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La fase negoziale: l’impatto degli APE e il loro contenuto

Con la firma dell’Accordo di Cotonou si diede il via ad un processo di normalizzazione che avrebbe dovuto culminare con l’allineamento del precedente regime di Lomé ai principi dell’OMC. L’accordo conteneva le basi giuridiche per la nuova partnership UE-ACP, fissando per il 27 settembre 2002 la data di inizio dei negoziati che avrebbero dovuto concludersi entro la fine del 2007, termine con il quale sarebbe coincisa anche la scadenza della deroga concessa dall’OMC. Gli obiettivi più volte dichiarati degli APE, oltre a quello di rendere compatibile il regime commerciale unionale con la normativa del GATT, erano quelli di aumentare l’efficacia della cooperazione e di promuovere l’integrazione dei Paesi ACP a livello regionale e all’interno dell’economia mondiale. I vantaggi di una più fitta integrazione regionale sarebbero stati molteplici: una più fluida circolazione di merci, servizi, capitali e persone; la riduzione dei costi di transizione e la creazione di economie di scala; la nascita di un mercato più ampio per tutti gli Stati partecipanti; la crescita di competitività dei Paesi ACP nei confronti degli Stati terzi ed un notevole aumento del loro peso politico; un maggiore afflusso di investimenti esteri all’interno di queste regioni.

Le Parti decisero che il periodo preparatorio sarebbe intercorso dall’entrata in vigore dell’Accordo di Cotonou sino all’inizio dei negoziati. Questi due anni sarebbero dovuti servire agli Stati in questione per raggiungere determinati obiettivi: migliorare la loro competitività; rafforzare le organizzazioni regionali; sostenere iniziative regionali di integrazione commerciale e fornire assistenza per gli adeguamenti del bilancio; mettere in atto riforme fiscali; sviluppare le infrastrutture e promuovere investimenti314. Nel settembre

85 2002 venne così inaugurata la fase c.d. All ACP, risultato della volontà dei Paesi ACP di proteggere l’integrità del gruppo e intavolare un negoziato collettivo, al termine del quale formulare un accordo quadro che vincolasse l’Unione europea. Tuttavia, questa fase si concluse nel settembre 2003 senza aver raggiunto alcun tipo di compromesso. Le discordanze tra il gruppo ACP e l’UE non si concentravano soltanto sulla portata della liberalizzazione (quali e quante merci scambiare) ma anche su alcune tematiche che la Commissione considerava imprescindibili per il buon funzionamento di una zona di libero scambio e insisteva per inserire nei nuovi accordi. Se dal punto di vista giuridico, al fine di rendere compatibile il nuovo regime commerciale con le regole dell’OMC, sarebbe bastato un accordo di libero scambio dei beni che si conformasse all’articolo XXIV del GATT, l’Unione sosteneva che per un migliore sviluppo sarebbe stato necessario un accordo più ampio (un full EPA) che interessasse anche altri settori: la liberalizzazione dei servizi, gli investimenti, l’armonizzazione degli standard tecnici e sanitari, politiche comuni a protezione dei consumatori315.

L’approccio dell’Unione europea diede però l’impressione che si stesse spingendo un po’ oltre i progetti inziali, cercando di trasformare gli APE in uno strumento di pressione economica. Questa strategia sollevò numerose remore all’interno degli Stati ACP, le cui organizzazioni regionali iniziarono ad essere titubanti sulla conclusione dei nuovi accordi, non più visti come un’opportunità di sviluppo ma come un attacco da cui difendersi. Nonostante tutto, alla fine del 2003 si aprirono i negoziati tra l’UE e i primi due gruppi regionali, la CEMAC (4 ottobre) e l’Economic Community of West African States (ECOWAS316, 6 ottobre), seguiti l’anno successivo da altre quattro organizzazioni: l’Eastern and Southern Africa (ESA317, 7 febbraio 2004); il Caribbean Forum (CARIFORUM318, 16 aprile); la SADC (8 luglio); le isole del Pacifico (10 settembre); le trattative con l’EAC vennero avviate solamente nell’ottobre 2007. La difficoltà nella gestione delle trattative era dovuta anche alla suddivisione delle negoziazioni su due livelli, quello nazionale e quello regionale. Mentre individualmente ogni Paese cercava di definire le proprie strategie commerciali e le priorità di sviluppo, a livello regionale i vari raggruppamenti non si dimostrarono in grado di definire una linea comune da esporre nel corso dei negoziati. Ciò

315 M. R. Pettazzoni, op. cit., p. 198.

316 Composta da quindici Paesi: Benin; Burkina Faso; Capo Verde; Costa d’Avorio; Gambia; Ghana; Guinea;

Guinea-Bissau; Liberia; Mali; Niger; Nigeria; Senegal; Sierra Leone; Togo.

317 Composta da undici Paesi: Comore; Eritrea; Etiopia; Gibuti; Madagascar; Malawi; Mauritius; Seychelles;

Sudan; Zambia; Zimbabwe.

86 fu verosimilmente dovuto alla scarsa preparazione politica e tecnica degli Stati ACP, messi in difficoltà da un progetto di integrazione regionale imposto da un agente esterno, che non rispecchiava i loro reali bisogni di sviluppo.

In virtù di ciò, gli Stati ACP proposero anche delle alternative per uscire dal blocco negoziale, ma la Commissione decise di continuare per la strada degli APE dividendo le negoziazioni in due fasi: la prima sarebbe terminata il 31 dicembre 2007 ed avrebbe visto la firma di un accordo di partenariato economico parziale in materia di liberalizzazione dei beni con pochi Paesi; la seconda si sarebbe invece aperta il 1° gennaio 2008 ed avrebbe esteso l’APE alla liberalizzazione dei servizi e della proprietà intellettuale. In questo modo sarebbe stata soddisfatta la richiesta dell’OMC di conformare il regime di Lomé alle regole del GATT e allo stesso tempo sarebbero state accolte alcune modifiche proposte dagli ACP. Con la fine del mandato della Commissione Prodi e di Pascal Lamy come Commissario al Commercio nel 2004, gli ultimi tre anni di negoziati si svolsero sotto la guida della Commissione Barroso (2004-2010) e del nuovo Commissario Peter Mandelson, il quale si distinse dal suo predecessore per l’elevato pragmatismo riguardo alle liberalizzazioni e per il poco spazio di manovra lasciato ai Paesi ACP, che attirò sulla sua figura la critica di numerose Organizzazioni non governative (ONG) e di alcuni Stati membri.

Nel marzo 2005 il Department for International Development (DFID), in collaborazione con il Department of Trade and Industry (DTI), pubblicò un documento intitolato Economic Partnership Agreements: Making EPAs deliver for Development. All’interno del paper le due istituzioni britanniche sollecitavano l’Unione a lasciare ai Paesi ACP la possibilità di determinare autonomamente il ritmo e l’estensione degli accordi, senza forzarli alla liberalizzazione tramite la condizionalità dell’aiuto finanziario e in sintonia con i propri livelli di sviluppo, adottando in questo modo un «approccio non mercantilistico»319. Nella pratica, l’UE avrebbe dovuto implementare gli APE con: un periodo transitorio di venti o più anni per contenere i contraccolpi delle liberalizzazioni; un accesso al mercato anticipato e libero dai contingentamenti a tutti i gruppi regionali ACP, semplificando le norme di origine nell’ambito degli accordi; la creazione di un meccanismo di salvaguardia da utilizzare in caso di impennata delle importazioni comunitarie sovvenzionate; la fornitura di un’ulteriore assistenza finanziaria nella costruzione delle infrastrutture e delle capacità economiche di cui questi Stati avevano bisogno, assieme alla creazione di istituzioni in grado

319 Department for International Development, Department of Trade and Industry, Economic Partnership

Agreements: Making EPAs deliver for Development, March 2005.

87 di sostenere i Paesi più poveri con i costi di transizione; la rimozione dai negoziati dei temi riguardanti gli investimenti, la concorrenza e gli appalti pubblici, a meno che non fosse stato uno dei gruppi a richiederne l’inclusione; l’introduzione di un meccanismo di revisione degli APE in collaborazione con i Paesi ACP; la creazione, da parte della Commissione, di un’alternativa agli APE su richiesta di ogni Stato ACP; infine, la revisione dell’articolo XXIV del GATT al fine di ridurre i requisiti di reciprocità e accrescere l’attenzione sulle priorità di sviluppo. Tuttavia, le proposte di riforma avanzate vennero accantonate alla svelta dalla Commissione e dagli Stati membri, che le bollarono come eccessive.

Nel 2006, in occasione della Risoluzione del Parlamento sull’entità del 10° FES320 votata all’unanimità il 23 marzo, arrivò una dura critica nei confronti dei negoziatori comunitari. Oltre a rammaricarsi per i contributi erogati (22682 milioni di euro contro i 24948 promessi321), la Risoluzione Morgantini sulla Dimensione di sviluppo degli APE spronava

l’UE ad impegnarsi con maggiore premura affinché l’obiettivo dello sviluppo fosse messo al primo posto e a difendere gli Stati ACP dai pericoli derivanti da una liberalizzazione troppo veloce322. Così, a meno di un anno dal termine dei negoziati, preso atto dello stallo venutosi a creare tra le Parti e della richiesta dell’ECOWAS di prolungare la deroga dell’OMC di altri due anni (poi ripresa anche dall’Unione africana), il Commissario Mandelson decise di abbandonare il progetto full EPA e adottare una strategia in due fasi323. La prima prevedeva la stipula di un accordo provvisorio, un Interim EPA (IEPA), in conformità con l’articolo XXIV del GATT, entro il 2007; la seconda sarebbe stata avviata l’anno successivo ed avrebbe previsto la firma dei full EPA regionali entro la fine del 2008. Sebbene nessuno degli Stati ACP abbia abbandonato il tavolo dei negoziati, ciò sembrò essere dovuto più alla mancanza di alternative valide agli APE e allo sbilanciamento della forza contrattuale in favore dell’Unione che a un vero e proprio interessamento al progetto. Questa impressione parve trovare conferma nel 2007, quando la Commissione rifiutò la richiesta della Nigeria di entrare a far parte del sistema preferenziale SPG+. Creato nel luglio 2005, si trattava dell’unico meccanismo di sostegno allo sviluppo e al buon governo per quei Paesi che, essendo classificati come vulnerabili ma non appartenenti alla categoria dei PMA, non avrebbero potuto beneficiare degli aiuti derivanti dall’EBA. La Commissione respinse

320 Il processo per integrare il FES nel budget dell’Unione era iniziato nell’ottobre 2003.

Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo, “Verso la piena integrazione della

cooperazione con i Paesi ACP nel bilancio dell’UE”, COM (2003) 590, 8 ottobre 2003.

321 Parlamento europeo, Risoluzione comune sulla revisione dell’Accordo di Cotonou e la fissazione della

dotazione del 10° FES, “Maggiori stanziamenti per il Fondo europeo di sviluppo”, 23 marzo 2006.

322 Parlamento europeo, “Dimensione di sviluppo degli APE”, di Morgantini Luisa, 23 marzo 2006. 323 M. R. Pettazzoni, op. cit., p. 211-212.

88 la domanda della Nigeria affermando che la revisione dei possibili beneficiari degli aiuti era prevista per il 2008, ma l’anno successivo rinnovò il rifiuto motivandolo con la mancata adesione del Paese ad una serie di convenzioni internazionali necessarie secondo il criterio di governance. Infatti, per godere delle preferenze erogate dal SPG+ un Paese avrebbe dovuto: ratificare ed attuare tutte le convenzioni menzionate nella Parte A dell’Allegato III; ratificare almeno sette delle convenzioni menzionate nella Parte B dell’Allegato III; impegnarsi a ratificare le convenzioni mancanti entro il 31 dicembre 2008; mantenere tale ratifica accettare i controlli periodici; essere considerato un Paese vulnerabile324.

I contrasti tra la Nigeria e la Commissione nel corso delle trattative degli IEPA portarono alla luce quello che era il timore più grande dell’Unione: la frammentazione dei gruppi regionali al momento di prendere le decisioni325. Tale fenomeno ebbe un impatto

significativo in Africa, a causa della complessa questione dell’integrazione regionale nel continente: il fatto che al suo interno fossero compresi 50 dei 79 Stati ACP e ben cinque delle sette regioni negoziali degli APE ci fa capire quanto le sue problematiche interne abbiano inciso sulla buona riuscita del progetto. Senegal e Nigeria iniziarono una vera e propria battaglia contro la liberalizzazione forzata326, portando l’Unione ad additarli come nemici degli APE e di conseguenza un pericolo per lo sviluppo degli altri Paesi africani. Cinque Paesi membri dell’EAC, che sino a quel momento avevano preso parte alle trattative nelle piattaforme UE-ESA o UE-SADC, decisero di scindersi da questa ripartizione regionale per adottare una proposta comune e affermarsi come gruppo negoziale autonomo. Durante i primi mesi di negoziato molti dei quattordici Stati membri della SADC si allontanarono dall’organizzazione, preferendo legare la propria tariffa esterna comune a quella di un altro gruppo: la Tanzania si unì ai negoziati con l’EAC, mentre Madagascar, Mauritius e Zimbabwe intavolarono le trattative assieme all’ESA. Si verificarono anche casi come quello della Mauritania, Paese ACP all’interno della CEMAC per la negoziazione degli APE ma appartenente alla categoria dei PMA (e quindi beneficiario del sistema EBA),

324 Commissione europea, Relazione sullo stato di ratifica e le raccomandazioni degli organi di sorveglianza

concernenti le convenzioni di cui all’allegato III del regolamento (CE) n. 980/2005 del Consiglio, del 27 giugno 2005, relativo all’applicazione di un sistema di preferenze tariffarie generalizzate (regolamento SPG) nei paesi ai quali è stato concesso dalla decisione della Commissione del 21 dicembre 2005 il beneficio del regime speciale di incentivazione per lo sviluppo sostenibile e il buon governo (SPG+), COM (2008) 656, 21

ottobre 2008, p. 5.

325 M. R. Pettazzoni, op. cit., p. 212.

326 Il presidente del Senegal Abdoulaye Wade iniziò una vera e propria campagna mediatica, incitando tutti gli

Stati africani a ribellarsi contro gli APE e pretendere al loro posto dei Development Partnership Agreement.

89 la quale minacciò più volte di abbandonare le trattative se queste non avessero soddisfatto appieno le sue necessità.

Per tutti questi motivi, alla fine del 2007 i gruppi regionali erano ormai completamente frazionati: i PMA si chiusero all’interno del meccanismo EBA, mentre i Paesi ACP non- PMA iniziarono a firmare individualmente gli Interim EPA327. Nei confronti dell’ESA e della SADC vennero conclusi numerosi programmi di liberalizzazione ad hoc, adottati singolarmente o in coppia da Stati appartenenti alla solita regione. L’unico caso in cui tutti i membri di un gruppo regionale hanno adottato il solito programma è stato l’EAC, anche se le grandi differenze tra Stato e Stato nel calendario delle liberalizzazioni e nella definizione dei prodotti sensibili hanno messo in discussione il risultato finale. Nonostante inizialmente le Parti avessero stabilito che gli accordi sarebbero potuti entrare in vigore soltanto al momento della firma, l’Unione decise di concedere fin da subito ad alcuni prodotti (a determinate condizioni) degli Stati partecipanti agli APE il libero accesso al mercato unionale per i sette anni successivi (fino cioè al 30 settembre 2015)328. Tuttavia, ai sensi del

Regolamento (CE) n. 1528/2007, l’UE pose come termine ultimo per la firma di un APE completo o provvisorio il 1° dicembre 2014: tutti coloro che non avessero completato tale procedura entro la data stabilita avrebbero automaticamente perso l’accesso preferenziale al mercato unionale. Questo diede un’altra spinta verso la frammentazione dei gruppi regionali, mettendo ulteriore pressione a dei partner non in grado di conformarsi agli standard europei. D’altro canto, nemmeno gli Stati ACP hanno fatto molto per andare incontro alle richieste dell’UE, dimostrando una scarsa compattezza e poco impegno nel compensare gli evidenti divari tecnici e strutturali con gli Stati europei. Allo scadere del periodo negoziale, il processo APE di integrazione regionale risultava dunque fallimentare sotto quattro punti di vista: in primis, la definizione dei diversi gruppi era stata compromessa dall’intervento della Commissione e degli Stati membri; il complicato coordinamento tra i gruppi regionali e i Paesi ad essi aggregati in modo fittizio e la partecipazione multipla di organizzazioni regionali alle trattative aveva portato ad un aumento dei costi e allargato le divisioni preesistenti; la scelta delle varie configurazioni regionali degli APE non era stata definitiva

327 Ivi, pp. 212-213.

328 Regolamento (CE) n. 1528/2007 del Consiglio del 20 dicembre 2007 recante applicazione dei regimi per

prodotti originari di alcuni Stati appartenenti al gruppo degli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) previsti in accordi che istituiscono, o portano a istituire, accordi di partenariato economico, in GUUE L 348, 31 dicembre 2007.

90 ed esclusiva; la breve durata della deroga OMC non aveva tenuto conto delle scarse capacità negoziali degli ACP nel concordare un unione doganale interna ed un APE con l’UE329.

Tra i Paesi ACP appartenenti alla CEMAC, soltanto Congo e Gabon330 sono rientrati all’interno del SPG+, mentre l’unico a stipulare un IEPA è stato il Camerun: la firma, inizialmente programmata per il 27 novembre 2008, venne posticipata ed arrivò soltanto il 15 gennaio 2009. L’accordo, entrato in vigore in via provvisoria il 4 agosto 2014, consente a tutte le merci camerunensi di entrare nel mercato UE in regime di duty free e quota free, e parallelamente prevede la progressiva rimozione di dazi e contingentamenti per oltre quindici anni sull’80% delle esportazioni unionali in Camerun; oltre allo scambio di merci, l’accordo si occupa di aiuti al commercio, questioni istituzionali e risoluzione delle controversie331. Il 18 e 19 febbraio 2019 si è tenuta la quarta riunione del Comitato APE

Camerun-UE, all’interno della quale le Parti hanno adottato una decisione per l’entrata della Croazia nell’Unione ed hanno concluso i negoziati riguardo al calendario delle liberalizzazioni e alla risoluzione delle dispute. Il quinto meeting è previsto per dicembre 2019, durante il quale le Parti prevedono di implementare l’accordo con l’aggiunta di un Protocollo sulle regole d’origine.

Per quanto riguarda l’ECOWAS, le negoziazioni per un APE completo sono terminate il 30 giugno 2014 e ad oggi l’Unione ha siglato un accordo con tutti gli Stati aderenti all’organizzazione, ad eccezione della Nigeria332. L’Africa occidentale è la destinataria dei

più grandi investimenti dell’UE nel continente: le esportazioni di questa regione verso l’Unione riguardano principalmente combustibili e prodotti alimentari, mentre le importazioni riguardano anche macchinari, carburanti e prodotti chimici e farmaceutici333. Il trampolino di lancio per gli accordi è stata la Costa d’Avorio, seguita a qualche anno di distanza dal Ghana: la prima ha concluso l’APE il 26 novembre 2008, ma è entrato in vigore in via provvisoria solamente il 3 settembre 2016, mentre l’accordo con il secondo è stato firmato il 28 luglio 2016, in vigore in via provvisoria dal 15 dicembre dello stesso anno. Questi due accordi prevedono le stesse misure già adottate con il Camerun due anni prima, ma la Costa d’Avorio ha deciso di escludere dalla liberalizzazione alcuni prodotti al fine di proteggere i propri mercati agricoli e industrie sensibili. Nel decennio 2007-2017 questo

329 M. R. Pettazzoni, op. cit., p. 214.

330 Tuttavia, in accordo con la classificazione della Banca Mondiale, a partire dal 1° gennaio 2014 il Gabon

non rientra tra i beneficiari del SPG+.

331http://ec.europa.eu/trade/policy/countries-and-regions/regions/central-africa/ .

332 Dalle negoziazioni del 2014 rimasero fuori Gambia e Mauritania, le quali hanno successivamente siglato

l’APE rispettivamente il 9 agosto e il 21 settembre 2018.

91 Paese ha inoltre registrato un aumento delle esportazioni di banane verso l’UE dell’80%, grazie all’accesso esente da dazi e contingentamenti al mercato europeo334. Il 9 agosto 2017

l’ECOWAS e la Mauritania hanno sottoscritto un accordo di associazione per definire la partecipazione della seconda alla politica commerciale dell’organizzazione, incluso l’APE. Infine, il 27 giugno 2019 è entrato in vigore in via provvisoria un Protocollo per l’attuazione del partenariato UE-Guinea-Bissau nel settore della pesca per il quinquennio 2019-2024335. I Paesi che hanno concluso un IEPA per l’ESA alla fine del 2007 erano ben sei: Comore, Madagascar, Mauritius, Seychelles, Zambia e Zimbabwe. Nell’agosto 2009 quattro di questi Stati (Madagascar, Mauritius, Seychelles, Zimbabwe) hanno deciso di firmare l’accordo di partenariato economico, entrato in vigore in via provvisoria il 14 maggio 2012, mentre le Comore lo hanno siglato soltanto nel 2017. I punti principali toccati dall’accordo con i primi quattro Paesi riguardano: la graduale rimozione dei dazi e dei contingentamenti per l’importazione dell’UE; le regole di origine, sulla pesca e in materia di difesa commerciale; le regole sulla cooperazione allo sviluppo; la creazione di meccanismi per la risoluzione delle controversie. È interessante notare come questi Interim EPA contengano anche la clausola rendez-vous, relativa alla negoziazione in settori come quello delle regole in materia di servizi e investimenti, quello dello sviluppo sostenibile e quello della concorrenza. Tali accordi comprendono inoltre anche la cooperazione per la rimozione degli ostacoli tecnici agli scambi e le norme sulla salute degli animali e delle piante.

I Paesi dell’EAC hanno concluso le negoziazioni per un APE completo il 16 ottobre 2014: tuttavia, ad oggi gli unici due Stati che hanno firmato l’accordo sono Kenya e Ruanda nel settembre 2016 (il Kenya ha completato anche la fase di ratifica). Ad eccezione del Sudan del Sud, entrato a far parte dell’organizzazione nel 2016, gli Stati dell’EAC sono tutti membri dell’OMC e quattro di loro (Burundi, Ruanda, Tanzania, Uganda) sono stati inseriti dalle Nazioni Unite nella lista LDC. L’accordo UE-EAC si concentra in particolar modo