All’interno del percorso di sperimentazione di Berlam sulle nuove tipologie architettoniche, due progetti rivestono un ruolo di particolare interesse, anche se poi non effettivamente realizzati: ci si riferisce alle due piscine di terraferma e galleggiante, progettate nella primavera del 1928.
Riferisce Berlam nelle sue memorie152 che in quel periodo venne invitato da un suo cugino acquisito,
Alberto Pertot Ascari, console della Milizia e presidente dell’Ente Sportivo Fascista, a prendere parte ad una seduta, assieme ad altri tecnici, il cui tema era la realizzazione di un campo polisportivo e di una piscina natatoria da costruirsi a Trieste per volontà del Partito fascista. Berlam prese in carico lo studio della piscina, elaborando due soluzioni, una per la terraferma ed una galleggiante: le strutture dei due organismi furono studiate fin nel minimo dettaglio e vennero interpellati specialisti per lo studio degli impianti di riscaldamento, di aria e d’acqua e dei servizi annessi alle piscine. Tuttavia, dopo la consegna, avvenuta il 24 novembre 1928, questi progetti non trovarono mai applicazione, rimanendo pertanto idee sulla carta: essi furono comunque pubblicati su L’architettura italiana l’anno successivo, regalando al loro autore almeno una “soddisfazione editoriale”153.
Nonostante la mancata realizzazione, questi due progetti, come si è detto, mostrano delle peculiarità particolarmente degne di attenzione, poiché rientrano pienamente nella personale ricerca di Berlam della definizione di un linguaggio adeguato e coerente alle tipologie moderne.
Nell’articolo dedicato su L’architettura italiana Berlam sottolineava fermamente come “il concetto informatore” di queste opere (e delle pubbliche costruzioni in generale) avrebbe dovuto essere “nessun lusso inutile, [..] nessuna miseria ed anzi una sobria correttezza in ogni particolare” e ribadiva come, data la destinazione e la connotazione “moderne” di questi edifici, si sarebbe dovuto adottare uno stile ad esse congruente ed appropriato:
La destinazione dell’edificio, modernamente sportivo, dissuade dall’impiego di forme stilistiche tradizionali o, come suol dirsi accademiche e impone quelle severe forme strutturali che sono il portato della nostra epoca e che sono una sincera espressione del nostro modo di costruire. D’altro canto si deve tenere presente che questa grande costruzione [la piscina di terraferma] dovrà sorgere in un posto ben visibile dalle nostre rive e che sarà parte importante del quadro cittadino, quindi la semplicità non dovrà degenerare in miseria. V’è un minimo in fatto di decoro architettonico al di sotto del quale è dovere di civismo non scendere.154
Nuovamente dunque Berlam si confrontava con questo argomento, ma in questi due progetti lo fece in modo forse più disinvolto ed originale rispetto a quelli realizzati fino ad allora: forse a causa della natura prettamente utilitaristica di questi edifici - in cui ogni minimo riferimento agli stili tradizionali
152 A. Berlam, Ricordi, op. cit. pp. 291 – 293. 153 Ibidem p. 293.
sarebbe stato assolutamente fuori luogo - o forse per il loro carattere assolutamente sperimentale, egli qui aveva adottato un approccio formale per lui assolutamente innovativo, che discendeva e si originava primariamente dalla composizione strutturale e dalle funzioni a cui l’edificio era preposto. Ciò in realtà è maggiormente rilevabile nella versione galleggiante, che in quella di terraferma, dove la configurazione formale era sicuramente lontana da recuperi di forme tradizionali, ma non del tutto scevra da influenze di tipo secessionista: lo si può notare dalla composizione dei prospetti, in cui protagonista è l’elegante geometria nell’articolazione dei volumi e degli elementi di facciata (le torri e gli avancorpi) e nelle decorazioni – “delle fascie (sic) di mattoni maiolicati e delle piastre di ceramica di colore verde e blu” impiegate al fine di “togliere all’edificio il carattere industriale che assumerebbe qualora fosse sprovvisto di questa sobria policromia ottenuta con materiale duraturo”155.
La struttura dell’edificio non veniva dichiaratamente esibita sui prospetti, ma nemmeno mascherata da componenti esornative in eccesso: la rigorosa rettilinea purezza dei volumi intonacati – che prendevano forma dalla distribuzione interna dell’edificio - veniva posta in risalto solo dalle semplici sottili cornici lineari che, accostate alle fasce geometriche maiolicate, conferivano all’organismo un aspetto che era sì monumentale, ma nel contempo armonioso e misurato, schietto e di agevole lettura. Al suo interno avrebbero trovato posto un’ampia vasca olimpionica (lunga 33,33 metri e larga 18), i trampolini dalla struttura in cemento armato, un capiente anfiteatro a quattro file di gradinate per gli spettatori, i servizi essenziali per i frequentatori (docce, bagni, cabine singole e spogliatoi collettivi, bar) e sul tetto delle ampie terrazze per l’elioterapia, ma anche per l’esercizio di sport all’aperto. Più singolare, anche dal punto di vista costruttivo, è il progetto di piscina galleggiante, concepito per ovviare alla difficoltà di trovare un fondo di fabbrica adatto (sufficientemente esteso, facilmente accessibile, in prossimità del mare e dal prezzo non troppo elevato) sulla terraferma e per l’opportunità di poterla dislocare in qualsiasi parte della costa, a seconda delle necessità del momento.
Definita da Berlam come “idea nuova e modernissima”156, questa piscina avrebbe dovuto essere
costruita interamente in cemento armato, con la preziosa collaborazione dell’ingegner Andrea Ghira, il quale aveva già dato prova di abilità in questa tipologia realizzando un dock galleggiante con lo scafo in cemento armato per il porto di Trieste: questo sistema, secondo Berlam, aveva già dato buoni risultati in America ed in Inghilterra e, se impiegato razionalmente assieme ad un’ossatura ben progettata, avrebbe resistito in modo ottimale alle mareggiate ed al rollio delle onde.
La costruzione avrebbe dovuto poggiare su di uno zatterone composto da dieci cassoni impermeabili di cemento armato (lunghi 33,80 metri, larghi 6 e alti 5), rinforzati internamente da nervature a croce, disposti su una fila e distanti 40 centimetri l’uno dall’altro157: questi cassoni sarebbero stati realizzati
155 Ibidem. 156 Ibidem, p. 23.
e varati in cantiere, saldati insieme una volta trasportati in mare e collegati alle travi dello zatterone tramite dadi di calcestruzzo (elementi di giunzione facili da togliere e rimettere in caso di sostituzione o di riparazione di uno dei cassoni).
Per quanto riguarda il vero e proprio corpo di fabbrica della piscina, esso sarebbe stato solidamente e strutturalmente congiunto allo zatterone attraverso la sua ossatura di elevazione: le quattro file di pilastri, su cui essa avrebbe dovuto reggersi, sarebbero state posizionate lungo le quattro travi poggianti sui cassoni, e sarebbero state tenute insieme non solo tramite le solette orizzontali ma anche da delle “robuste diagonali” innalzantisi dallo zatterone fino al tetto dell’edificio; delle nervature diagonali sulla copertura avrebbero completato l’intelaiatura dell’edificio.
Questo tipo di struttura portante che si configurava come una “gabbia perfettamente rigida158” era
stata studiata per garantire all’intero organismo stabilità, resistenza e indeformabilità, anche se sottoposto al moto ondoso.
Internamente, erano stato previsti per il soffitto un sistema di capriate all’inglese per sorreggere il tetto piano terrazzato ed una camera d’aria che avrebbe garantito l’isolazione termica.
La vasca, delle stesse misure di quella dell’edificio di terraferma, sarebbe stata collocata sopra allo zatterone, e rinforzata da un complesso sistema di travature e nervature incassato nei pilastri dell’ossatura: anche intorno ad essa sarebbe stata realizzata una camera d’aria per ridurre la dispersione del calore dell’acqua.
In quanto alla parte esterna dell’edificio, sui due prospetti frontali del parallelepipedo modellato sull’ossatura principale si innalzavano due imponenti torrioni, in cui erano contenuti i corpi scala, e, più in basso, in corrispondenza dei varchi d’ingresso si protendevano due bassi e rettangolari avancorpi, realizzati per ottemperare alle esigenze distributive funzionali interne; sui due lati lunghi, in corrispondenza dei quattro angoli del parallelepipedo, sporgevano quattro piccoli avancorpi terrazzati ove erano situati i servizi attinenti alle cabine (docce, gabinetti).
Sulle facciate “strutturalmente moderne”, l’estetica sarebbe stata affidata non solo a questo “movimento di masse”159, generato appunto dalla presenza e dall’interazione degli avancorpi frontali,
delle torri e delle aggettanti balconate laterali, ma anche all’inserimento di dettagli costruttivi derivati dall’architettura navale (le finestre rotonde in corrispondenza delle cabine, che ricordavano gli oblò dei piroscafi) e di soluzioni originali, come i finestroni a traliccio in pietra artificiale nera lucidata che, secondo Caterina Lettis, rievocavano una serie di canne d’organo160. Anche qui la decorazione sia
one non vi fossero difficoltà a causa delle concrezioni che inevitabilmente si sarebbero formate a causa della permanenza in mare. Si veda A. Berlam, “Piscine Natatorie riscaldabili per la città di Trieste”, op cit. p.25.
158 A. Berlam, “Piscine Natatorie riscaldabili per la città di Trieste”, op cit. p. 26. 159 Ibidem.
degli esterni che degli interni avrebbe dovuto essere in ceramica: colorata per i profili dei portoni di ingresso, dei davanzali e delle finestre e per i contorni dei volumi sporgenti; perlopiù bianca ma con qualche fascia di colori vivaci per gli interni.
I fumaioli posti sulla parte posteriore della sommità della costruzione avrebbero completato l’impronta navale questo bizzarro organismo a metà strada tra una nave, una macchina ed un palazzo galleggiante.
É proprio il carattere ibrido che connota questo edificio a renderlo originale ed inconsueto, distante dalle soluzioni che Berlam aveva impiegato in precedenza e che avrebbe adottato successivamente (pensiamo soprattutto al grattacielo): davvero interessante è infatti la sperimentazione di Berlam in questo secondo progetto, dal punto di vista tecnico più affine all’architettura ed all’ingegneria navale che a quella di terraferma, e da quello formale più vicina all’arditezza ed alla visionarietà espressioniste che al razionale funzionalismo più intrinsecamente caratteristico delle più moderne concezioni architettoniche dell’epoca.
Si può dunque affermare che questa sperimentazione lo abbia condotto alla produzione di un linguaggio di stampo immaginifico, le cui singolari forme rendono quest’opera una sorta di divertissement progettuale, più che un momento significativo nella sua ricerca ed elaborazione di un linguaggio veramente al passo con le coeve realizzazioni delle avanguardie europee.
Progetto per una piscina di terraferma