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costituzionale italiana al vaglio della dottrina.

2. L’evoluzione delle parole della Costituzione: una semantica policromatica.

2.3 La famiglia: le coppie omosessuali.

Il tema della “famiglia” è uno degli argomenti più delicati su cui riflette la dottrina; essendo obiettivo di questo studio quello di verificare come le parole all’interno della Costituzione abbiano assunto un significato differente in relazione alle varie epoche storiche, si dovrà vedere, in primo luogo, quale era il concetto di “famiglia” nell’ideologia dei padre costituenti.

La Costituzione italiana dedica alla famiglia differenti disposizioni: quello che interessa maggiormente, per ora, è data dall’art. 29, comma 1, dove si legge che la «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». L’espressione “famiglia come

116 Per maggiori approfondimenti si rimanda a P. PASSAGLIA, Internet nella Costituzione italiana: considerazioni introduttive. Il testo è consultabile al seguente link: http://www.giurcost.org/studi/passaglia5.pdf.

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società naturale fondata sul matrimonio” è stata oggetto di diversi studi in dottrina; R. Bin, per esempio, ravvisa in essa un

“ossimoro117” interrogandosi in particolare su come possa,

qualcosa di naturale e spontaneo come la famiglia, fondarsi unicamente su un’istituzione giuridica quale il matrimonio.

Limitandosi ad una interpretazione letterale, tale disposizione “sembrerebbe” contraddittoria, ma tale contraddizione potrebbe essere “superata” ricorrendo ad una ampia interpretazione evolutiva per cui il matrimonio è solo una delle forme che la famiglia può assumere, una forma storicamente determinata (nel 1948) ma non la sola forma possibile e sarebbe, quindi, più corretto parlare di famiglie e non semplicemente di famiglia: accogliendo questa interpretazione, conseguirebbe che il concetto di “famiglia” ricomprenderebbe al suo interno le cosiddette “trans- famiglie”, le “famiglie allargate”, le “convivenze more uxorio”, le “famiglie patriarcali”, le “famiglie monogamiche”.

La giurisprudenza costituzionale e quella di legittimità sono concordi nel ritenere che il “vecchio” modello di famiglia patriarcale è ormai superato; tenendo conto dell’evolversi della società, del mutamento delle esigenze e dei nuovi valori di cui la comunità si fa portatrice, entrambe le Corti, ravvisando un collegamento tra l’art. 29 e l’art. 2 della Costituzione, hanno formulato (e confermato in più sentenze) un nuovo concetto di famiglia vista, oggigiorno, come la “formazione sociale” dove il singolo ha modo di esprimere la propria personalità.

117 BIN R., La famiglia: alla radice di un ossimoro. Il testo è consultabile al seguente link: http://www.robertobin.it/ARTICOLI/famiglia.htm.

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Accogliendo tale nuova interpretazione (in chiave logico- evolutiva), il diritto di famiglia ha subìto importanti innovazioni: sono state ricomprese nella nozione di famiglia le convivenze more uxorio (caratterizzate dalla stabilità e dall’assenza del vincolo del matrimonio) e, con la recente sentenza n° 7176/2012 della Corte d’Appello di Milano, si è cercato, tramite un’interpretazione evolutiva, di ricomprendere nelle convivenze more uxorio anche le

coppie omosessuali; infatti, come cita la Cassazione, «nell’attuale

realtà politico-sociale la convivenza more uxorio, intesa quale comunione di vita caratterizzata da stabilità e dall’assenza del vincolo del matrimonio, nucleo familiare portatore di valori di solidarietà e sostegno reciproco, non è soltanto quella caratterizzata dall’unione di persone di sesso diverso, ma è altresì quella propria delle unioni omosessuali alle quali il sentimento socialmente diffuso riconosce il diritto alla vita familiare propriamente intesa».

La questione che oggigiorno genera un forte contrasto con le richieste della società contemporanea, è quella del matrimonio non riconosciuto (e non consentito) alle coppie omosessuali.

Parte della dottrina si chiede se, tramite un’operazione di ampia interpretazione evolutiva, ciò potrebbe essere possibile: bisogna, anche in questo caso, partire dall’analisi dell’art. 29, comma 1, della Costituzione; esso prevede che la famiglia è fondata sul matrimonio ma non specifica che il matrimonio debba essere necessariamente contratto tra un “uomo” e una “donna”, a differenza di quanto avviene, per esempio, nel Codice canonico dove al canone n° 1055, precisando che «il patto matrimoniale con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita […] e stato elevato da Cristo signore alla dignità di

163 sacramento» stabilisce rigorosamente che non vi possono essere forme di contrazione tra soggetti omosessuali.

Ciò ha portato la dottrina ad interrogarsi sul perché gli operatori giuridici non diano luogo ad un’interpretazione evolutiva dell’art. 29 Cost. avendo riguardo anche del fatto che un’interpretazione rigida conforme a Costituzione, in questo caso, potrebbe dar luogo alla violazione dell’art. 2 Cost (articolo per eccellenza che ben si

presta per interpretazioni creative ed evolutive118); l’analisi può

essere effettuata partendo dalla sentenza n° 138/2010 emanata dai giudici della Consulta.

118 L’art. 2 della Costituzione è uno degli articoli maggiormente discusso in dottrina per la sua “natura” emblematica: gli studiosi si interrogano se esso sia da interpretare come articolo a fattispecie “chiusa” oppure “aperta”. Accogliere la prima tesi significa ritenere che la disposizione richiamata dovrebbe leggersi come norma “riassuntiva” dei soli diritti enumerati nel testo costituzionale, i quali sarebbero, quindi, un catalogo chiuso; la seconda, invece, consentirebbe l’apertura del catalogo costituzionale, ricomprendendo anche diritti non enumerati espressamente. Tra i sostenitori della prima tesi (minoritaria) si ricordano P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Il Mulino, Bologna, 1984, p. 54, il quale, ritenendo che «gli istituti della libertà, ancorati ad un diritto naturale, estraneo all’esperienza giuridica contemporanea, assumerebbero connotati talmente labili e soggettivi da scomparire nella nebbia dell’incertezza del diritto», rifiuta l’interpretazione estensiva del suddetto art. «sia per il difetto di ogni base positiva (né la lettera dell’art. 2 né altre norme costituzionali la sorreggono), sia e soprattutto perché tutte le libertà che abbiamo chiamato aggiuntive rampollano dal tronco di quelle che si leggono in Costituzione»; P.GROSSI, Introduzione ad uno studio sui diritti inviolabili nella Costituzione italiana, Cedam, Padova, 1972, p. 172, per cui «il rinvio di cui all’art. 2 Cost. non dovrebbe intendersi come fisso, ma mobile in senso unilaterale e garantistico; non chiuso e concluso in riferimento, cioè, ai soli diritti originariamente accolti nella Carta costituzionale, ma aperto anche agli altri che successive leggi costituzionali o di revisione costituzionale eventualmente introducano». I sostenitori della seconda tesi (maggioritaria) sono numerosi; si ricordano sul punto: C.MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Cedam, Padova, 1969, vol.II, p. 949, il quale riteneva che con l’art. 2 Cost. «si sia voluto affermare non già un diritto generale di libertà, ma piuttosto un principio che non si esaurisce interamente nelle singole fattispecie previste, e perciò consente all’interprete di desumerne dal sistema altre non contemplate specificamente»; A.BARBERA,Art. 2, in Commentario della Costituzione, G.BRANCA

(a cura di), Zanichelli, Bologna, 1975, p. 84-85, esclude tassativamente il valore ricognitivo dell’art. 2 ritenendo che il rinvio che l’art. in questione fa ai diritti inviolabili ha «un valore “costitutivo” e di “apertura” ad altre libertà e ad altri valori personali non espressamente tutelati dal testo costituzionale»; C. ESPOSITO, La Costituzione italiana, op. cit., p. 22, secondo il quale, «se è vero che la sovranità nel nostro ordinamento spetta al popolo, tutto il diritto si fonda sulla volontà popolare, la quale ha valore costitutivo di qualsiasi diritto»;

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La Corte costituzionale era stata adita dal Tribunale di Venezia per valutare, in riferimento agli articoli 2, 3, 29 e 117, primo comma, della Costituzione, la legittimità costituzionale degli articoli 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis del cod. civ., «nella parte in cui, sistematicamente interpretati, non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso». Nello specifico, i signori G. M. e S. G. avevano impugnato il provvedimento con il quale l’ufficiale di stato civile aveva dichiarato illegittima la pubblicazione di matrimonio da loro presentata poiché ritenuta in contrasto con le normative vigenti sia costituzionali che ordinarie; il Tribunale di Venezia, pur confermando agli attori che, effettivamente, nel Codice civile non era espressamente vietato il matrimonio tra persone dello stesso e che non era indicata la differenza di sesso tra i requisiti per contrarre matrimonio, faceva notare, però, che diverse sue norme si riferivano al “marito” e alla “moglie” (es. artt. 107 e 108; 143 e ss; 231 e ss.) escludendo quindi ipotesi di soggetti sposati dello stesso sesso: per questo motivo il Tribunale riteneva non estensibili per analogia le norme del matrimonio eterosessuale alla coppia omosessuale.

Tuttavia il giudice a quo, evidentemente conscio della delicatezza della questione e dei precedenti casi giurisprudenziali che avevano trattato la materia e che avevano come perno la violazione dell’art. 2 della Costituzione, decise di rimettere la questione al vaglio della Corte costituzionale; nell’ordinanza di rimessione, il giudice a quo, pur ammettendo che «a fronte di una consolidata e ultramillenaria nozione di matrimonio come unione di un uomo e di una donna» non era equiparabile il matrimonio eterosessuale tra quello omosessuale, faceva notare che «non si può ignorare il

165 rapido trasformarsi della società e dei costumi avvenuto negli ultimi decenni, nel corso dei quali si è assistito al superamento del monopolio detenuto dal modello di famiglia normale, tradizionale e al contestuale sorgere spontaneo di forme diverse, seppur minoritarie, di convivenza, che chiedono protezione, si ispirano al modello tradizionale e, come quello, mirano ad essere considerate e disciplinate. Nuovi bisogni, legati anche all’evoluzione della cultura e della civiltà, chiedono tutela, imponendo un’attenta meditazione sulla persistente compatibilità dell’interpretazione tradizionale con i principi costituzionali». Secondo il giudice a quo, attenendosi ad una rigida interpretazione conforme a Costituzione (supportata dalla giurisprudenza sia ordinaria che costituzionale), le norme del codice civile impugnate dalla “coppia omosessuale” sarebbero state perfettamente conformi a Costituzione; il problema si poneva, invece, se si fosse cercato di dare luogo ad un’interpretazione conforme a Costituzione ma che tenesse conto dell’interpretazione, in chiave evolutiva, che alcune parole della Costituzione avevano avuto nel corso del tempo: in particolare il giudice a quo segnalava che l’art. 2 Cost., parla di riconoscimento e garanzia, da parte della Repubblica, dei diritti inviolabili dell’uomo anche nelle «formazioni sociali ove si svolge la sua personalità» delle quali la famiglia, a seguito di un’interpretazione evolutiva, deve esserne considerata la prima e fondamentale espressione: interpretando così tale articolo e negando il diritto alle coppie omosessuali di contrarre matrimonio, la conseguenza è che gli articoli del Codice civile impugnati, secondo una vera ed attuale interpretazione conforme a Costituzione, violano l’art. 2 Cost.; in riferimento all’art. 3 Cost. il rimettente lamentava che se la vera finalità di quell’articolo era

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vietare irragionevoli disparità di trattamento, la normativa implicita che esclude gli omosessuali dal diritto di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso, così seguendo il proprio orientamento sessuale, non aveva alcuna giustificazione razionale. In riferimento all’art. 29 Cost. le parti, costituitesi nel giudizio di legittimità, osservavano che alla luce del principio personalistico, che pervade le disposizioni della Carta costituzionale, era necessario interpretare le parole “famiglia” e “matrimonio” alla luce della nuova società e che l’attuale «stato di cose, però, non potrebbe impedire una rilettura del sistema, in considerazione delle mutate condizioni sociali e giuridiche, stante la rilevanza, sotto questo profilo, del diritto comunitario, ai sensi dell’art. 117, primo comma, Cost., e soprattutto dei principi supremi dell’ordinamento, quali l’eguaglianza (e quindi la non discriminazione) e la tutela dei diritti fondamentali».

La Corte costituzionale emanò, in questa circostanza, una pronuncia che, come rilevato da vari autori in dottrina, «dice “troppo” e “troppo poco”119». I punti di riflessione sarebbero tanti

ma mi limiterò a segnalare i più interessanti secondo la dottrina. In primis, la Corte afferma che l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, deve essere ricompresa fra le formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost., «cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone, nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti

119 Citazione tratta da R.ROMBOLI, Il diritto «consentito» al matrimonio ed il diritto «garantito» alla vita familiare per le coppie omosessuali in una pronuncia in cui la Corte dice «troppo» e «troppo poco». Consultabile al link:

http://www.uniba.it/ricerca/dipartimenti/scienze-politiche/docenti/prof.ssa-valeria- corriero-1/persone-famigliae-legislazione-socilae/materiale-

didattico/Cor_%20cost__15%20aprile%202010_n_%20138_Commento%20Romboli .pdf.

167 dalla legge, il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri», il problema qui è capire cosa ha voluto intendere realmente la Corte: se “vivere liberamente una condizione di coppia” è un “diritto fondamentale”, perché mai assoggettare tale diritto all’attività del legislatore? Sarebbe un paradosso; Non potrebbe considerarsi “fondamentale” un diritto che può essere riconosciuto (o meno) dal legislatore ordinario sulla base di una valutazione discrezionale: questa affermazione è quindi poco chiara.

Procedendo oltre, le perplessità degli studiosi aumentano notevolmente: la Corte inizialmente sostenne che «i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati” con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali» e che quindi «vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi», ciò faceva pensare che probabilmente essa fosse propensa ad un’interpretazione logico-evolutiva delle suddette norme costituzionali, in realtà questa ipotesi è smentita subito dopo poiché i giudici della Consulta affermarono che l’interpretazione però «non può spingersi fino al punto d’incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata». La Consulta, così operando, fa coincidere l’interpretazione evolutiva con l’opposta teoria dell’original intent.

Per concludere, basti segnalare un ultimo aspetto: la Corte tramite un’interpretazione evolutiva della parola “coniugi” (art. 29,

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comma 2, Cost.) avrebbe potuto, anche in questo caso, riconoscere il matrimonio tra persone di same-sex, invece, prontamente, è intervenuta sostenendo che «questo significato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica, perché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una mera prassi interpretativa, bensì di procedere ad un’interpretazione creativa»; di fatto, come molti autori sostengono, non si sarebbe trattato di un’interpretazione creativa (alla stregua di quanto avvenuto in Spagna) bensì di una interpretazione evolutiva: la parola “coniugi”, infatti, è un termine neutro dal punto di vista semantico e quindi applicando un’interpretazione evolutiva, alla luce della società contemporanea nazionale e non solo, può benissimo riferirsi a due persone dello sesso.

Anche qui la strada dell’original intent è preferita: il comma 2 dell’art 29 Cost. era stato formulato per parificare, nella coppia, la condizione della donna a quella dell’uomo.

Dalle motivazioni rese da parte della Corte sembra esservi uno scontro: se si accogliesse una rigida interpretazione conforme a Costituzione delle parole “matrimonio” e “famiglia” supportate dall’original intent dei padri costituenti, ne conseguirebbe che l’attuale sistema codicistico in materia di diritto di famiglia è

costituzionalmente legittimo, se, invece, si accogliesse

un’interpretazione conforme a Costituzione che tenga conto dell’interpretazione evolutiva che hanno (o che potrebbero avere) le suddette parole, ne emergerebbe che la maggior parte degli articoli del codice civile destinati alla famiglia sono, alla luce dell’odierna società, costituzionalmente illegittimi.

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2.4 (segue) Uno spunto di riflessione: il caso “Bernaroli” e la “trans-famiglia” al vaglio della Corte costituzionale.

La sentenza sopra esaminata, può essere rapportata, poi, ad un altro fenomeno in continua evoluzione nel panorama giuridico italiano (e non solo), cioè quello della trans-famiglia.

Con il termine “transessuale” si indica un soggetto che, rifiutando psicologicamente e fisicamente il proprio sesso, modifica artificialmente i propri organi genitali assumendo quelli del sesso opposto; da tale termine, in seguito alle ultime vicende del caso “Bernaroli” è emerso il concetto della “trans-famiglia”: una nuova tipologia di famiglia che “potrebbe” essere, in futuro, annoverata nel concetto giuridico di famiglia.

Nelle aule di giustizia il dibattito per il riconoscimento dei diritti dei “transessuali” (e successivamente della “trans-famiglia”) trae origine dal tentativo di un’ampia interpretazione evolutiva dell’art.

2 della Costituzione italiana; la prima decisione120 che si annovera

nella giurisprudenza costituzionale, su tale tematica, è la sentenza n° 98/1979: la Corte era stata adita per esprimersi circa la legittimità costituzionale degli artt. 165 e 167 del R.D.L. n° 1238/1939 e dell’art. 454c.c con riferimento agli artt. 2 e 24 della Costituzione. Nello specifico: il signor R. L. aveva citato in giudizio, presso il Tribunale di Livorno, l’ufficiale di stato civile per sentirsi dichiarare che, contrariamente alle risultanze del registro degli atti di nascita nel quale egli era iscritto come persona di sesso maschile, esso apparteneva al sesso femminile. Il signor R. L., infatti, come risultava accertato dal referto medico-legale, si

120 La ricerca è stata compiuta sul sito www.cortecostituzionale.it immettendo come parola chiave la parola “transessuale”.

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era sottoposto ad un intervento chirurgico mediante il quale era stata praticata la castrazione e la rimozione del pene, con costituzione plastica di una vagina; inoltre, dagli esami psico- diagnostici, emergeva una personalità «conformizzata al ruolo culturale femminile» e si concludeva affermando che «la funzione di determinazione del sesso», in casi di transessuale sottoposto ad intervento chirurgico, doveva essere attribuita «ai caratteri esterni ed all’orientamento psichico, perché nella vita di relazione, principale espressione dell'attività umana, la differenza di sesso è data soprattutto dagli attributi esterni della persona, gli unici che consentono immediatamente di affermare se un determinato soggetto appartiene a un sesso oppure all’altro».

Il Tribunale di Livorno, facendo riferimento anche alla precedente giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, confermò che non vi era alcuna norma che consentiva «il riconoscimento legale della condizione sessuale femminile nel caso di soggetto già appartenente con certezza al sesso maschile, pur se psichicamente orientato dalla nascita come femminile, che, attraverso un’operazione di castrazione e di plastica, abbia assunto caratteri genitali esterni apparentemente femminili» e che la domanda dell’attore fosse da respingere perché le norme che si ritenevano esser state violate in realtà consentivano la modifica dell’atto di nascita solo nelle ipotesi tassative di errore materiale o di scrittura.

Ciò premesso, il Tribunale ritenne comunque opportuno rivolgersi al Giudice delle leggi: l’attore infatti, in balìa di «una grave situazione di conflitto agitantesi in lui fin dai suoi primi anni di vita», aveva obbedito a profonde ragioni nel sottoporsi alla ricordata operazione e da ciò il giudice a quo, tramite

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un’interpretazione creativa dell’art.2 Cost., giunse alla conseguenza che il diritto fatto valere dall’attore, e cioè quello «alla identità sessuale», fosse da annoverare «come diritto della personalità e quindi tra i diritti fondamentali ed inviolabili che l’art. 2 della Costituzione riconosce e garantisce a tutti».

I giudici della Consulta, di tutta risposta, non accettarono la reinterpretazione in chiave evolutiva-creativa fatta dal giudice a quo dell’art. 2 e dichiararono che, sulla base di una corretta interpretazione conforme a Costituzione, gli articoli impugnati non erano incostituzionali giacché «dall’art. 2 Cost. non è possibile desumere l’esistenza di altri diritti fondamentali inviolabili che non siano - quanto meno - necessariamente conseguenti a quelli previsti dalle altre norme costituzionali. Né può essere, nella specie, utilmente invocato l’art. 24 Cost., trattandosi non della possibilità di azione, ma dell'esistenza o inesistenza del diritto sostanziale».

Qualche anno dopo l’emanazione di questa sentenza, il Governo italiano, prendendo coscienza dell’evolversi della realtà sociale e dell’aumento del fenomeno del transessualismo, adeguandosi ad altri stati europei, emanò la legge n° 164/1982 (Norme in materia di rettificazione di attribuzioni di sesso) e la Corte costituzionale iniziò a interpretare in chiave evolutiva varie disposizioni della Costituzione.

Nella sentenza n° 161/1985, per esempio, i giudici della Consulta, premettendo che la legge n° 164/1982 «si colloca nell’alveo di una civiltà giuridica in evoluzione, sempre più attenta ai valori, di libertà e dignità, della persona umana, che ricerca e tutela anche nelle situazioni minoritarie ed anomale», tramite un’attività interpretativa in chiave evolutiva, riconobbero, a differenza del

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1979, l’esistenza di un diritto fondamentale all’identità sessuale, sancito dagli articoli 2 e 32 della Costituzione, all’interno del quale trovava protezione anche il diritto fondamentale all’adeguamento dell’identità fisica all’identità psichica, mediante la modifica