CAPITOLO II Itaca per sempre e Fantasmi romani: quale romanzo matrimoniale?
7. Fantasmi romani: parlare per Witz
Il personaggio di Clarissa è cruciale nell’evoluzione malerbiana della rappresentazione della scena matrimoniale. Ella si distingue dalle altre mogli per non riuscire a separare la realtà dalla finzione, mentre Penelope era conscia di tale differenza e l’accettazione di Ulisse le derivava da una scelta personale meditata. Clarissa tende invece, per una sua debolezza, a vivere nel mondo immaginato. Anna Chiafele rinvia a tal proposito alla teoria di Thomas Pavel secondo la quale leggere un testo o osservare un quadro significa già abitare nel mondo corrispondente. Una strategia peraltro riconducibile a Marcel Proust221 e poi ripresa da Michel Butor nella Modificazione in cui il lettore assiste ad una situazione analoga: l’osservazione di un quadro da parte di Léon Delmont produce la fantasticheria di un incontro amoroso che viene vissuto all’interno della visione scaturita dal quadro. Il soggetto sposta l’esperienza
220 Paolo Mauri, C’è un fantasma dentro il letto, in «Repubblica», 3 ott. 2006, p. 55.
221 Nel libro secondo della Recherche quando parla delle intermittenze del cuore, Proust afferma che «le
immagini scelte dal ricordo sono arbitrarie, anguste e inafferrabili quanto quelle che l’immaginazione aveva formate e la realtà distrutte. Non c’è ragione perché, al di fuori di noi, un luogo reale possieda di quadri della memoria piuttosto che del sogno», in Sodoma e Gomorra, trad. it. Giovanni Raboni, Milano, Mondadori Meridiani, 1986, vol. II, p. 903. Per completezza dell’informazione, si rinvia anche alle pagine 64-68 della Modificazione di Butor.
dalla realtà all’immaginazione attraverso un procedimento metonimico che agisce a livello del discorso: in Fantasmi romani, Malerba smantella il linguaggio codificato dei romanzi rosa proprio nel momento in cui Clarissa incontra l’amante del marito ad una mostra d’arte:
Ci siamo trovate tutte e due in incognito davanti allo stesso quadro, incantate ad ammirare quell’uomo in cappotto con il cappello in testa […] Questo è un uomo che mi piace, stavo pensando, o meglio che mi sarebbe piaciuto se fossi vissuta in quegli anni. Con gli occhi aperti sul quadro, ho sognato una romantica corsa insieme a quell’uomo sulla Isotta Fraschini rombante attraverso la campagna toscana al sole. Veloci chilometri italiani in mezzo a vigneti e viali di cipressi con l’aria frizzante che mi carezza il volto, e finalmente l’arrivo in una villa fra gli alberi su una collina che ci accoglie con la porta spalancata e qui entriamo correndo e facciamo le scale travolti dal desiderio, arriviamo nella grande camera, ci gettiamo sul letto e facciamo l’amore gridando come due mammiferi scatenati. (FR, 13-14)
Lo slittamento verso il basso del linguaggio è evidentemente rivolto alla sconfessione dell’idillio, ideale romantico racchiuso nella concezione borghese dell’amore, che sul finale raggiunge i toni quasi primitivi e animaleschi del
Pataffio.
L’adulterio sembra essere l’ossessione di Clarissa i cui continui tradimenti si duplicano nei continui tradimenti di Marozia, in una sorta di coazione a ripetere che richiama il più volte citato racconto Strategia. Rispetto ad Itaca per sempre, in cui l’erotismo è sostituito dalla seduzione e dalla raffinata sensualità di Penelope, nel romanzo di ambientazione romana sembra incarnarsi l’osservazione calviniana secondo cui «viviamo in un’epoca di tendenziale desessualizzazione; la lotta per l’esistenza nelle metropoli è tale da avvantaggiare l’asessualità; la mitologia sessuale a livello di mass-media ha una funzione di compensazione, di recupero di qualcosa che si sente già perduto».222 Infatti, nel matrimonio di Giano e Clarissa è assente ogni traccia che riconduca ad un rapporto amoroso e erotico tra i due che invece sono
222 Italo Calvino, Definizioni di territori: l’erotico, in Una pietra sopra (1980), Milano, Mondadori, 2011, p.
circondati e a loro volta ossessionati dalla pratica sessuale fuori dal matrimonio. Anche l’amore infatti è frutto di una autoconvinzione e la rappresentazione del matrimonio come ideale amoroso funziona fintanto che vi si crede. La coincidenza tra credere ed essere è pertanto data, come nel caso di Penelope, ma non verificata, tant’è vero che costituisce l’origine di ogni malinteso.
Anna Chiafele, che parla di Fantasmi romani come del romanzo- testamento di Malerba, sottolinea che i personaggi mentono per salvaguardare il loro matrimonio, ma forse sarebbe più corretto dire per salvare il loro matrimonio. La studiosa sostiene anzi che la citazione di Philip Roth che introduce il romanzo suggerisce un nuovo attacco ironico alla classe borghese dal suo interno: per appartenere alla borghesia, bisogna essere in grado di narrare, quindi di fingere. Infatti, che le relazioni extraconiugali di Giano e Clarissa siano reali o fittizie è del tutto irrilevante per il loro ménage matrimoniale. Non vi è dubbio che fintanto che i comportamenti, corretti o scorretti, di entrambi sono simmetrici, vi è uno stato d’equilibrio e quiete. Se sul piano del racconto il matrimonio annoiato richiede che i personaggi abbiano una relazione extraconiugale, si capisce ben presto che la vera relazione extraconiugale che i due hanno è con la scrittura, in quanto la relazione storica con un uomo o una donna in carne ed ossa è altrettanto noiosa che la relazione con il coniuge. Tuttavia il rapporto che i due hanno con la scrittura romanzesca invece che dividerli li unisce sotto il titolo fittizio, menzogna nella menzogna, della Decostruzione urbanistica, il romanzo che ricostituisce lo spazio in cui si concretizza la relazione matrimoniale tra Clarissa e Giano. Essi, come già Penelope e Ulisse, sono contraddistinti per le stesse abilità, anche retoriche, che li rendono identici e unici al contempo: «La verità è più semplice, Clarissa è molto intelligente e ha capito che non c’è niente da capire nell’area studentesse. Anche per queste finzioni generose sono innamorato di lei, che noia senza Clarissa» (FR, 17).
La coppia esiste nel linguaggio e nell’esperienza condivisa come aveva preannunciato Natalia Ginzburg in Ti ho sposato per allegria secondo una modulazione del discorso che è un riflesso dell’essere uomo e donna nella coppia. Clarissa e Giano si confrontano dialetticamente fin dall’inizio sullo stesso piano. Entrambi sono in grado di tenersi testa e le loro scaramucce sono parte di un linguaggio segreto che solo loro sono in grado di decodificare e gestire. Tant’è vero che i rispettivi amanti, non hanno le stesse doti: Valeria non solo non è un’abile narratrice, ma spesso risulta inadeguata;223 Zandel è un bravo affabulatore ma si lascia coinvolgere troppo dalla narrazione così che alla fine non è più in grado di gestire le contraddizioni.
Il maestro delle contraddizioni e delle ambiguità invece è Giannantonio detto Giano come il dio romano bifronte, marito e amante, architetto e scrittore, personaggio e autore a sua volta di un romanzo. La doppiezza del personaggio in una duplice voce narrante speculare a quella impiegata in Itaca
per sempre, a cui peraltro Fantasmi romani si riferisce in via intertestuale per
rafforzare la natura dissimulatrice dei personaggi. Il passaggio da una voce all’altra avviene per metonimia, al contrario, l’impiego della similitudine e dell’analogia sono utili a Malerba per creare una correlazione volta ad esaltare la “funzione poetica” del linguaggio e a ridurre lo scarto apertosi tra l’Io e l’altro (il mondo). Ogni trasformazione, sia essa a livello del racconto sia a livello del personaggio, avviene all’insegna di un’aggiunta, di una soppressione o di una permutazione. Tutto ciò indubbiamente vale a proposito del Serpente dove il narratore-personaggio contraddice se stesso ogni volta in cui cambia la versione del suo racconto, vi aggiunge o sottrae personaggi (moglie ed amante) o elementi del discorso, quali l’aspirazione al silenzio.
223 «Cretina, dieci volte cretina. Chissà perché Valeria ha detto a Clarissa che conosceva la storiella
dell’aquila a due teste. È caduta in un volgare saltafosso, la cretina. E perché mai ha detto che gliel’aveva raccontata l’agente della Deutsche Bank? La seconda stupidaggine, le ho spiegato, è peggiore della prima perché ricalca inutilmente la provenienza tedesca della storiella e soprattutto perché l’agente della banca tedesca esiste veramente, ha anche lui la casa nei pressi di Todi ed è facilmente raggiungibile da Clarissa» (FR, 16).
In Itaca per sempre invece si osserva piuttosto che il movimento predominante è quello permutativo che agisce sul piano del personaggio e della storia: da mendicante Ulisse diventa principe dell’isola dove resterà definitivamente.
La trasformazione infine avviene anche sul piano del discorso perché Malerba introduce nella narrazione dettagli assenti nell’Odissea come quelli relativi alle abitudini alimentari, all’episodio della scrofa o della compagna di vita di Eumeo, che servono a dare maggiore credibilità al racconto o alla relazione matrimoniale. Simile funzione ricoprono anche il fiore rosso, la collana di lapislazzuli o la descrizione del corpo di Penelope, senza peraltro modificare il plot. Luigi Malerba articola pertanto la storia intrecciando due versioni differenti degli stessi fatti: le sospensioni, le reticenze e le finzioni rappresentano una sorta di ritiro del personaggio dalla vicenda che lo riguarda, come se pur volendo restare nel matrimonio, Ulisse e Penelope vi si sottraggano al contempo.
Ciò confermerebbe l’ipotesi qui avanzata che essi non possano più stare in un matrimonio che per nessuno dei due ha valore. La narrazione alternata rappresenterebbe pertanto la necessità di ridisegnare i contorni e la sostanza della relazione matrimoniale attraverso un reimpiego del linguaggio. In tal modo il rapporto coniugale si ricodifica come una successione di addizioni e sottrazioni che si estende per tutto il racconto.
Come s’è visto, invece, il linguaggio di Fantasmi romani è basato sulla permutazione, dovuta innanzitutto al fatto che la scrittura di Giano modifica sostanzialmente la natura di Clarissa e perciò anche la natura della relazione matrimoniale che li unisce.
Il matrimonio di Giano e Clarissa è rappresentato come un gioco in cui i due protagonisti hanno bisogno di altri giocatori che inneschino l’azione affinché le regole possano funzionare. È il caso dei complimenti esibiti di Zandel, «un gioco mondano che lusinga [Clarissa] ma che, a lungo andare, ha finito per infastidire Giano» (FR, 20). Un gioco che rimette in moto un
matrimonio stanco e che orienta le azioni di Giano e Clarissa: l’uno si innervosisce, l’altra si innamora. La finzione dunque si trasforma in una realtà effettiva che produce l’azione e duplica l’effetto di reale: l’universo primario descritto da Thomas Pavel coesiste o scaturisce dall’universo secondario (la finzione) in cui l’uno nasconde la verità dell’altro. Tuttavia, come già altrove, la verità non è l’obiettivo primario di Luigi Malerba: lo è piuttosto il mettere a nudo i meccanismi che consentono di vivere a cavallo tra realtà e finzione e di attribuire alla finzione lo stesso valore della realtà. Per farlo egli poggia la sua scrittura sull’ironia e sul non-sense e in più occasioni in Fantasmi romani si assiste a dei veri e propri giochi di società in cui la coppia è colta nella sua icasticità quotidiana e non nella costruzione artificiale del salotto.
Giano e Clarissa vivono il loro matrimonio come in un teatrino e ne calcano la scena mostrando credibilità, prestandosi la spalla e cercando di coinvolgere il lettore grazie alla loro versione dei fatti.
Anche in quest’ultima prova, Malerba dimostra la sua predilezione per il Witz e compie delle variazioni attorno al motivo della coppia, articolandole su livelli differenti: Giano rivela la sua doppiezza non solo nel soprannome, ma anche grazie alla sua abilità nel raccontare una barzelletta che ha per contenuto un’aquila bifronte. La storiella allude metonimicamente ad una ambiguità che riguarda non solo la natura dei personaggi, della narrazione che oscilla tra realtà e finzione, ma anche della struttura stessa del romanzo.224
Quando Starobinski si occupa del motto rousseauiano,225 egli vi vede l’antica parola ricevuta per mezzo del padre, la rievocazione linguistica di una immagine ancestrale paterna che ne è anche la chiave di decifrazione. Per lo studioso francese, il motto deriva dall’accoglimento di tale eredità, attraverso quella che egli chiama «messa in opera emblematica» e cioè la necessità di drammatizzazione di una circostanza che a sua volta offre una nuova
224 Ulteriore rinvio intertestuale al modello romanzesco a cui si ispirano i personaggi, cioè L’uomo senza
qualità di Robert Musil.
225 Secondo Starobinski, Rousseau è autorizzato alla decifrazione del motto per «la sua passione
occasione di mise en scène. Il motto quindi rappresenta «il mezzo per qualificare esplicitamente il momento vissuto e nel contempo modificarlo».226 In tal modo il motto non è più il punto di partenza o il punto di arrivo dell’atto interpretativo, ma uno strumento di mediazione.
Questo è il valore del motto di spirito con cui si apre il romanzo malerbiano, dove l’aneddoto dell’aquila bifronte diventa l’occasione per la messa in scena del matrimonio dei due protagonisti. Attorno alla battuta, infatti, si dirama la vicenda dell’amante di Giano che a sua volta si intreccia con la vicenda della moglie. Le due donne si incontrano casualmente e, durante la conversazione, si assiste ad una implicita ammissione di colpevolezza da parte dell’amante, desunta da alcuni dettagli relativi proprio alla storiella dell’aquila. Di qui il motto di spirito diventa il motore della narrazione che riguarderà Clarissa nelle sue diverse modalità interazionali con il marito, con i propri amanti e con il marito associato alla sua amante.
L’aquila a due teste allude metonimicamente ai personaggi che hanno sempre una doppia relazione, un doppio linguaggio, una doppia storia e una doppia fine. Il motto, cioè, rivela quanto ancora non è noto del passato dell’interprete, per dirla ancora una volta con Starobinski, per rendere conto della possibile origine dell’interpretazione. Clarissa non saprebbe decodificare il senso della storiella se non sapesse che Giano ha una amante e la conferma le viene proprio da Valeria stessa. Clarissa può mettersi in relazione con il significato vero del Witz perché conosce il discorso tradizionale, quello del proprio matrimonio e quindi sa riconoscerne anche le devianze.
Per Guido Almansi si tratta della capacità, tutta malerbiana, di mettere in relazione le parole e le cose in modo tale che si crei un mondo testuale che esclude ogni figurazione. Al contrario
This ametaphorical world exists literally, as if the ancient fracture between words and things had never been invented; and its inhabitants are often terrified victims of this literalness. [Malerba] could just as well have used the example of Pinocchio, who tries
to cook his dinner in a painted pot simmering on a painted fire; or of Malerba, who wants to ‘feed us with the very name of meat,’ as Kate says in The Taming of the Shrew.227
Nonostante lo scetticismo nei confronti di alcune affermazioni freudiane, soprattutto in merito al matrimonio, come già osservato da Marylin Schneider e Ruth Glynn,228 Malerba dimostra di essere in debito con alcune teorie fondamentali dello psichiatra austriaco.
La peculiarità che contraddistingue il motto di spirito rispetto a qualsiasi altra forma linguistica consiste nella facoltà costruttrice propria del motto, nella sua «prontezza», traduce Renata Colorni nella sua nota all’edizione Bollati Boringhieri del saggio, «di scoprire “somiglianze fra le cose dissimili, di trovare cioè somiglianze riposte”»,229 È vero che il motto per tale sua natura è più simile alla figura della metafora che a quella della metonimia, tuttavia, come s’è visto, il percorso attraverso cui l’interprete è in grado di accedere al significato del motto e di attivare una ulteriore occasione linguistica, lo associa inevitabilmente al meccanismo metonimico di assunzione del senso. Come si evince dall’aneddoto dell’aquila, da un lato vi è una condensazione del significato, una tensione verso la figurazione, verso il controsenso o la sospensione del giudizio; dall’altro lo stimolo ad una ulteriore manifestazione verbale. Nel romanzo malerbiano la tendenza al risparmio rilevata da Freud a proposito del motto scatena l’occasione del romanzo. La storiella dell’aquila
227 Guido Almansi, Malerba and the Art of Story-Telling, in «Quaderni d’Italianistica», Vol. 1, 1980, p. 163.
«Questo mondo a-metaforico esiste letteralmente, come se l’antica frattura tra le parole e le cose non fosse mai stata inventata e i suoi abitanti sono spesso vittime terrorizzate da tale letteralità [Malerba] avrebbe anche potuto semplicemente servirsi dell’esempio di Pinocchio che cerca di cucinarsi la cena in una pentola dipinta che bolle su un fuoco altrettanto dipinto, o servirsi di Malerba stesso che vorrebbe saziarci non con la carne ma con il suo nome, come afferma Kate in The Taming of the Shrew», traduzione mia.
228 Si fa riferimento ai due articoli di Marylin Schneider, Conoscere è mangiare: una lettura del Serpente di
Malerba, in «Italianistica», VI, nr. 1, gen.-apr. 1977, pp. 186-91 e Il Pataffio, or How to Feed on Laughter,
«Contemporary Literature», Vol. 20, nr. 4, Fall 1979, pp. 471-483; di Ruth Glynn, Self and the City: A
Psychoanalytical Reading of Luigi Malerba’s Il serpente, in «Italica», Vol. 83, nr.3/4, Fall-Winter 2006, pp.
609-628. Anche Giampiero Brunetta a proposito dei personaggi cinematografici malerbiani riconosce una certa relazione con gli studi freudiani e junghiani in Gian Piero Brunetta, Malerba sceneggiatore, in
Simmetrie naturali. Luigi Malerba tra letteratura e cinema (Atti del Convegno di Studi “Luigi Malerba. La
letteratura e il cinema”, Parma, 8-9 ott. 2009), a cura di Nicola Catelli, Parma, Diabasis, 2013, pp. 116- 125.
229 Renata Colorni, Nota alla presente edizione, in Sigmund Freud, Il motto di spirito (1905), trad. it. Silvano
non solo dà avvio alla narrazione, ma attorno ad essa si dipana e si organizza l’intera vicenda romanzesca (e metaromanzesca):
Un nido di aquile su un’alta parete rocciosa. Arriva in volo un’aquila con due teste e suscita meraviglia nella piccola comunità. Finalmente le si avvicina una del gruppo e le domanda:
«Ingegneria genetica?» «No, Asburgo» […]
A casa di amici architetti […] due sere fa stava per raccontare la storietta dell’aquila a due teste per la seconda volta. Gli ho diretto un muto segnale di allerta, fronte accigliata e occhi bassi. Giano ha capito subito e ha cambiato argomento. E adesso per favore non ti mettere in mente che Giano è un idiota […] Lo chiamo Giano invece di Gianantonio da quando ci siamo sposati una ventina di anni fa, ventidue per la precisione, e orami tutti lo chiamano Giano, anche all’Università. I maligni dicono che inconsciamente ho affibbiato a mio marito il nome del dio romano double-face per una supposta doppiezza di carattere e di comportamenti […] Ma ecco che questa storietta dell’aquila a due teste si è inserita come un chiodo di ferro nell’equilibrio imperfetto sul quale si regge il nostro matrimonio […] Per esempio ce l’ho messa tutta per cancellare dalla mia memoria una relazione di Giano con Patricia, la vorace vedova di un suo collega. (FR, 9-11)
Si osserva come la storietta dell’aquila da semplice aneddoto da salotto si tramuti nell’occasione per introdurre la duplicità del soprannome di Gianantonio e la sua possibile origine e che quest’ultima considerazione conduce necessariamente, in virtù di una duplicità condivisa, a parlare del matrimonio tra Clarissa e Giano, nonché delle avventure extraconiugali correlate e che saranno oggetto ricorrente del romanzo di Luigi Malerba e del romanzo del suo personaggio.
In Fantasmi romani, parlare per motti significa proteggersi dall’eccesso di emozione, positiva o negativa, per non distruggere il matrimonio che si fonda per l’appunto sulla menzogna e sull’omissione. Il motto pertanto salvaguarda la coppia dal contravvenire alla propria natura borghese e convenzionale. La distruzione del matrimonio avviene perciò solo sul piano della finzione
romanzesca, cioè la zona franca dove è possibile uccidere e far resuscitare i personaggi senza pudori e manovrarli a proprio piacere.
Walter Pedullà per esempio, recensendo Fantasmi romanzi, nota immediatamente l’anomalia di questa coppia: i personaggi degli altri romanzi non consumavano mai i loro bisogni o desideri sessuali, «non erano però infelici [perché] secondo loro il sesso si fa meglio con la fantasia, a voce, con l’anima, entità immateriali».230 In quest’ultimo romanzo, invece, la situazione è