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LA FABBRICA E GLI IMPIEGHI: SFRUTTAMENTO E POCHE POSSIBILITA' DI CARRIERA.

Femminismo marxista e socialista: patriarcato, capitalismo e punto di vista femminile.

Prima di trattare dell’argomento centrale del capitolo, illustro brevemente le due teorie che, nate e sviluppatesi nella prima metà dell’ 800, contribuirono, in un certo senso, a fondare le basi del movimento femminista. In questo periodo, infatti, i modelli d’azione tradizionali furono superati e le vecchie idee lasciavano il posto a nuove teorie rivoluzionarie. Secondo Marx, la classe operaia era l’agente di liberazione per tutta l’umanità ed avrebbe portato tutte le classi oppresse verso l’emancipazione. Nonostante ciò, egli non studiò mai l’argomento specifico dell’oppressione della donna, ma si limitò solo ad esaminare la situazione della donna in generale, in quanto, secondo lui, spettava prendere parte alla rivoluzione più all’ operaio che alla donna. Tuttavia, sia Marx che Engels diedero, attraverso le loro opere, un contributo sufficiente allo studio specifico dell’oppressione femminile sia nella sfera privata che in quella pubblica, sostenendo che lo sfruttamento della donna sarebbe stato abolito solo nella società comunista.

Un altro fenomeno che s’interessò della “questione femminile” fu il movimento socialista europeo. In Germania Bebel aveva proposto, durante un Congresso socialista tenutosi nel 1875, di inserire nel loro programma la parità dei diritti per le donne, ma solo nel 1891, il partito tedesco accettò il principio dell’uguaglianza giuridica delle donne. Bebel sostenne nella sua opera “La donna ed il socialismo”, che la liberazione della donna era collegata a quella di tutti gli esseri umani oppressi e sfruttati. Bebel argomentava che spettava alle donne lottare per difendere i loro interessi in quanto l’uomo non aveva nessuna voglia di rinunciare a tenere nelle proprie mani il potere. Il femminismo marxista e quello socialista, fortemente

presenti nel nuovo movimento femminista degli anni ‘70, avevano in comune il fatto che entrambi analizzavano il rapporto tra il sesso e la struttura delle classi.

Le femministe marxiste degli anni '60 si erano occupate principalmente del lavoro della casalinga, del mercato del lavoro e della riproduzione; avevano analizzato lo sviluppo storico del patriarcato ed il suo rapporto complesso con l'economia capitalista. Queste donne sottolineavano in particolar modo il valore del lavoro femminile, dando a quello domestico un senso politico - economico.

La focalizzazione marxista sul lavoro comprendeva anche la sessualità, la procreazione e la famiglia perchè queste erano strettamente correlate alle condizioni materiali della produzione capitalista: i rapporti sessuali, il controllo delle nascite e la famiglia erano la base della società. La famiglia era fortemente criticata, in quanto al suo interno la donna era oppressa e sfruttata.

Nonostante ciò, il femminismo marxista affermava che gli obbiettivi delle donne non erano in contrasto con quelli degli uomini e riconosceva anche lo sfruttamento dell'uomo nella società capitalista.

I diritti individuali contavano poco rispetto ai molteplici interessi collettivi, quali l'attività lavorativa a tempo pieno per le donne e la cura e l'assistenza dei bambini offerte dallo stato.

Anche il femminismo socialista, che lottava principalmente per ottenere l’uguaglianza economica, si occupò dello sfruttamento delle donne all'interno del capitalismo patriarcale. Esso metteva sullo stesso livello il rapporto di oppressione patriarcale e quella economica : siccome gli uomini avevano un interesse materiale specifico a mantenere la subordinazione della donna in tutti i campi, l'analisi critica faceva riferimento allo sfruttamento sia nell'ambito lavorativo che in quello sessuale ed emozionale.

Il femminismo socialista esigeva gli stessi diritti ed opportunità per tutte le donne e gli uomini. Le femministe socialiste lottavano particolarmente contro la divisione del

lavoro sessista e discriminatoria, in quanto ogni persona aveva il diritto a vivere in modo soddisfacente.

Per analizzare il rapporto tra le strutture patriarcali e le istituzioni, come anche l'ideologia, Nancy Hartsock65 introdusse il punto di vista femminile come strumento teorico della conoscenza. Infatti solo una vera cultura femminista poteva realmente opporsi all'ideologia patriarcale. Il punto di vista femminista rappresentava le idee dei membri della società più oppressi o meno influenti rispetto ai gruppi dominanti. La prospettiva maschile, secondo il punto di vista femminile, proveniva da norme astratte che erano totalmente differenti e divergevano dal modo di vedere delle donne. La prospettiva d'analisi femminile era, di conseguenza, strutturata in maniera completamente differente rispetto a quella degli uomini: non prendeva in considerazione solo la legge maschile, ma anche il diverso stile di vita e le diverse esperienze fatte dalle donne.

La divisione del lavoro dei sessi faceva parte di una specifica esperienza femminile, in quanto le donne volevano avere un lavoro retribuito e continuavano a svolgere le faccende domestiche.

Il lavoro delle donne nell'industria

Negli anni '70 nella Repubblica Federale Tedesca c'erano 3, 4 milioni di lavoratrici; un terzo della forza lavoro era composto da donne. Ciò significava che, secondo l’analisi delle femministe, se, improvvisamente, il lavoro delle donne si fosse interrotto, l'economia avrebbe subito un crollo.

65 Nancy Hartsock(1943): filosofa americana femminista. E' conosciuta per il suo lavoro all'interno

dell'epistemologia femminista e nella teoria dello stand point. La sua teoria deriva da quella marxista, che si richiama al fatto che il proletariato ha una prospettiva d' istinto delle relazioni sociali e che solo questa prospettiva rivela la verità.

Le donne, sul posto di lavoro, erano quotidianamente più sfruttate rispetto agli uomini, costrette a fare continuamente dei compromessi e sentivano maggiormente l'alienazione del lavoro.

Il 70% di tutte le lavoratrici era privo di specializzazione e lavorava alla catena di montaggio e alle macchine.

Tra le operaie, a causa del lavoro massacrante, c'era un alto numero di aborti spontanei ed una precoce perdita della padronanza del proprio corpo.

Le donne lavoravano soprattutto nel settore industriale della produzione di beni di consumo (il 50% erano operaie), nell' industria di generi alimentari (36%) e nell'industria delle merci import-export (24%).

Particolarmente alta era la percentuale delle operaie nell' industria dell'abbigliamento ( 82%), nell' industria della manifattura del tabacco ( 68%) e nell'industria tessile (58%).

Le donne svolgevano il ruolo di montaggista, di perforatrice e di avvolgitrice nel settore metallurgico, di cucitrice nell'industria dell'abbigliamento e quello di imballatrice.

Tipici posti di lavoro femminili erano le attività manuali di montaggio, che risultavano estremamente scomposte e si basavano su una rigida divisione del lavoro. Cosi il 70% delle operaie di fabbrica, giorno per giorno, eseguiva sempre le stesse azioni con mani e braccia, avendo a disposizione brevi e fugaci intervalli di tempo. Spesso erano riconosciuti alle operaie spazi di produzione talmente piccoli che loro riuscivano a percepire appena il senso di ogni singolo movimento.

In uno studio del consiglio d'amministrazione di razionalizzazione delle associazioni dell'economia tedesca fu constatato al riguardo: “Lo smembramento delle attività globali di produzione sembra essere, per gli impieghi delle donne nell'industria, completamente concluso.66

66 Parte di uno studio condotto, nel 1972 a Bonn, dal Consiglio d’amministrazione delle

associazioni dell’economia tedesca e pubblicato anche su Frauenarbeit, Grazyna Buchheim, Amburgo 1976.

Il 90% di tutte le lavoratrici di molte industrie erano operaie non specializzate. Se la percentuale complessiva dei lavoratori industriali era inferiore al 56,2% della popolazione attiva , solo il 6,2% di tutte le operaie poteva dirsi forza lavoro specializzata. Proprio perchè le donne nell' industria svolgevano lavori “non qualificati”, risultavano più mobili rispetto ai loro colleghi maschi. All’ interno dell’ organizzazione del lavoro, erano continuamente spostate, nei periodi di crisi venivano licenziate per prime ed avevano meno pretese dei loro colleghi riguardo alla stabilità del posto di lavoro.

L'alta “flessibilità” all'interno della produzione garantiva ai capitalisti grandi profitti e permetteva la creazione di ulteriori posti di lavoro di precisione e ripetitivi per le donne.

L'unico motivo che spingeva le donne a lavorare duramente in fabbrica era il salario. Le operaie con un diploma avevano altri progetti da realizzare, ad esempio diventare parrucchiere, cucitrici o venditrici.

Fabbrica e salute

Per ottenere un salario migliore, le donne erano costrette a sopportare condizioni disumane sul posto di lavoro67. Le fatiche fisiche e la forte tensione nervosa a cui erano sottoposte erano molto pesanti.

Ad ogni operaia, sia che lavorasse a cottimo che alla catena di montaggio, era richiesto un alto grado di concentrazione, di velocità, di abilità manuale e perseveranza. Anche gli studiosi affermarono, al riguardo, che la capacità di rendimento umana giornaliera in fabbrica era estremamente variabile e dipendeva dalla legislazione. Nonostante ciò, la produzione industriale capitalista non concedeva alle lavoratrici alcun diritto: non era la catena di montaggio che si doveva adattare alle esigenze delle persone, ma l'operaia a doversi adeguare al ritmo “vitale”

della macchina (stanchezza, malessere e depressione, derivanti dal lavoro domestico non potevano essere manifestati sul posto di lavoro).

Non c'erano né regolamenti di tipo legale, né tariffe di validità generale.

Solamente nell'industria metallurgica, per la prima volta, le operaie avevano ottenuto, nel contratto collettivo di lavoro, otto minuti di pausa l'ora.

Accanto alla tensione nervosa, non era da sottovalutare nemmeno la lotta contro la fatica fisica. All'interno della fabbrica non c'era alcuna norma riguardo alla frequenza ed alla durata del carico da sopportare.

Cosi, dietro l'insegna dei “facili e puliti lavori d'imballaggio”, c'erano molte donne che, per otto ore al giorno, impacchettavano parecchie tonnellate di merce.

In un'inchiesta sulla situazione delle lavoratrici, venne accertato se ed in che modo le operaie , sul posto di lavoro, si sentivano sovraccaricate. I motivi principali erano: ritmo di lavoro troppo veloce, rumore, luce, sporcizia, doveri familiari, malessere fisico, lo stare continuamente in piedi e la monotonia del lavoro.

Uno studio, condotto dal sindacato e dagli studiosi riguardo alla relazione del lavoro in fabbrica68 e al peggioramento delle condizioni di salute delle donne, costatava che le operaie, rispetto ai loro colleghi maschi ed alle disoccupate, erano molto più cagionevoli e si ammalavano frequentemente.

Cosi, su un campione di 1000 persone con età compresa tra i 15 ed i 65 anni, “solo” il 2,6% dei lavoratori aveva problemi al metabolismo e malattie dovute all'alimentazione sbagliata, mentre la percentuale delle lavoratrici raggiungeva il 3% ; il 18% dei lavoratori soffriva di malattie all'apparato circolatorio, contro il 21, 5% delle operaie, infine, le malattie degli organi respiratori colpivano il 25,7% degli operai ed il 27,8% della forza lavoro femminile.

Le lavoratrici sposate avevano l'ulcera allo stomaco venti volte in più rispetto alle coniugate. Da un lato, la postura tenuta a causa del lavoro monotono danneggiava l'apparato locomotore, mentre, dall' altro, l' essere costrette a restare sedute per

diverse ore portava a frequenti mal di schiena, a disturbi digestivi ed a continui sfoghi di rabbia.

Nel 1969 furono concesse 156.390 pensioni a uomini incapaci di svolgere ulteriormente il loro lavoro, rispetto alle 153.390 pensioni ordinarie di vecchiaia; quelle per le donne raggiungevano il numero di 112.672, in confronto a quelle normali di 75.056. Infine, le lavoratrici morivano, in media all'età di 68, 5 anni; i loro colleghi arrivavano mediamente oltre i 75, 9 anni.

Per tener sotto controllo la forza lavoro femminile e nascondere il fatto che il lavoro delle donne nel capitalismo non era altro che un „ saccheggio“ senza pietà, gli ideologi borghesi ricorrevano a teorie ipocrite. Cosi, ad esempio, Helga Laege , esperta delle associazioni degli imprenditori, spiegava il perchè le donne erano addette alla catena di montaggio: “La donna, che possiede una cosciente gioia di vivere fisica, mostra, solitamente, una felicità particolare nei confronti dello svolgimento leggero delle sequenze di presa.

Il movimento fluido di una fase di un processo lavorativo le da di solito piacere estetico.”

I tentativi di giustificazione consistevano nel fatto che alla donna era attribuita una “innata deficienza mentale” e, dalla natura, aveva ricevuto sottili e tenere mani , cosi solo lei mostrava una certa dimestichezza nella lavorazione del materiale fine.

Nel “materiale di una conferenza delle informazioni basilari dell'istituto delle industrie” tedesche del febbraio del 1961 si leggeva: “Le donne hanno funzioni fisiologiche squilibrate, sono molto sentimentali ed indifferenti alla monotonia.” Inoltre, tutti gli ideologi capitalisti si rifacevano alla seguente teoria: “Le donne hanno una certa disposizione per la catena di montaggio, in quanto loro riescono a sentire meno la fatica rispetto ai loro colleghi maschi e ad alleggerire la monotonia del lavoro.”

Le donne devono imparare a tutelare i loro interessi da sole.

Le azioni e dimostrazioni fatte dalle donne contro il forte sfruttamento e l'oppressione nelle aziende erano ancora deboli e discontinue. Vigeva ancora il detto dei capitalisti per cui le donne erano dedite al sacrificio.

Il grado di organizzazione sindacale delle donne era ancora chiaramente inferiore rispetto a quello dei lavoratori maschi.

Nonostante ciò, sia il numero delle iscritte al sindacato, che quello delle donne che facevano parte di consigli di fabbrica per difendere i loro interessi e quelli delle loro colleghe, continuava a crescere notevolmente.

Nel consiglio di fabbrica della DGB (confederazione tedesca dei sindacati), il numero delle lavoratrici passò, dal 1959 al 1972, da 15.281 a il 23.409: in quell’anno le donne erano il 13,5% del consiglio.

Le lavoratrici nel sindacato si battevano per i diritti fondamentali delle donne sul lavoro, per ottenere posti di lavoro dignitosi, per avere maggior considerazione del carico di lavoro delle donne e contro la discriminazione nei confronti delle donne sul posto di lavoro.

Le donne nelle Poste

Un altro settore, dove gli imprenditori avevano il pacchetto azionario di maggioranza, era quello della Posta( pubblico e privati lavoravano insieme). All'interno della Posta c' erano reparti in cui lavoravano quasi esclusivamente donne: ufficio informazioni, centralino, ufficio cassa di risparmio ed emissione di assegni postali, pulizia.

Molti uomini rifiutavano di svolgere tali lavori perchè, oltre alla paga misera, erano molto pesanti e snervanti.

Presso la Posta venivano assunti anche gli aiutanti che, in un terzo dell'orario lavorativo, guadagnavano più della metà delle impiegate con posto fisso.

Il lavoro monotono e logorante in questi ambiti richiedeva un grosso impegno sia a livello mentale che fisico.

Presso l’ufficio informazioni al pubblico, ad esempio, le donne sedevano in fila dietro ad un lungo tavolo, in fondo al quale c'era una persona di sorveglianza che le ascoltava e controllava ogni loro singolo movimento.

Accanto alla luce di penombra e con il continuo borbottio delle vicine, le donne dovevano vedere nei proiettori illuminati. Il lavoro consisteva nel dare le informazioni desiderate alle persone attraverso locuzioni brevi e già stabilite.

Se una lavoratrice voleva lasciare il suo posto di lavoro, doveva chiedere il permesso prima alla sorvegliante.

Le altre erano, a causa dell'orario di lavoro che veniva continuamente cambiato, sottoposte ad uno stress maggiore.

Il piano di servizio era fatto, per ogni singola persona, dai superiori: le impiegate non avevano il permesso di scambiarsi i turni tra loro, la decisione doveva essere presa dal capoufficio69.

Molte donne avevano, tra l'altro, anche la famiglia a cui badare ed il continuo spostamento dell'orario lavorativo risultava ancora più pesante e stressante.

Le impiegate giovani che erano state assunte da poco avevano “scelto” di lavorare alla Posta, da un lato, perché affascinate dal fatto di avere la possibilità di poter far carriera nelle Poste federali e, dall'altro, perché, dopo la licenza di scuola superiore, venivano prese con facilità.

Molte di loro provenivano da villaggi e piccole città della bassa Sassonia e dello Schleswig-Holstein, dove erano offerte loro poche possibilità di lavorare in settori attinenti al loro diploma, così vedevano nella metropoli la possibilità di avere uno stipendio fisso e migliore.

Le assunte seguivano un corso di formazione della durata di tre mesi, che le vincolava o al lavoro nelle poste o presso in altre aziende con un contratto di formazione.

Le prospettive di lavoro di queste donne sembravano essere o svolgere questo lavoro per un lungo periodo di tempo indeterminato o diventare impiegate, che significava ricevere fino a 200 marchi in meno nella busta paga rispetto ad un comune impiegato. Siccome la maggior parte di queste giovani colleghe doveva dare l'indirizzo della propria residenza, queste donne erano costrette a trasferirsi in appartamenti per ragazze di proprietà delle poste. Qui dominavano ancora condizioni patriarcali, quali le regole esistenti nella casa dei genitori che limitavano la libertà di movimento (non era ammessa alcuna visita di uomini e rincasare ad un' ora stabilita).

Le condizioni contrattuali erano decise dalla Posta e dai genitori e accettate passivamente dalle giovani.

Le “gravi” trasgressioni dell'ordine imposto erano seguite da minacce, quali la disdetta del contratto e del posto di lavoro e spesso venivano anche messe in pratica.

Il lavoro delle donne nella Colgate70

Dal 1972, con l'abolizione delle categorie salariali nominate “leggere”, in quanto svolgevano mansioni più semplici e meno faticose e per questi motivi percepivano un salario inferiore, presso la Colgate, i dirigenti decisero che potevano inserire le donne in qualsiasi reparto, senza più alcuna restrizione.

Così, in poco tempo, molte operaie furono mandate nei reparti di impacchettamento, dove la forza lavoro maschile scarseggiava, per impacchettare le casse con bottiglie. Su questi posti di lavoro le donne erano costrette a sopportare condizioni per loro insostenibili: a causa del continuo sollevamento, il chinarsi per creare grandi cataste, la schiena e la muscolatura addominale erano particolarmente sottoposte ad un duro sforzo e sovraccaricate. Oltre a ciò, l'ambiente in cui dovevano lavorare era malsano, in quanto erano presenti correnti d'aria, forti rumori e cattivi odori.

Il consiglio di fabbrica in carica, nel 1974, propose, come possibilità legali, un intervento per esaminare le condizioni sul lavoro ed appurare se le norme legali erano violate. Infatti, un limite massimo di quanto una donna poteva sollevare e quanto poteva portare, era fissato per contratto, ma si sospettava che questo limite in azienda fosse enormemente superato.

Il consiglio di fabbrica interpellò il medico dell'azienda e l'ispettorato del lavoro, ma entrambi, dopo la loro ispezione sul posto di lavoro, non trovarono nulla di irregolare Solo il consiglio di fabbrica aveva il dovere, tramite le trattative con l'azienda, di esigere che il peso di ogni singola scatola o bottiglia non potesse essere in nessun caso determinato in base al giudizio dell'azienda. Decisive erano invece la massa che la donna, in piedi, durante l'orario di lavoro doveva sollevare ed ordinare e la velocità con la quale svolgeva il suo lavoro.

Si chiedeva, anche, che le donne che si offrivano a compiere questo tipo di lavoro, non dovessero essere ostacolate, ma in nessun caso poteva essere chiesto loro di svolgere le mansioni allo stesso modo delle altre donne.

I tipi di lavoro assegnati alle donne non dovevano, per motivi di salute, essere eccessivamente pesanti (tra le richieste c'erano una pausa lavoro superiore per le donne che soffrivano di disturbi cronici o che avessero subito da poco un' operazione o che avessero partorito da poco).

Infine le operaie chiedevano di non lavorare più nel reparto imballaggi.

Diritto all'eguaglianza salariale per lo stesso lavoro

Di fatto, il sotto-salario versato alle lavoratrici era incostituzionale, in quanto nella Costituzione del 1949 era stato scritto che nessun cittadino poteva essere discriminato in base al sesso.

Molteplici studi furono fatti al riguardo dai partiti, ma le informazioni che venivano raccolte, alla fine, non servivano mai a compiere dei seri passi per cambiare la situazione; erano utilizzate solo per le rilevazioni statistiche.

Numerosi esempi tratti da diverse fonti dichiaravano che:

Un' operaia guadagnava, nel 1974, in media 6,80 marchi l'ora, mentre il suo collega 9,55 marchi (dal giornale “Hamburger Morgenpost”del 20 marzo '75).

Le lavoratrici delle industrie della Renania settentrionale e Vestfalia ricevevano circa il 64% del salario dei loro colleghi (dall'ufficio nazionale delle statistiche).

Solo il 7,8% delle donne percepiva, nel marzo del '74 un reddito netto di 1400 marchi, contro il 34,7% della forza lavoro maschile (da una statistica dell'ufficio