrafo, l’azienda, per sopravvivere, deve trasformarsi in un sistema dinamico e, per giunta, essere capace di cambiare con la giusta rapidità. Quando troppe teste decidono con il medesimo potere diventa difficile individuare una linea guida unica da seguire e la cooperativa rischia di annaspare. Ecco, allora, che viene introdotta la delega. La democrazia non è più diretta, ma rappresentativa. I dirigenti si separano dagli altri, gli organi si differenziano e si specializzano, le persone si sentono meno coinvolte nei processi decisionali e perdono idealismo maturando indifferenza.

Fase 3: La coesistenza.

Per potersi evolvere, la cooperativa che ha già rinunciato alla gestione idealista in favore di una gestione più rispondente a logiche economiche tipiche del capitalismo, rinuncia anche gradualmente ai suoi valori. Se un organismo deve adattarsi all’ambiente esterno e quest’ultimo è permeato da valori capitalisti, con molta probabilità l’organismo si adatterà a questo ambiente

facendo suoi i valori esterni. Inoltre, aumentando le dimensioni e la complessità aziendale ed estromettendo il singolo dalle decisioni dirette, la coesione del gruppo si indebolisce. Gli individui non si sentono più parte di un gruppo, di un’ideologia, di un sistema culturale e valoriale.

Fase 4: Il potere degli amministratori.

La democrazia, in questa fase, si allontana sempre di più. Non solo le persone non decidono più direttamente, ma ormai non hanno nemmeno più accesso alle informazioni, che vengono gestite direttamente dagli organi di governo. La complessità dell’organizzazione impone una massima specializzazione del management, sul quale, di fatto, né i soci né i rappresentanti delegati sono in grado di esercitare un controllo.

Se Meister sembra tracciare la storia di un declino, del fallimento di un’ideologia, per Zan non è tutto così negativo. La trasformazione, per Zan, rappresenta una evoluzione positiva scandita in tre fasi.

Fase 1: La difesa.

Come per Meister, questa è la fase iniziale, caratterizzata da ottimismo ed entusiasmo, democrazia diretta, solidarietà, rifiuto per il capitalismo, semplicità organizzativa e scarsa differenziazione dei ruoli. Ciò che per Zan caratterizza la nascita di una cooperativa e stimola la coesione è la difesa dei propri interessi, “interessi che nessun altro, sia questo lo Stato, l’impresa privata, il partito, il sindacato, sono in grado di soddisfare nell’immediato”37.

Fase 2: Il consolidamento.

A differenza di Meister, Zan non vede la riuscita economica come una perdita di identità, ma come un primo passo verso il successo. La cooperativa ha lottato e ora guadagna il diritto a un posto nel mercato, al quale può aprirsi

senza timore e non più chiudersi restando in posizione difensiva. Ecco perché l’atteggiamento nei confronti del mercato cambia: non per colpa di una sconfitta, ma per merito di una conquista. In questa fase di transizione si evidenziano, però, le prime contraddizioni. Se il modello cooperativo, in generale, favorisce l’uguaglianza, la cultura operaia, l’umiltà, per far sopravvivere un’azienda c’è bisogno di tecnici, di specialisti, di ruoli, di capi. La maniera in cui si risponderà a queste esigenze determinerà le connotazioni della terza fase.

Fase 3: La fase industriale.

E’ la fase in cui si risolvono le contraddizioni e si adotta una razionalizzazione organizzativa. La cultura che prevarrà sarà quella dell’affermazione sul mercato. Si analizzerà ora il problema dell’autogestione trovando una nuova forma di solidarietà o adottando un modello di divisione e specializzazione.

In generale possiamo affermare che la dimensione sia un fattore critico. Le piccole dimensioni consentono rapporti faccia a faccia e una forte coesione di gruppo. Una crescita eccessiva danneggia l’ideologia perché viene meno la possibilità di comunicazione e condivisione dei valori e allora diventa forte l’influenza dei valori esterni all’organizzazione. Abbiamo visto come questa trasformazione sia una pura degenerazione per alcuni studiosi, ma anche un processo accettabile purché porti al risultato economico per altri.