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La Teoria kantiana dell’esperienza del 1871: le sensazioni come prodotti del pensiero

1. Introduzione a Hermann Cohen

1.2 La Teoria kantiana dell’esperienza del 1871: le sensazioni come prodotti del pensiero

In questo paragrafo vedremo che per Cohen i concetti di apriori ed esperienza sono correlati, definendosi reciprocamente. L’esperienza si dà a partire dalle condizioni apriori: si conosce solo ciò che abbiamo “già” immesso, neutralizzando così qualsiasi contributo altro e imprevisto. Per Cohen universale e necessario non sono criteri interni del concetto di apriori, ma i suoi indici di valore esteriori173. Con la semplice indicazione del valore di universalità e necessità l’apriori rimarrebbe «vuoto». Per acquistare contenuto e forma deve esserne dimostrata la possibilità, che significa l’essere pensabile nei concetti.

Cohen, nell’introduzione all’edizione del 1871, afferma che la filosofia kantiana, affrontando l’enigma dell’esperienza, arriva ad una soluzione che ne designa un nuovo concetto174. A questo proposito, verso la conclusione dell’opera, nella

trattazione dei principi sintetici, commenta: «l’esperienza è il risultato delle proposizioni sintetiche a priori175». Solo le proposizioni sintetiche a priori costituiscono l’autentico e intero contenuto (Inhalt) dell’esperienza, che è dato (gegeben) nella matematica e nelle scienza della natura. Questa presa di posizione coheniana è il risultato della distinzione tra metodo ed oggetto. Per Cohen non si tratta di fare delle forme a priori degli organi in rapporto alle cose in quanto date176, ma di affermare la «inscindibile unità» tra apriori e trascendentale. L’oggettività dell’esperienza è la costruzione dell’esperienza stessa a partire dalle sue condizioni costitutive. A Cohen non interessa quale sia la forza che permette all’oggetto di modificare l’animo. La sua analisi si concentra solo sull’attitudine (Fähigkeit) insita nell’animo a essere modificati e non sulla forza (Kraft) di modificare insita negli

173 Ivi, p.43.

174 H. Cohen, La teoria kantiana dell’esperienza1, cit., p.37. 175 Ivi, p.215.

176 L’annosa disputa tra soggettivo ed oggettivo è così elimanta da Cohen: è oggettivo solo ciò che la soggettività a priori «produce», costruisce, in La teoria kantiana dell’esperienza1, cit., p.80.

120 oggetti stessi177. La soggettività dell’esperienza non è un requisito psicologico ma

una «condizione» per la possibilità dell’esperienza.

In questo ripensamento dell’esperienza in quanto costruzione, è rivisto il concetto di spazio. Secondo l’analisi di Cohen, la definizione kantiana di spazio si rivolge anzitutto contro il concetto di esperienza della filosofia empirista. Lo spazio non è un concetto empirico, non può essere ricavato dall’esperienza esterna. D’altra parte, lo spazio non è nemmeno un concetto astratto, deve trovarsi quindi in qualche modo dentro l’esperienza, non contrappondosi ad essa come qualcosa di altro o diverso. Cohen indaga cosa voglia dire per lo spazio «essere già il fondamento178». Lo spazio è designato come principio a priori della sensibilità, come un atto dello spirito, che il pensiero non potrebbe in alcun modo abbandonare senza distruggere la possibilità di ogni nostra esperienza179. Nell’oggetto in quanto tale non possiamo trovare alcuna necessità rigorosa, di esso non si può conoscere niente a priori. Lo spazio è a priori perché lo immettiamo nelle cose: lo scopriamo nel nostro spirito, lo isoliamo grazie ad un esperiemento cosciente, e lo trasportiamo negli oggetti. Questo fatto (Tatsache) della coscienza – cioè che lo spazio inerisce a ogni nostro rappresentare – lo rende a priori. Per questo l’esperienza si dà a partire dalle condizioni apriori.

Riassumendo, lo spazio non è una sostanza della realtà, ma una forma del senso. È la pura possibilità di essere uno accanto all’altro. Non è un concetto ricavato da esperienze, bensì una rappresentazione necessaria a priori. Questa significa che lo spazio sta a fondamento di tutte le intuizioni esterne perché è apriori, cioè perché è condizione della possibilità dei fenomeni e non una determinazione dipendente da essi. Essendo spazio e tempo condizioni della nostra soggettività, tutte le cose sono comprese tramite le forme spazio-temporali. Nei primi cinque capitoli della prima edizione della Teoria kantiana dell’esperienza, si tratta del tempo solo di sfuggita e solo in relazione allo spazio. Secondo Cohen, infatti, la dottrina del senso interno non perviene al suo sviluppo nell’Estetica ma solo nella Logica180. Cohen vede l’Estetica

trascendentale come condizionata dalla Logica trascendentale, dato che il contenuto della conoscenza può venire alla luce solo attraverso il tutto del sistema. Cohen sviluppa un modello di progressione dell’apriori a tre gradi: riferito allo spazio-

177 Ivi, p.48. 178 Ivi, p.42. 179 Ivi, p.45 180 Ivi, p.86.

121 tempo, alle categorie, ai «principi dell’intelletto puro». L’estetica e l’analitica sono entrambe interpretate nel quadro di una teoria dell’apriori.

Uno dei risultato a cui tende l’edizione del 1871 è liberare la Critica della ragion pura dal dato dell’intuizione. La sensazione è vista come un processo completamente compiuto, non autonomo, un primo grado dell’intuizione, isolabile alla scopo unico di un’analisi scientifica. Al dato intuitivo sensibile è sostituito il fatto della scienza. L’oggetto dato è un oggetto-pensato. L’esperienza è il prodotto dell’intelletto dai materiali della sensibilità181. In questa proposizione Cohen rintraccia il rapporto tra le due fonti del conoscere. Estetica e Logica sono inseparabili perché la forma pura dello spazio deve essere collegata alla sintesi dei fenomeni, solo così può esserci esperienza. In questa sintesi è radicata l’inseparabilità di Logica ed Estetica, che si fonda sul senso interno. Il tempo è in rapporto con l’appercezione trascendentale. Il senso interno contiene la semplice forma della intuizione, nel senso interno non è quindi unificato il molteplice, come accadeva nello spazio. Nel tempo percepiamo tutte le rappresentazioni come cambiamenti interni182. Tuttavia, sia lo spazio sia il tempo dipendono dalla categoria.

Per comprendere questo intreccio, arriva in nostro soccorso il settimo capitolo della Teoria kantiana dell’esperienza. Lo spazio è una rappresentazione necessaria dell’apriori, ed è il risultato di un fatto della coscienza (Tatsache des Bewußtseins): lo isoliamo nel nostro spirito mediante un’esperienza interna per poi applicarlo alle cose esterne. Cohen distingue tra conoscenza metafisica e trascendentale. Grazie all’indagine attuata mediante l’esperienza interna, arriviamo a conoscere l’apriori e a ciò viene dato il valore di conoscenza metafisica. Nell’esposizione trascendentale, l’apriorità dello spazio è dimostrata affermando che esso è forma della sensibilità. Con forma Cohen non intende assenza di contenuto, ma produzione del contenuto in modo inseparabile dalla forma stessa. Perché l’esperienza abbia valore universale non basta la via psicologica-empirica. L’apriori è necessario come condizione dell’esperienza possibile: il pensabile. Lo spazio è una delle condizione apriori dell’esperienza possibile. L’esperienza è, infatti, il risultato delle tre forme dell’apriori: lo spazio, il tempo e le categorie. L’esperienza può paradossalmente essere definita esperienza apriori. La categoria, nella sua funzione di unificazione sintetica del molteplice è l’apriori del terzo grado.

181 Ivi, p.108. 182 Ivi, p.183.

122 Sono i principi sintetici il cuore del sistema. I principi, già in questa prima edizione, sono forme fondamentali del pensiero che, attraverso le unità sintetiche, unificano il molteplice dell’intuizione. Non sono «né le proposizioni della semplice sensibilità, né dell’intelletto puro, ma le forme fondamentali del pensiero il quale, mediante le unità sintetiche, connette il molteplice dell’intuizione183». La via non è quella che

porta dalle categorie ai principi, ma dai principi alle categorie. Il principio non è il concetto dell’oggetto in generale, ma la conoscenza dell’oggetto in generale o legge. I principi confluiscono in quel supremo principio dell’unità della conoscenza che altro non è che l’unità dell’esperienza scientifica. La scienza in quanto corpus sistematico. L’intuizione è lo strumento di conoscenza, elemento di un metodo. L’intelletto per Cohen si innalza al di là dei confini sensibili, costituendo esso stesso una nuova sensibilità, per mezzo di un’intuizione intellettuale. La sensibilità non può prescindere dalla teoria del nuomeno, poiché i limiti della facoltà sensibile derivano e dipendono dalla dottrina del noumeno: «La teoria della sensibilità è dunque insieme teoria dei noumeni in senso negativo, cioè di cose che l’intelletto deve pensare senza questa relazione con la nostra maniera di intuire, quindi non semplicemente come fenomeni184». La sensibilità è la dottrina del noumeno negativo. L’oggetto sullo sfondo, la cosa in sé assoluta, è una concreta «creatura» dell’intelletto, inscindibilmente unita ad esso. L’Analitica trascendentale è quindi teoria dei nuomeni in senso positivo.

La svolta del pensiero di Cohen è da identificare nel superamento del mezzo dell’intuizione. La sostanza non è intuibile ma deve essere pensata come intuibile. Una tale intuizione deriva dalla connessione di sensibilità e intelletto, ed è l’intuizione intellettuale185. L’intuizione è così, per Cohen liberata dalla sensibilità.

La nozione di oggetto è profondamente ripensata nella riflessione coheniana. L’oggetto per Cohen non è un oggetto empirico, è la “x”186 dell’oggetto

trascendentale: il concetto puro che procura realtà oggettiva. L’oggetto che la sensibilità percepisce è l’oggetto trascendentale. Il molteplice dell’intuizione deve essere sì dato, ma in questo dato si mostra la semplice forma del pensare. Le categorie sono per Cohen condizioni dell’esperienza e perciò condizione dell’unità dell’intuizione. La categoria è il concetto di un «oggetto in generale». Il concetto di

183 Ivi, p.217-218. 184 Ivi, p.254. 185 Ivi, p.268.

123 «oggetto in generale» non è il concetto di un oggetto empirico, è l’oggetto il cui concetto è contenuto nella categoria. L’oggetto in generale non si differenzia dall’oggetto della rappresentazione, tutte e due sono la “x” trascendentale, l’uno visto da parte della categoria, l’altro da parte dell’intuizione. Cohen supera la teoria kantiana della doppia radice della conoscenza di sensibilità e intelletto, sostenendo che la materia, apporto della sensibilità, non è altro che una «semplice forma», un certo modo di rappresentare. Cohen, ricollegandosi all’Anfibolia dei concetti della riflessione, interpreta la materia come un modo di rappresentare un oggetto ignoto, l’oggetto sconosciuto (= x). Per Cohen l’oggetto dato mediante la sensibilità è in realtà il prodotto della categoria stessa, del concetto di causalità e sostanza, e perciò vale come oggetto trascendentale.

In breve: l’oggetto diventa reale solo mediante l’unità sintetica della categoria. Il reale è il reale della scienza, un reale in espansione. Solo dalle condizioni di possibilità si giunge alla realtà. Una delle difficoltà del pensiero kantiano – nel’ottica di Cohen – sta nello spiegare come sia possibile applicare le forme di pensiero a qualcosa di eterogeneo. Cohen cerca di superare questo impasse spogliando le sensazioni dal loro limite soggettivistico, è rendendole un prodotto del pensiero, per essere così misurate oggettivamente nella globalità dell’esperienza scientifica. Per Cohen, come abbiamo visto, l’intuizione ha il significato di riferimento della coscienza ad un dato: la «X» dell’oggetto trascendentale. Cohen risolve il dato dell’intuizione (Gegeben) nella X determinabile ma mai compiutamente determinata. La concezione processuale del conoscere (la x) cancella l’esistenza delle diverse facoltà dell’animo, impedendo così lo svilupparsi di qualsiasi discorso intorno all’essere umano in generale. Alla base di questa teoria troviamo la connotazione storica dell’apriori187, è qui che si radica la dinamicità della X.

Il ruolo del pensiero è quindi centrale in Cohen, anche se collegato ai metodi dell’intuizione nel produrre i fondamenti. Questa posizione diventerà ancora più radicale nell’opera del 1902.

Il metodo trascendentale individua i fondamenti nel Faktum della scienza: condizioni trascendentali che si basano sui principi sintetici. La filosofia trascendentale è il

187 G. Edel, in Von der Vernunftkritik zur Erkenntnislogik: die Entwicklung der theoretischen

Philosophie Hermann Cohens, K. Abler, Freiburg, 1988, sottoliena la presenza di due modelli di

deduzioni dell’apriori, uno basato sulla disamina del soggetto conoscente e del suo apparato cognitivo e legato alla concezione psicologica di Herbart. L’altro più innovativo che deduce l’apriori dalla sua funzione e lo considera solo come costitutivo dell’esperienza, preparando l’identificazione delle condizioni dell’esperienza possibile con quelle dell’esperienza data.

124 metodo di risalire a condizioni di possibilità. Il pensiero è origine e produzione della conoscenza non in senso idealistico ma nel senso in cui in matematica si parla di una “x” da determinare. La matematica conosce i propri oggetti producendoli. Nella Teoria kantiana dell’esperienza la logica della conoscenza pura si riduce ai giudizi del pensiero, che costituiscono la forma della conoscenza degli oggetti. Cohen identifica così pensato ed essere. Ed è qui che il suo pensiero si discosta maggiormente da Kant, nello sforzo di sopprimere la posizione di qualsiasi dato precedente alla conoscenza, riducendo il problema della logica alla giustificazione del sistema dei giudizi della scienza matematica della natura.

In controluce vediamo così emergere la figura di Platone.