• Non ci sono risultati.

La necessità di un cambiamento

303 Antigone Onlus, Pre- rapporto 2016 sulle condizioni di detenzione, 2016, p. 2

disponibile su

http://www.associazioneantigone.it/upload2/uploads/docs/cartellastampaprerapporto 2016.pdf

304

La Toscana è la regione con il numero più alto di fenomeni di autolesionismo in carcere (1.047 episodi) e di tentati suicidi sventati dagli agenti (112).

305

Ordine degli Psicologi Toscana, Carceri, gli psicologi: i suicidi un’espressione di

182

Al 31 dicembre 2014 i detenuti tossicodipendenti presenti nelle carceri italiane si attestava sul 24,63% della popolazione detenuta. Si tratta dei detenuti con problemi droga-correlati, diversi dai detenuti con una diagnosi di dipendenza, il cui ammontare risulta inferiore. Come conferma il Sesto libro bianco sulla legge sulle droghe, la presenza di detenuti tossicodipendenti è tendenzialmente stabile da circa sei anni a questa parte, dal 2009 in poi. In termini assoluti, a fine 2014 i detenuti tossicodipendenti erano 13.205 su una popolazione detenuta di 53.623.306

Per poter fronteggiare i problemi legati alle tossicodipendenze negli istituti penitenziari è necessario il maggior coinvolgimento del personale carcerario; si dovrebbero bilanciare le istanze di controllo con i diversi obiettivi terapeutici, usufruendo anche dei servizi forniti dalle agenzie di assistenza sanitaria e sociale (grazie ed un’efficace coordinamento esterno). Nell’elaborare le relative politiche si dovrebbe porre l’attenzione al trattamento e riduzione del rischio del virus HIV ed altre malattie infettive collegate al consumo di droga per via parenterale. Sono dunque necessari interventi per proteggere la salute dei detenuti, del personale e della comunità. All’interno della struttura si dovrebbe fornire ai tossicodipendenti un’assistenza uguale a quella fornita all’esterno, cosa non possibile se non accompagnata da un significativo investimento di risorse disponibili. L’azione dei servizi di assistenza dovrebbe garantire la continuità delle cure fornite anche – e soprattutto – al momento della scarcerazione.

306

F. Corleone, S. Migliori, K. Poneti, L. Ruscitti, La , droga in carcere: fatti e misfatti., cit., pp. 48-49, disponibile sul sito https://www.consiglio.regione.toscana.it/upload/GARANTE-

183

Secondo quanto riportato dalla Relazione al Parlamento del 2015 sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, è necessario poter disporre di sistemi organizzativi locali, regionali e nazionali che prevedano l'individuazione e l'attuazione di alcuni strumenti operativi. Gli Enti istituzionali, in particolare, dovrebbero procedere all’immediato recepimento degli accordi sottoscritti in Conferenza Unificata e delle normative correlate307 ma anche alla definizione ed aggiornamento dei Livelli Assistenziali Essenziali (LEA) specifici per le persone detenute. I professionisti dovrebbero occuparsi della redazione immediata di un piano assistenziale personalizzato e di incrementare le interazioni tra i servizi sanitari, l’istituto penitenziario ed il Tribunale di Sorveglianza. Si potrebbero anche implementare le procedure standardizzate (specie per la raccolta dei dati clinici). Sarebbe auspicabile dunque la creazione di una cartella sanitaria unica ed informatizzata ed una scheda unica di terapia con la correlativa modulistica specifica. L’appropriata formazione del personale sanitario e di quello legato al sistema della giustizia potrebbe poi portare ad una migliore collaborazione informata e “bidirezionale” tra i settori della Sanità e della Giustizia. Sarebbe necessario anche l’utilizzo di metodologie diagnostiche ed organizzative univoche, ripetibili ed omogenee con programmi improntati alla riduzione del danno.308

307 Per un esempio si veda l’art. 7 del PDCM 01/04/2008 308

Governo Italiano, Dipartimento politiche antidroga, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Relazione annuale sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, cit., p. 94,

disponibile al sito

http://www.politicheantidroga.gov.it/media/752995/parte%20iii%20cap%202%20integ razioni.pdf

184

Secondo quanto riportato in base alle Consultazioni permanenti nella Conferenza nazionale sulle droghe del 2009, le soluzioni proposte vedrebbero la necessaria concentrazione da parte dell’Amministrazione Statale su vari temi quali una maggiore attivazione organizzativo - gestionale da parte delle Regioni e ASL; un’interazione interistituzionale ed una leale collaborazione; la piena applicazione dell’Accordo Stato/Regioni; tutte le Regioni, in fine, dovrebbero condividere i modelli operativi e terapeutici “virtuosi” dei Ser.T. 309

Lo stato generale delle carceri italiane, unito al sovraffollamento, sembra essere una delle primarie cause dei cosiddetti “eventi critici” quali atti di autolesionismo, tentati suicidi e suicidi dei detenuti. Sono da considerare, però, anche altri fattori correlati, come lo stile di vita, i pregressi problemi psicologici, lo stato di dipendenza da sostanze e, più in generale, la scarsa scolarizzazione, le limitate capacità individuali di fronteggiamento, le ridotte risorse relazionali, familiari, economiche e sociali, la provenienza nazionale, la posizione giuridica e l’entità della pena.310

L’attività di prevenzione, attivata tramite l’ausilio dei presidi sanitari non risulta essere sufficiente. È necessario infatti supportarla con un concreto

309 I dati relativi alla conferenza sono disponibili sul sito

http://www.cesdop.it/public/Download/Carcere_e_droga_aspetti_orgaizzativi%2002.p df e, per un esempio di collaborazione efficace ed integrata tra Ser.T. locale ed istituto si veda l’esempio della Casa circondariale di Ivrea. Secondo quanto riportato dal relatore dr. M. Ruschena, anche grazie al contributo della commissione comunale per l’attuazione del piano di intervento penitenziario, si è accresciuta la competenza dell’equipe integrata carcere-Ser.T.

310

Comitato Nazionale di Bioetica, La salute dentro le mura, 27 settembre 2013, pp. 15- 16 e Report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), Prison and Health, 2014, pp. 38-40

185

miglioramento delle condizioni detentive ed un’adeguata presa in carico del detenuto, soprattutto se alla prima carcerazione.

Emerge l’importanza di mettere in campo differenziati e molteplici strumenti operativi: colloqui quotidiani con lo staff, il Ser.T., i mediatori culturali per gli extracomunitari, gli infettivologi per i sieropositivi, il servizio psichiatrico, gli educatori, ma anche l’agente di polizia penitenziaria, l’infermiere, il medico del servizio e lo psicologo311 come figure che possono costituire sia la “presenza” di riferimento per il detenuto che l’elemento di raccordo tra tutti gli operatori. Secondo la “Circolare 6 giugno 2007 - Detenuti provenienti dalla libertà: regole di accoglienza - Linee di indirizzo” sarebbero quindi necessari sia momenti di incontro (riunioni di équipe) ma anche momenti guidati di gruppo con i detenuti per rendere effettivi gli obiettivi connessi alla restrizione.

L’ideale riabilitativo, però, non sembrerebbe essere stato considerato nelle passate scelte governative, alcuni esempi possono essere la riduzione della spesa media annua per ogni detenuto, passata dai 13.170 euro del 2007 ai 6.257 del 2010;312 la riduzione delle risorse per retribuire le attività di lavoro all’interno degli istituti penitenziari; la riduzione della spesa dei farmaci; la diminuzione degli operatori (sino a raggiungere la cifra di un educatore per 250 detenuti).313

311 In base a quanto riportato dalla Circolare 6 giugno 2007 - Detenuti provenienti dalla

libertà: regole di accoglienza - Linee di indirizzo, si deve sottolineare come manchi la

disponibilità di psicologi di ruolo.

312

Le risorse su cui incide questa riduzione sono quelle messe a disposizione dal sistema carcerario e dunque per il cibo, l’igiene, l’assistenza e l’istruzione dei detenuti, oltre alla manutenzione delle carceri e al loro funzionamento (acqua, gas, luce, riscaldamento, pulizie).

313

186

Come riportato da A. Margara <<La soluzione carceraria per i tossicodipendenti è rimasta ampiamente maggioritaria. Perchè? La scarsa efficacia del sistema penitenziario di preparazione di misure alternative, ampiamente sottoorganizzato è, talvolta, in tali condizioni da non potersi dire operativo>>.314 La legge 49/2006 impronta criteri per determinare la diagnosi di tossicodipendenza (presupposto per la scelta di un’alternativa al carcere) basati sulla positività del test delle urine o del capello; il magistrato di sorveglianza può quindi decidere di non concedere la diversa misura e non guardare alle diverse esigenze – anche solo psicosociali – di tutta quella platea di detenuti non ritenuti rispondenti a questo criterio. Così facendo si accantona dunque la salvaguardia del diritto alla tutela della salute che richiederebbe, invece, di evitare un luogo sovraffollato e – per definizione – inadatto allo scopo che si propone. Questo vincolo non tiene conto né della cronicità della tossicodipendenza né della forte componente recidivante legata a questo “status”. La necessità di evitare l’ingresso in carcere per persone con problematiche droga-correlate è fondamentale, soprattutto se si considera che il numero di soggetti tossicodipendenti ristretti è di gran lunga superiore rispetto a quello segnalato per le presenze nelle comunità terapeutiche; è da sottolineare anche come il carcere incrementi comunque la problematiche dei detenuti315 e che i tassi di recidiva per chi ivi sconti la pena siano estremamente elevati – al contrario, invece, del dato registrato per chi usufruisca delle misure alternative. Evitare l’impatto con questa realtà può trasformare un

314 A. Margara, La giustizia e il senso di umanità, cit. p. 337 315

187

evento negativo (la commissione del reato) in un’opportunità di cura (molti soggetti sono messi a contatto, infatti, per la prima volta, con le strutture di recupero).

Il tempo trascorso in carcere dovrebbe comunque essere legato all’idea di “trattare la patologia in un luogo di cura”. Assicurare la continuità assistenziale risulta dunque essere necessario al buon esito del programma stesso; se per ipotesi, infatti, si tratti di un soggetto che abbia già incontrato il servizio sanitario, questo contatto “prolungato” porterà ad un’efficace ridefinizione della terapia. All’interno dell’istituto è poi possibile – ed essenziale – effettuare test di screening per verificare l’assenza di patologie droga-correlate (od eventualmente procedere alla correlativa terapia). Molte volte, però, non viene sufficientemente considerato l’aspetto prettamente psicologico: un riavvicinamento alla vita comunitaria e delle prospettive di progetto per il periodo successivo alla carcerazione potrebbero portare il detenuto ad una decisione – reale – di modifica dei suoi atteggiamenti. È necessario stabilire dunque delle prospettive realistiche in grado di delineare un diverso stile di vita utile anche a prevenire i rischi relativi alla ricaduta.

La disomogeneità tra territori e Regioni, infine, (sia per quanto concerne lo stanziamento di fondi che in materia di scelte politiche) crea una diseguaglianza di diritti. In alcuni istituti infatti è prevista la somministrazione del metadone a mantenimento, in altri solo quella a scalare, qualcuno non ammette le terapie a base di psicofarmaci ed altri invece si. Una legislazione che prevedesse livelli omogenei e parametri di

188

riferimento più puntali, forse, potrebbe aiutare a rendere il servizio assistenziale uguale per tutti.316

Sono stati avviati dei tavoli di lavoro tematici durante gli Stati Generali del 21 Novembre 2016, il quarto, in particolare, ha visto un gruppo di esperti interessarsi dell’area della vulnerabilità e delle dipendenze. L’importanza dell’argomento trattato è di rilevanza generale e non solo tecnico-specifica in quanto ritenuta specchio delle problematiche afflittive della società esterna al carcere. È ivi stata sottolineata la necessità di collegamenti per l’elaborazione ed il coordinamento interdisciplinare e interistituzionale, finalizzati dunque alla presentazione ed integrazione delle diverse prospettive di intervento. È necessario operare un processo di condivisione tra Giustizia, Sanità, Servizi Sociali, Volontariato e Terzo Settore ma anche stanziare risorse comuni; un approccio solo interdisciplinare e non integrato porterebbe, infatti, sia alla paralisi operativa degli interventi che a conseguenze negative per la salute quali un aumento delle recidive317 ed incremento dei rispettivi costi sociali. Nell’allegato ala Relazione finale vengono proposte misure per la riduzione dei rischi di overdose e di contagio per le patologie infettive ed a trasmissione sessuale, (recependo le indicazioni internazionali e riconoscendo la realtà delle carceri italiani); azioni per la prevenzione del suicidio in carcere, per l’accompagnamento in fase di dimissione dei soggetti vulnerabili e per il reinserimento sociale degli

316

Governo Italiano, Dipartimento Politiche Antidroga, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Relazione Annuale al Parlamento 2016 sullo stato delle tossicodipendenze in

Italia, p. 238

317

Si fa riferimento a recidive patologiche ed anche a recidive considerate come atti criminali

189

internati; modifiche della normativa, considerando il comportamento penalmente rilevante in sé ed anche il tema delle misure alternative “automatiche” (e non a richiesta del soggetto), in quanto tutelanti un diritto alla salute ed un interesse della collettività. Lo stato di vulnerabilità è foriero di una condizione soggettiva che è possibile definire in termini di “deficit” (o deprivazione) dal punto socio-personale, causa – in molti casi – del comportamento che conduce nell’istituto penitenziario – che potrebbe anche aggravarla. Il carcere, infatti, <<rompe o comunque allenta legami sociali e familiari, produce spesso la perdita del lavoro, marchia le persone con stigmi difficilmente cancellabili, modifica la percezione della propria identità [...] è, a volte, “causa” di vere e proprie patologie...>>318 Si considera dunque di ridimensionare l’estensione del sistema attraverso l’eliminazione di una serie di condotte non meritevoli del ricorso alla sanzione penale. La legislazione in materia di stupefacenti sembra essere sia sproporzionata che indifferente rispetto alla considerazione del carcere come extrema

ratio.319 Secondo quanto emerso dalla Relazione finale, tossicodipendenza e carcere non si coniugherebbero. Studi neurobiologici dimostrerebbero, infatti, che la logica premiale avrebbe un potere motivante superiore a quella punitiva. Sarebbe fondamentale, per il tossicodipendente, non entrare nel circuito penitenziario ed accedere immediatamente a percorsi di cura ovvero misure alternative

318 Ministero della Giustizia, Tavolo 4- Minorità sociale, vulnerabilità e dipendenze, cit.,

p. 10 disponibile su

https://www.giustizia.it/resources/cms/documents/sgep_tavolo4_relazione.pdf

319

Secondo l’Allegato alla Relazione finale degli Stati Generali il sistema penale sarebbe ancora ancorato ad una visione carcerocentrica, la necessità sarebbe dunque quella di rendere maggiormente accessibili sanzioni alternative

190

alla detenzione – che dovrebbero essere ridenominate “misure di tutela della salute”. Le proposte, in quest’ambito, sarebbero dunque incentrate sulla destinazione, da parte dello Stato, di un finanziamento vincolato alle Regioni; la modifica dei presupposti oggettivi e soggettive per l’accesso alle misure alternative (ivi compresi i reati di cui all’art. 4-bis);320 l’individuazione di criteri di certificazione diagnostica uniformi (attualmente sviluppati localmente in mancanza di convincenti linee guida ed accordi nazionali); la necessità di cooperazione multidisciplinare ai fini della miglior comprensione (da parte di tutti i soggetti comunque a contatto con il tossicodipendente) del “fenomeno complesso” sottostante; l’adozione di misure preventive all’interno delle carceri quali

 informazione e educazione su HIV, epatite e malattie sessualmente trasmissibili

 incremento del trattamento della dipendenza da droghe (compresa la terapia con oppiacei sostitutivi)

 disponibilità – in forma confidenziale – di materiale sterile per iniezione

 prevenzione della trasmissione (che può avvenire attraverso forniture mediche e dentali infette)

facile accesso al test HIV volontario e al counselling321

320

In alternativa si è proposta l’introduzione del “Programma di reintegrazione sociale

nell'ambito del programma terapeutico e riabilitativo”, da affiancare al vigente

affidamento terapeutico, secondo un rapporto di complementarietà. Dovrebbe essere previsto un limite di pena detentiva, fino a otto anni, destinato a consentirne l’applicazione fuori dai casi di operatività dell’affidamento terapeutico. La nuova misura avrebbe una particolare ampiezza in quanto sarebbe previsto, in prima battuta, un programma terapeutico-riabilitativo, al quale si affiancherebbe un <<programma di reintegrazione sociale per lo svolgimento di attività socialmente utili>>.

321

191

 trattamento per HIV (compresa la terapia antiretrovirale)322

 vaccinazione, diagnosi e trattamento dell’epatite

 protezione del personale (che dovrebbe ricevere informazione, educazione e training da parte di sanitari, per svolgere i propri compiti di lavoro in sicurezza).

322

192

CONCLUSIONI

Già nel 2007 Dario Foà, medico dirigente della “U.O. Area Penale delle Tossicodipendenze” dell’Azienda Sanitaria Città di Milano, si interroga sul gran numero di presenze di detenuti tossicodipendenti nell’istituto penitenziario; <<Che ci faccio io qui? Se lo chiede il Direttore della Casa Circondariale quando vede che tra i nuovi giunti c’è un elemento in più, preso ancora dalla strada, che aumenterà e allo stesso tempo subirà il superaffollamento dell’istituto, impossibilitato ad ospitare anche solo un altro corpo e, suo malgrado, paralizzato da tempo nelle offerte trattamentali. Se lo chiede l’operatore del Servizio Pubblico per le tossicodipendenze, il Ser.T. quando proprio quel determinato paziente, che pure sembrava sulla via del miglioramento, si palesa ad un tratto così fragile, esposto alle ricadute ed ad un più alto tasso di rischio sociale, del tutto incontrollabile. L’intreccio tra la dipendenza, nota, e il circuito delinquenziale, finora tenuto a bada nella realtà o semplicemente tenuto in una zona d’ombra che la relazione terapeutica riserva a prendere in carico, riflette altri penosi frammenti di identità negativa finora lasciati a se stessi. Se lo chiede l’Educatore della Comunità d’accoglienza che, nell’arresto di un ospite repentinamente allontanatosi, vede rispecchiata la propria delusione personale per non essere riuscito a seguirlo meglio, forse più, forse meno, nel suo orizzonte di aspettative e di tendenze, e non solo sul piano delle attività quotidiane.>>323

323

D. Foà, Che ci faccio io qui, quando giudicato è un cittadino tossicodipendente in Una

193

Le scelte di politica criminale appaiono modellate sul paradigma di un circuito penitenziario differenziato e multidisciplinare che dovrebbe, però, considerare ed attuare maggiormente le istanze terapeutiche e socio-riabilitative imposte. La proiezione finalistica della riabilitazione del tossicodipendente rende centrale, infatti, il ruolo di un’alternativa al carcere maggiormente accessibile. Il dato ulteriore dimostra poi come – anche a livello statistico – il carcere risulti essere un inefficace deterrente ai fini della riduzione della commissione di reati legati al mondo degli stupefacenti. Sebbene la tutela della collettività risulti centrale nel programma politico attuale, la concentrazione dovrebbe vertere verso un diverso obiettivo quale il recupero effettivo del “reo” per ottenere un risultato concreto. In questa direzione si spiega la previsione di criteri di valutazione soggettivi attinenti anche al grado di riabilitazione del detenuto, più si ridurrà il grado di consumo della sostanza stupefacente più ne diminuirà la pericolosità sociale. Vero è che, per lo Stato, il “compromesso” tra repressione ed integrazione non è di facile attuazione.324

È anche da sottolineare come la situazione di sovraffollamento nelle carceri neghi a priori la funzione di recupero che l’istituto penitenziario dovrebbe avere; questo sembra essere diventato, al contrario, quasi un luogo di propagazione degli effetti “diseducanti” dove i detenuti sono esposti all’influenza della – deteriore – “subcultura carceraria”.325 Studi

324

F. Licata, S. Recchione, N. Russo, Il diritto al trattamento rieducativo e i profili

processuali dell’affidamento in prova in Gli stupefacenti: disciplina ed interpretazione,

Torino, 2015, p. 542

325

F. Della Casa, Approvata la legge c.d. svuota carceri: un altro pannicello caldo per

l’ingravescente piaga del sovraffollamento carcerario? In Diritto penale e processuale, n.

194

criminologici hanno infatti documentato gli effetti negativi dell’incarcerazione dovuta alla crescente area della “detenzione sociale” che non permette il corretto funzionamento del sistema. Anche gli interventi di politica criminale atti alla riduzione della popolazione detenuta non hanno ottenuto il successo sperato ed è incontestabile che non si possa realizzare un recupero sociale senza il rispetto della persona ristretta ovvero senza la possibilità, per il tossicodipendente, di mostrare la sua effettiva volontà. Il luogo carcerario dovrebbe porre delle premesse che non è in grado di predisporre; la combinazione fallimentare del fattore spazio/struttura nega, infatti, sia le istanze rieducative che il principio secondo cui le pene non possano essere contrarie al senso dell’umanità.326 In aderenza a questa situazione il Consiglio europeo ha adottato il Programma di Stoccolma per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia per il periodo 2010-2014 che ha prodotto il Libro verde sull’applicazione della normativa UE sulla giustizia penale nel settore della detenzione. Viene ivi approfondita l’interazione tra le condizioni di detenzione e la necessità di porre maggiormente l’attenzione sulle misure alternative previste dagli ordinamenti nazionali. L’orientamento della Corte europea dei diritti dell’uomo ritiene che la mancanza di spazio potrebbe essere compensata dalla possibilità di soggiornare in aree comuni e di fruire di adeguati servizi;327 spetterebbe, però, al giudice interno colmare il deficit strutturale per assicurare standard e tutele

326

Costituzione, art. 27, comma 2 che si rinviene anche nell’art. 3 CEDU secondo cui <<nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti>>

195

adeguate al detenuto.328 La costruzione di un programma rieducativo, infatti, non può prescindere dai presupposti e dalle finalità della pena329 anche se è difficile individuare degli strumenti normativi efficaci nella doppia ottica della “desocializzazione” e della “socializzazione

Documenti correlati