• Non ci sono risultati.

Evoluzione del sistema sanzionatorio

La scelta normativa di privilegiare un percorso di esecuzione non detentivo per il tossicodipendente condannato – in astratto – ad una pena detentiva è relativamente recente. La vigente disciplina è contenuta nel DPR 9 ottobre 1990, n. 309.

La prima disciplina in materia risale al Regio Decreto 22 febbraio 1922 n. 355 in attuazione di quanto indicato nella Convenzione Internazionale dell'Aja del 1912. La legislazione del primo dopoguerra era indirizzata contro la diffusione ed il traffico di droghe, si sosteneva infatti che la presenza sul mercato di sostanze stupefacenti fosse una minaccia per la salute pubblica. Il dato oggettivo, però, evidenziava sia l’assenza di punibilità per l’uso individuale (o per la detenzione), che l’esiguità delle

38

pene previste per il traffico e per la distribuzione; veniva, inoltre, proposta una prima elencazione di sostanze comunque vietate aggiornabili da parte dell’autorità amministrativa.40

La disciplina negli anni successivi è foriera di profonde modifiche, sopratutto per quanto riguarda la figura del consumatore. Il nuovo Regio Decreto 19 ottobre 1930 n. 1398 e la Convenzione di Ginevra del 13 luglio 1931 (recepita con Regio Decreto legge 15 gennaio 1934 n. 151 convertito nella legge 7 giugno 1934 n. 1145) vengono accompagnate dal Testo Unico delle Leggi Sanitarie (Regio Decreto 27 luglio 1934 n. 1265). In questo quadro normativo il fenomeno della tossicodipendenza era quasi equiparato ad una malattia ed il tossicomane era un soggetto a cui applicare le procedure di ricovero coatto modellate sulla Legge manicomiale del 1904.41 In base agli articoli dal 93 al 95 del Codice Penale, i soggetti tossicodipendenti venivano ritenuti non punibili per i reati commessi sotto l’effetto di stupefacenti ma erano soggetti ad internamento in ospedale psichiatrico giudiziario. In realtà, in quest’epoca, l’idea di droga veniva connessa ad un’elite e l’unico vero problema sociale o “socialmente accessibile” restava la – più economica – bevanda alcolica. L'Italia degli anni Cinquanta non era un mercato appetibile per il commercio di sostanze, ma esprimeva buone potenzialità per il traffico di stupefacenti dai paesi produttori verso i paesi

40 C. Cippitelli, Droghe, tossicodipendenza e tossicodipendenti, in Ricerca a cura di

Ristretti Orizzonti, 2009, p. 16, disponibile su http://www.ristretti.it/areestudio/droghe/zippati/cippitelli.pdf

41 Fino a quel momento l'unico intervento riabilitativo consisteva nel ricorso alla cura

mentale dell'intossicato, ritenuto pericoloso o di pubblico scandalo. La normativa che prevedeva tale intervento era composta dalla legge psichiatrica del 14 febbraio 1904 n. 36 e dalle successive leggi sanitarie (T.U. del 27 luglio 1934 n. 1265).

39

“consumatori”. Regioni come la Sicilia, infatti, grazie alla presenza delle strutture mafiose, erano diventate una vera e propria “zona di transito e spedizione”. Il fenomeno risultava essere un problema a livello internazionale e, nel tentativo di bloccare il traffico di droga tra Turchia e America, gli Stati Uniti chiesero al Governo italiano una modifica legislativa in senso maggiormente restrittivo. Venne dunque promulgata la legge 22 ottobre 1954 n. 1041 che disciplinava la produzione, il commercio e l’impiego di sostanze, questo anche grazie alle pressioni esercitate dalla Commissione Stupefacenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’ottica era quella di colpire chiunque avesse a che fare con qualsiasi droga in base alla presenza della stessa nelle tabelle legislative e non si distingueva più la figura del consumatore dalla figura del trafficante.42 La disciplina maggiormente repressiva offriva dunque strumenti per una battaglia contro la malavita nel bacino del Mediterraneo (Medio Oriente, Italia, Francia) che rifornivano gli Stati oltre mare.

La legge n. 104143 intervenne, dunque, inasprendo il regime sanzionatorio, ma risultò essere inadeguata ad affrontare la nuova realtà sociale della fine degli anni Sessanta.

42 G. Ferrato, Cannabis: un'analisi politica ed economica, Torino, 2016, p. 11

43 L’ art. 6 della suddetta legge recita <<Chiunque intenda importare, esportare, ricevere

per il transito, commerciare a qualsiasi titolo, impiegare o comunque detenere oppio grezzo, foglie o pasta di coca o altre droghe, sostanze o preparati indicati nell’elenco degli stupefacenti, deve munirsi dell’autorizzazione dell’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica>> e <<Chiunque, senza autorizzazione, acquisti, venda, ceda, esporti, importi, passi in transito, procuri ad altri, impieghi o comunque detenga sostanze o preparati indicati nell’elenco degli stupefacenti, è punito con la reclusione da tre a otto anni e con la multa da lire 300.000 a lire 4.000.000>>. <<Chiunque, essendo munito dell’autorizzazione o del permesso di cui al presente articolo, mette o procura che altri

40

L’impetuosa industrializzazione delle regioni settentrionali si scontrava con le ampie zone sottosviluppate dalle quali si muoveva un flusso migratorio verso nord. Si ingrossavano, infatti, le periferie urbane delle grandi città dove sorgevano quartieri che ospitavano una varietà culturale ed economica disomogenea. Il “boom economico” comportò un mutamento sociale solo per alcune fasce di popolazione, per le altre, invece, disoccupazione e insoddisfazione. All’interno di questo diverso contesto la circolazione delle sostanze avveniva prevalentemente attorno a nuovi raggruppamenti giovanili.44 Analizzando questo fenomeno Rusconi e Blumir45 evidenziano il nuovo “ruolo” delle droghe in relazione alla funzione svolta. Il consumo di sostanze derivate dalla canapa indiana e degli “acidi”, come ad esempio LSD è denominato “monopsichedelico”; politossico è invece il consumo delle altre sostanze psicotrope, dove è centrale la tecnica dell’iniezione per l’assunzione. Il primo modello si caratterizza per l’aspetto maggiormente “associativo” ed aggregante, il secondo invece per l’esperienza sostanzialmente individualista. La politossicità rappresentava un elemento di rottura, l’esperienza

mettano illecitamente in commercio stupefacenti, è punito con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa da lire 500.000 a lire 5.000.000>>.

44 Come suggeriscono Rusconi e Blumir nel volume La droga e il sistema, Milano, 1972 i

gruppi che per primi tentano di uscire dalla logica “bisogni primari come evasioni primarie” sono le frange giovanili più avanzate dal punto di vista politico e culturale (sia gruppi extraparlamentari che studenteschi) che propongono la lotta di classe come modello di emancipazione collettiva.

45

41

monopsichedelica invece poteva essere inserita in paradigmi di socialità alternativa tipici dell’epoca.46

La realtà sociale, la diversificazione nell’offerta e nel consumo della droga e la mancata risposta normativa diventarono un problema. La velocità di diffusione aumentò, la complessità del fenomeno sottostante e le richieste di una tutela sociale non repressiva, ovvero di solidarietà verso l’individuo assuntore, resero obsoleta la legge 1041 del 1954. Inoltre, mentre in una prima fase la Cassazione interpretò l’art. 6 della suddetta legge – relativo alla punibilità – in senso molto liberale,47 a partire dalla sentenza n. 9 del 1972 la Corte Costituzionale48 stabilì, al contrario, la necessità di sanzionare anche il consumatore. Il fenomeno acquistò dimensioni tali da richiedere le attenzioni dello Stato, il Legislatore avrebbe dovuto, infatti, offrire possibilità di recupero e reinserimento dei soggetti coinvolti e, dunque, una modifica di legge.

Soltanto a metà degli anni Settanta si cominciò a prospettare poi il problema del diritto alla “cura” dei tossicodipendenti detenuti. Grazie

46

In questo periodo nascono infatti paradigmi di “contro-strutture” come le comuni, la stampa alternativa ed i collettivi studenteschi

47

Sentenza della Cassazione 9 dicembre 1957, Ardizzone e Cassazione 26 aprile 1957

48 Un punto cruciale della sentenza sottolinea infatti che <<..sotto l’egida del principio di

tutela della pubblica salute, consacrato nell’art. 32 Cost., si inserisce come parte del tutto, nel quadro generale e nel ciclo operativo completo, della lotta, con mezzi legali, su tutti i fronti, contro l’alto potere distruttivo dell’uso della droga e contro il dilagare del suo contagio, giunto ad un livello di manifestazioni, anche delittuose, tale da suscitare, in misura sempre più preoccupante, turbamento dell’ordine pubblico e di quello morale. Dall’aggravarsi della situazione é derivata la necessità di supplire alla insufficienza dei preesistenti rimedi sanzionatori [...] deve darsi atto che pende davanti alle Camere più di un disegno e proposta di legge per una rielaborazione della materia sotto aggiornate prospettive, meritevoli d’ogni considerazione>>.

42

anche alla spinta degli accordi internazionali49 e all’opera della magistratura si crearono possibilità limitative rispetto alla detenzione ma solo molti anni dopo si arrivò ad ipotizzare misure alternative quali l’affidamento terapeutico.

Il primo riconoscimento di tutela del diritto alla salute dei soggetti tossicodipendenti in esecuzione pena è contenuto nell’art. 84 della Legge 685 del 1975.50 Si garantiva il <<diritto di ricevere le cure mediche e l’assistenza necessaria a scopo di riabilitazione a chiunque si trovi in stato di custodia preventiva o di espiazione di pena>>51 e sia ritenuto <<abitualmente dedito all’uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o psicotrope>> e veniva attribuito al Ministro di grazia e giustizia il compito di organizzare <<con proprio decreto, su basi territoriali, reparti carcerari opportunamente attrezzati, provvedendo d’intesa con le competenti autorità regionali>>.

49

Già la Convenzione di Vienna del 1971 richiedeva agli Stati stipulanti di predisporre misure alternative alla detenzione volte al recupero del tossicodipendente autore del reato.

50

Art. 84 in materia di trattamento dei detenuti abitualmente dediti all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope.

51

Non sono menzionati gli internati, cioè i soggetti sottoposti a misure di sicurezza detentive. La dottrina ha pacificamente ammesso che si è trattato di una dimenticanza per cui si può desumere che la disciplina si applichi a tutti i soggetti detenuti e tossicodipendenti. G. Di Gennaro, La droga. Controllo del traffico e recupero dei drogati, in Commento alla legge 22 dicembre 1975 n.685, sulla disciplina degli stupefacenti e

sostanze psicotrope, Milano, 1982, p. 284. Merita poi di essere sottolineato che la

dimenticanza del legislatore si è ripetuta nell’attuale art. 96 del T.U. del 1990 che ricalca l’art. 84 della legge 685 del 1975. Questa reiterazione sembra più una scelta deliberata, dovuta al fatto che ormai gli unici internati effettivamente esistenti sono i reclusi negli ospedali psichiatrici giudiziari, tra i quali non sono infrequenti i cosiddetti “soggetti con doppia diagnosi”, che associano cioè a problemi di dipendenza problemi di sofferenza psichiatrica.

43

Questo quadro non permise, però, un’efficace compressione del fenomeno “tossicodipendenza”, soprattutto per la sussistenza della causa di non punibilità in caso di presenza di “modiche quantità” e per le difficoltà concernenti l’accertamento giudiziario. L’estrema genericità della norma di legge portò, infatti, ad oscillanti interpretazioni giurisprudenziali in relazione alla concreta qualificazione delle diverse vicende giudiziarie.52

È da notare anche come tale normativa abbia contribuito poi all’affermazione di una diversa visione della figura del tossicodipendente, anche se il consumo di droga continuò ad essere considerato socialmente dannoso; da una parte, solitamente, è accompagnato ad attività illegali e dall’altra si devono considerare i danni psico-organici che esso comporta per l’assuntore. Queste visuali e connotazioni del fenomeno sono alla base dei successivi tentativi legislativi, l’obiettivo attuale è infatti di contemperare – bilanciandole di volta in volta – le diverse esigenze repressive e di tutela del diritto alla salute.

Nell’arco di pochi anni si passa, come visto, da una casistica numericamente contenuta all’ <<esplosione di un fenomeno di massa>>.53 Questo mutamento spinse il legislatore ad una strategia diversa, depenalizzando l’uso personale si privilegiò, infatti, il recupero attraverso il trattamento e il reinserimento sociale del tossicodipendente. Si intensificò, invece, la repressione della circolazione e traffico di stupefacenti, si aumentarono, dunque, le pene edittali previste e si crearono nuove fattispecie di reato.

52 C. Castellani, E. Fassone, Tossicodipendenza e processo penale, in Questione di

giustizia, 1985, pp. 360-361

53

44

Gli articoli 90 e seguenti affidarono poi alle Regioni il compito di istituire i Comitati regionali per la prevenzione delle tossicodipendenze ed una rete territoriale di Centri medici e di assistenza sociale (CMAS), gestiti dai Comuni e dalle amministrazioni provinciali.

Per le sostanze possedute, però, era comunque previsto il sequestro e la confisca e il loro detentore poteva anche essere ricoverato ex art. 10054 in una sezione non psichiatrica.55

Il legislatore scelse di affidare all’apparato sanitario, ovvero agli CMAS, il recupero socio-terapeutico del tossicodipendente; al sistema penale, tramite forze di polizia e sistema giudiziario, il compito di soddisfare richieste sociali di sicurezza. Alla parte del sistema penale incaricata dell’esecuzione, invece, venne assegnato un ruolo marginale. La legge del 1975 si limitava infatti a contemplare <<un trattamento terapeutico assistenziale esclusivamente intra-murario per il detenuto abitualmente dedito all’uso di sostanze stupefacenti e psicotrope>>.56 Si forniva un luogo dove usufruire di trattamento terapeutico ma non si prevedeva

54

Art. 100, in materia di interventi del Tribunale che recita <<La persona dedita all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, che necessita di cure mediche e di assistenza, ma che rifiuta di assoggettarsi al trattamento necessario, deve essere segnalata dall’autorità di polizia o dal centro medico e di assistenza sociale competente all’autorità giudiziaria..>>

55

La normativa che prima prevedeva tale intervento era composta dalla legge psichiatrica del 14 febbraio 1904 n. 36 e dalle successive leggi sanitarie (T.U. del 27 luglio 1934 n. 1265)

56

A. Beconi, L. Ferrannini, Problemi di applicazione delle misure alternative alla

45

alcuna misura alternativa per lo svolgimento della custodia cautelare o per l’espiazione della pena.57

Le poche discussioni sul trattamento carcerario dei tossicodipendenti erano dominate dalla preoccupazione di non creare un diritto speciale inammissibile sotto il profilo dell’uguaglianza del trattamento. Questa impostazione spinse la dottrina a sostenere che, anche nella fase iniziale della detenzione, le sezioni di disintossicazione dovevano essere utilizzate solo <<in quei casi in cui tra lo status del soggetto e l’azione illecita fosse esistito un nesso eziologico provato di tipo diretto>>.58

La successiva politica è stata orientata, al contrario, verso l’implementazione degli strumenti sanzionatori general-preventivi finalizzati al contrasto del fenomeno della tossicodipendenza. Al sistema penale è attualmente assegnato il compito di accertare la reità del soggetto e di assicurarlo alla giustizia. In questo contesto viene inserita

57

La dottrina infatti sosteneva che non fosse né imposto né necessario creare reparti carcerari in cui raggruppare solo tossicodipendenti; veniva preferita un’ottica in cui i detenuti tossicodipendenti avessero contatti con tutti gli altri dato che <<un’efficiente trattamento>> si deve basare su <<un'interazione fra soggetti aventi problemi, caratteristiche e personalità diverse>>. Creare sezioni di soli tossicodipendenti avrebbe causato loro una <<distorsione nella percezione di sé>> e una forte deresponsabilizzazione. I reparti che l’art. 84 imponeva di organizzare dovevano dunque essere <<...di primo intervento, in cui rimanere il minor tempo possibile>>. G. Ambrosini, P. Mileto, Le sostanze stupefacenti in Le misure di prevenzione, pp. 116-117

58 C. Castellani, E. Fassone, Tossicodipendenza e processo penale. Osservazioni sulle

prospettive di riforma della legge 685/1975, p. 366 e anche la circolare del Ministero di grazia e giustizia n. 2414/4868 del 29 aprile 1977 conferma questa posizione

affermando la necessità di detenzione ordinaria. Le proposte di riforma di questa legge, almeno fino al 1980, suggeriscono solo di ridurre il trauma della crisi di astinenza dimostrando la logica di rendere i tossicodipendenti “rapidamente” compatibili con gli altri detenuti. La proposta di legge n. 2030 del 26 settembre 1980 all'art. 20 prevedeva poi il divieto di costituire negli istituti carcerari sezioni speciali a tal fine. R. Ricciotti, M.M. Ricciotti, Gli stupefacenti. Commento al T. U. 9 ottobre 1990, Padova, 1993, p. 6

46

l’opzione terapeutica come delega al meccanismo socio-sanitario a co- gestire, con l’Amministrazione penitenziaria, la fase esecutiva. L’azione di quest’ultima, però, è circoscritta alla qualifica del fatto come “penalmente rilevante”, in una condizione dunque di subordinazione all’apparato repressivo-delegante.59

La nuova legislazione ha riportato un regime maggiormente restrittivo.60 Con questo provvedimento, Legge n. 162 del 26 giugno 1990, si delegava il Governo a redigere un Testo Unico comprensivo di tutte le leggi vigenti in materia di stupefacenti e con il decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990 n. 309 veniva emanato il Testo Unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti. Veniva espressamente sancito il divieto dell’uso personale – e di qualsiasi impiego non autorizzato – di sostanze grazie all’articolo 72. Si sostituisce poi il concetto di “modica quantità” con quello di “dose media giornaliera” determinato a norma dell’articolo 78. I parametri di riferimento erano – e sono – prestabiliti e si riduce al minimo il rischio di “discrezionalità giudiziaria” (problema del precedente sistema). Si rimette, infatti, al Ministero della sanità, previo parere dell’Istituto superiore della sanità, la determinazione delle procedure diagnostiche e medico-legali di accertamento e dei limiti quantitativi massimi di principio attivo.61 Ciò consente il distinguo tra

59

R. Tucci, L'esecuzione penale, cit. p. 42, disponibile al sito http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/law-ways/tucci/cap1.htm

60

R. Ricciotti, M.M. Ricciotti, Gli stupefacenti, cit. p. 9

61

47

illecito amministrativo (previsto dagli articoli 75 e 76 del D.P.R. in oggetto), ed illecito penale (articolo 73).62

Questa disciplina ha poi risentito della consultazione referendaria avvenuta tra il 18 e il 19 aprile del 1993, da cui è derivata l’abrogazione di vari articoli di Legge.63 Il cambiamento importa una logica meno repressiva ed impoverisce il sistema delle sanzioni amministrative.64 Secondo l’articolo 73 del D.P.R. veniva sanzionata penalmente qualsivoglia attività concernente gli stupefacen

ti volta a terzi; era invece prevista l’irrogazione, da parte del prefetto65, di una sanzione amministrativa per attività di importazione, detenzione ed acquisto – per uso personale – in base all’articolo 75.

Questo sistema presenta però evidenti insufficienze; l’eliminazione di un parametro di riferimento oggettivo quale la dose giornaliera ed il rischio che, in assenza di flagranza, le prove si debbano basare su elementi indiziari comporta un eccessivo margine di discrezionalità in capo prima alle forze dell’ordine e poi all’autorità giudiziaria. La scelta tra sanzione amministrativa o penale è infatti di non facile determinazione.

62

La rilevanza penale è infatti prevista in caso di assenza del requisito finalistico “uso personale” o quando il soggetto detenga più del quantitativo stabilito. Viene superata dunque la causa di non punibilità ed introdotto un criterio oggettivo idoneo a modulare la risposta sanzionatoria.

63 In particolare di parte del primo comma dell’articolo 75 , dell’articolo 76 , di parte

dell’articolo 73 comma 1 , dell’articolo 72 , nonché dell’articolo 78

64

Si elimina la competenza dell’autorità giudiziaria per punire il recidivo e chi avesse violato le sanzioni irrogate dal prefetto ex art. 75.

65

Viene modificata la competenza a comminare le suddette sanzioni, ora esclusiva del prefetto e prima in concomitanza con quella dell’autorità giudiziaria (solo per il caso del recidivo)

48

L’articolo 73 distingueva, inoltre, due reati autonomi nel suo primo e secondo comma, individuava dunque violazioni aventi ad oggetto droghe leggere ed altre aventi ad oggetto droghe pesanti.

Quando fossero mancati gli elementi per configurare il reato di cui all’articolo 73 del D.P.R. in esame la polizia avrebbe dovuto denunciare il trasgressore al prefetto, potendosi configurare l’illecito amministrativo previsto all’articolo 75 dello stesso testo. La disciplina, a riguardo, faceva riferimento alla prova dell’uso personale o all’assenza di prova della destinazione della sostanza a terzi. Tale situazione veniva dedotta sia in presenza di flagranza che di attualità del possesso in base a meri elementi indiziari, sarebbe stato onere degli organi di polizia far accertare da un sanitario le condizioni del soggetto potenziale trasgressore.66 Si procedeva poi con il colloquio atto ad accertare le ragioni della violazione e ad individuare accorgimenti utili ad impedirne la ripetizione.67

Il prefetto può decidere di definire il procedimento con formale invito a non far più uso di sostanze stupefacenti o psicotrope.68 In alternativa è

66

L’attualità del possesso è stata desunta anche nel caso di assunzione della sostanza. È stato necessario, dunque, un accertamento effettuato da un sanitario per dimostrarlo. In senso favorevole a questa ricostruzione si veda la Circolare del Min. Interno, Direz.

Amm. Gen. e Aff. Pers. Del 3 luglio 1995, con riferimento all’ipotesi in cui il

tossicodipendente sia colto in stato di overdose. La forma ancora attiva nell’organismo è, infatti, stata ricondotta all’ipotesi di detenzione, appurata con referto medico.

67 In tale sede è possibile sia l’assistenza di un legale che quella di una persona di fiducia,

ciò è supportato dalla Circ. Min. Interno, Direz. Amm. Gen. e Aff. Pers. Del 3 luglio 1995 dove viene precisato che l’assistenza del legale non deve tradursi in un’ intermediazione che finirebbe per pregiudicare le finalità e la natura del colloquio tra prefetto e

Documenti correlati