CAPITOLO II Itaca per sempre e Fantasmi romani: quale romanzo matrimoniale?
5. La forma del récit:
5.1 Il matrimonio come atto di volontà
Secondo Matteo Nucci, anche nell’Odissea la scena del riconoscimento fra marito e moglie è più complessa di come appare. Innanzitutto perché è estranea alle dilazioni temporali consuete per la narrazione omerica e in seconda battuta perché Penelope è oramai convinta che Ulisse non tornerà.177 Ciò consentirà ad Ulisse di risolvere la questione del riconoscimento in privato. Egli necessità di una prova che dia segno tangibile della sua identità, perché parte di un segreto condiviso solo da marito e moglie. Il romanzo di Malerba sembra sfruttare lo scetticismo di Penelope nei confronti di tale prova per affermare quel principio di volontà che per l’autore emiliano è il principio fondativo della realtà.
Non ha importanza che Ulisse sia veramente Ulisse e che innumerevoli prove pubbliche e private lo dimostrino inequivocabilmente: la cicatrice, la
gara con l’arco, l’indovinello del talamo. Di fatto il gesto di accoglienza con cui Penelope riammette Ulisse nella reggia è l’unico che legittima il matrimonio giuridicamente già esistente. Malerba, enfatizzando sulla dubbia identità del mendicante, avendo demitizzato i suoi personaggi e secolarizzato l’intera vicenda è libero di introdurvi, reinterpretandolo in chiave moderna, il senso primigenio del matrimonio cristiano che si fonda su un atto di fede. Malerba trasforma tuttavia la fede in un atto di volontà in cui, però, del legame con Dio non vi è più traccia.178
Affermando la volontà che l’uomo dinnanzi a lei sia Ulisse, Penelope afferma la propria volontà di essere sposata con costui. In tal modo, ella dà sostanza a quello che fino ad allora è stato un fantasma. La volontà nietzscheana che si realizza in potenza, diventa in Malerba il principio ontologico della realtà. Il “fare finta che sia”, strategia principale di Ulisse, si trasforma per Penelope in un “essere”, secondo un assunto esposto in più momenti dall’autore nel volumetto intitolato Consigli inutili.
L’atteggiamento penelopeo incorpora nella rappresentazione matrimoniale uno dei fondamenti teorici dell’operato malerbiano e cioè che «d’ora in poi [nella narrazione] nulla sarà reale né vero».179 L’atto di volontà
178 Una interessante chiave di lettura è offerta dall’articolo di Ferdinando Camon Matrimonio e romanzo
in Italia, in «La Stampa», Tuttolibri, 29 gen. 2005, ora reperibile on line su
http://aquilanonvedente.blog.kataweb.it/aquila_non_vedente/2008/05/. Nell’articolo lo scrittore padovano, facendo anche riferimento agli scritti sulla rappresentazione del matrimonio di Fabio Danelon, sostiene che il matrimonio cattolico e quindi anche il matrimonio borghese è fallimentare per la sua intrinseca natura di essere un legame a tre. Scrive Camon: «nel matrimonio cattolico lui non è legato a lei e lei non è legata a lui, ma ognuno dei due è legato ad un terzo elemento, il quale non cambia ma resta fisso e immutabile per l’eternità. Il matrimonio cattolico è un matrimonio a tre. Quando c’è perfetta conoscenza di questa tripla presenza, il matrimonio è nullo, mai esistito».
179 Walter Pedullà, Luigi Malerba, in «L’illuminista», cit., p. 101. L’espressione di una volontà come
principio fondativo del mondo non contraddistingue solo la coppia, ma è enfatizzato anche attraverso la figura del figlio Telemaco. Egli ha la funzione di mediatore e permette a Ulisse di portare a compimento il percorso interiore e di ri-identificazione: «La mia volontà è dunque che il nostro ospite indossi gli abiti di Ulisse che sono stati conservati gelosamente come ricordo e nella speranza del suo ritorno. Io ti dico che il mio padre Ulisse è ritornato e onorevolmente potrà indossare i suoi abiti antichi.» (IS, 133). Ulisse al contrario ha frainteso il discorso del figlio: «Desiderava un padre e alla fine ha deciso di accogliermi come padre» (IS, 172-73). Telemaco non è alla ricerca di una figura paterna, egli parla piuttosto di «il mio padre Ulisse». La presenza dell’articolo determinativo denota la specificità del padre, a riconferma che, a differenza di Penelope, Telemaco è veramente certo che l’ospite sia Ulisse. L’articolo determinativo, infatti, impiegato in presenza di un aggettivo possessivo e di un nome di famiglia, rafforza la convinzione che l’unico padre che Telemaco ha è Ulisse.
con cui Penelope dà forma e sostanza al proprio matrimonio incarna quel “realismo d’invenzione” condiviso con Sanguineti e secondo il quale la finzione permette di considerare un mondo possibile fintanto che la sua rappresentazione è plausibile e verosimile. Si tratta di quella stessa strategia dell’invenzione già inaugurata nel 1966 con Il serpente e attraverso la quale Malerba elicita all’interno del romanzo i passaggi attraverso il quali dall’immaginazione si arriva alla realtà delle cose:
Guarda che io non ne so niente di tutta questa storia, se insisti posso dirti che ero io ma ti direi una bugia. Accetto anche una bugia, dissi, basta che mi racconti cosa facevi dentro a quella cabina del Kursaal quel giorno in compagnia di quel giovane peloso. Devo sapere se ho le corna, dissi. Se queste sono corna, disse Miriam, allora hai le corna. Vuoi dire che eri tu quel giorno dentro quella cabina? Sì, disse Miriam, ero proprio io insieme a quell’uomo peloso. Allora ho le corna, dissi. (S, 74)
Alla dichiarazione del nesso causa-effettuale («se… allora…») che costituisce la formulazione dell’ipotesi di pensiero, il protagonista passa direttamente alle conclusioni che per lui rappresentano la realtà. Miriam, infatti, gli dice esattamente ciò che lui vuole sentire perché lo vuole sentire. Non si tratta di menzogne o autoinganno, bensì di finzioni180 secondo l’accezione che lo stesso Malerba ne dà in un’intervista rilasciata al Gruppo Laboratorio nel 1994: «Le finzioni non sono falsità, sono una realtà mentale modellata sui desideri (o sulle ossessioni) con la quale si può vivere confortevolmente se non si ha la pretesa di descrivere il mondo».181
Lo stesso personaggio di Penelope sembra rinforzare tale concezione al punto che l’autore le fa dire: «Le verità del mondo sono tante, ma vale soltanto quella che tu hai scelto secondo i suggerimenti dell’amore e dei buoni spiriti […] Che cosa mi importa a questo punto se qualcuno dubita che sia il vero
180 Si osservi che a proposito della circostanza appena citata dal Serpente, il protagonista conferma
quanto detto a proposito dell’invenzione della realtà qualche capitolo più avanti quando dice: «Quel tipo peloso non era mai esistito, me lo ero inventato io perché non volevo nominare Baldasseroni» (S, 133). In Itaca per sempre, Penelope ammette che è irrilevante che Ulisse sia il vero Ulisse, ma l’importante è che il mendicante sia come Ulisse così che lei lo possa accettare come marito. Ugualmente accade in Fantasmi romani a proposito di Giano che nel suo romanzo si inventa non solo la malattia di Luccio Nerissi, ma anche il contagio e la morte della sua amante Marozia.
Ulisse? Io l’ho riconosciuto come Ulisse» (IS, 168-69). In fondo le esperienze vissute ricevono uno statuto di veridicità solo nella loro metamorfosi narrativa. Attraverso tale procedimento si nota non solo una introduzione dell’elemento soggettivo assente nell’Odissea, ma anche che la questione matrimoniale diventa un questione identitaria che si sviluppa sul piano del discorso e non più sul piano del contenuto. Ulisse è Ulisse perché Penelope accetta di parlare di lui in questi termini.
L’originalità del romanzo infatti poggia su due elementi degni di nota. Innanzitutto vi è il fatto che il riconoscimento è gestito completamente dalla donna, che assume il rischio e la responsabilità della propria decisione. Ella è così in grado di ristabilire il segreto alla base della relazione e che Ulisse ha infranto celando la sua identità.182 Tutto ciò sembra supportato dal testo omerico stesso in cui si osserva che, a differenza che per l’eroe, le parole e le azioni di Penelope non sono suggerite da un dio, ma il frutto di alcune qualità che la contraddistinguono come la prudenza e l’astuzia. Elementi che, scrive Nucci, «sono la loro vita comune, qualcosa che si è perso […] La perfetta donna di Odisseo è rimasta fino alla fine astuta come lui, prudente come lui, calma e attenta come lui».183
Il secondo aspetto invece riguarda propriamente la sostanza del matrimonio e si inserisce a buon diritto in una più ampia riflessione intorno al tema dell’articolarsi delle relazioni sentimentali in età moderna e postmoderna, come ha modo di sottolineare anche Bernadette Bricout in occasione della serata con Julia Kristeva intitolata all’Amore dell’altro:
In mezzo a queste parole sommerse da un fiume di malintesi, c’è la parola «amore», una parola al tempo stesso sempre presente nella società di oggi, e una parola svilita in una società in cui il sesso non è più un’arte, ma una tecnica, dove gli incontri si programmano molto di frequente su siti ad hoc, dove il Principe azzurro e la sua Bella «navigano» su internet alla ricerca l’uno dell’altra; e si riconosceranno in base a criteri di età, peso,
182 «Ulisse ha smarrito ormai la prospettiva misteriosa dei desideri reali cui ha diritto non solo la sua
sposa ma ogni donna del mondo» (IS, 67).
misure, o a parametri sociali ed economici spartendo poi con noi le loro intime confessioni sul palco televisivo. Ora, lo sappiamo, l’amore ha bisogno del segreto. È un oggetto instabile, fragile, un oggetto dai contorni incerti.184
L’esteriorizzazione della sfera privata peculiare nei romanzi malerbiani non aspira alla spettacolarizzazione del matrimonio come invece nell’Amore
bugiardo. Al contrario, ne mette in luce le criticità e la frattura apertasi nel
tempo. Tuttavia, l’essenza misteriosa della relazione amorosa è conservata in quanto al termine della lettura la coppia omerica è scomparsa lasciando il posto ad una coppia che fonda la sua esistenza su un segreto irriducibile: l’accettazione da parte di entrambi che il mendicante sia veramente Ulisse e non un impostore. Il nodo, che Malerba intenzionalmente non scioglie, rimane una questione interna ai due, cui è demandato il mantenimento di tale segreto, senza il quale il matrimonio non avrebbe alcuna ragion d’essere. La privatezza del matrimonio è garanzia del sentimento amoroso che si alimenta nel matrimonio a sua volta grazie alla durata, alla condivisione di un spazio comune e alla dialettica degli opposti che vi include anche l’odio:185 «Povero Ulisse, come lo odio, e come lo amo nonostante tutto anche sotto questi luridi stracci di mendicante» (IS, 69); «Nel libro di Giano, o meglio nelle pagine che ho letto qua e là […] c’è un odio che traspare da ogni riga, un odio strano che comincia dal nome del personaggio, Zurlo» (FR, 78).
La necessità di ricreare il segreto è cruciale anche durante la scena conclusiva dell’incontro tra Ulisse e Penelope. In quel frangente è Ulisse a confidare il suo segreto a Penelope, seppur nella forma di un discorso riportato dalla donna, e rivela il nuovo carattere di Ulisse, quella estraneità a se stesso e a Penelope che rende complessa la rinascita della coppia.
“Si dice che dalle conchiglie si possono ascoltare tutti i rumori del mare” avevo detto a Ulisse, “il frangersi delle onde, il sibilo del vento, l’ululato della tempesta, gli stridi dei gabbiani. Ma qui siamo
184 Si rivia a Julia Kristeva e Philippe Sollers, L’amore dell’altro, Il matrimonio considerato come un’opera d’arte,
trad. it. Elisa Donzelli, Roma, Donzelli, 2015, pp. 108-109.
185 Julia Kristeva e Philippe Sollers, Il matrimonio, cit., p.113: «Per quanto se ne dica, l’amore si protegge
attraverso complicità segrete e all’interno delle famiglie: è coabitando con l’odio che un po’ di tenerezza, leggerezza, infanzia, in fin dei conti, salvano ancora dal disastro».
sulla riva del mare e allora perché ne ascolti i rumori dentro una conchiglia?” “Non i rumori del mare ascolto nella conchiglia” mi aveva risposto Ulisse “ma la voce della mia sposa, la voce di Penelope amata che mi parla da Itaca lontana. Io chiudo gli occhi e sento la sua voce, e quella di Telemaco bambino che strilla e balbetta le sue prime parole.” “Mi ero commosso, amabile regina, ma ancora una volta ho ammirato Ulisse perché sapeva rimediare con l’ingegno anche alle peggiori congiunture. E ho sentito che anche dopo un terribile naufragio è arrivato a terra portando con sé la sua conchiglia sonora che spesso accostava all’orecchio per confortarsi nei momenti di malinconia”. (IS, 57-58)
A questo punto del romanzo vi è uno scioglimento della tensione e Ulisse si mette a nudo. Si tratta di una confessione privata fatta solo alla moglie e non condivisa con altri, né con Euriclea, né con Telemaco, né con Eumeo. Una confessione che riguarda non più l’identità del personaggio ma la sostanza del matrimonio. Malerba ci presenta un uomo quasi trasfigurato, un uomo post-freudiano assediato dalla malinconia,186 in contemplazione della bellezza dell’universo, profondamente conscio dei moti dell’animo.
Quando finalmente l’autore restituisce a Ulisse la parola, dopo il primo incontro, ci accorgiamo con sconcerto che la riservatezza della regina ha prodotto in lui una forte delusione. Ulisse interpreta la freddezza di Penelope come un mancato riconoscimento e come il rifiuto ad ammettere la sua identità e il suo ritorno: «Penelope non mi ha riconosciuto. Ha chiamato le ancelle e ha ordinato di preparare vesti dignitose per coprirmi, mi ha promesso pasti regolari dentro la reggia come ricompensa per il mio racconto e infine ha chiesto se può dare ordine di bruciare i miei stracci pieni di pulci» (IS, 60).
Ulisse comprende che la moglie non l’ha riammesso nella sua casa come sposo, ma solo come ospite del quale ha profonso rispetto: gli offre
186 Sull’impiego del termine malinconia, anche Malerba esprime una iniziale titubanza, subito fugata.
Tuttavia, poiché il termine porta con sé una modernità innegabile coerente con il personaggio ulissiaco tratteggiato dall’autore, non è del tutto fuori luogo se si considera che il temperamento malinconico era già noto nel mondo greco. La spregiudicatezza malerbiana deriva anche dalla intenzione straniante tipica della sua scrittura che intende risvegliare il lettore e sottoporlo a interrogazione: «“È la prima volta” disse Penelope “che sento attribuire a Ulisse il sentimento della malinconia. La cosa mi sorprende, ma è anche vero che gli uomini non sono di pietra e cambiano con il passare degli anni e delle occasioni. La notizia della conchiglia, così commovente, mi giunge del tutto nuova come nuova è per me l’immagine di un Ulisse malinconico. Ma qualche volta i sentimenti sono più leggeri degli uomini che li portano.”» (IS, 58).
cibo, abiti, un giaciglio. Non si tratta di cortesie personali, ma di onorare il vincolo sacro dell’ospitalità.
Non potendolo ripudiare ufficialmente, la regina escogita una punizione esemplare: ella gli nega la restituzione del nome. Se l’identità eroica era legata alle vicende compiute e alla narrazione delle avventure e delle imprese, l’identità di uomo (re, marito e padre) è ora nelle mani di Penelope. Il mancato riconoscimento pubblico di Ulisse da parte della regina, lo condanna ad un destino pari al soprannome che Ulisse si era dato per fuggire da Polifemo. Solo Penelope, riaccogliendolo, può attestare che lo sconosciuto è effettivamente l’atteso re di Itaca. Poco conta se Telemaco, Eumeo, Euriclea, il cane Argo e Laerte siano convinti del contrario. Da un punto di vista gerarchico solo la regina consorte ha il potere di imporre tale decisione e riabilitare definitivamente Ulisse. La lontananza fisica tra i due, che la vicenda letteraria ha reso estranei, non li ha però separati del tutto. L’essenza della relazione, lungi dall’essere sentimentale o erotica, si è conservata infatti nel linguaggio. Grazie ad esso è possibile discernere il matrimonio anche quando, come già dieci anni prima nel racconto Strategia, uno dei due membri non è più lo stesso. Anzi, per dirla con la Kristeva, il romanzo malerbiano esprime tutta la sua originalità nell’inscenare due atti distinti di volontà: Penelope decide di accettare la narrazione del mendicante che dice di essere Ulisse e Ulisse a sua volta decide di rinunciare ai calzari donatigli dalla moglie e di rimanere ad Itaca per sempre.
Scrive l’intellettuale francese:
Il «nome» matrimonio è diventato – nel tempo di due vite – quella realtà che ci ricrea, sospesa in ogni istante come una grazia e una minaccia invisibili, come la sostanza che nutre e bagna le cose senza mescolarvisi. Essa non riassorbe, né fuori né dentro di sé, il dolore delle rinunce, dei sacrifici, delle condanne a morte, delle rinascite caduche; non nega i nostri riflessi animali, le bestialità e le pulsioni insensate, le nostre decadenze, malattie e cure, né la certezza della morte. In essa e con essa, tali tumulti
passano il testimone a un legame sovrano, il solo possibile perché lucido, che mi fa essere là dove io devo stare.187
Penelope ed Ulisse, in due momenti diversi, decidono il luogo in cui vogliono e devono stare: cioè nel matrimonio. La necessità di essere separati ma insieme, singolarmente nella coppia, è ciò che rende possibile il loro matrimonio alla luce degli eventi e delle sofferenze che si sono susseguiti per più di vent’anni. Uno spazio non geografico certamente, ma uno spazio sovratemporale in cui i coniugi si concepiscono insieme anche quando non si trovano nello stesso luogo. Collocarsi nello spazio del matrimonio comporta il pensarsi dei singoli individui come elementi distinti di un medesimo corpo linguistico.
Un modello che si riconferma anche nel romanzo successivo, Fantasmi
romani, dove la volontà di stare nel matrimonio si esplica nella volontà del
personaggio maschile di possedere la propria moglie e averla solo per sé nel romanzo che sta scrivendo, mentre nella realtà è costretto a dividerla con i suoi amanti. Ciò si esplica anche nella volontà del personaggio femminile di entrare nel romanzo come co-autrice, cioè in un dialogo che nella realtà non avviene e che invece sul piano della finzione può trasformare la narrazione della narrazione di entrambi.
La duplicazione delle voci, peculiarità dei due romanzi, dà conto di tali universi. In ogni caso di due universi singoli e distinti che compongono non solo la coppia ma costituiscono anche l’unica forma possibile di rappresentazione del matrimonio: i tableaux giustapposti presentano uno stesso motivo del discorso articolato da due punti di vista differenti corrispondenti all’universo maschile e femminile che si confrontano e si scontrano e in cui finalmente, con la rilegittimazione coniugale di Ulisse, viene a ricostituirsi lo
stare insieme. La conclusione del romanzo sancisce definitivamente, anche sul
piano del contenuto, per sempre, la natura linguistica del matrimonio: Malerba sceglie per il suo personaggio la rinuncia al viaggio in favore della scrittura
delle proprie memorie, spostando la riflessione della rappresentazione del matrimonio sul piano della scrittura che avrà il suo compimento nel proprio progetto di Fantasmi romani.
5.2. Déplacément du récit: la funzione iterativa del linguaggio