Capitolo 2 – La regolamentazione della disclosure sui rischi bancari: il
2.2 L’evoluzione del Terzo Pilastro di Basilea: da Basilea 2 a Basilea 3
Il Terzo Pilastro di Basilea è stato introdotto nell’ambito di Basilea 2 dalle autorità di vigilanza con lo scopo di semplificare la valutazione dell’adeguatezza patrimoniale delle istituzioni bancarie da
parte degli operatori di mercato. La previsione di alcune regole disciplinanti l’informativa che le
banche devono obbligatoriamente rendere al pubblico è stata principalmente giustificata dall’introduzione – prevista per la prima volta dallo stesso framework – della possibilità per gli
intermediari di utilizzare delle metodologie interne ed evolute per la quantificazione della loro esposizione rischiosa. L’introduzione di questa possibilità ha sicuramente reso gli intermediari più
vulnerabili, perché l’utilizzo di tali metodi era e tutt’ora è – seppur in modo differente – finalizzato
all’abbattimento del capitale regolamentare da dover detenere per fronteggiare l’esposizione
rischiosa. In effetti, la possibilità per le banche di quantificare più precisamente il rischio ha
introdotto un livello di discrezionalità nella valutazione dei propri requisiti patrimoniali elevato. Quest’ultimo, unito all’elevato grado di discrezionalità previsto dallo schema di disclosure del
Terzo Pilastro, ha fatto sì che le banche fossero libere di diffondere le informazioni come ritenevano
più adeguato e ciò ha, in primo luogo, reso difficile il confronto tra le varie istituzioni ed, in
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FBS, “Informativa al pubblico – Ai sensi del Capitolo V, Sezione XII, della Circolare della Banca d’Italia
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secondo luogo, ha permesso alle stesse di essere poco trasparenti riguardo le attività rischiose
detenute. In aggiunta Basilea 2 prevedeva una composizione del capitale regolamentare inadeguata
e debole rispetto al grado di rischio assunto. Il patrimonio di vigilanza era in effetti dato dalla
sommatoria tra il patrimonio di base (Tier 1), il patrimonio supplementare (Tier 2), il patrimonio
utilizzato per la copertura dei soli rischi di mercato (Tier 3) ed una serie di aggiustamenti
regolamentari effettuati a valere sul Tier1 e sul Tier 2. Una composizione del patrimonio così
strutturata includeva la presenza in tale aggregato sia di elementi equity – capitale sociale e riserve
da utile – sia di strumenti non equity – prestiti obbligazionari sottoscritti da altri intermediari o da
investitori istituzionali. La possibilità di introdurre strumenti caratterizzati da una connotazione di debito, ibridi, all’interno della composizione del patrimonio di vigilanza era prevista, secondo
Basilea 2, solo in presenza di clausole contrattuali; ciò significava che gli elementi non equity
potevano essere introdotti nel calcolo del patrimonio di vigilanza solo se compliant alle disposizioni di Banca d’Italia, pertanto solo se presentavano determinate clausole finalizzate a dare stabilità
all’intermediario bancario, perché le banche, in caso di default, avrebbero dovuto richiamare i
creditori alle loro responsabilità. In realtà, l’obbligo formale che le banche dovevano esercitare nei
confronti degli investitori istituzionali non veniva mai espletato e ciò conferiva al patrimonio di
vigilanza una connotazione di debito, in quanto non aveva la capacità di rimanere in azienda e di
conferire stabilità alle banche, come invece era stato pensato dai regulators. La crisi finanziaria ha messo in luce le carenze dell’intero framework Basilea 2 e per questo motivo, già a partire dal 2009
– momento di transizione tra Basilea 2 e Basilea 3 – il Comitato di Basilea ha cominciato ad
apportare miglioramenti nell’ambito della regolamentazione bancaria concentrandosi anche su norme più stringenti nell’ambito della disciplina di mercato inerenti principalmente le esposizioni di
cartolarizzazioni e ri-cartolarizzazioni, perché queste ultime erano state tra le principali cause di
sviluppo ed evoluzione della crisi finanziaria del 2008. In effetti nel documento – “La risposta del
Comitato di Basilea alla crisi finanziaria: rapporto al G20” – risalente all’ottobre del 2010 – uno dei primi documenti pubblicati dal Comitato di Basilea, in risposta alla manifestazione della crisi –
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si evince che, in seguito alle carenze nelle informazioni divulgate al pubblico, e dopo un attento
esame delle principali procedure informative, il Comitato ha deciso di rivedere i criteri previsti dal
Terzo Pilastro riguardanti le esposizioni a cartolarizzazioni e la sponsorizzazione di veicoli fuori bilancio. Inoltre, dall’analisi compiuta, sono risultate insufficienti le informazioni sulle componenti
del patrimonio, in quanto hanno reso complessa la valutazione accurata della sua qualità ed anche
un raffronto significativo con altre banche. Per di più, spesso è mancato un raccordo con il bilancio
pubblicato. Per migliorare la trasparenza e la disciplina di mercato il Comitato ha richiesto che le
banche rendano pubbliche tutte le componenti della base patrimoniale, le deduzioni applicate e un
riscontro completo di conformità con i conti finanziari. Tuttavia, nonostante le modifiche apportate
al quadro del Terzo Pilastro nel 2009 da parte del Comitato di Basilea non sono risultate sufficienti
a rendere gli intermediari bancari più trasparenti ai fini della disciplina di mercato. In effetti, gli
ulteriori obblighi di disclosure non hanno consentito l’identificazione dei rischi materiali di una
banca e non sono riusciti a fornire informazioni sufficienti e sufficientemente comparabili per
consentire agli operatori di mercato di valutare l'adeguatezza patrimoniale complessiva di una banca
e di confrontarla con gli intermediari simili. A tal proposito il Comitato di Basilea ha rivisto
nuovamente i requisiti di disclosure del Pillar 3 nel documento risalente al 2015 intitolato “Revised
Pillar 3 disclosure requirements”. Nell’ambito di questo documento il Comitato ha concordato
cinque principi guida finalizzati ad indirizzare le banche nella stesura delle comunicazioni del Terzo
Pilastro; questi orientamenti sono finalizzati a fornire agli intermediari bancari una solida base per
rappresentare con trasparenza la loro situazione economico-patrimoniale e la loro esposizione
rischiosa che consentirà agli utenti di comprendere e confrontare in modo più efficace le singole
unità aziendali.
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Principio 1 – le informazioni devono essere chiare: ciò significa che le informazioni che le
banche diffondono devono essere presentate in forma comprensibile per i fruitori delle stesse –
quali gli investitori, gli analisti ed i clienti finanziari – e devono essere rese disponibili su un
supporto facilmente accessibile. Inoltre, gli argomenti maggiormente complessi devono essere
opportunamente delucidati tramite un linguaggio semplice e attraverso le definizioni dei termini
fondamentali.
Principio 2 – le informazioni devono essere complete: le informazioni rese note devono
descrivere le attività principali della banca, i rischi significativi a cui essa è esposta, i processi e le
procedure attuate dalla banca per l'identificazione, la misurazione e la gestione di tali rischi. Inoltre,
le variazioni significative inerenti le esposizioni al rischio avvenute tra i diversi periodi di
segnalazione devono essere descritte da parte del management. Il regulator specifica inoltre che il
livello di dettaglio della disclosure deve essere proporzionata alla complessità di una banca.
Principio 3 – le informazioni devono essere significative per gli utenti: le informazioni devono
evidenziare i rischi attuali e potenziali più significativi cui una banca si espone ed il modo in cui i
citati rischi vengono gestiti. Al contrario, il Comitato di Basilea raccomanda che le informazioni che non risultano significative per l’interesse degli operatori di mercato non devono essere rese note
perché non risultano necessarie e confonderebbero solamente gli utilizzatori, rischiando di creare
effetti indesiderati sul mercato.
Principio 4 – le informazioni devono essere coerenti nel tempo per consentire ai principali
stakeholders di identificare le tendenze del profilo di rischio di una banca in tutti gli aspetti
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Principio 5 – le informazioni devono essere comparabili tra le banche: il livello di dettaglio e lo
schema di presentazione delle informazioni devono consentire alle principali parti interessate di
effettuare confronti significativi tra le attività, le metriche prudenziali, i rischi e la loro gestione tra
differenti intermediari bancari di giurisdizioni diverse.
Una volta delineati i principi guida ai quali le banche devono ispirarsi per poter essere in grado di
formulare una corretta e comprensibile relazione Pillar 3, il Comitato di Basilea ha introdotto dei
modelli armonizzati finalizzati alla stesura della relazione del Terzo Pilastro. Tuttavia, l’autorità di
vigilanza ha cercato di trovare un equilibrio tra l'uso di modelli obbligatori, che promuovono la
coerenza delle relazioni e la comparabilità tra le banche, e la necessità di consentire al management
una flessibilità sufficiente – una discrezionalità – finalizzata a fornire commenti sul profilo di
rischio specifico di una banca. Per questo motivo, il regime di disclosure rivisto ha introdotto
modelli di formulari fissi utilizzati per le informazioni quantitative – essenziali per l'analisi dei
requisiti patrimoniali di una banca – e modelli con un formato più flessibile proposti per
informazioni considerate significative per il mercato ma non fondamentali per l'analisi dell’adeguatezza patrimoniale di una banca. Inoltre, l'alta direzione può accompagnare i requisiti di
informativa in ciascun modello con un commento qualitativo che spiega le particolari circostanze e
il profilo di rischio di una banca (Basel Committee on Banking Supervision – Revised Pillar 3
disclosure requirements”, gennaio 2015).
In linea generale, gli obblighi di disclosure cui gli intermediari sono sottoposti sono stati
incrementati nel tempo da parte delle autorità di vigilanza, in effetti le concause che hanno contribuito al manifestarsi della crisi finanziaria non sono riconducibili solo e soltanto all’attività di
intermediazione finanziaria estrema legata alla diffusione di operazioni di cartolarizzazione, bensì, dall’analisi compiuta dal Comitato di Basilea nel dicembre del 2010 – “Basel III: A global
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profonde problematiche che durante il periodo economico negativo si sono combinate in modo
inedito tra loro, dando vita ad una fase di profonda recessione.
Pertanto, le autorità di vigilanza hanno proposto delle misure volte sia a risolvere la situazione di assoluta crisi in cui versava l’economia mondiale sia ad evitare che situazioni negative di calibro
simile non si potessero più presentare. In effetti, la maggior parte delle misure correttive introdotte a carico delle banche devono essere accompagnate ad un’opportuna diffusione delle informazioni
inerenti le misure stesse. A tal proposito oltre agli obblighi di disclosure già presenti è stata introdotta anche l’obbligatorietà di pubblicazione sia dell’indice di leva finanziaria – leverage ratio
– che degli indici di liquidità – quali il Liquidity Funding Ratio ed il Net Stable Funding Ratio.
Queste misure sono state introdotte dalle autorità di vigilanza al fine di risolvere due delle
problematiche evidenziatesi con la manifestazione della crisi ovvero rispettivamente: l’indebitamento eccessivo degli intermediari bancari e la carenza di liquidità dovuta ad una errata
gestione della stessa da parte delle banche. Nel corso del prossimo paragrafo analizzeremo nel
dettaglio gli obblighi attuali di disclosure che le banche devono obbligatoriamente rispettare sulla
base della regolamentazione vigente.