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Il nuovo partenariato: la discussione sulle possibili alternative e il mutato contesto

Come stabilito dall’articolo 95, paragrafo 4, diciotto mesi prima della scadenza naturale dell’Accordo di Cotonou, prevista per il 29 febbraio 2020, le Parti dovevano avviare i negoziati per il suo eventuale rinnovo. Rispetto ai primi anni 2000 lo scenario globale è però cambiato. L’Unione si è dimostrata molto sensibile al problema del cambiamento climatico, conferendo grande rilevanza all’Accordo di Parigi siglato il 12 dicembre 2015 in seguito alla Conferenza sul clima (COP21), con il quale è stato definito un piano d’azione universale e giuridicamente vincolante per limitare il surriscaldamento globale. Anche i rapporti commerciali tra l’Unione europea ed il gruppo africano di Stati ACP sono cambiati, andando incontro ad un deterioramento: dall’inizio del XXI° secolo infatti i Paesi dell’Africa sono apparsi sempre più inclini a dialogare con la Repubblica Popolare Cinese (RPC). A differenza dell’UE, la Cina offre a questi Stati una cooperazione non soltanto di tipo economico (il c.d. “Angola Mode”361) ma anche di tipo ideologico: essa ha infatti vincolato per lungo tempo la concessione degli aiuti al disconoscimento dell’esistenza della Repubblica di Cina (Taiwan), tanto che ad oggi l’unico Stato africano a riconoscerne lo status è lo Swaziland (che nel 2018 ha cambiato nome in eSwatini). La posizione dominante della Cina in Africa è determinata anche dall’assenza di una politica ispirata alla condizionalità: mentre, come abbiamo visto, l’UE vincola gli aiuti legati alla cooperazione allo sviluppo al rispetto dei diritti umani e degli standard democratici, alla Cina interessa solamente la prosperità. La RPC, pur con luci e ombre, pare porsi di fronte a questi Paesi su un piano paritario, al contrario di quanto ha fatto l’Unione europea nel corso degli anni.

Le prime considerazioni riguardo al futuro della partnership UE-ACP sono emerse in un documento pubblicato dalla Direzione generale per la politica estera dell’Unione europea (DG EXPO) nel febbraio 2013, all’interno del quale venivano individuati tre possibili scenari. Il primo di questi prevedeva la dissoluzione completa della partnership UE-ACP, la quale sarebbe stata rimpiazzata dalla conclusione di accordi regionali individuali per andare

361 Tale approccio si esaurisce nello scambio delle risorse naturali angolane (petrolio, minerali, ferro) con

progetti infrastrutturali su larga scala da parte dei cinesi, allo scopo di trasformare un Paese finanziariamente povero ma ricco di risorse nel principale partner della RPC nel continente africano. Ad oggi l’Angola è il Paese da cui la Cina importa la maggior quantità di greggio.

104 incontro alle diverse priorità emerse nel corso degli ultimi anni362. Tuttavia, porre fine ad un partenariato lungo quasi mezzo secolo avrebbe causato non pochi problemi: uno dei rischi maggiori era quello di eliminare l’articolo 209 TFUE, che prevede la possibilità per Parlamento europeo e Consiglio di adottare le misure necessarie per attuare la cooperazione allo sviluppo, e di conseguenza far ricadere le nuove strategie regionali all’interno di programmi europei già esistenti, come la Joint Africa-Europe Strategy (JAES) del 2007 o la Joint Caribbean-Europe Strategy (JCES) del 2012, mentre gli APE, l’SPG e l’EBA avrebbero regolato le questioni commerciali. In questo modo sarebbe venuta a mancare la parte dell’accordo che disciplina i principi portanti della cooperazione allo sviluppo, costringendo i legislatori a concludere accordi ad hoc con i partner per il dialogo politico. Una seconda possibilità sarebbe stata quella di mantenere il quadro generale UE-ACP, ma allo stesso tempo rafforzare le strutture regionali con la conclusione di accordi separati con le aree di Africa, Caraibi e Pacifico363. I tre diversi partenariati avrebbero affrontato meglio le difficoltà di ogni regione, realizzando progetti ed azioni comuni allo scopo di affrontare le necessità specifiche. Tuttavia, scegliere questa strada avrebbe reso marginale la relazione con il gruppo ACP, il quale non essendo più prioritario avrebbe perso gradualmente la sua forza fino a dissolversi. Infine, il terzo scenario individuato dal documento prevedeva il rinnovo del partenariato UE-ACP, mantenendo l’accordo esistente ma apportando alcune modifiche e migliorie per affrontare il nuovo contesto internazionale364. La nuova partnership avrebbe incluso la partecipazione di un maggior numero di attori e l’inserimento di Paesi terzi all’interno della cooperazione, perseguendo l’obiettivo della Dichiarazione di Sipopo di creare «a more dynamic, innovative and cohesive ACP group» entro il 2015.

Riprendendo le linee guide fissate nel programma d’azione dell’ONU stilato nel 2015 e intitolato Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, all’interno del quale gli Stati membri dell’organizzazione avevano fissato i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS) da raggiungere entro i successivi quindici anni, il 22 novembre 2016 la Commissione Juncker ha presentato due documenti di fondamentale importanza. Il primo, in collaborazione con l’Alto Rappresentante PESC Federica Mogherini, consisteva in una Comunicazione congiunta al Parlamento europeo e al Consiglio, al cui interno era presente una proposta per un futuro partenariato UE-ACP. Il documento si apriva con

362 European Parliament, Directorate General for External Policies, Policy Briefing – ACP-EU relations after

2020: Review of options, Manuel Manrique Gil, Brussels, 23 February 2013, p. 7.

363 Ivi, p. 8. 364 Ivi, p. 9.

105 l’affermazione che la nuova partnership dovrà fondarsi su una serie di priorità specifiche da adattare alle tre regioni (Africa, Caraibi e Pacifico) a seconda delle loro necessità, senza escludere l’estensione della collaborazione con altri Paesi terzi al di fuori degli ACP. Per l’Unione europea il documento individuava sei azioni specifiche: promuovere la creazione di società fondate sui valori di pace, democrazia, buon governo, Stato di diritto e diritti umani per tutti gli individui; stimolare una crescita inclusiva e sostenibile, oltre a garantire un lavoro dignitoso a tutte le persone; gestire le migrazioni e le mobilità in modo tale da trasformarle in opportunità di sviluppo e affrontare le nuove sfide in collaborazione con i propri partner; incoraggiare lo sviluppo e la dignità umana; proteggere l’ambiente e lottare contro i cambiamenti climatici (secondo quanto stabilito nell’Agenda 2030); infine, cooperare per individuare i settori in cui l’UE e i Paesi partner condividono interessi comuni ed adoperarsi per promuovere una risposta a livello globale365. Al fine di difendere gli

interessi strategici delle varie regioni il nuovo partenariato dovrà essere più mirato e flessibile, oltre a basarsi su un «approccio regionale». In questo senso sono state vagliate diverse opzioni, ma la più funzionale è sembrata essere la conclusione di un accordo quadro con i Paesi partner, il quale a sua volta sarà frazionato in tre differenti partenariati regionali: questi tre accordi interni avranno il compito di sviluppare ed integrare quelli già esistenti e definire le priorità specifiche di ogni regione, per consentire all’UE di adottare le strategie più appropriate. Secondo il documento, tale proposta permetterà di agire a livello regionale, sulla base dei principi di sussidiarietà e complementarità, e allo stesso tempo di mantenere gli elementi essenziali e il legame con gli APE creatisi con l’Accordo di Cotonou. Inoltre, questo approccio consentirà all’Unione di inserire nell’accordo anche altri partner interessati al di fuori degli ACP, in particolar modo i Paesi non-ACP dell’Africa settentrionale, i membri del gruppo PMS e gli Stati insulari in via di sviluppo (SIDS). I quattro principi su cui si dovrà fondare il futuro partenariato sono: il dialogo politico; la responsabilità reciproca; un’ampia partecipazione da parte degli attori statali e non; la titolarità366.

Il secondo documento conteneva invece una proposta per la revisione del Consenso europeo in materia di sviluppo adottato nel 2006. Già nella prima parte il documento riprendeva espressamente quanto stabilito dall’Agenda 2030: il mondo era cambiato dalla pubblicazione dell’ultimo Consenso e si rendeva necessaria una revisione degli obiettivi da perseguire. La Commissione sosteneva che l’Unione e gli Stati membri si dovranno

365 Comunicazione congiunta al Parlamento europeo e al Consiglio, Un partenariato rinnovato con i paesi

dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico, JOIN (2016) 52, 22 novembre 2016, pp. 8-15.

106 impegnare «ad attuare l’Agenda per conseguire lo sviluppo sostenibile nelle sue tre dimensioni (economica, sociale e ambientale) in modo equilibrato e integrato»367. Riconoscendo l’importanza dell’interconnessione con il documento redatto dalle Nazioni Unite, le cinque priorità alla base dell’azione dell’UE per lo sviluppo erano le stesse enunciate al suo interno. In primis, l’Unione europea dovrà perseguire l’eliminazione della povertà in tutte le sue forme e perpetuare la lotta alla discriminazione e alle disuguaglianze senza alcuna esclusione. Tali risultati dovranno essere raggiunti seguendo la strada tracciata dagli OSS, con interventi mirati a sradicare la fame nel mondo, garantire una copertura sanitaria universale, assicurare l’accesso all’istruzione senza alcun tipo di discriminazione e fornire protezione sociale e un lavoro dignitoso a tutti gli individui. Il secondo settore d’intervento era legato alla sostenibilità ambientale, per la quale l’UE si dovrà adoperare nella lotta al cambiamento climatico e nella gestione delle risorse naturali. L’Agenda 2030 aveva delineato una situazione particolarmente delicata in questo campo, per la quale si rendeva necessario un intervento tempestivo e mirato: attraverso il dialogo e la cooperazione, l’Unione e gli Stati membri dovranno incentivare gli investimenti sull’energia rinnovabile, la conservazione e l’uso sostenibile delle risorse naturali e la graduale eliminazione delle sovvenzioni per i combustibili fossili. Un'altra priorità per la futura partnership sarà il perseguimento della prosperità, attraverso una crescita inclusiva e sostenibile e la garanzia di posti di lavoro dignitosi per tutti, in particolare donne e giovani. Per fare questo sarà di fondamentale importanza il miglioramento delle condizioni economiche e politiche dei PVS, al quale si dovranno affiancare maggiori investimenti per lo sviluppo sostenibile che aiuteranno i Paesi terzi ad attuare modelli di crescita più reattivi ai cambiamenti di mercato e ridurranno la loro vulnerabilità. Il quarto settore d’intervento riguardava la difesa della pace: l’Unione dovrà intervenire per garantire una convivenza pacifica delle diverse società, promuovendo la democrazia, la creazione di istituzioni responsabili in materia, lo Stato di diritto e il godimento dei diritti fondamentali per tutti gli individui. Tutti quelli appena enunciati sono presupposti essenziali per lo sviluppo sostenibile e la stabilità interna di ogni Stato, ma lo sono in particolare per quei Paesi più fragili e interessati da conflitti, dove l’Unione si dovrà adoperare per affrontare tutte le problematiche legate alla risoluzione delle dispute e alla stabilizzazione delle regioni. In questo settore rientrava anche la situazione legata ai flussi migratori, che proprio in quegli anni avevano visto un’intensificazione e per

367 Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale

europeo e al Comitato delle regioni, Proposta relativa a un nuovo consenso europeo in materia di sviluppo. Il

107 i quali l’UE e gli Stati membri si dovranno impegnare per cogliere le opportunità di sviluppo derivanti da questo fenomeno. L’ultima, e forse più importante, delle priorità sancite dall’Agenda 2030 era quella del partenariato: pur riconoscendo ad ogni Paese la titolarità del proprio sviluppo, il documento dell’ONU sottolineava come la collaborazione avrebbe permesso di intensificare l’efficacia delle politiche settoriali. Per questo motivo, l’Unione e gli Stati membri venivano definiti come la «forza trainante per l’attuazione dell’Agenda 2030»368, chiamati ad intensificare la programmazione congiunta in materia di sviluppo e a adottare strategie comuni allo scopo di fornire sostegno ai Paesi partner.

Pochi giorni dopo, il 28 novembre 2016, anche il Consiglio Affari Esteri si è riunito ed ha avviato le discussioni sulla struttura delle future relazioni tra l’Unione e il gruppo degli ACP, la natura del nuovo accordo e la sua copertura geografica. Il Consiglio, dopo essersi congratulato per gli ottimi risultati raggiunti in svariati settori della cooperazione, ha spronato la Commissione ad affrontare le sfide ancora in essere, quali la malnutrizione, lo sviluppo umano, i cambiamenti climatici e l’uguaglianza di genere369. I ministri degli Esteri

degli Stati membri hanno incoraggiato inoltre il rafforzamento della connessione tra aiuto allo sviluppo e aiuto umanitario, sottolineando l’importanza della società civile in questo processo. Il 19 maggio 2017 il Consiglio ha infine adottato un nuovo Consenso europeo in materia di sviluppo, con una Dichiarazione congiunta assieme a Commissione e Parlamento europeo. Il documento definiva i principi fondamentali che avrebbero guidato l’approccio dell’Unione e degli Stati membri nei confronti dei Paesi in via di sviluppo nei quindici anni futuri, contribuendo a realizzare gli obiettivi di politica estera dell’UE. Il Consenso è considerato la «pietra angolare della politica di sviluppo dell’UE», la quale si impegna ad applicare il principio di coerenza delle politiche per lo sviluppo in tutte le azioni che vedranno il coinvolgimento dei PVS: l’obiettivo principale di questa politica rimane la riduzione e, a lungo termine, lo sradicamento della povertà a livello globale, secondo quanto stabilito dall’articolo 208 TFUE370. L’azione dell’UE e degli Stati membri dovrà seguire gli

stessi principi dell’azione esterna sanciti nell’articolo 21, paragrafo 1 TUE, utilizzando lo strumento del dialogo politico con i partner per la riesamina periodica dei progressi e l’individuazione delle appropriate misure di sostegno. Infine, il documento ha promosso un

368 Ivi, pp. 21-25.

369 Council of the European Union, First Results Report in EU international cooperation and development –

Council conclusions (28 November 2016), 14676/16, 28 novembre 2016, p. 2.

http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-14676-2016-INIT/en/pdf .

370 Council of the European Union, The new European Consensus on Development. “Our World, our Dignity,

our Future”, 9459/17, 19 maggio 2017, p. 5.

108 coordinamento più intenso tra l’Unione e gli Stati membri, nonché l’utilizzo di un approccio mirato e differenziato al fine di ottenere risultati positivi.