Capitolo 3 Caratteri giuridici e princìpi dell’impresa cooperativa
3.3 Evoluzione normativa italiana
Il Codice di Commercio del 1882 dedicava alle cooperative gli articoli da 219 a 228. Per quanto riguarda il funzionamento, il bilancio, la liquidazione, le cooperative erano, di fatto, assimilate alle società anonime, con due particolarità che le distinguevano da queste: il voto pro capite (o capitario) e la libertà di sottoscrizione della quota, che poteva essere al massimo di 5.000 Lire. Gli altri princìpi cooperativi furono sostanzialmente ignorati da questo codice, che, salvo alcune piccole modifiche, restò, nel nostro paese, l’unica legislazione in materia di cooperazione per quasi un secolo. Nel Codice Civile del 1942 si parla espressamente di cooperazione, precisando che (a differenza di altri paesi europei) la cooperazione è regolata sia dal Codice Civile che dalle leggi speciali. Pochi anni dopo, il d.lgs. Capo Provvisorio dello Stato n. 1577 del 1947, divenuto successivamente “legge Basevi”, servì a colmare le lacune lasciate dal legislatore del 1942 e costituisce l’asse portante della disciplina46, oltre ad inaugurare un periodo di revisione delle leggi riguardanti la cooperazione. Negli anni successivi, infatti, a partire dalla la “miniriforma” alla legge Basevi del 1971, si parla di era della “normazione ricapitalizzatrice”. Farà, inoltre, da sfondo la Costituzione, alla quale il legislatore deve sempre sottostare. In particolare l’art. 45 si riferisce proprio alla cooperazione e lo analizzeremo nel dettaglio nel paragrafo seguente. Due in particolare furono gli scopi del legislatore in questo processo di riforme: favorire l’autofinanziamento tramite l’elevazione del limite massimo della quota sottoscrivibile dal socio e dare esecuzione al principio dell’integrazione cooperativa con l’introduzione
45
Buonocore, Diritto della cooperazione, Il Mulino, Bologna, 1997 46 Buonocore - Diritto della cooperazione, Il Mulino, Bologna, 1997
dell’obbligo di collaborazione tra le cooperative e della diffusione/educazione ai princìpi cooperativi47.
Con la legge 59 del 1992, si conclude il processo di ricapitalizzazione. E’ questa la legge che introduce la categoria dei soci sovventori e degli azionisti di partecipazione cooperativa. Inoltre introduce la possibilità di imputare a capitale gli utili di esercizio e l’obbligo di destinare il 3 % degli utili annuali ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione (art. 11 e 12), al fine di dotare di consistenti mezzi finanziari le Centrali cooperative48. Questi fondi servivano a supportare tutte le cooperative e, di conseguenza, a migliorare il movimento cooperativo nel suo insieme. E’ grazie a queste innovazioni, che la “cooperazione si fa sistema”: le Centrali diventano soggetti fortemente patrimonializzati in quanto le cooperative aderenti devono destinare ai rispettivi fondi il 3 % degli utili netti annuali e, inoltre, quelle che hanno adottato la clausola anti-lucrativa ex art. 26 della legge Basevi, devono effettuare, all’esito della loro liquidazione, la devoluzione del patrimonio residuo ai suddetti fondi. Il mancato o inesatto adempimento di queste prestazioni viene sanzionato con la decadenza dai benefici fiscali e di altra natura, che erano stati concessi alla cooperativa49.
L’articolo 45 della Costituzione Italiana recita: “La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità”.
La prima parte dell’articolo richiede due elementi: la mutualità e l’assenza di fini di speculazione privata (che è cosa ben diversa dallo scopo di lucro). Secondo l’opinione prevalente l’interpretazione corretta è nel senso di un
47 Buonocore - Diritto della cooperazione, Il Mulino, Bologna, 1997
48 Buonocore - “La legge 31 gennaio 1992, n. 59 e la mutualità degli anni a venire”, in Riv. not., I, 1992 49
Minervini - “La cooperazione di sistema e la disciplina delle società cooperative”, in Banca, borsa, tit., 2007
rapporto di genere a specie tra cooperazione e mutualità: infatti ci potrà essere una cooperazione a carattere mutualistico e una a carattere non mutualistico, o speculativo50. Tuttavia solo la cooperazione a carattere mutualistico è presupposto per i benefici e le agevolazioni previsti dal legislatore.
Prima di approfondire il concetto di mutualità è bene completare la panoramica sulla legislazione in materia, dando un breve sguardo all’ultima riforma.
La legge 366 del 2001 ha conferito al Governo la delega per la riforma del diritto societario; il d.lgs 6 del 2003 ha attuato questa delega. Per quanto riguarda le cooperative, il cambiamento si evince già dal titolo (titolo VI del libro V del Codice Civile), che diventa “delle società cooperative e delle mutue assicuratrici” sostituendo “delle imprese cooperative e delle mutue assicuratrici”. Il legislatore ha inteso legare la forma societaria alla forma cooperativa. A sostegno di questa intenzione, anche la possibilità di adottare le norme che regolano le srl quando i soci sono meno di venti o l’attivo patrimoniale non superi il milione di euro. Ciò garantisce una gestione più “snella”, potendo fare a meno dei costi del collegio sindacale, ma rischia di diventare uno specchietto per le allodole per quelle società che, pur crescendo e cambiando durante la loro vita, mantengono i vantaggi delle srl51. Anche questa volta il legislatore non definisce il concetto di mutualità, ma lo tiene come tratto distintivo e cardine del fenomeno cooperativo. E’ la mutualità che distingue una cooperativa da una società di capitali, infatti le cooperative vengono definite “società a capitale variabile con scopo mutualistico52” (la variabilità del capitale rispetta il principio della porta aperta: un aumento o una riduzione del capitale sociale dovuti all’entrata o uscita di un socio non determina alcun adeguamento dell’atto
50 Buonocore - Diritto della cooperazione, Il Mulino, Bologna, 1997 51
Paolucci, L. F. – Le società cooperative dopo la riforma, Cedam, Padova, 2004 52 La definizione è tratta dal Codice Civile, Titolo VI, libro V, art. 2511
costitutivo). Per tutte le cooperative si richiede: il perseguimento dello scopo mutualistico, il rispetto del principio democratico e della parità di trattamento e il ristorno come tratto distintivo53. I ristorni possono essere definiti come il rimborso ai soci di parte del prezzo pagato per i beni o i servizi acquistati o come un’integrazione della remunerazione corrisposta dalla stessa cooperativa per le prestazioni lavorative dei soci54. Nelle cooperative di consumo i soci acquistano i beni e i servizi dalla cooperativa allo stesso prezzo praticato ai terzi e solo in un secondo momento ottengono il rimborso dello sconto del quale al tempo dell’acquisto non avevano beneficiato; nelle società di lavoro i ristorni sono un’integrazione alla retribuzione. Le modalità di erogazione dei ristorni devono essere specificate nell’atto costitutivo e i ristorni devono rispettare il criterio della proporzione alla quantità e qualità degli scambi mutualistici. Per ottenere la distinzione tra i risultati della gestione verso i soci e di quella verso i terzi la cooperativa deve tenere una contabilità separata necessaria al fine di distribuire correttamente i ristorni55.
Le società cooperative, con questi presupposti, vengono quindi divise in due tipi: quelle a mutualità prevalente (le quali godono di agevolazioni fiscali) e quelle a mutualità non prevalente.