A latere della mandatory disclosure prodotta in ottemperanza degli obblighi imposti dalla legge,
tutte le società – quindi anche le banche – possono decidere di comunicare alcune informazioni
aggiuntive rispetto a quello obbligatorie. In questo caso, si fa riferimento alla voluntary disclosure che consiste nell’esposizione di una serie di informazioni volontariamente fornite dagli intermediari
bancari, i quali le producono scegliendo autonomamente i contenuti e la forma di presentazione
delle stesse. La motivazione principale che induce tutti gli intermediari a rendere pubbliche ulteriori
quantità e qualità di informazioni al loro mercato di riferimento è data dal notevole e crescente
impatto che il settore bancario svolge nel sistema economico e finanziario. La crisi ha sicuramente
minato la fiducia che gli operatori riponevano nei sistemi creditizi ed è per questo che si è sviluppata una maggiore diffusione delle informazioni inerenti alla responsabilità sociale d’impresa,
poiché queste hanno l’intento di far assumere nuovamente credibilità al sistema stesso. In effetti,
prima della manifestazione della crisi nel 2008, non era mai emerso il concetto di banca socialmente
responsabile ma, a partire da quel particolare momento economico, sono aumentati i reports diffusi
dagli intermediari aventi come contenuto informazioni relative a questo argomento. Pertanto, attraverso l’informazione volontaria, le banche cercano di ridurre ulteriormente le asimmetrie
informative che scaturiscono tra società ed investitori, al fine di riuscire a diminuire il costo dei
finanziamenti ottenuti. Esempi di reports volontari sono – a titolo esemplificativo – i bilanci sociali e l’integrated reporting. Per quanto concerne il Social Report, esso rappresenta il principale
strumento attraverso il quale le imprese comunicano il proprio impegno in tema di responsabilità
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FRANCESCO MASERA, GIANCARLO MAZZONI, “Basilea III. Il nuovo sistema di regole bancarie dopo la
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sociale17. In relazione alla redazione del bilancio sociale sono state emanate alcune linee guida, sia
da parte del Global Reporting Iniziative (GRI), che da parte di associazioni bancarie – tra cui l’Associazione Bancaria Italiana (ABI) – finalizzate al sostenimento della disclosure in materia di
responsabilità sociale d’impresa del settore bancario. In particolare, nel documento risalente al 2008
– “Sustainability Reporting Guidelines & Event Organizers Sector Supplement” – il Global
Reporting Iniziative ha stabilito che il Social Report dovrebbe essere in grado di fornire tre tipi di informazioni: Strategy and Profile; Management Approach e Performance Indicators.
Le principali differenze che si riscontrano tra la disclosure presentata attraverso il bilancio ordinario
di esercizio, sia attraverso il report di Pillar 3, rispetto alle informazioni che emergono dal Social
Report sono riscontrabili sia nei contenuti che nella forma. Il bilancio di esercizio fornisce informazioni sull’andamento economico-finanziario dell’azienda e l’informativa del Terzo Pilastro
si concentra sulla gestione dei rischi e sull’adeguatezza patrimoniale. Al contrario, il bilancio
sociale contiene informazioni sulle politiche di responsabilità sociale del management e sui livelli di
performance economica, sociale ed ambientale. Inoltre, ulteriore diversità tra i documenti citati è sicuramente riscontrabile nell’esposizione delle informazioni che, per il Social Report, risultano
essere esenti dal rispetto di vincoli, pertanto vengono illustrate informazioni – prettamente
qualitative – attraverso la forma che i singoli istituti prediligono. Tale possibilità concessa agli
intermediari bancari assume particolare rilevanza, in quanto troppo spesso la disclosure obbligatoria è caratterizzata dall’utilizzo di un linguaggio tecnico, che rende di ardua comprensione per
l’interlocutore il contenuto delle informazioni diffuse. Sono stati compiuti una serie di studi
finalizzati ad individuare gli effetti – positivi e/o negativi – di una maggiore pubblicazione di
informazioni di natura volontaria, dai quali è emerso che esistono ancora molte limitazioni in
termini di utilità della disclosure relativa al bilancio sociale per gli operatori del mercato18. In
17 CONCETTA CARNEVALE, MARIA MAZZUCA, “Disclosure volontaria e valore di mercato: un’analisi empirica
sull’impatto del bilancio sociale nel settore bancario europeo”, Società Editrice il Mulino, Bologna, aprile 2012.
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Tra questi studi ricordiamo quello effettuato da CONCETTA CARNEVALE e MARIA MAZZUCA – Società Editrice il Mulino, Bologna, aprile 2012 – su un campione di 131 banche europee quotate finalizzato ad individuare gli
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effetti, risultano essere carenti le indicazioni sulle modalità e pervasività che le informazioni
dovrebbero presentare perciò, le comunicazioni effettuate dai diversi intermediari bancari sono
difficilmente comparabili tra loro e perciò poco utili per gli investitori. Ulteriore criticità derivante
dalla predisposizione di tali reports è rappresentata dal fatto che spesso presentano duplicazioni,
lacune o contrasti con le informazioni presentate in altri documenti e questo potrebbe confondere gli
users.
Ad oggi sembra assumere sempre più importanza un’altra tipologia di report volontario, che le tutte
le aziende possono decidere di diffondere, rappresentato dall’integrated reporting. Quest’ultimo
oltre ad essere un documento periodico concernente la creazione del valore nel tempo è anche un vero e proprio processo finalizzato all’illustrazione globale dell’organizzazione aziendale. In effetti,
dalla definizione fornita dall’International Integrated Reporting Council (IIRC) emerge che: “è un
documento di comunicazione conciso sulle modalità tramite cui la strategia, la governance, la performance e le prospettive di un’organizzazione, contestualizzati nell’ambiente di riferimento,
portino alla creazione di valore nel breve, medio e lungo termine”19
. Pertanto, il documento
informativo è la risultante del processo attraverso il quale le risorse sono a vario titolo impiegate per
creare valore e risulta essere effettivamente efficace perché riesce a trasformare i dati finanziari
della gestione in un resoconto sulla generazione di valore dell’attività bancaria, in modo più immediato e comprensibile dai lettori. Gli obiettivi perseguiti dall’Integrated Reporting sono
elencati nel modo seguente dall’International Integrated Reporting Framework:
- migliorare la qualità delle informazioni trasmesse ai fornitori di capitale finanziario, al fine
di consentire un'allocazione di capitale più efficiente e produttiva;
- promuovere un approccio più coeso ed efficiente al reporting aziendale, facendo sì che
attinga a diversi elementi di reportistica e che trasmetta una vasta gamma di fattori che
effetti diretti, gli effetti indiretti e le differenze tra i vari paesi in termini di rilevanza della pubblicazione del bilancio sociale.
19
Il riferimento è al framework Integrated Reporting internazionale definito dal International Integrated Reporting
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influiscono significativamente sulla capacità di un'organizzazione di produrre valore nel
tempo;
- rafforzare l’accountability e la responsabilità di gestione delle diverse forme di capitale
(finanziario, produttivo, intellettuale, umano, sociale, relazionale e naturale) e indirizzare la comprensione dell’interdipendenza tra esse;
- sostenere il “integrated thinking”, il processo decisionale e le azioni mirate alla creazione di
valore nel breve, medio e lungo termine.
Al fine di perseguire questa serie di obiettivi, le linee guida in termini di contenuti stabilite dal dalla
Parte II al punto 4 – Elementi del contenuto – del framework sopra citato sono riassumibili nella
tabella seguente.
Tavola 3 – International Integrated Reporting Framework – Elementi del contenuto
A. Presentazione dell’organizzazione e dell’ambiente esterno B. Governance
C. Modello di business
D. Rischi e opportunità
E. Strategia e allocazione delle risorse F. Performance
G. Prospettive
H. Base di preparazione e presentazione I. Indicazioni generali sul reporting
Fonte: International Integrated Reporting Framework
Con particolare riferimento al settore bancario assume indubbia rilevanza il punto D – Rischi ed
opportunità – nel quale vengono sanciti i contenuti essenziali che tale report deve necessariamente
contenere. In particolare, tale sezione deve includere informazioni circa20:
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Elenco riassuntivo ripreso da MARCO MAFFEI, “La disclosure sui rischi con particolare riferimento alle banche”, G. Giampichelli Editore, Torino 2017.
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- rischi specifici e opportunità che influenzano la capacità dell’organizzazione di creare
valore;
- rischi specifici e opportunità che influenzano la disponibilità, la qualità e l’accessibilità dei
capitali rilevanti;
- specifiche fonti esterne di rischio;
- specifiche fonti interne di rischio;
- valutazione dell’organizzazione della probabilità che il rischio o le opportunità si
manifestino ed i relativi impatti;
- passi compiuti per mitigare o gestire i principali rischi;
- approccio dell’organizzazione alla gestione dei rischi reali che possono incidere sulla
creazione di valore avendo conseguenze anche estreme.
Notiamo come, ad oggi, la disclosure relativa alle informazioni non finanziarie assuma sempre
maggiore importanza, in effetti alla luce di quanto dichiarato inerentemente all’Integrated
Reporting risulta obbligatorio richiamare le recenti imposizioni, dal punto di vista della comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità nella
composizione degli organi di amministrazione, gestione e controllo di imprese e gruppi di grandi
dimensioni, prevista con il recepimento a livello italiano della Direttiva 2014/95/UE.