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Falso in bilancio: reato societario e fallimentare

CONSEGUENZE DEL FALSO IN BILANCIO NEL FALLIMENTO

5.1 Falso in bilancio: reato societario e fallimentare

In base al nuovo art. 2621, c.c. rientra, pertanto, nel falso in bilancio anche l’omissione di fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale, finanziaria della società o del gruppo di appartenenza, con l’effetto che, non necessitando più una specifica querela di parte, ma essendo introdotta la perseguibilità d’ufficio, è prevedibile un aumento dei rischi per amministratori e sindaci.

Tale circostanza non di rado si verifica specialmente in ipotesi di imprese in situazioni di crisi ovvero a rischio insolvenza, nelle quali, essendo peraltro assenti i presupposti della continuità, vengono omesse/falsate informazioni in bilancio tese a fornire una immagine artefatta, in senso profittevole delle stesse, presentando una rappresentazione fallace dello stato di salute reale della società attraverso un’alterazione delle risultanze dei documenti sociali previsti ex lege, strumento informativo fondamentale e determinante per gli stakeholders esterni.

Come evidente, pertanto, le modifiche sulle false comunicazioni sociali sortiscono effetti anche per talune condotte penali fallimentari, nel caso della bancarotta fraudolenta «impropria» ex art. 223, L.f., in quanto tale norma, oltre ad estendere agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci ed ai liquidatori di società fallite le condotte previste per gli imprenditori dichiarati falliti (art. 216, L.f.), dispone anche l’applicazione delle medesime gravi sanzioni, ovvero la reclusione da tre a dieci anni,

per le ipotesi in cui sia stato cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società commettendo alcuni dei fatti previsti da una serie di violazioni societarie, tra cui quelle incluse negli artt. 2621 e 2622 novati ed entrati in vigore il 14 giugno u.s. Tuttavia, è evidente che una semplice omissione non integri di per sé l’illecito penale essendo necessario, come precisato nella recentissima versione dell’art. 2621, c.c., che essa sia concretamente idonea ad indurre altri in errore. Si richiama a tale proposito la Sentenza Penale Sez. V, 13 giugno 2014, n. 42272 secondo cui «integra il reato di bancarotta impropria la condotta dell'amministratore che, esponendo nel bilancio dati non corrispondenti al vero, eviti che si manifesti la necessità di procedere ad interventi di rifinanziamento o di liquidazione, in tal modo consentendo alla fallita la prosecuzione dell’attività di impresa con accumulo di ulteriori perdite negli esercizi successivi».

Ne consegue che il dissesto della società e la dichiarazione di fallimento devono derivare dal comportamento falsificatore dei soggetti sopra indicati e si configurano quali fattispecie di reato fallimentare, dovendosi verificare che il falso in bilancio sia precedente e determinante il dissesto.

Tale principio è ormai pacifico per quanto concerne l’orientamento giurisprudenziale, essendo richiamato anche nelle recenti Sentenza Cassazione Penale Sez. V, 10 giugno 2014, n. 32045, che afferma «La falsificazione del bilancio, condotta di per sé integrante il reato previsto dall'art. 2621 c.c. o, qualora correlabile alla determinazione del dissesto o del suo aggravamento, quello di bancarotta da reato societario, non consente, di per sé, di ritenere consumato anche il reato di bancarotta fraudolenta documentale, dovendosi provare che dalle scritture contabili nel loro complesso non

sia stato possibile ricostruire altrimenti il volume e il patrimonio del fallito di cui il bilancio ha fornito una immagine non veritiera.» e Sentenza Cassazione pen. Sez. V, 7 marzo 2014, n. 32352, secondo cui «ai fini della preclusione connessa al principio del "ne bis in idem", l'identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico- naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la sussistenza di un rapporto di identità del fatto tra condotte di bancarotta fraudolenta impropria ex art. 223, comma secondo n. 1, e n. 2, l. fall., relative a false comunicazioni sociali, e ad "operazioni dolose" causative del dissesto rispetto a condotte già giudicate per i reati di aggiotaggio, fraudolenta certificazione di bilanci e ostacolo alle funzioni di vigilanza)».

La finalità di «ingiusto profitto» a favore dei soci, connaturata alle false comunicazioni sociali attuate e richiesta ai fini della rilevanza penale dagli artt. 2621 e 2622, c.c., viene integrata dalla fondatezza della condotta dolosa, secondo quanto peraltro confermato nella Sentenza Corte di Cassazione, 2 luglio 2013, n. 28508, in cui si affronta il tema rubricato ai reati societari, nella fattispecie il reato di false comunicazioni sociali ex (previgenti) artt. 2621 e 2622, c.c., nonché di bancarotta impropria ex art. 233, L.f., per ribadire la posizione già affermata nel precedente grado di giudizio, ovvero la condanna dell’amministratore delegato di una società fallita, ritenuto responsabile dei reati di cui sopra, per aver presentato, sia pure con riserva, un bilancio in cui veniva occultata una situazione di sostanziale perdita di capitale sociale,

che aveva impedito l’adozione di provvedimenti idonei ad evitare l’aggravamento del dissesto, nonché la prosecuzione dell’attività dell’impresa.

È chiaro, pertanto, secondo peraltro il recente orientamento giurisprudenziale ormai consolidato che, limitatamente alle false comunicazioni sociali che, di norma, determinano la rilevanza delle responsabilità degli amministratori ai fini civilistici, gli stessi assumano rilevanza ai fini penali, in quanto riconducibili ai cosiddetti «reati societari» di tipo «contravvenzionale e delittuoso» per via della sussistenza dei presupposti individuati nella condotta, ossia l’attività di manipolare e falsare la documentazione societaria, nell’elemento soggettivo, ovvero il dolo intenzionale, e nell’oggetto materiale, ovvero i bilanci, le relazioni e qualsivoglia altra comunicazione sociale, nel cui ambito semantico la Cassazione ha ricompreso, in via estremamente ampia, tutte le comunicazioni, scritte o orali, anche esterne, rivolte ai soci, ai creditori presenti e futuri e a qualunque terzo interessato, purché proveniente da uno dei soggetti qualificati ed indicati nelle due norme (Cass. Penale 9 luglio 1992, n. 2919). L’autonomia dei due reati già pacifica in precedenza sarà, ora, ancora accentuata con le modifiche apportate ai nuovi delitti di false comunicazioni sociali che si caratterizzeranno per reati di pericolo e non di danno.

Ne consegue, pertanto, che tra i due reati (societario e fallimentare) è possibile il concorso, a patto che l’esposizione ovvero l’omissione di fatti materiali non rispondenti al vero nelle comunicazioni sociali abbiano determinato il successivo dissesto della società.

CONCLUSIONI

Il bilancio d’esercizio, come strumento informativo, non ha valore solamente all’interno dell’impresa, ma, col tempo è divenuto un documento indispensabile per l’organizzazione e la gestione delle attività aziendali e tuttora si configura in modo più strutturato e completo. L’iter di evoluzione, relativo alla capacità informativa del Bilancio, è andato crescendo nel tempo; si è infatti partiti da una concezione di Bilancio come strumento scarno, la cui conoscenza doveva essere limitata entro i confini aziendali, fino a giungere ad una informativa aggiuntiva che va oltre quella imposta dal legislatore Italiano ed Europeo, volta al soddisfacimento degli interessi che gli stakeholder richiedono all’impresa stessa. Nel diciannovesimo secolo, le imprese iniziarono a sentire la necessità di redigere un Bilancio, che per quanto semplice costituiva comunque un documento organizzativo, di controllo e valutazione della gestione interna, dell’attività inerente all’impresa. Lo sviluppo industriale ed economico, per tutto il diciannovesimo secolo, fu caratterizzato dall’introduzione del metodo della partita doppia elaborato e perfezionato da numerosi studiosi, nonché da numerose teorie contabili come quelle Toscane e Veneziane. Questo stato di cose perdurò fino ai primi del novecento, quando la ragioneria contemporanea, vide gli albori, quale base della disciplina economica aziendale. Tuttavia, la necessità che le imprese avevano di redigere il documento contabile di bilancio, non fu adeguatamente supportata dall’elaborazione di norme legislative che ne esplicitassero i contenuti e la forma. Infatti, l’unica norma a cui si poteva fare riferimento, fino all’emanazione del Codice Civile del 1942, era il Codice del Commercio del 1882, il quale si occupava

della struttura di bilancio anche se in modo superficiale, stabilendo che quest’ultimo esplicitasse, in modo veritiero ed evidente, gli utili o le perdite maturate dall’azienda. Tale carenza legislativa portò alla redazione di bilanci scarni e di difficile comprensione da parte degli interessati; incrementando la tendenza a considerare il bilancio come un documento da tenere segreto in quanto non doveva riguardare gli interessi della collettività. Con l’emanazione del Codice Civile del 1942, iniziò a delinearsi un iter opposto, volto ad un apertura delle imprese nel portare a conoscenza degli interessati del bilancio le dinamiche aziendali. Infatti, il legislatore delineò una struttura più completa, indicando dei principi generali da seguire per poter effettuare al meglio la rendicontazione e dare quindi un informativa più comprensibile agli utenti del Bilancio. È in questo periodo che nascono le prime strutture di Stato Patrimoniale e Conto Economico. La giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, attraverso molte sentenze, ha ribadito, concordando con ciò che già era stato asserito a livello legislativo, il valore che assume il bilancio quale strumento informativo rivolto all‟esterno, sottolineando, che questo documento deve essere caratterizzato da: chiarezza, verità e correttezza, al fine di restituire ai terzi un’ informativa esauriente ed oggettiva della situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa. Un nutrito sistema di principi contabili, a livello nazionale e internazionale, guida la redazione del documento di Bilancio quale strumento con funzione informativa. I principi contabili nazionali supportano la legislazione e la integrano nei punti in cui essa è lacunosa e deficitaria, sempre al fine di offrire strumenti validi per la redazione di un documento che sia il più possibile chiaro, veritiero e corretto.

L’attuale globalizzazione dei mercati comporta l’esigenza di standardizzare i principi contabili che regolano la formazione del bilancio, al fine di omologare e allargare la validità dell’informazione percepita dagli stakeholder a livello europeo, tali principi internazionali sono gli IAS/IFRS. L’utilizzo dei principi contabili internazionali si è via via rafforzato anche a livello nazionale, non solo per la redazione del bilancio consolidato, per le imprese emittenti titoli ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato all‟interno dell’UE, ma anche, in virtù del D.Lgs. 129/2015, per la redazione del bilancio d’esercizio. A livello nazionale, perciò, le imprese si vedono suddivise in due categorie, la prima regolamentata dai principi contabili internazionali, la seconda disciplinata dai principi contabili nazionali e dalla normativa civilistica. L’informativa di bilancio viene poi pregiudicata dalle interferenze che la normativa tributaria esercita sul Bilancio d’esercizio, in quanto, il reddito d‟esercizio estrapolato dal bilancio è il presupposto per la formazione della base imponibile. Vi è il problema delle interferenze fiscali di bilancio, in quanto, il redattore deve cercare di conciliare la redazione del bilancio secondo i principi di chiarezza, verità e correttezza, ma allo stesso modo deve cercare di ottimizzare il carico fiscale per l’impresa. Con l’evolversi del tempo, il Bilancio ha consolidato la sua importanza diventando uno strumento indispensabile ed essenziale per l’informativa esterna e, svolgendo perciò, una funzione di informativa pubblica in grado di dare un ragguaglio minimo ai soggetti interessati.

Proprio per la centralità, l’importanza e le funzioni che è chiamato a svolgere il bilancio, la continua evoluzione della disciplina del falso in bilancio tende a far si che tutto ciò che accade in azienda si rispecchi realmente in un documento incontrastabile

e incorruttibile attraverso il quale può essere esternata l’effettiva attività , strategia e politica di bilancio perseguita dagli amministratori e da tutti gli attori protagonisti della vita aziendale.

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