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I° fase Il “monopolio” della Corte costituzionale Generalmente la dottrina è concorde nel suddividere il dialogo

4 (segue) L’interpretazione costituzionale: un’interpretazione specifica?

1. La contesa tra Corte costituzionale e giudici comuni: le fasi del dialogo.

1.1 I° fase Il “monopolio” della Corte costituzionale Generalmente la dottrina è concorde nel suddividere il dialogo

avvenuto tra la Corte e i giudici comuni in tre differenti fasi storiche.

La prima fase (che la dottrina data orientativamente tra gli anni

1956-1965) è caratterizzata dal cosiddetto monopolio42

dell’interpretazione conforme a Costituzione da parte della Corte costituzionale.

La Corte, avvalendosi delle sentenze interpretative di rigetto (di cui si è già detto in precedenza), stabilisce da subito che può reinterpretare la disposizione di legge che le viene posta sotto esame: ciò comporta che essa non è obbligata a seguire l’interpretazione data dal giudice rimettente (neppure se l’interpretazione di quest’ultimo si identifica con il cosiddetto “diritto vivente”) ma può, anzi, reinterpretarla, anche in modo

giudiziaria al dialogo e al confronto sulla bontà e praticabilità di ogni singola soluzione interpretativa conforme a Costituzione».

41 L’espressione, già ricordata, è di L.MEZZANOTTE op. cit..

42 Il termine “monopolio” è stato utilizzato per la prima volta da V. ONIDA, L’attuazione della Costituzione fra magistratura e Corte costituzionale, in AA.VV., Scritti in onore di Costantino Mortati, Milano, Giuffrè, 1977, pp. 548 e 592.

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totalmente diverso, «allo scopo di adeguarne il significato alla ratio constitutionis dalla Corte stessa accertata43».

Posta così la questione, si comprende che la Corte costituzionale, a cui è riconosciuto il ruolo di giudicare la legge (ex art. 134 Cost.), nel momento in cui si trovava a vagliare una questione di legittimità costituzionale, doveva (e deve tuttora) anche dar luogo ad un’attività interpretativa idonea ad evitare la pronuncia di annullamento; ciò è la Corte stessa ad averlo affermato nella sentenza n° 11/1965 dove si legge che «È evidente che della legittimità costituzionale di una norma non si può giudicare senza prima avere stabilito quali della norma siano il contenuto e la portata. A questo fine non è escluso che la Corte costituzionale possa anche avvalersi di una precedente interpretazione, sempre però che, a seguito di una piena adesione, questa sia divenuta anche la interpretazione propria. Stabilire infatti quale sia il contenuto della norma impugnata è inderogabile presupposto del giudizio di legittimità costituzionale; ma esso appartiene al giudizio della Corte non meno della comparazione, che ne consegue, fra la norma interpretata e la norma costituzionale, l’uno e l’altro essendo parti inscindibili del giudizio che è propriamente suo. Che poi frequentemente la parte del giudizio della Corte relativa alla interpretazione della norma ordinaria non assuma un particolare rilievo, per la evidenza del contenuto della norma stessa, o per effetto, appunto, di una precedente interpretazione sicuramente consolidata, non è cosa che valga a

43 L.IANNUCCILLI, L’interpretazione secundum costitutionem tra Corte costituzionale e giudici comuni, brevi note sul tema del Seminario dal titolo Corte costituzionale, giudici comuni e interpretazioni adeguatrici, Roma, Palazzo della Consulta, 6 novembre 2009, p. 8. Per quest’ultima fonte si rimanda al seguente link:

http://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/Interpretazione_qua derno_stu.pdf.

55 mutare la posizione logica dei due momenti, né l’appartenenza di entrambi all'unitario giudizio della Corte [...]».

Quindi, la reinterpretazione (conforme a Costituzione) del testo di legge serviva ad evitare la dichiarazione di incostituzionalità, permettendo alla legge, oggetto di impugnazione, di rientrare nel crisma della legittimità costituzionale (“reductio ad legitimitate”) e un siffatto compito poteva spettare solo al Giudice delle leggi, non anche ai giudici comuni: questi avevano solo il dovere di devolvere, all’esame da parte della Corte costituzionale l’interpretazione contra constitutionem.

Indubbiamente tale attività re-interpretativa, almeno inizialmente, non fu facile perché la Corte si trovò ad adeguare al testo costituzionale delle disposizioni legislative emanate in epoca pre- repubblicana (e quindi ancora prima che nascesse la Carta costituzionale): l’attività della Corte costituzionale si concretizzò, quindi, in una vera e propria attività manipolativa caratterizzata dall’attribuire al testo legislativo nuovi significati.

Alcuni studiosi ritengono che già in questa fase la Corte avesse provato a svolgere una vera e propria funzione educativo- pedagogica nei confronti dei giudici comuni tramite le proprie pronunce (in particolare tramite le già citate sentenze-monito): la Consulta reinterpretava le disposizioni di legge (oggetto di giudizio di legittimità costituzionale) nel rispetto della Costituzione al fine di rieducare la Magistratura e, anzi, la invitava a guardare la Costituzione stessa come una norma giuridica per poter applicare le disposizioni di legge.

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L’invito non fu però colto44: probabilmente per una sorta di timore

reverenziale da parte dei giudici di merito45 (indubbiamente più inesperti e sensibili rispetto alle novità introdotte dalla Costituzione) nei confronti dei giudici prerepubblicani, conservatori e più esperti, della Corte; il timore era quello di vedersi riformare le proprie pronunce e per questo si preferiva ricorrere al giudizio incidentale.

Chiarificatore, e al contempo anche giustificativo dell’attività

“limitata” condotta dai giudici comuni, è il pensiero di A. Pace46 il

quale ricorda che se anche il giudice a quo avesse individuato una lettura incostituzionale di una certa disposizione, avrebbe dovuto comunque adire la Corte costituzionale non essendo ammesse ipotesi di applicazioni incostituzionali di una certa disposizione; pertanto, secondo Pace, il potere di interpretazione conforme spetta tanto ai giudici quanto alla Corte, ma non con la finalità di adeguare la legge alla Costituzione bensì con due criteri ben differenti: il giudice comune ha solo il compito di rilevare l’incompatibilità con la Costituzione mentre la Corte ha il compito di espellere la norma incompatibile dall’ordinamento giuridico. Stando così le cose, la magistratura continuò a preferire la proposizione del giudizio in via incidentale piuttosto che dar luogo ad ipotesi di interpretazione conforme, confermando quindi il

44 R.PINARDI, L’interpretazione adeguatrice tra Corte e giudici comuni: le stagioni di un rapporto complesso e tuttora assai problematico in G. BRUNELLI,A.PUGIOTTO,P. VERONESI (a cura di), Il diritto costituzionale come regola e limite al potere, Napoli, Jovene Editore, 2009, p. 1529ss. ritiene che già prima dell’entrata in funzione della Corte costituzionale la maggior parte dei giudici avevano assunto un comportamento che denotava «un evidente ritardo culturale nel comprendere, prima, e nel farsi carico, poi, nel corso del quotidiano operare, di quei principi costituzionali su cui si fondava il nuovo ordinamento».

45 V. ONIDA, L’attuazione, op. cit., p. 506, definisce di «estrema timidezza» il comportamento dei giudici nel controllo di costituzionalità.

46Cfr.A.PACE, I limiti dell’interpretazione «adeguatrice», in Giur. cost., 1963, p. 1066 ss.

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controllo accentrato voluto dai padri costituenti e rimettendo interamente l’attività interpretativa conforme ai giudici della Consulta.

Per poter meglio comprendere il modus operandi della Corte costituzionale in questa fase, è opportuno richiamare alcune sentenze di rilievo: oltre alla già citata sentenza n° 26/1961 (che inaugura l’iter delle sentenze interpretative di accoglimento e per cui si rimanda a quanto detto in precedenza), si può segnalare la sentenza n° 43/1964, nella quale la Corte prevede, sempre in virtù della sua timida ed iniziale funzione educativa pedagogica, che, ai fini del controllo di legittimità costituzionale, è buona regola quella di far prevalere, rispetto ad una norma di dubbio significato, quella interpretazione secondo cui la norma sia intesa in un senso conforme alla Costituzione.

1.2 II° fase. La Corte costituzionale, “magistra” del