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La fase a: della prima età moderna

Nel documento COLLANA STRUMENTI (pagine 51-57)

Il sistema veneziano

2. La fase a: della prima età moderna

Per capire a fondo i criteri di gestione dell’armata sottile veneziana nel Seicento è necessario studiare e analizzare il periodo antecedente alla riforma dacanaliana; successivamente, infatti, sarà possibile riscontra-re non pochi punti di contatto con il sistema più antico.

Sia a Genova sia a Venezia, durante il medioevo, non esisteva la divisione netta tra le galere mercantili e quelle militari. Le prime, in caso di conflitto, potevano essere trasformate rapidamente nelle secon-de, in base a modalità e consuetudini diverse. A Genova le galere com-merciali erano di proprietà dei privati, i quali però dovevano attenersi a normative emanate dal Comune. Quest’ultimo – ad esempio – aveva stabilito misure rigide per la costruzione delle galere, proprio in fun-zione di un possibile uso bellico38. In caso di conflitto, il Comune geno-vese prendeva a noleggio le diverse unità private e le affiancava a quelle pubbliche. Un documento del 3 giugno 1340 ci informa che que-ste ultime erano tre, avevano compiti di vigilanza e difesa delle coque-ste, e i padroni e gli equipaggi figurano “ad stipendium Communis”39. L’usanza fu riproposta a metà del XVI secolo, allorché la Repubblica decise di dotarsi, definitivamente, di uno stuolo pubblico in grado di garantire almeno il controllo della Riviera40. Ma il nucleo più consi-stente dell’armamento genovese rimase quello dei privati che, soprat-tutto per conto della Spagna, conservarono cospicue squadre navali fino al secolo XVIII.

A Venezia le cose andarono in maniera diversa. All’iniziativa pri-vata si venne ad aggiungere, man mano, una sempre maggiore pre-senza statale, con norme che miravano a regolamentare e sostenere l’attività dei privati. Ciò si riscontra in maniera peculiare nelle “mude”

38A tal proposito si veda: G. FORCHERI, Navi e navigazione a Genova nel Trecento: il Liber

gazarie, Bordighera, 1974 e G. G. MUSSO, Navigazione e commercio genovese con il Levante nei

documenti dell’Archivio di Stato di Genova (secc. XIV-XV), Roma, 1975.

39A.S.G., Antico Comune, reg. 1, c 22 e 153v, 3 giugno 1340; Ibidem, reg. 3, cc. 23-49, 14 aprile e 3 agosto 1345.

40Cfr. V. BORGHESI, Il Magistrato delle Galee (1559-1607), in Guerra e commercio nell’evolu-zione della marina genovese tra XV e XVII secolo, Genova, 1973, pp. 187-223.

delle galere da mercato. In un primo momento il Comune si limitò a regolamentare il numero dei bastimenti, l’armamento e la consistenza degli equipaggi, il tutto sotto la guida di un Capitanio nominato dal Senato41.

Talora si preferiva invece una gestione delle galere totalmente a carico dello Stato, come accadde in diverse circostanze nei primi decenni del XIV secolo, in periodi di crisi militare. Dopo il 1320, però, si optò per un terzo sistema a metà strada tra i primi due. Le galere da mercato, costruite dal Comune e di sua proprietà, venivano date in appalto ai privati tramite il pubblico incanto. Il privato – obbligatoria-mente un patrizio – che si aggiudicava l’asta, riceveva dal Senato un documento che lo autorizzava a gestire la galera. Sovente dietro il vin-citore c’era una società di investitori, che avrebbero dovuto garantire i mezzi necessari per la gestione della galera42. Ottenuto il permesso dal Senato, il “patrono” aveva l’onere di reclutare l’equipaggio della galera, e per far ciò metteva banco – ponere bancum – tra le due colon-ne della Piazzetta davanti a Palazzo Ducale. Come si può immaginare lo sforzo economico era notevole, tanto che, in congiunture politiche internazionali sfavorevoli, il Senato fu costretto ad introdurre l’usanza di dare al “patrono” una sovvenzione. Così accadde nel 1504 in occa-sione della preparazione del viaggio di Fiandra43. La somma stabilita fu di 6.500 ducati che, secondo il parere di Tucci, copriva il 59% delle spese globali dell’impresa44. Quello che però non appare chiaro è se si trattasse di un dono o di un prestito senza interessi: questione che diventa intrigante alla luce di quanto avveniva sulle galere militari, dove certamente si trattava di un prestito e non di un dono. Al di là di queste considerazioni, quello che a noi interessa è capire in che misu-ra lo spirito mercantile utilizzato nella gestione delle galere da merca-to si trasferì su quelle militari.

Come si è detto, per tutto il periodo tardo medievale, almeno fino a metà del XV secolo, la flotta militare veneziana era composta quasi

41F. C. LANE, Le navi di Venezia cit., p. 52.

42F. C. LANE, Storia di Venezia, Torino, 1991, p. 392.

43Si veda l’importante saggio di U. TUCCI, Costi e ricavi di una galera veneziana, in Mercanti, navi cit., pp. 161-230.

esclusivamente dalle galere mercantili prestate agli usi di guerra, così come avveniva anche a Genova. Nel corso del Quattrocento, però, si cominciò a preferire un altro tipo di galera più adatto ai compiti belli-ci: la galea sottile. Piano piano nacque un primo nucleo della flotta militare permanente, slegata da quella mercantile45. Contemporanea-mente l’aristocrazia veneziana decise di sostituire ai vecchi “pagadori del Comune” una più efficiente magistratura, incaricata di organizza-re la flotta e di legiferaorganizza-re attorno alle questioni marittime. Nel 1467 nacquero i Provveditori all’armar, inizialmente destinati a coadiuvare e controllare i pagadori e che, dopo la loro riconferma avvenuta agli inizi del Cinquecento, estesero le loro competenze fino al completo controllo della flotta pubblica.

In questo periodo i galeotti delle unità militari erano tutti uomini liberi e molti di essi provenivano dai banchi delle galee da mercato. Il loro reclutamento era demandato ai sopracomiti che, per ingaggiarli, erano costretti ad elargire cospicui premi in denaro. Questo ingaggio costituiva il vero guadagno del galeotto, visto che la paga mensile – calcolata su 33 giorni lavorativi – era di lire 8 e tale rimarrà fino al 1602, anno in cui si decise di aumentarla a lire 10. Oltre a questo il galeotto percepiva, nel momento in cui accettava l’imbarco, quattro paghe anti-cipate. A quel punto il remigante vedeva scrivere il proprio nome, dal-l’incaricato preposto, su una pagina di un libro di colore rosso, recan-te in copertina lo srecan-temma di una famiglia nobile veneziana e il leone marciano. Quel registro era chiamato libro galera46. Su di esso, pagina per pagina, si riportavano i nomi dei membri dell’equipaggio e tutte le annotazioni su ciascuno di essi, dall’imbarco fino al licenziamento o fino alla morte. Ma soprattutto sul libro galera si registravano i movi-menti di denaro. Il galeotto sapeva che dalle registrazioni effettuate su di esso dipendeva la sua stessa vita.

45F. C. LANE, Le navi di Venezia cit., pp. 178-179.

46Ve ne sono cinque nel fondo dei Provveditori all’armar (nn. 327-331), di cui quattro sono relativi a galeazze. Un altro esemplare è conservato presso la biblioteca del Museo Civico Correr (manoscritti p.d. 685 c, libro di Lorenzo Donà 1648-50); l’ultimo infine si trova nella biblioteca della Fondazione Querini-Stampalia (manoscritti cl. IV. 26. 163, libro di Francesco Querini 1647).

Una volta acceso il conto di ciascun galeotto e annotati i crediti ini-ziali, lo scrivano di bordo registrava man mano tutti i suoi consumi, scalandoli dalla cifra iniziale. A fine viaggio, giunti a Venezia, si rego-lavano le pendenze. Nella fase A, di solito, il galeotto a fine ingaggio era in credito verso l’amministrazione, la quale avrebbe dovuto paga-re immediatamente questa somma detta “paga-refusura”. Sennonché gli ufficiali pagadori si accorsero che numerosi galeotti, una volta perce-pito il compenso, si dileguavano, rendendosi quindi non più ingag-giabili. Nacque così l’idea, non proprio adamantina, di tergiversare prima della consegna della refusura, con lo scopo di strappare un nuovo ingaggio al galeotto. In altre occasioni invece il galeotto, per diversi motivi, giungeva a Venezia con un debito, che lo vincolava al prolungamento del servizio47. Vedremo poi meglio che, nelle fasi suc-cessive, proprio questo sistema del debito verrà sviluppato e articola-to così bene da costituire il vero cardine del sistema gestionale vene-ziano.

Già in questa prima fase l’onere del reclutamento della ciurma era demandato al sopracomito, che per arruolare i galeotti migliori elargi-va dei “donativi”. Secondo il Lane, l’intervento dei sopracomiti nel-l’ingaggio dei rematori si intensificò durante la guerra con l’Impero Ottomano del 149948. Da quel momento iniziò la gestione ibrida del-l’armata, a metà strada fra il pubblico e il privato. Ben presto, tuttavia, risultò evidente che i sopracomiti, seppur scelti fra i patrizi più facol-tosi, da soli non riuscivano ad anticipare tutto il denaro necessario al reclutamento. Il Senato, nel quale peraltro sedevano le stesse famiglie dei patrizi interessati all’armo delle galere, decise di fissare una sov-venzione. Nel 1466 era di 300 ducati, nel 1550 era salita a 500, mentre nel 1581 era addirittura arrivata a toccare i 2.500 ducati.

Sempre secondo il Lane, questo sistema permetteva di avere un mercato del lavoro più flessibile e di adattare le condizioni economi-che del galeotto da stagione a stagione. Inoltre il patrizio veneziano era responsabilizzato – aggiungiamo noi – anche dal punto di vista eco-nomico nei confronti del servizio militare per la patria. Questa

gestio-47F. C. LANE, Le navi di Venezia cit., pp. 184-185.

ne mista presentava dei lati vantaggiosi per i nobili, consentendo loro un arricchimento notevole. Si chiedeva, cioè, al sopracomito di inve-stire inizialmente una parte delle fortune di famiglia, ma in cambio gli si permetteva di gestire l’ingaggio, le paghe, l’approvvigionamento dei viveri e del vestiario della ciurma. Al sopracomito veneziano, a dif-ferenza dei comandanti delle galee ponentine, spettava insomma non solo il comando militare, ma anche l’amministrazione della nave e degli uomini. La riuscita o meno dell’investimento dipendeva esclusi-vamente dal buon “maneggio” del denaro e dalle qualità gestionali di ogni patrizio.

Sicuramente già in questa prima fase esistevano almeno due cana-li di reclutamento dei galeotti di cana-libertà: quello volontario, messo in atto dai nobili, dai cittadini o dallo Stato; e quello basato sulla leva di mare. Da sempre il Comune veneziano arruolava i suoi galeotti tra gli uomini della città e del Dogado49. Nei momenti di crisi, come per esempio nel lungo scontro con Genova, i capi quartiere erano tenuti a fornire le liste degli arruolabili, tra i quali venivano estratti a sorte coloro che avrebbero poi servito realmente a bordo delle galee. Ai non estratti spettava il compito di fornire al galeotto il sostentamento finanziario adeguato. Inoltre, come in tutte le leve di antico regime, c’era la possibilità della sostituzione50.

Per tutto il XV secolo la Terraferma fu invece esentata da questo tipo di reclutamento. Nelle città soggette si organizzavano solamente le milizie terrestri, dette “cernide”. Nel 1499 la guerra con il Turco impose ai governanti veneziani di estendere la leva marittima alla Terraferma, ordinando il reclutamento di 10.000 uomini51. Da quel momento tutti i sudditi dovettero contribuire alla difesa dello Stato mediante il servizio

49Il Dogado di Venezia era una sottile lingua di territorio che andava da Grado a Cavarzere. Comprendeva 9 podesterie: Grado, Caorle, Torcello, Murano, Gambarare, Malamocco, Chioggia, Cavarzere e Loreo. Cfr. M. ETONTI-F. ROSSI, La popolazione nel Dogado veneto nei secoli XVII e XVIII, Padova, 1994.

50M. AYMARD, La leva marittima cit., p. 437.

51La parte “terrestre” dello Stato veneziano era denominata Terraferma; essa andava dal Friuli fino al Bresciano e al Bergamasco, e dal Bellunese fino al Polesine. Si differen-ziava dall’altra parte di Stato chiamato da Mar, comprendente tutti i territori articolati lungo la costa dalmata, le isole ioniche e le isole greche.

in mare. Con la fine del XV secolo a Venezia la leva cominciò ad appog-giarsi alle Scuole grandi, ai traghetti e alle corporazioni52.

Negli anni trenta del secolo XVI se ne razionalizzò il funzionamen-to per la città di Venezia e per il Dogado: il 20 giugno 1539 il Senafunzionamen-to emanò un decreto con il quale si stabiliva che le arti, le scuole e le comu-nità del Dogado dovessero, in caso di necessità, fornire 4.000 galeotti per l’armamento delle 25 galee di riserva53. Ai galeotti si prometteva-no alcuni benefici alla fine del servizio: il posto sicuro in una corpora-zione di mestiere, l’entrata in una Scuola grande, l’aiuto economico alla famiglia, l’assegnazione di un alloggio che in caso di decesso sarebbe rimasto alla stessa famiglia, e infine un sussidio per la dote alle figlie da sposare. Il decreto inoltre ordinava una particolare forma di allena-mento al mestiere di galeotto e la maniera per finanziarla. L’idea era di organizzare a Venezia quattro regate all’anno, di sei galee per volta armate di galeotti estratti a sorte tra i 4.000 iscritti nei ruoli. La parteci-pazione dei remiganti sarebbe avvenuta a rotazione. La regata avrebbe dovuto prendere il via dalle acque fuori della laguna antistanti il porto di Malamocco e terminare nel bacino di San Marco, in prossimità della punta della Dogana. Le date scelte erano: la domenica degli Apostoli, il giorno della “Sensa”, la festa di Santa Marina e quella di San Barto-lomeo. In palio furono messi premi a scalare – tra 200 e 40 ducati – dalla prima alla sesta posizione. La rotazione degli equipaggi sarebbe avve-nuta ogni due anni e ai Provveditori all’armar sarebbe spettato il com-pito di organizzare le manifestazioni, mentre la preparazione delle sei galee sarebbe toccata ai Provveditori all’arsenale. Il denaro necessario per coprire le spese sarebbe stato reperito dall’affitto annuo di D 500 del castello di Pordenone e dalla riscossione di imposte indirette per D 1.500. L’uso del condizionale è d’obbligo, giacché il tutto fu disciplina-to dalla legge, ma per quandisciplina-to ne sappiamo a Venezia queste regate di galee non si svolsero mai.

52Nel 1482 furono chiesti, ad esempio, 100 galeotti alle Scuole grandi. Cfr. F. C. LANE, Le navi di Venezia cit., p. 195.

53A.S.V., Milizia da Mar, n. 240, n. 29 parte del Senato del 20 giugno 1539; anche in B.M.C.,

Archivio Donà delle Rose, b. 228; o ivi, Archivio Gradenigo, b. 3; F. C. LANE, Le navi di Venezia cit.,

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