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La fase b: Da Canal e le riforme

Nel documento COLLANA STRUMENTI (pagine 57-69)

Il sistema veneziano

3. La fase b: Da Canal e le riforme

3.1. Della milizia marittima e la riforma di Cristoforo Da Canal54

Il 15 febbraio 1542 un gruppo di patrizi propose al Senato una rivolu-zionaria modifica all’armamento delle galere della Repubblica. Riassumendo i punti salienti, si chiedeva di introdurre stabilmente la pena della galera e l’uso dei forzati come rematori, di nominare un Governatore dei condannati a capo della squadra delle galee sforzate e di creare l’apparato burocratico necessario. L’iniziativa fu bocciata, ma il gruppo ripresentò le stesse richieste il 20 maggio, e in questa circo-stanza ottenne che si introducesse la pena alla galera nel sistema pena-le veneziano55. Il 15 maggio 1545 si completò, con un’altra “parte” del Senato, la riforma che introduceva la condanna alla galera. Pochi mesi dopo fu armata la prima galera sforzata comandata dal neo Governatore dei condannati Cristoforo Da Canal56, vero artefice della riforma teorizzata nel suo celebre scritto Della Milizia Marittima.

Cristoforo Da Canal era nato a Venezia il 12 settembre 1510 da Giacomo e da Giovanna Arimondo. Fin da ragazzo era stato avviato alla carriera marittima e nel 1538 era presente alla disfatta della Prevesa come sopracomito57. Quattro anni dopo – come abbiamo visto – era stato il promotore dell’introduzione dei forzati sulle galee venete. Probabilmente durante i giorni della Lega cristiana aveva avuto modo di osservare da vicino le galee ponentine, la cui organizza-zione avrebbe rappresentato il suo paradigma di riferimento.

L’opera dacanaliana, ben conosciuta da tutti gli studiosi dell’arma-ta sottile veneziana, è sdell’arma-tadell’arma-ta largamente travisadell’arma-ta, anche perché non è stata analizzata parallelamente ai documenti archivistici coevi e

suc-54Per un inquadramento generale si veda A. TENENTI, Cristoforo Da Canal. La marine véni-tienne avant Lépante, Paris, 1962.

55A. VIARO, La pena della galera. La condizione dei condannati a bordo delle galere veneziane, in Stato, società e giustizia nella Repubblica veneta (sec. XV-XVIII), a cura di G. COZZI, Roma, 1980, vol. I, pp. 388-390.

56Ibidem, pp. 390-391.

cessivi alla riforma. Lo scritto del Da Canal è noto soprattutto per aver rivoluzionato il modo di “ciurmare” le galee veneziane, eppure le giu-stificazioni addotte per dimostrare la superiorità delle galere sforzate ci paiono deboli.

Innanzitutto, sembra strano che a bordo delle galee veneziane di metà Cinquecento vi fossero imbarcati soltanto galeotti dalmati e greci. Come abbiamo visto, il reclutamento delle ciurme veniva effettuato su tutto il territorio soggetto alla Repubblica e non solo nello Stato da Mar. Inoltre, già in quel periodo molti erano i galeotti provenienti da altri Stati, attratti anch’essi dai sostanziosi premi d’ingaggio. È vero che all’epoca quasi tutti i sopracomiti andavano ad “interzare” i ban-chi delle loro galere in Dalmazia e successivamente nelle isole greche, ma è altresì vero che il nucleo più numeroso partiva da Venezia. Ora non ci è chiaro se il Da Canal ebbe il comando di una galera del Regno di Candia, diversa dal punto di vista della ciurma da una galera tipica della squadra veneziana58. Per il Da Canal vi erano, in sostanza, due qualità di galeotti: i dalmati e i greci. I primi di grande statura, “gras-si e carno“gras-si”, i secondi più bas“gras-si, ma “nervo“gras-si e asciutti”. I dalmati, chiamati schiavoni risultavano

di complessione debole, il quale ragionamento è confermato dal-l’effetto che sempre avviene, che il primo anno che vengono sulle galere essi infermano o di febbre o di strano pericoloso male. […] Sono appresso grandissimi mangiatori, ma ben parchi nello spen-dere et prudenti in compartire li denari delle paghe loro, in guisa che insino al fine del viaggio non ne sentono mancamento; usano pulitezza nel vestire et sono sempre mondi nella persona. Trovansi amatori della religione, fideli osservatori delle promesse, né fug-gono, come molti altri, ma servono di continuo fino che è fornito il loro tempo59.

In compenso risultavano essere un po’ “tumultuosi”. Al contrario i greci

58Ibidem, pp. 110-114.

si come sono dalli schiavoni diversi di statura et di complessione così parimente sono d’animo et di natura, perciocché nel mangiare agguagliano la sobrietà et temperatezza degli spagnuoli, ma nel bere trapassano i tedeschi, in modo che si può dire che nel vino consumano in un giorno le paghe intiere d’un mese. Di nettezza et pulitezza non curano et quei pochi panni che vestono sono sempre lordi, in più parti rotti et sdruscidi. A che aggiongendovi l’esser naturalmente neri et difformi, sopra modo s’assomigliano non a huomini ma a quei mostri che si trovano alcuna volta descritti nelle favole dei romani. Appresso non portano riverenza a Dio né agli huomini et quantunque dimostrino di haver qualche poco di devo-tione alla Vergine Madre di Christo, nondimeno per ogni picciola speranza che si desti nell’animo loro di guadagno, non facendo stima né di fede né di giuramenti sempre pongono inanzi l’utile all’honestà. Dove gli schiavoni per gran tumulto et disordine che da essi ne deriva le galere non abbandonano, i greci senza strepito et movimento alcuno per ogni picciol segno che accenda le menti loro, da soli a soli, si dipartono tacitamente60.

Nonostante tutto ciò il Da Canal preferiva di gran lunga i greci, poi-ché risultavano più robusti e resistenti alla fatica, e addirittura arriva-vano a vogare “per il spatio di 30 et più miglia”. Inoltre i greci erano forti e intrepidi, i dalmati deboli e paurosi. Già questa analisi sembra un po’ superficiale, dettata esclusivamente da gusti personali; ma ancor più inconsistente appare la preferenza del Da Canal per i galeot-ti condannagaleot-ti. Vediamone punto per punto le mogaleot-tivazioni.

La prima è che i galeotti condannati risulterebbero più efficienti al servizio, proprio perché incatenati: “dalla catena nasce il timore in questi huomini et dal timore l’obbedienza”61, ragion per cui ci sareb-be un sostanziale miglioramento della disciplina a bordo della galea. I fatti smentiranno queste affermazioni: i rematori forzati risulteranno, proprio perché costretti, molto più svogliati dei loro colleghi salariati. I condannati, d’altronde, erano quasi tutti ladri o assassini, uomini senza lavoro e senza disciplina: è difficile credere che le frustate degli

60Ibidem, pp. 111-112.

aguzzini e le poche prospettive di tornare a casa potessero compiere il miracolo di trasformarli in perfetti militari.

Il secondo motivo per preferire i condannati è dato dal fatto che, con essi, a bordo delle galere avrebbero trovato più spazio i soldati. Inoltre i forzati, in caso di scontro, sarebbero fuggiti di meno rispetto ai loro colleghi liberi. In realtà non troviamo nessun legame tra l’uso di galeotti condannati e il numero dei soldati imbarcati, che di solito variava a seconda delle missioni che la galea doveva compiere. D’altra parte le possibilità di vittoria in uno scontro fra galere dipendevano molto dall’abilità dei comandanti nelle manovre di abbordaggio e nella qualità intrinseca dell’equipaggio; e nelle mischie le più alte per-centuali di decessi erano proprio quelle dei condannati, che per la maggior parte non venivano lasciati liberi di combattere, mentre i galeotti liberi – che sulle galee veneziane non furono mai incatenati al banco – erano armati e allenati al combattimento62.

Un terzo motivo di superiorità delle galee sforzate su quelle libere sarebbe la miglior voga sviluppata dalle ciurme delle prime rispetto alle seconde. Il Da Canal dice che i galeotti liberi utilizzavano solita-mente una voga lunga e lenta, detta “stroppata”. Il galeotto libero puntava il piede dritto sul “pontapié” e poi si lasciava cadere all’in-dietro trascinando con forza il remo. I forzati invece, essendo legati alla catena, vogavano nella maniera detta “rancata”, cioè corta e veloce. Analizzando questo punto, sorgono molti dubbi sulle qualità marinaresche del Da Canal. È notorio infatti che la buona voga, ancor

62“Disposizioni dell’armi alle ciurme. Doveranno i capi da scala delle gallere sceglier di ciascun banco un huomo da remo più habile a maneggiar il moschetto, ne faranno a que-sti la consegna, acciò lo custodisca sotto il suo banco, e l’esserciteranno in gallera ogni volta che possano a ben carricarlo, e sbarcarlo nella forma pratticatta con li scapoli. In occasion d’essercitio doverà il destinato moschettiere portarsi alla banda per avanzare alla pavesada, e sbarare subito che haveranno sbarato li soldati di rinforzo, e scapoli per continuare il foco fino all’abbordo. Succederà al moschettiere altro huomo da remo cre-duto atto a ben investir con brandistocco, et a questo altro armato di spada, et il quarto proveduto con sacheto di granate, e michia, monterà in corsia tenendo un piede sopra il suo banco per gettar le granate, dove richiedesse il bisogno. Per evitar le confusioni non partirà veruno dal suo banco e luco senza espresso comando, dovendo dalla prudenza di chi all’occasioni comandarà esser spinti li huomini, e l’armi opportuni all’offesa e difesa. Durante la campagna solamente li lascieranno alli condannati i moschetti e le bandoliere, et altre arme se li daranno solo in occasion di esercitio”. B.M.C., Archivio Morosini-Grimani, b. 557, fasc. I.

oggi, si effettua sfruttando per intero lo spazio di voga che ciascun rematore ha a disposizione, immergendo la pala il meno possibile. L’aumento della velocità, poi, si esegue semplicemente aumentando la frequenza del numero dei colpi e restringendo solo in parte l’am-piezza della palata. Queste considerazioni trovano conferme sia in un manoscritto francese del XVIII secolo, sia in studi di storici con-temporanei.

Nel manoscritto Les mémoires du S.rMasse, conservato nell’Archivio Nazionale di Parigi, si parla di quattro diversi modi di far vogare la ciurma, e il peggiore è proprio la voga chiamata dal Da Canal “ranca-ta” e dal Masse definita passe-vogue; mentre le altre tre tipologie, tutte effettuate con movimenti lunghi e relativamente lenti, risultavano essere efficaci e si differenziavano soltanto per la frequenza e l’inten-sità delle battute63. Le stesse perplessità sulla descrizione della voga fatta dal Da Canal sono espresse molto bene in un lungo saggio di Mauro Bondioli, nel quale si dice che i condannati nella voga a scaloc-cio vogavano assieme ai galeotti liberi con movimenti più ampi e lenti64. Opinione peraltro confermata anche negli scritti di specialisti della materia come Zysberg e Burlet65. Concorde è anche il parere di Gian Carlo Calcagno il quale, a proposito dei motivi che spinsero i governanti della Repubblica di Genova ad istituire la squadra delle galee di libertà a metà del XVII secolo, parla di un generale scadimen-to delle ciurme “ligate”, mentre l’utilizzo dei buonavoglia, facilitati dal

63“Je ne trouve que quatre manières de voguer. La première, c’est en voguant de faire toucher avec le genoüil de la rame, sur le banc où l’on monte avec le pied; c’est la vogue ordinaire qu’on fait faire, lors qu’on sort d’un port où bien lors qu’on y entre. […] Cette vogue est bien la plus belle, mais aussy elle est la plus fatiguante pour la chiourme. La seconde vogue, est la vogue ordinaire qu’on fait lors qu’on est en route, qui ecile de faire passer le banc, et qu’on mont sans le toucher par le genoüil de rame, Je trouve cette vogue la meilleure, car c’est celle qui fait le plus aller de l’avant et le mieux marcher la galére. La troisième vogue, c’est la passe-vogue, où bien une vogue vitte, pour quand on donne chasse à quelque bastiment. Je trouve cette vogue la moindre de toutes, et la plus mauvaise, et celle dont je ne voudrois me servir, à cause quelle fatigue trop la chiourme […]. La quatrième et dernière vogue, c’est de faire donner une vogue bien large, et ne pas passer le banc. Cette vogue est bonne, lors que vous voulez ménager vôtre chiour-me, et ne la pas fatiguer”. A.N.P., Marine B6, n. 144 (microfilm), cc. 42-44.

64M. BONDIOLI-R. BURLET, Oar Mechanics and Oar Power cit. p. 179.

65Cfr. A. ZYSBERG, Les galériens cit., pp. 238-239; R. BURLET, La galère et sa manoeuvre, in Quand voguaient les galères, Rennes, 1990, pp. 169-173.

libero movimento, avrebbe migliorato di molto la qualità della flotta pubblica66.

Il Da Canal commette poi un’altra ingenuità sostenendo che le galee sforzate sarebbero migliori perché avrebbero un’altezza di costru-zione maggiore e quindi risulterebbero più efficaci sia nella voga che a vela. Qui è chiaro il riferimento alle galee ponentine, le quali però non furono mai armate esclusivamente con rematori condannati; soprat-tutto su quelle genovesi, vi fu sempre una certa percentuale di buona-voglia.

Un altro argomento messo innanzi dal Da Canal, ma smentito dai fatti, è che i condannati sarebbero più attenti alla pulizia personale e a quella di bordo, si ammalerebbero e morirebbero meno rispetto ai galeotti liberi67. L’attenzione e la frequenza del cosiddetto “posto di lavaggio” dipendeva dalle qualità del comandante e degli ufficiali della galera, e in parte dalla personalità del rematore. Ad esempio l’or-dine di radersi e di tagliarsi i capelli era uguale sia per i liberi che per i forzati. Per quanto concerne poi la possibilità di ammalarsi e di mori-re, le cose stavano esattamente al contrario. I galeotti liberi avevano in genere, rispetto ai loro colleghi forzati, una qualità di vita superiore. Potevano procurarsi più agevolmente degli alimenti supplementari rispetto al rancio di bordo; potevano acquistare più facilmente i medi-cinali e l’opera dei medici; potevano scendere a terra e sfogare meglio le pulsioni sessuali. Inoltre – come vedremo – essendo di proprietà dei rispettivi comandanti, erano protetti adeguatamente, poiché ogni galeotto morto significava per il proprietario una perdita di denaro.

66G. C. CALCAGNO, La navigazione convogliata a Genova nella seconda metà del Seicento, in Guerra e commercio cit., p. 282.

67Tanto per fare un esempio riportiamo i dati di mortalità della galea bastarda di Lunardo Foscolo del 1652 che, seppur lontana nel tempo dal periodo del Da Canal, pre-senta percentuali di mortalità più elevate dello standard seicentesco, ma più vicine alla situazione del XVI secolo. Il tasso di mortalità della ciurma si aggirò attorno al 26,5%; quella dei condannati era attorno al 30%, mentre quella dei rematori liberi era del 23,5% e addirittura quella dei dalmati era del 18,3% (A.S.V., Provveditori all’Armar, b. 331). Ma in generale, se non intervenivano fattori di disturbo quali pestilenze o epidemie, la mor-talità sulle galere seicentesche era molto più bassa. Ad esempio sulla galera di Alvise Foscari III, tra il 1685 e il 1690, dunque durante un periodo bellico, morirono 52 remi-ganti, di cui 40 condannati. La media annua era perciò di 7,4 rematori deceduti e la per-centuale del 3,8%. A.S.V., Senato Mar, f. 708, parte del 1 luglio 1693 e allegati.

Viceversa la qualità di un uomo incatenato al banco era decisamente più bassa e soprattutto la mortalità era più elevata.

Gli unici motivi che potevano giustificare l’introduzione dei con-dannati erano: l’abbattimento dei costi di gestione della flotta68e lo svuotamento delle prigioni dello Stato. Per quanto riguarda il primo, se prestiamo attenzione alle cifre suggeriteci nelle carte di Giulio Savorgnan69– probabilmente partorite da Giacomo Contarini – una galea sforzata costava D 8.268, mentre una di libertà D 8.943, vi era dunque una differenza di circa 675 ducati. Ma come si poteva conci-liare il risparmio economico e la qualità? La soluzione suggerita nelle carte del nobile friulano – che pochi decenni dopo verrà effettivamen-te adottata – era di armare una galea tipica da sopracomito con circa 100 condannati e 70 uomini liberi. In questa maniera si abbattevano i costi – visto che addirittura veniva a costare D 745 in meno di quella sforzata – e si migliorava la qualità della ciurma.

68Cfr. A.S.V., Secreta, Materie miste notabili, f. 13, 13 febbraio 1589, cc. 16v-17v (docu-mento segnalato dal dott. Antonio Conzato); L. LOBASSO, Schiavi, forzati e buonevoglie cit., pp. 192-193.

69Giulio Savorgnan. (1510-1595), appartenente al casato friulano più potente e tradi-zionalmente alleato con Venezia, cominciò il suo apprendistato militare nel 1526 in Lombardia. Nel 1539 fu mandato a Cattaro con 350 fanti; successivamente fu per sei anni governatore di Zara. Nel 1549-50 sovrintese alla fortificazione di Peschiera, e dal 1551 al 1553 a quella di Corfù; successivamente fu Governatore generale di Creta (1563-1566) e in Dalmazia (1567). Tra il 1568 e il 1569 si trovava alla direzione della fortificazione di Nicosia e del restauro di quella di Famagosta. Durante la guerra di Cipro fu schierato nuovamente in Dalmazia come Governatore generale e nel 1571 ottenne il comando del Lido che fece fortificare. Nel 1574 fu Governatore generale di Verona. Sovrintendente generale dell’artiglierie nel 1587, riorganizzò le difese di Verona, di Peschiera e di alcu-ne piazze alcu-nel Bergamasco. Amico di Giacomo Contarini, il patrizio vealcu-neziano animato-re del ridotto privato dove uomini provvisti di un sapeanimato-re tecnico pratico dibattevano sui problemi della difesa dello stato marciano, Giulio Savorgnan sosteneva la fortificazione del fianco orientale di Terraferma, e sollecitò più volte la Serenissima a raggiungere il confine dell’Isonzo recuperando il forte di Gradisca. Infine, dopo l’ennesimo fallimento delle trattative tra Venezia e gli arciducali, fu la figura carismatica che presiedette la pro-gettazione e l’avvio dei lavori di costruzione della fortezza di Palma.

Sull’amicizia con Giacomo Contarini cfr. A.S.V, Secreta, Archivio proprio Giacomo Contarini, b. 19, cc. n. nn. Cfr. inoltre: B.N.M, Manoscritti It., VII. 1216 (9448), n. 12, Confini della Patria del Friuli, cc. 126-131, Relazione di Giulio Savorgnan al Senato in data 11 marzo 1583; L. CASELLA, I Savorgnan o delle piccole corti, in “Familia” del principe e famiglia

aristocratica, a c. di C. MOZZARELLI, Roma, 1988, vol. 2, pp. 391-413; F. MICELLI, I Savorgnan

e la difesa della Patria, in I Savorgnan e la Patria del Friuli dal XIII al XVIII secolo, Udine, 1984, pp. 133-141.

Le suddette motivazioni, unitamente alla possibilità di trovare rapidamente uomini da remo, furono quelle che spinsero il Senato veneziano ad accettare la proposta del Da Canal, il quale cavalcando il momento proficuo riuscì ad ottenere una nuova carica “da mar” e a prendersi il merito della riforma, che però sul lungo periodo – come vedremo – sarebbe risultata perdente. Se vogliamo, essa si concluse realmente con la riforma presentata dal Sozzi nel 177470. Il fatto, però, che l’abolizione definitiva dei galeotti di libertà avvenisse così avanti nel tempo, è un’ulteriore conferma del fallimento della proposta del Da Canal.

3.2. 1545: nasce la Milizia da mar

La prova della poca fiducia nel sistema dacanaliano da parte della classe dirigente veneziana, e di quanto la stessa riforma fosse stata approvata in maniera sofferta, è data dal fatto che il 5 agosto 1545 fu riorganizzato e burocratizzato l’antico sistema della leva di mare, mediante la nascita del Collegio della Milizia da mar, una sorta di supermagistratura della flotta militare della Serenissima. La “parte” istitutiva si basava sulla possibilità di armare una flotta di 100 galee sottili, 75 in più rispetto alla vecchia riserva denominata del Consiglio dei X, già organizzata con precedente decreto del 1539. “Et perché le galee senza ciurme sariano come un corpo senza vita”71, la parte prevedeva che i galeotti di 25 galee sarebbero stati a carico della città di Venezia e del suo Dogado, mentre il reclutamento per le altre 50 sarebbe toccato per intero alla Terraferma. A organizzare la raccol-ta degli uomini e del denaro necessario all’armo avrebbe pensato il Collegio della Milizia da mar, composto inizialmente da quattro Provveditori, uno per ogni gruppo di 25 galee, 16 Governatori, i due Provveditori all’armar, i due Provveditori all’arsenale, i due Provve-ditori sopra i biscotti e il Provveditore all’artiglieria. Successivamente, nel 1558, il numero dei Provveditori e quello dei Governatori fu

70S. PERINI, Una riforma della marina militare veneziana cit.; ma soprattutto A.S.V., Senato Militar, f. 76, parte del 24 febbraio 1774 con numerosi allegati.

dimezzato72. Il compito principale era di “tener in nota tutta la mari-narezza di questa città et Ducato, così quelli che ora la esercitano, come in quella che per la commodità della robba hanno lasciato l’ar-te del navigare, facendo di quegli ammiragli, comiti, paroni, compa-gni, scrivendo calafadi, et marangoni delli squeri, così di questa città come di fuori”73. A tutti gli arruolabili venivano confermati i privile-gi concessi nel 1539 e cioè: l’ingresso in un’arte o in una Scuola

Nel documento COLLANA STRUMENTI (pagine 57-69)