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Fare esperienza del mondo: tra intenzionalità e non intenzionalità

Nel «Primo conflitto delle idee trascendentali» Kant prende in considerazione le idee cosmologiche, evidenziandone l’intrinseca problematicità. La tesi enunciata corrisponde all’impostazione tipica del razionalismo dogmatico: «Il mondo ha un suo inizio nel tempo e, rispetto allo spazio, è chiuso entro limiti» (A426/B454). L’antitesi esemplifica invece una posizione empirista: «Il mondo non ha né inizio né limiti nello spazio, ma è infinito così rispetto al tempo come rispetto allo spazio» (B455/A427). Kant non cerca una mediazione né una conciliazione tra queste idee cosmologiche opposte: esse non hanno un significato costitutivo, bensì soltanto regolativo. Esse non dicono come è il mondo nella sua totalità, ma forniscono la regola di come sia da avviare l’indagine della natura nel tentativo di ottenere una conoscenza completa. Possibilità da Kant negata. Il mondo come totalità dei fenomeni non è esistente in sé. Kant è quindi un filosofo senza mondo? Certo che no. Nella Critica il mondo non è concepito come totalità, ma è un mondo inteso come sintesi progressiva e mai totale dell'esperienza. Il mondo si manifesta gradualmente e mai in modo assolutamente completo. Il mondo esiste in modo performativo.

46 Il mondo non è il mondo in sé, ma è l'unico che possiamo conoscere. Non l’idea di un mondo in sé, quindi, ma di un mondo come un tutto di fenomeni, un mondo non conoscibile, non essendo possibile conoscere compiutamente la totalità dei fenomeni. Il campo d’indagine resta aperto ad un senso più profondo e più fondamentale del fallibilismo, o di qualsiasi altra filosofia della scienza contemporanea. Kant non afferma semplicemente che nessun enunciato scientifico è assolutamente libero da errore o pregiudizio. La posizione kantiana è qui ben più radicale: non si può dare in nessun ordine di grandezza un oggetto il quale, in quanto oggetto ultimo, caratterizzi la conoscenza umana. Non si può dare quindi il mondo così come è. È sbagliato, quindi, sostenere che il mondo abbia un inizio nel tempo o che sia composto di parti assolutamente semplici. Il processo d’indagine non viene mai completato del tutto, la ricerca dell’uomo non può mai dirsi conclusa.

La pretesa che il mondo in Sé coincida col mondo costruito è tacciata da Kant di idealismo, posizione filosofica a cui non viene sostituito un realismo ingenuo, bensì l’idealismo trascendentale. Il mondo non è illusione perché è il risultato di due diversi vincoli: quelli della ragione (logica formale e logica trascendentale) e quelli dell'esperienza (la sensibilità in quanto facoltà passiva che ci mette in contatto con il mondo in sé). Conoscere il mondo senza intuizione sensibile conduce la ragione alla contraddizione. È nell'esperienza che si realizza la sintesi tra i diversi elementi materiali e formali; tale sintesi non rimanda esclusivamente all'attività dell'intelletto, ma anche alla sintesi-sinossi compiuta dall'intuizione, in quella peculiare donazione dell'oggetto possibile solo grazie all'intuizione.

La conoscenza è riferimento, scrive Kant (BX). Il tratto del riferimento inerisce sia alla conoscenza come complesso atto del rappresentare, sia alle singole parti che la costituiscono: l'intuizione e l'intelletto. Possiamo distinguere nel processo conoscitivo due momenti differenti, il momento del darsi dell'oggetto, che si realizza attraverso l'intuizione, e il momento del determinarsi di quest'oggetto tramite l'intelletto. Il momento in cui si dà un oggetto è già sul piano dell'oggettività. Ci riferiamo agli oggetti in quanto oggetti dell'intuizione pensati secondo l'unità delle categorie.

L'intuizione si riferisce all'oggetto immediatamente ed è singolare, il concetto vi si riferisce mediatamente, tramite una nota, che può essere comune a molte altre (A320/B376-377). Poiché nessuna rappresentazione, a parte l'intuizione, si riferisce

47 all'oggetto in modo immediato, da ciò deriva che un concetto non avrà mai un riferimento immediato ad un oggetto, ma soltanto mediata dall’intuizione.

Seguendo questa strada ci misuriamo con quel risvolto del mondo che è il riferimento intenzionale ad un oggetto. L’utilizzo del termine intenzionale è qui scelta ragionata. Il termine intenzionale è carico di storia e di teoria. Intenzionale e intenzionalità caratterizzano il pensiero filosofico di Brentano, il quale ritiene che l’intenzionalità non sia solo il carattere costitutivo del fenomeno del pensare, ma in generale di ogni fenomeno psichico, e successivamente quello di Husserl, per il quale, semplificando, l’intenzionalità è il carattere costitutivo della coscienza e del rapporto soggetto- oggetto in generale. In Heidegger intenzionalità indica la situazione originaria dell’esserci stesso, il quale si trova costitutivamente già da sempre presso l’ente con cui è in rapporto.

L’indagine compiuta nella Critica della ragion pura è un’indagine che possiamo sì definire intenzionale, ma quello che a noi interessa è il fatto che l’ambito intenzionale celi nel proprio intimo una nota non-intenzionale, nota che sarà poi oggetto della Critica del Giudizio61. Nella terza Critica kantiana, l’ambito inintenzionale – unabsichtlich – è il regno con cui fare i conti, come leggiamo nei paragrafi VII e VIII dell’Introduzione. In questa opera si mostra che non solo la legalità è necessaria nel fenomeno. Il soggetto si rapporta ad un’esperienza non oggettiva, a quell’esperienza del semplice offrirsi di un oggetto al di fuori di ogni «disegno» conoscitivo e nei confronti della quale non è affatto «passivo». Nella Critica del giudizio è inoltre valorizzato l'altro volto della sensazione. Nel terzo paragrafo, Kant afferma che il colore verde dei prati appartiene alla sensazione oggettiva in quanto percezione di un oggetto del senso, mentre il piacere che esso produce si riferisce alla sensazione soggettiva con la quale nessun oggetto è rappresentato: vale a dire il sentimento.

La terza Critica è quindi da considerare come completamento del discorso che stiamo svolgendo in queste pagine. Tuttavia essa non sarà presa in considerazione, perché lo scopo del nostro lavoro è scendere nell’increspatura della ragione teoretica per mostrare la sua natura non-oggettiva. Ciò che è non-intenzionale non corrisponde solo all’ambito regolativo della ragione umana, ma è il fondamento stesso della ragione teoretica, il non intenzionale si ritrova anche nell’ambito costitutivo della ragione. È la sensazione in quanto cifra della Realtà che ci permette di compiere

48 questa lettura del testo kantiano. La sensazione, che non è spazio-tempo, né concetto, e quindi non è niente di oggettivo, modalizza gli elementi puri e formali che costituiscono la ragione teoretica. Come?

Perché l'intuizione per riferirsi a qualcosa in modo immediato deve sempre rivolgersi alla sensazione: «L’intuizione che si riferisce all’oggetto mediante una sensazione [Diejenige Anschauung, welche sich auf den Gegenstand durch Empfindung bezieht], dicesi empirica. L’oggetto indeterminato d’una intuizione empirica prende il nome di fenomeno». (B33/A20) L'espressione durch Empfindung indica sia il necessario rivolgersi ad un molteplice sensibile, sia lo stato relazionale del soggetto. Ma cosa vuol dire che l'intuizione si riferisce attraverso – durch – la sensazione? L'intuizione è riferimento tramite la sensazione, è conoscenza oggettiva solo con l'accadere preliminare di una sensazione. L'intuizione si dà solo nel complesso dell'esperienza e si realizza solo grazie alla sensazione. Di essa si può parlare solo isolandola dalla sensazione e mai in sè. Non potrà mai essere del tutto astratta dal contesto sensibile in cui dimora, poiché, come visto, l’astrazione è una funzione logico-intellettuale che non caratterizza la facoltà sensibile. Se fosse possibile compiere un’astrazione totale ciò significherebbe un’autonomia dell’intuizione rispetto alla sensazione.

La sensazione non-intenzionale caratterizza l’ambito intuitivo del «riferirsi a» intenzionale.

La sensazione, ciò che vi è di più non decidibile, è l'unico materiale su cui costruire una conoscenza oggettiva. La conoscenza oggettiva si erige su questo sfondo non- conoscitivo e non-oggettivo che è la sensazione. La sensazione ci permette di distinguere il fenomeno dalla parvenza: nel fenomeno, gli oggetti, e persino la costituzione che loro attribuiamo, sono sempre considerati come qualcosa di effettivamente dato; la nostra stessa esistenza non può prescindere dalla sensazione, poiché altrimenti la sua realtà starebbe tutta in un non-ente (B71) quale il tempo, e si trasformerebbe in parvenza. Ci troviamo quindi di fronte ad un paradosso: la sensazione, il soggettivo della nostra conoscenza, è l'unico materiale su cui costruire una conoscenza oggettiva. Commenta62 Garroni:

Paradosso fondante (paradosso, non necessariamente contraddizione, proprio inevitabilmente della filosofia) e, insieme, di una condizione di senso che a quel paradosso corrisponde, anzi ne è l’altra faccia inscindibile. Il paradosso consiste nello sforzo di comprendere qualcosa

49 che non può essere posto dinanzi a noi al modo di un oggetto osservabile e conoscibile, e che tuttavia concorre essenzialmente all’osservazione e alla conoscenza di oggetti, nel senso che rende possibili osservazioni e conoscenza63.

La conoscenza dell'oggetto non può essere messa a tema senza collegarsi a ciò che è non-conoscitivo e non-oggettivo, ovvero il portato della sensazione. Heidegger64 a questo proposito distingue un duplice significato nel termine sensazione: per un verso indica il sentito, come può essere il suono o il colore, e per l'altro il sentire come nostro stato. La sensazione è ciò che occupa una posizione intermedia tra le cose e l'uomo. Da un lato essa è ridotta ad essere il semplice sigillo dell'aposterioricità dell'esperienza, senza poter contribuire da parte propria in alcun modo alla costruzione di un edificio della rappresentazione a priori. Dall'altro è uno dei principi dell'intelletto puro, è il reale che non è la categoria di realtà.

Di questo mondo in divenire, che si manifesta nell’esperienza che ne facciamo, analizzeremo adesso la sensazione così come Kant la descrive nell’Estetica trascendentale e in alcuni luoghi dell’Analitica trascendentale. Nell’Estetica la sensazione corrisponde alla materia, e quindi rappresenta quelle caratteristiche dell’oggetto quali il colore, la durezza, la mollezza, il peso e l’impenetrabilità (B5). Questi contrassegni, pur rimanendo sensazioni, appartengono alle proprietà dell'oggetto, hanno una grandezza misurabile e quindi ne possiamo fare scienza. La sensazione in quanto materia rappresenta ciò che fa sì che si parli di conoscenza a posteriori, cioè di intuizione empirica. Tuttavia la sensazione è presente anche come il segno più evidente della modificazione che il nostro animo subisce nell’incontro con il mondo, in un altro senso di realtà, non solo realtà oggettiva.