Il costante tentativo di Berlam cercare una personale coerenza tra le tendenze “passatiste” e quelle moderniste, la sua volontà di “mediare tra l’amore per l’eredità e l’incognite dell’avvenire”260, che
aveva trovato espressione in un percorso professionale autonomo, lo resero estraneo alle correnti architettoniche coeve – tanto al razionalismo, quanto al classicismo “littorio” e nel contempo anche ai revival storicisti ed al Novecento milanese – autonomia che lo avrebbe portato presto ad un’emarginazione dallo scenario architettonico sia nazionale, che locale.
Fu proprio la sua distanza dalle tendenze architettoniche più in auge all’epoca, razionaliste o littorie che fossero, a far sì che l’opera di altri architetti fosse preferita alla sua: è il caso di Umberto Nordio, che, con il suo modernismo intriso dalla retorica prevista dal classicismo di regime, gli rubò la scena ed il ruolo di “architetto-principe”, come sottolinea Caterina Lettis, riuscendo ad ottenere gran parte delle commissioni pubbliche e private più importanti del periodo.
Allo stesso tempo, il suo essere fascista, come si è detto, non aveva fatto di lui un architetto del fascismo, poiché egli non condivideva la banalità formale dell’architettura fascista, che aveva fatto unicamente della tradizione classica il proprio vessillo, rielaborandola ai fini di un programma politico da declinarsi in arte e in architettura.
In questo senso egli non era per niente tradizionalista, ma piuttosto profondamente antimodernista, non in senso stilistico, quanto più propriamente ideologico. Il suo rifiuto del modernismo infatti era dettato non da un ostinato attaccamento alla tradizione – o da una strumentalizzazione di essa - bensì da una strenua opposizione all’industrializzazione dell’architettura e della produzione edilizia, alla standardizzazione dei suoi componenti e all’omologazione dell’architettura che da questo processo sarebbe derivata: la sua difesa dell’artigianato e della qualità dell’architettura e si potrebbe dire, di una concezione ancora “manuale” dell’architettura, erano del tutto sintomatiche di queste posizioni. La sua lontananza dalla formula univoca della romanità architettonica fascista così come l’avversione alla spersonalizzazione dell’architettura industriale propugnata dal modernismo, lo avevano collocato in una posizione insolita e allo stesso tempo originale, ai margini del dibattito e della scena architettonica nazionale, nonostante le sue riflessioni fossero dettate da una profonda conoscenza e da un profondo rispetto della materia architettonica e della storia dell’architettura. Una posizione non isolata – in quanto non lontana dagli atteggiamenti di alcune grandi figure dell’architettura europea, espressi prima del conflitto bellico, come quelli di Behrens, Berlage, Plečnik – ma alquanto anacronistica.
Di fatto, questa indipendenza del pensiero di Berlam, questa autonomia del suo percorso e la libertà totale che lui rivendicava per l’arte, mal si erano adattate all’intransigenza delle molteplici tendenze
architettoniche in contrasto tra loro (moderniste e non261), così come male si era adattato Berlam stesso
all’ambiente dei concorsi, alla difficile relazione con le istituzioni governative sorte dopo l’annessione di Trieste all’Italia e con l’instaurazione del partito fascista (in cui lui tuttavia fin dall’inizio aveva riposto grandi speranze), alle “angherie” subite da parte di colleghi e oppositori, di cui restano a testimonianza le diverse polemiche e le controversie da lui affrontate in vari suoi progetti (il faro e il grattacielo in primis), e non in ultimo ai problematici rapporti con la committenza – in cui spesso era stato costretto a rinunciare all’incarico oppure a mettere da parte la qualità architettonica, in favore del risparmio sui materiali e sul suo stesso lavoro262.
Anche a queste motivazioni va ascritta la chiusura dello studio, aperto dal nonno Giovanni Andrea nel 1848 e chiuso dopo quasi un secolo di attività nel maggio del 1936263, e del suo abbandono ufficiale
della professione.
I suoi ultimi interventi si limitarono alla progettazione di lapidi e pili commemorativi e diverse tombe per il cimitero di Sant’Anna a Trieste, ad alcuni interventi nella zona di Tricesimo presso cui si era ritirato (risistemazione della piazza maggiore, costruzione di una torre serbatoio all’acquedotto del Cornappo), fino agli due ultimi progetti per i seminari di Pola e Parenzo in collaborazione con Lituano Samero (poi non realizzati).
Nei suoi ultimi anni, ritirato presso la villa di Tricesimo, si dedicò ancora più intensamente alla letteratura, non limitandosi però più alla sola architettura, ma traducendo opere di vario genere dall’inglese, dal tedesco, dal francese ed anche dal latino, ed approfondendo le tematiche più varie dalla storia, all’archeologia, all’araldica, alle arti minori, e persino alle favole che scrisse ed illustrò per il nipote prediletto, senza tuttavia trascurare la pratica del disegno e dell’incisione, sue grandi passioni.
Il 27 luglio 1946 a Tricesimo, mentre rientrava a casa dalla messa parrocchiale, fu investito da un autocarro militare inglese e morì prematuramente.
Purtroppo Arduino Berlam risulta ad oggi un artista poco conosciuto e altrettanto poco studiato, persino nella sua nativa Trieste, nonostante la fertile e poliedrica attività abbia fatto di lui uno dei più importanti architetti triestini del secolo.
Tuttavia, le sue suggestive architetture, che spiccano per la loro unicità ed originalità nel contesto
261 Si veda la nota numero 251.
262 Si pensi a questo riguardo non solo al Faro della Vittoria, in cui Berlam aveva investito il suo intero compenso e l’eredità del padre per le opere artistiche e nonostante la strenua ricerca di fondi aveva poi dovuto semplificare drasticamente le opere statuarie, ma anche al Grattacielo, per il quale il committente Amodeo aveva preteso un lavoro di alto livello pur avendo appaltato le opere ad un basso prezzo e a ditte di terz’ordine, e non da ultimo anche ai progetti di ristrutturazione della palazzina dell’Unione Militare e della Villa Modiano che gli furono entrambi rifiutati poiché i preventivi, realistici, gli vennero contestati dalla committenza come eccessivamente costosi.
urbano della città giuliana, i suoi numerosi ed importanti testi teorici che testimoniano della sua profonda cultura, della sua partecipazione attiva e del profondo interesse per il suo tempo, i suoi pregevoli disegni ancora sconosciuti ai più, sono, assieme all’esempio di integrità e coerenza che lui non solo come artista, ma anche come uomo ha sempre dimostrato nel corso della sua vita, il più importante lascito che Arduino Berlam ha trasmesso e che si auspica, non venga mai dimenticato.