CAPITOLO II Itaca per sempre e Fantasmi romani: quale romanzo matrimoniale?
1. La funzione dell’io narrante e l’introduzione della dimensione psicologica.
Sul genere del romanzo matrimoniale si è già in parte detto. Nel secondo capitolo si tenterà di approfondire la riflessione sull’Eheroman ed investigarne le funzioni e gli effetti legati all’ispessimento del rilievo della sfera psicologica. Tra i primi elementi che suscitano l’attenzione vi è la scelta a favore di una voce narrante, a fuoco zero, il cui impatto sulla narrazione sarà analizzato in opposizione all’impiego della terza persona. In quest’ultimo caso, infatti, il narratore onnisciente osserva lo svolgimento della storia con uno sguardo distaccato che gli consente di consegnare al lettore una registrazione dei fatti con pretesa di credibilità, anche quando inserisce giudizi o commenti.
Il lettore riceve l’impressione di essere di fronte alla complessità e alla completezza dell’informazione grazie all’alternanza di discorso diegetico e mimetico, alla ricostruzione meticolosa degli ambienti e del tempo storico, alle eventuali integrazioni fornite dal narratore.94 In questo tipo di romanzo i personaggi risultano integri e credibili, sia che essi ricoprano il ruolo di protagonisti sia di antagonisti. La vicenda matrimoniale sembra così un ritratto di famiglia che riflette, con una certa attendibilità, le dinamiche sociali
94 Elementi che non mancano nel romanzo malerbiano Itaca per sempre. Tuttavia l’autorevolezza del
narratore è messa in discussione dalla presenza inconfutabile dell’autore che discute temi a lui cari, ma di difficile conciliazione con la vicenda omerica (il senso della guerra e il significato dell’eroismo, l’avvento della scienza e dei numeri, della dignitas). La presenza dell’autore è rivelata anche da certi usi lessicali utilizzati nella loro accezione moderna come per esempio il termine «malinconia». La necessità di attualizzare l’epos per avvicinarlo alla sensibilità del lettore moderno è salvaguardata dal ricorso all’artificio retorico dello straniamento, come nota in più circostanze Maria Corti, perché crea nei personaggi in primis e quindi nel lettore un effetto di sorpresa e disagio, simile a quello esternato dal porcaro Eumeo con l’effetto di rinnovare lo sguardo su una vicenda cristallizzata da secoli di tradizione.
dell’epoca, come in Resurrezione (Voskresenie), composto a lunghi intervalli da Tolstoj tra il 1889 e il 1899,95 o che le anticipa come nella storia narrata da Ibsen in Casa di bambola (1879), dove la frattura tra l’etica del sentimento e del lavoro mette in crisi il matrimonio e anche la possibilità dell’individuo di autorealizzarsi.
L’utilizzo della prima persona rappresenta un momento cruciale per il
genre matrimoniale in quanto, nelle mani del narratore interno, la vicenda non
sussiste più solo in quanto descrizione dei fatti, ma comprende i moti dell’animo, le intenzioni, i progetti e le interpretazioni emotive del narratore rispetto ai fenomeni. La rielaborazione dell’esperienza vissuta perde la sua valenza universale e si riferisce ora espressamente al narratore. Ora egli è il soggetto dell’esperienza e l’unità di misura. Tale tipo di narrazione condivide per la struttura del discorso alcuni elementi tipici con il genere autobiografico e con il romanzo confessionale in cui è noto che la veridicità della vicenda è compromessa dalle omissioni e manipolazioni, talvolta anche elicitate, del narratore. Se nel romanzo in terza persona le esperienze interiori si possono
95 Resurrezione non è propriamente un romanzo matrimoniale ma si articola a partire dalla presa di
coscienza del principe Nechljudov che il matrimonio è uno strumento di salvezza e di redenzione attraverso cui scontare le proprie colpe e innalzare lo spirito. Il matrimonio è slegato da ogni elemento romantico tant’è vero che i due personaggi del principe e della ex-prostituta si amano ma al matrimonio preferiscono la salvezza dell’anima. Inoltre, come già nella Sonata a Kreutzer o in altri romanzi, ritroviamo qui una struttura a tesi che riflette esplicitamente sul matrimonio procedendo dal generale al contingente: «A favore del matrimonio in genere c’era, in primo luogo, il fatto che il matrimonio, oltre ai piaceri del focolare domestico, eliminando l’irregolarità della vita sessuale consentiva di vivere secondo morale; in secondo luogo e soprattutto Nechljudov sperava che la famiglia, dei bambini, avrebbero dato un senso alla sua vita così insulsa. Questo a favore del matrimonio in generale. Invece contro il matrimonio in genere c’era, in primo luogo, il timore comune a tutti gli scapoli non più giovani di perdere la libertà, e in secondo luogo il timore inconscio dinnanzi all’essere misterioso che è la donna. In particolare poi a favore del matrimonio con Missy […] c’era, in primo luogo, il fatto che lei era di razza e in tutto, dall’abito alla maniera di parlare, camminare, ridere, si distingueva dalle persone comuni per qualcosa di esclusivo, ma per la sua “distinzione” – non conosceva altra parola per esprimere quella qualità che apprezzava moltissimo; in secondo luogo c’era poi il fatto che lei lo stimava più di chiunque altro, quindi, secondo lui, lo capiva. E questa comprensione, ovvero il riconoscimento delle sue alte doti, era per Nechljudov una prova d’intelligenza e della capacità di giudizio di lei. Invece contro il matrimonio con Missy in particolare c’era, in primo luogo, il fatto che con ogni verosimiglianza si sarebbe potuta trovare una ragazza con molte più qualità della stessa Missy, e perciò più degna di lui, e, in secondo luogo, lei aveva ventisette anni, e quindi aveva certamente aveva avuto già degli amori precedenti, - e questa idea era un tormento per Nechljudov. Il suo orgoglio non si rassegnava al fatto che, seppure in passato, ella avesse potuto amare qualcuno diverso da lui […] Cosicché c’erano tanti argomenti pro, quanti contro; per lo meno la forza di questi argomenti era pari», in Lev Tolstoj, Resurrezione (Voskresenie, 1899), trad. it. Emanuela Guercetti, Milano, Garzanti, 1988, pp. 19-20.
solo intuire attraverso la descrizione di mutamenti esterni riferiti al personaggio: il colorito, i movimenti del volto o del corpo, la gestualità e la mimica o il tono della voce, ora invece l’interiorità è portata in superficie direttamente dal personaggio che vuole condividerla con il lettore per una molteplicità di scopi.
Non si tratta semplicemente di uno sviluppo del romanzo alla luce delle scoperte freudiane e dell’attenzione filosofica per il soggetto durante la prima metà del Novecento, ma di un ben più lungo e articolato processo di formazione della soggettività poetica e letteraria che comincia con le Confessioni di Sant’Agostino e passa attraverso il romanzo confessionale e poi epistolare settecentesco per giungere alla quasi totale intraducibilità nel romanzo ripensato dalle neoavanguardie e dagli esperimenti del postmoderno.96
Tuttavia, è innegabile che il modello di riferimento sia Le Confessioni (Les
Confessions, 1765-1770) di Jean-Jacques Rousseau. A buon diritto non un vero
romanzo, ma il lavoro del pensatore francese, che influenzò anche Tolstoj, si proponeva di tracciare una sorta di enciclopedia che esplorava i territori dell’io finalmente sincero di fronte a se stesso e al mondo. L’impiego rousseauiano della prima persona ha la funzione specifica di dare voce ad un narratore a cui sta stretto il modello privato della confessione. Tale narratore è perciò indotto a collocare il desiderio passionale in un contesto aperto alto borghese o aristocratico dal quale egli desidera ricevere l’approvazione e il riconoscimento.
La confessione rousseauiana rende per la prima volta manifesta l’origine passionale del linguaggio soprattutto laddove il comportamento regolato dalle norme sociali e dalle differenze di ceto non consente di esprimere liberamente l’erotismo comunque contenuto della vita. «La confessione», commenta Alfonso Berardinelli in un suo saggio dedicato agli
96 L’emergere della soggettività nella tradizione letteraria occidentale è oggetto di uno studio sulla
poesia moderna pubblicato da Guido Mazzoni nel 2005 per i tipi del Mulino, Sulla poesia moderna, e di una più recente ricerca di Stefano Colangelo, Il soggetto nella poesia italiana del Novecento, Milano, Bruno Mondadori, 2009. L’imporsi nella poesia di temi e strutture più confacenti all’universo interiore dell’individuo precorra di gran lunga la letteratura in prosa apparentemente meno legata a modelli retorico-stilistici rigidi. I due studi citati, tra i numerosi altri sull’argomento, pur occupandosi del genere poetico, si sono rivelati preziosi strumenti di spunto per ulteriori riflessioni sulla prosa.
archetipi romanzeschi «è infatti l’atto comunicativo più impegnativo e rischioso in cui un individuo si consegna moralmente a un altro, si spoglia di fronte a tutti (e ad ognuno) delle proprie difese sociali e delle proprie maschere».97
Il carattere soggettivo della narrazione novecentesca, tipico anche della scrittura malerbiana, costituisce al contrario una presa di posizione rispetto alla pretesa di verità e realismo che aveva caratterizzato il secolo precedente: l’io demistifica, invece che confermare, la pretesa di verità. Nelle opere dello scrittore emiliano ciò si traduce nella maturazione della consapevolezza che l’uomo contemporaneo si trova nell’impossibilità di parlare di una esperienza in termini generali, ma anche nella capacità del narratore interno di manipolare radicalmente l’informazione senza che ciò impedisca al lettore di continuare a identificarsi con il racconto e nel personaggio.
In almeno due opere Luigi Malerba si assume la responsabilità di chiarire le motivazioni della sua scelta, ma fornisce spiegazioni il più delle volte capziose e non esaustive98 con l’esplicito scopo di sollecitare l’interrogazione del lettore. Costui non si trova quasi mai dinnanzi a storie, situazioni e personaggi lontani dalla propria esperienza. Al contrario, Malerba costruisce
97 Alfonso Berardinelli, L’incontro con la realtà, in Il romanzo. Le forme, a cura di Franco Moretti, Torino,
Einaudi, 2002, II, p. 355.
98 «I racconti che compaiono in questa raccolta sono scritti in prima persona. Si tratta di un lieve
espediente retorico che, avendo facilitato il compito all’autore, si presume possa aiutare anche il lettore a farsi partecipe di situazioni e storie e personaggi che spesso esulano dalla comune esperienza. In un solo caso l’autore non è riuscito a immedesimarsi con il protagonista per una particolare, invincibile ripugnanza “politica”. Così l’ultimo racconto è scritto in terza persona e proiettato in un futuro tanto lontano da non turbare il lettore che vorrà leggerlo in trasparenza» (DP, 3). «Che [questa storia] si rivolga al lettore in prima persona è un artificio che ho usato molte volte nei miei libri e anche in questo caso mi ha permesso di procedere secondo necessità narrative che, di pagina in pagina, mi hanno portato su strade assai lontane dalla suggestione iniziale», in Luigi Malerba, Le pietre volanti, Milano, Rizzoli, 1992, p. 8. In una intervista del 1994 intitolata L’epoca del non lettore e pubblicata a cura del Gruppo Laboratorio, Luigi Malerba dichiara a proposito dell’impiego della prima persona: «Più che “falsificatore” forse il narratore che compare spesso in prima persona nei miei libri (ma la prima persona non è essenziale a ciò che sto dicendo) si definisce come autore e protagonista di “finzioni” […] nel migliore dei casi l’espressione, fondamento di ogni arte, sussiste nella incertezza, nelle ambiguità, nella pluralità dei significati che sono la sua ricchezza ma anche il suo limite. Fatta questa constatazione alcuni miei personaggi dopo avere parlato per qualche centinaio di pagine in prima persona, fanno l’elogio del silenzio, dicono di aspirare al silenzio. È l’ultima contraddizione di chi aspira segretamente agli assoluti.», ora con lo stesso titolo La narrativa di Luigi Malerba, in «L’illuminista», a cura di Walter Pedullà, nr. 17/18, dic. 2006, pp. 73-74.
l’effetto straniante dei suoi racconti a partire dalla familiarità del lettore con essi, come dimostrano per esempio Il serpente, i racconti di Dopo il pescecane, la riscrittura dell’Odissea o l’ultimo romanzo Fantasmi romani.99
Malerba sfrutta la familiarità con l’ambiente e con la condizione coniugale per produrre una deflagrazione e far saltare i punti di riferimento certi che il lettore ha nella realtà. Egli fa leva su «quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare […] tutto ciò che avrebbe dovuto rimanere segreto, nascosto, e che invece è affiorato».100
Anche per questo, lo scrittore emiliano non fa mai uso della prima persona per dare vita ad un racconto autobiografico. Né Ulisse né Giano scrivono la propria biografia, benché Ulisse si riproponga di farlo alla fine di
Itaca per sempre. Entrambi rielaborano ad alta voce o in forma di romanzo fatti e
turbamenti vissuti nella quotidianità. Accanto alla riflessione del narratore maschile, l’autore alterna quella di un narratore femminile, differita dalla precedente in termini di spazio e di tempo, in quanto la voce della memoria non sottostà ad un ordine logico preformato. Sia Ulisse sia Giano, inoltre, attribuiscono a se stessi una peculiare condizione di alterità, assente quando invece nel romanzo autobiografico a causa del movimento e della durata del racconto che avviene mentre l’io lo sta scrivendo. Inoltre il racconto autobiografico, per essere considerato tale, dovrebbe coprire un arco temporale sufficiente perché vi appaia il tracciato di una vita, talvolta con la contaminazione di elementi memoriali dovuti alla testimonianza diretta. Invece nei romanzi malerbiani tutte le imprese sono attribuite ad un eroe: tale Ulisse, che intenzionalmente risulta una figura dissociata da quella del mendicante o ad un personaggio romanzesco, tale Bubi, che non è Giano nonostante ne sia l’alter ego letterario. Pertanto il monologo esteriore messo a punto da Luigi
99 I titoli citati non sono i soli, ma certamente i più significativi sia per il contenuto sia per l’arco
temporale che li comprende confermando ancora una volta la coerenza e la continuità della ricerca poetica e formale dell’autore. Non andrebbero tuttavia trascurate anche opere come Testa d’argento o Ti
saluto filosofia.
100 Sigmund Freud, Il perturbante (1919), trad. it. Silvano Daniele, Roma-Napoli, Theoria, 1984, p. 16 e
Malerba sfrutta l’abilità della prima persona per entrare in contatto con il lettore e disorientarlo nell’attività interpretativa, ma somiglia anche per la sua scansione interna e per i contenuti ad un diario intimo in cui il narratore si confida con il suo lettore. Per esempio, più che alla confessione privata agostiniana, in cui il monologo alludeva in realtà ad un dialogo personale con Dio, il monologo esteriore di Itaca per sempre mette in scena il discorso dei personaggi con il proprio intimo che avviene a livello mnestico, se non fosse che la voce romanzesca riproduce un discorso orale non verbalizzato. L’alternanza delle voci di Penelope e Ulisse rievoca a sua volta lo scambio monco tipico del genere epistolare101 e al contempo l’Entwicklung del personaggio.
Nonostante ciò, la prima persona malerbiana non assume come oggetto della sua narrazione il proprio passato, ma si svolge come un tentativo di analizzare il presente e il futuro sulla base di quanto è avvenuto nel passato. Pur costituendo una rete coerente e articolata che si concretizza nel romanzo, i discorsi di Ulisse e di Penelope, proprio perché non condivisi, sono autoreferenziali. Entrambi, separatamente ma nel medesimo momento, sezionano la propria esperienza e la propria esperienza matrimoniale e si interrogano con un atteggiamento tutto moderno sul fatto se valga la pena o meno di essere una coppia sposata.
101 In un suo saggio sul romanzo sentimentale moderno intitolato Segni della passione. Il romanzo
sentimentale, 1700-2000, in Il romanzo. Le forme, a cura di Franco Moretti, Torino, Einaudi, 2002, vol. II,
pp. 383-412, anche Beatriz Sarlo mette in evidenza il debito di questo genre nei confronti del modello romanzesco epistolare. La studiosa argentina fornisce una sintesi della storia e dello status attuale del romanzo sentimentale analizzandone la genesi e il successo in relazione al pubblico dei lettori, per lo più donne. La Sarlo sottolinea come il romanzo d’appendice fornisse non solo un’alternativa alle letture altrimenti di solo carattere ecclesiastico o pedagogico, ma fosse anche un vero e proprio strumento di educazione sentimentale per la donna che si lascia letteralmente sedurre dall’idea di felicità inseguita e talvolta raggiunta dalle eroine dei romanzi ed esaltata, nonostante i rischi di fallimento, dalle lettere d’amore di cui esse sono mittenti e destinatarie. La vicenda di Madame Bovary, sostiene la Sarlo non del tutto a torto, rappresenta letterariamente un aperto attacco al romanzo sentimentale e inaugura l’inizio di una riflessione più attenta intorno ai temi sentimentali e quindi anche matrimoniali che, a suo dire, non sono legati da una relazione causa-effettuale come la tradizione borghese ha voluto far credere. Le donne, già protagoniste dei romanzi sentimentali ed epistolari, continuano ad essere le protagoniste dei romanzi d’oggi, ma assumono un atteggiamento più attivo e critico nei confronti delle vicende che le riguardano. In questo filone di pensiero va collocato anche il lavoro di Luigi Malerba che con Itaca per sempre sviluppa un discorso iniziato nel 1976 con lo sceneggiato di Madame Bovary.
Lo sguardo retrospettivo dei personaggi si ripiega su se stesso e si riflette in un presente che risulta ad entrambi sconosciuto e irriconoscibile in quanto l’assenza di Ulisse ha provocato un vuoto causa-effettuale di tale portata che l’identità dei due è messa reciprocamente a rischio. È pur vero che, come sostiene Erich Auerbach, Penelope in vent’anni non è cambiata quasi per nulla, ma l’osservazione del critico tedesco è valida limitatamente al suo aspetto fisico. Al contrario, la trasformazione interiore che riguarda entrambi è tale da averli resi estranei l’uno all’altra. Tale mutamento costituisce la materia per un discorso narrativo che, secondo Starobinski
ha l’io come soggetto e come ‘oggetto’ […] proprio perché l’io passato è differente dall’io attuale, quest’ultimo può veramente rivelarsi in tutti i suoi attributi, in quanto non narrerà soltanto quello che gli è capitato in un altro tempo, ma soprattutto come, da altro che era, è divenuto se stesso. In questo caso la discorsività della narrazione trova nuova giustificazione, non più attraverso il proprio destinatario, ma tramite il proprio contenuto, dovendosi ritracciare la genesi della situazione attuale, i fatti cioè che hanno preceduto il momento a partire dal quale si tiene il ‘discorso’ presente. La serie degli episodi traccia una via (talvolta sinuosa) che conduce allo stato attuale di conoscenza riepilogativa.102
In tal modo il passato viene attualizzato e reso presente nella relazione di Ulisse con l’hic et nunc di Itaca e di Penelope. Le scelte verbali nel romanzo prediligono, infatti, il tempo presente, metafora di un tempo-spazio sconosciuto ad Ulisse e nel quale l’eroe è svantaggiato a causa della sua lunga assenza. L’osservazione, lo starobinskiano regard, agevolata dal travestimento, consente all’uomo malerbiano di misurare103 e analizzare l’ignoto, prima di essere pronto a introiettarlo e ristabilire programmaticamente dunque e sentimentalmente il suo rapporto con il mondo: «Voglio essere io stesso, così travestito e introdotto con la tua autorità, a osservare con i miei occhi come
102 Jean Starobinski, Il senso della critica, in L’occhio vivente, trad. it. Giuseppe Guglielmi, Torino, Einaudi,
1975, pp. 210-11.
103 Scrive Starobinski, ivi, p. 7 a tal proposito: «Lo spazio della misura geometrica è il prodotto di un
sforzo vigile che rivede, compasso alla mano, i pregiudizi affettivi a cui lo spazio vivente deve le proprie “deformazioni”», parole da cui si evince la funzione fondamentale dello sguardo come relazione intenzionale con gli altri e con l’orizzonte vissuto.
vanno le cose e preparare con te una trama per sconfiggere i Proci» (IS, 34) riferisce Ulisse riguardo al dialogo con il figlio.
Tale atteggiamento non riguarda soltanto la vicenda eroica, ma dimostra come la vicenda privata della relazione coniugale sembri addirittura più urgente della cacciata dei Proci.104 Il discorso di Ulisse è inequivocabile: «In quanto a Penelope voglio avere io stesso la conferma della sua fedeltà. Di nessuno mi fido come dei miei occhi e con un solo sguardo riuscirò a capire le cose che si vedono e anche quelle che non si vedono. Perciò deciderò io quando sarà il momento di rivelarmi» (IS, 34). Malerba insinua che il grande assente è il celebre «nessuno». Ulisse sembra infatti deciso rimanere celato e a non agire se la sua ricognizione gli rivelasse una traccia di tradimento da parte della moglie. L’uomo è dunque un “essere mancante”, un essere in grado di esprimersi completamente solo quando è in equilibrio emotivo con il suo contraltare.
L’occultamento dell’identità è dunque una strategia favorevole allo scopo perché gli consente di vedere senza essere visto: una posizione