Il Faro della Vittoria è sicuramente l’opera più nota e celebrata di Arduino Berlam90 ma, per molti versi,
anche la più controversa: concepita già durante il periodo di esilio da Trieste, quest’opera assume una valenza particolare all’interno della produzione di Berlam poiché, prima ancora di essere un’opera di carattere utilitario, essa era fondamentalmente un monumento, quindi un’opera commemorativa fortemente impregnata di alti significati storici e morali.
Fu infatti in primo luogo allo scopo di onorare la vittoria italiana nella Grande Guerra ed i suoi caduti sul mare (nonché l’annessione di Trieste e delle altre terre irredente all’Italia) che questo Faro fu promosso e progettato da Arduino Berlam91, e solamente in seconda battuta come risposta a delle
istanze di carattere pratico ed utilitaristico e la scelta stessa del sito lo dimostra: originariamente previsto per la penisola istriana di Salvore, a poca distanza da Capodistria, luogo di nascita di Nazario Sauro (a cui il faro avrebbe dovuto essere dedicato inizialmente), fu poi destinato al promontorio di Gretta.
Questa scelta del promontorio triestino fu dettata non solo da occorrenze di carattere tecnico (la buona posizione dominante sul golfo e le caratteristiche favorevoli del terreno), quanto soprattutto da motivazioni di carattere patriottico e simbolico: esso infatti sarebbe sorto sopra all’ex forte austriaco Kressich (o Krekich a seconda delle fonti), rappresentando in tal modo “il migliore e più significativo monumento a celebrazione della Vittoria”92 e nel contempo una sorta di “nemesi storica”93 nei
confronti del nemico sconfitto, dato che anche la Marina Austriaca aveva a suo tempo individuato nel sito un punto ideale per l’erezione di un faro in caso di vittoria.
A ciò si aggiungeva il fatto non trascurabile che il porto di Trieste abbisognava di un nuovo faro, in aggiunta ed in sostituzione della vecchia lanterna, realizzata circa un secolo prima da Pietro Nobile, la quale pur essendo una costruzione di pregio, non riusciva a rispondere adeguatamente alle nuove
90 Come egli stesso la definisce nel suo diario “un’opera che per il suo significato […] resterà il documento più importante della mia attività.” Cfr. Ricordi, op. cit. p. 168.
91 Scrive Arduino nel suo diario a proposito di come sia nata l’idea del Faro della Vittoria: “L’idea di costruire in Trieste redenta un grande faro in onore della Vittoria e dei Caduti sul mare era sorta in me ancora a Bologna subito dopo l’af- fermarsi della resistenza sul Piave. Per essere perfettamente sinceri ed esatti, convien dire che il primo incitamentoad immaginare un’opera di questo genere mi venne dal dottor Umberto Sbisà, allora capitano medico al fronte, il quale una sera, mentre si era riuniti intorno al desco ospitale di mio zio Silvio Sbisà, rinsaldava la nostra fede nei destini della Patria, raccontando della saldezza delle difese al Piave e a un tratto uscì a dire:«Sì, noi ritorneremo alle nostre case in Istria ed a Trieste ricongiunte all’Italia e su l’estrema punta di Salvore innalzeremo un grande faro coll’effigie di Nazario Sauro, in bronzo dorato, così che tutti i naviganti la possano vedere e salutare. Tu Arduino preparane il disegno e ti garantisco io che sarà fatto.»”. A. Berlam, Ricordi, op. cit. pp. 168 – 169.
92 Ibidem, p. 172. 93 Ibidem p. 173.
ed accresciute esigenze derivate dall’ampliamento e dallo sviluppo dell’area portuale.
Di tale argomento si trova un primo accenno nella relazione presentata da uno dei partecipanti (tale sig. Carrera) alla seduta costituente indetta l’11 novembre dello stesso anno dalla Lega Navale e tenutasi al Palazzo del Governo:
Il movente che c’indusse ad ideare, proporre e propugnare la erezione di un nuovo faro per il Porto di Trieste è di duplice natura: pratica e ideale. In linea pratica è ormai noto a tutti coloro che conoscono i bisogni del nostro porto, che la vecchia lanterna non è più in grado di guidare bene e conformemente alle esigenze moderne di un emporio marittimo di primaria importanza, le navi che intendono entrarvi in tempo di nebbia di neve, o di altro perturbamento atmosferico. È bassa e umile avendo il piano focale a soli 33 metri sul livello del mare, ed in seguito agli interramenti ed alle costruzioni di edifici davanti a lei, non segna più una rotta propizia: chi si dirige verso il suo chiarore non trova l’imboccatura del porto, ma viene tratto verso gli scogli e le banchine. Inoltre il suo raggio d’azione è troppo limitato e per la sicurezza e il decoro del porto va sicuramente aumentato.94
A questa concreta urgenza di procedere alla costruzione di un nuovo faro, più potente, moderno ed efficiente della ormai obsoleta lanterna di Nobile vennero dedicati anche alcuni articoli sui quotidiani locali e nazionali95, in cui comunque non veniva mai tralasciata anche la sua importanza artistica,
monumentale ed emblematica.
Appena tornato a Trieste, Berlam si mise all’opera, coinvolgendo nell’iniziativa l’amico scultore Giovanni Mayer ed il capitano Piero Fragiacomo, direttore dell’Ufficio segnalazioni marittime della Costa Orientale Adriatica già sotto l’amministrazione austriaca e grande esperto di fari, la cui collaborazione nella progettazione fu indispensabile poiché gli mise a disposizione le sue amplissime conoscenze in materia ed anche alcune opere di specialisti inglesi, strumenti indispensabili per far in modo che “l’erigendo faro non fosse soltanto un monumento, ma che corrispondesse alle più moderne esigenze in materia di ottica”96.
Il progetto del faro ottenne molti consensi e appoggi da parte di importanti enti, in primis la Lega Navale (i cui dirigenti della sezione triestina Salvatore Segrè e Spartaco Muratti erano ottimi amici del Berlam), e da personalità della Marina, come il contrammiraglio genovese Guido Fava, direttore della difesa marittima di Trieste, ma anche da parte di importanti personaggi locali vicini all’ambiente nautico e marinaro quali l’armatore Ettore Pollich (creatore della Società di Navigazione Libera Triestina, che comprò il terreno dell’ex forte per poi cederlo al governo ad un prezzo irrisorio). Dopo la presentazione del progetto di massima, l’avvio dell’iter burocratico fu piuttosto rapido: il 3
94 Il brano in questione è riportato dall’articolo de L’Architettura Italiana dedicato al progetto del Faro della Vittoria: si veda A. Berlam, “Faro per il Porto di Trieste”, in L’Architettura Italiana, anno XIV, 1 dicembre 1919, p. 89.
95 Tra questi si possono citare “Il nuovo faro di Trieste” in Il Piccolo di Trieste (1 febbraio 1920) ed “Il Faro della Vittoria” in Il Popolo d’Italia del 21 gennaio 1922. Numerosi altri articoli dei quotidiani locali come Il Piccolo, Il Piccolo della Sera, Il Po-
polo di Trieste, ma anche regionali e nazionali (Il gazzettino, Il Corriere della sera, L’Illustrazione Italiana) ed anche riviste più
specializzate (L’Italia Marinara, quindicinale della Lega Navale Italiana) si occuparono del tema del nuovo faro, durante la sua costruzione ed una volta terminato, della sua inaugurazione: visto il consistente numero di questi articoli, non ci si soffermerà in questo studio su un dettagliato elenco, quanto in eventuali citazioni qualora necessario.
novembre 1919 un telegramma a firma del Presidente del Consiglio Nitti aveva annunciato un largo contributo statale all’opera e l’11 novembre dello stesso anno aveva avuto luogo la prima seduta del Comitato cittadino costituitosi per il finanziamento delle opere scultoree.
L’anno seguente fu consegnato il progetto in dettaglio, che ottenne una sommaria approvazione sia dal Consiglio superiore dei Lavori Pubblici (giugno 1920) che dall’Ufficio Belle Arti e Monumenti (27 dicembre 1920, stando agli appunti di Berlam97), a patto che al progetto venissero apportate alcune
modifiche di carattere tecnico e formale98.
Nel frattempo il Ministero dei Lavori Pubblici chiese un preventivo dettagliato e la stesura di un capitolato speciale d’appalto, i quali furono elaborati e consegnati nel gennaio del 1921.
L’8 novembre 1921 (tramite la nota N. 4475/6234) il Ministero, dopo aver interpellato il Consiglio superiore dei Lavori Pubblici acconsentì allo stanziamento di 3.650.000 lire per la costruzione del faro, incaricò il Genio civile della direzione dei lavori e conferì a Berlam la carica di consulente artistico. Questa fase preliminare procedette comunque abbastanza celermente, nonostante il “susseguirsi d’incertezze” e le difficoltà economiche dell’Erario cui fa accenno Berlam nel suo diario, e con l’avvento del fascismo al potere, parve che la realizzazione del faro avrebbe subito un’accelerazione nei lavori e che sarebbero state rimosse eventuali ulteriori difficoltà, visto l’apprezzamento dimostrato dal nuovo governo per questo progetto.
In realtà proprio in questo periodo cominciarono a scatenarsi le numerose polemiche e controversie che accompagnarono tutta la vicenda costruttiva del faro fino alla sua inaugurazione (ed anche oltre) e che andarono ad interessare non solo vari aspetti dell’opera, ma anche il suo principale fautore: dai contrasti con il Consorzio di cooperative di ex combattenti (incaricato dell’esecuzione dei lavori) che accusò Berlam di esser mosso da mere intenzioni lucrative99, alle dicerie relative all’instabilità e
all’inadeguatezza del terreno fondazionale (che giunsero fino all’orecchio del Ministero dei Lavori pubblici), fino al contrastato rapporto con il direttore dei lavori, l’architetto Guido Cirilli.
In particolare quest’ultimo, precedentemente direttore dell’Ufficio di Antichità e Belle Arti e nominato direttore dei lavori proprio su suggerimento di Berlam stesso, si intromise più volte prepotentemente nella realizzazione del progetto, imponendo continuamente minime ma costanti modifiche ai disegni originari di Berlam: sulle prime Berlam non si preoccupò troppo di questa persistente ingerenza,
97 A. Berlam, Appunti riguardanti il Faro della Vittoria a Trieste, doc. nr. 19, contenuto in Lascito Berlam presso Archivio dei Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste (Archivio Faro).
98 Si veda il verbale della seduta della Commissione valutante svoltasi presso l’Ufficio Belle Arti e Monumento in data 18 dicembre 1920, citato da M. Zerboni, Il Faro della Vittoria, MGS Press, Trieste, 2001, pp. 51 -52.
99 Riporta Berlam nel suo diario a questo proposito: “Si costituì un consorzio di cooperative edilizie di ex-combattenti […] Per dire il vero, mentre i primi presidenti erano stati molto gentili e deferenti verso di me e verso il Comitato, gli ultimi assunsero un atteggiamento ostile verso di me, asserendo che anche il progettista dell’opera avrebbe dovuto essere uno di loro, che io avevo imposto la mia idea con arti “subdole”, con le mire di ricavarne ingente lucro!” A. Berlam, Ricordi, op. cit. p. 187. Queste gravi accuse erano quanto di più lontano dalla verità, in quanto Berlam versò non solo il suo intero compenso di 10.000 lire al fondo del Comitato cittadino, ma vi aggiunse anche il lascito di 10.000 lire del padre Ruggero.
finchè la questione non andò ad interessare il gruppo statuario da situarsi sull’avancorpo del faro. La persistente mancanza di fondi aveva portato Berlam a dover semplificare drasticamente la sua idea iniziale - il rostro di una galea veneta con il leone di San Marco all’estremità della prua, un marinaio scalzo sul cassero e due Fame alate sui due lati100 - proponendo invece al suo posto l’apposizione di un
“rude blocco di pietra con una scritta, con le catene e con l’ancora”101: il Cirilli, desideroso di imporre
la sua “spiccata individualità artistica” sul progetto di Berlam, allertò tutte le Autorità preposte (dal Ministero alla Direzione Generale delle Belle Arti) paventando la presunta intenzione di Berlam di deturpare l’opera.
Ciò andò a sollevare un’accesa ed interminabile querelle sulle forme da darsi alla decorazione statuaria, in cui intervenne in primo luogo una commissione interministeriale inviata dal Governo per dare delle sommarie ma perentorie indicazioni – su cui di fatto Berlam si basò per la definizione della forma definitiva - ed in seguito una serie di voci contrastanti che si intromisero per commentare o criticare le proposte elaborate da Berlam. Dopo varie polemiche, proteste e perfino minacce da parte dei fasci di combattimento, incresciose questioni, su cui non ci soffermerà poiché descritte minuziosamente sia nelle memorie di Arduino che in altri testi dedicati al faro102, venne infine approvata l’esecuzione
della statua del Marinaio Ignoto, divenuta da subito simbolo del faro, in quanto interprete e perfetta incarnazione degli ideali espressi dall’opera stessa.