• Non ci sono risultati.

I rapporti tra gli Stati ACP e l'Unione europea: evoluzione e prospettive di riforma

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "I rapporti tra gli Stati ACP e l'Unione europea: evoluzione e prospettive di riforma"

Copied!
135
0
0

Testo completo

(1)

1

Indice

Siglario ... 3

Introduzione ... 6

1

L’evoluzione delle basi giuridiche in materia di cooperazione allo sviluppo

e del contenuto degli accordi con gli Stati ACP (1963-1995) ... 9

1.1 Le basi giuridiche relative alla politica di cooperazione allo sviluppo all’interno dei

Trattati dell’Unione europea ... 9 1.2 Il rapporto con i PTOM nel Trattato di Roma, l’istituzione del primo Fondo europeo

per lo sviluppo e l’“associazione dei Paesi e territori d’Oltremare” ... 15 1.3 La prima (1964) e la seconda (1971) Convenzione di Yaoundé ... 20 1.4 La prima Convenzione di Lomé: l’ingresso dei Paesi del Commonwealth nel gruppo

di Africa, Caraibi e Pacifico e l’abbandono del principio della reciprocità... 24 1.5 Il rinnovo dell’accordo: la seconda Convenzione di Lomé e la raccomandazione della

Commissione di inserire una clausola sul rispetto dei diritti umani nel testo ... 28 1.6 La terza Convenzione di Lomé: l’accento sul rispetto dei diritti umani attraverso lo

strumento dei “policy dialogues” ... 29 1.7 La quarta Convenzione di Lomé: la politica di condizionalità negli accordi di

cooperazione allo sviluppo ... 32 1.8 La crescente attenzione delle istituzioni dell’Unione verso la tutela dei diritti umani

nei rapporti con gli Stati ACP ... 35 1.9 L’introduzione della clausola di condizionalità nella revisione della quarta

Convenzione di Lomé ... 38

2

L’Accordo di partenariato tra l’UE, i suoi Stati membri e i Paesi del gruppo

ACP (“Accordo di Cotonou”) e la sua struttura a pilastri ... 43

2.1 Il Libro Verde del 1996 e le linee guida della Commissione per la negoziazione di un

nuovo accordo ... 43 2.2 L’Accordo di Cotonou: scopi e principi generali dell’accordo ... 47 2.3 La cooperazione politica e la clausola sulla violazione degli elementi essenziali del

Trattato ... 50 2.4 La cooperazione allo sviluppo ... 53 2.5 La cooperazione economica e commerciale: i nuovi accordi di partenariato

economico dell’Unione europea ... 56 2.6 La prima revisione dell’Accordo di Cotonou ... 59

(2)

2 2.7 Un approccio comune alla politica di cooperazione: il Consenso europeo in materia

di sviluppo del 2006 ... 62

2.8 La seconda revisione dell’Accordo di Cotonou ... 64

3

Il regime di preferenze tariffarie negli accordi di Lomé e la sua

incompatibilità con le disposizioni del GATT/OMC ... 67

3.1 Dal GATT 1947 all’OMC: le misure commerciali nei confronti dei Paesi in via di sviluppo e la controversia dell’Affaire Bananes ... 67

3.2 Il sistema delle preferenze generalizzate (SPG): la clausola di abilitazione del GATT e l’incompatibilità della normativa comunitaria con il quadro dell’OMC ... 74

3.3 La nascita del progetto europeo di accordi di partenariato economico (APE) ... 78

3.4 La concessione della deroga all’applicazione del principio della nazione più favorita (MFN) ... 83

3.5 La fase negoziale: l’impatto degli APE e il loro contenuto ... 84

3.6 Il dibattito politico: le contestazioni al progetto e le proposte alternative ... 94

4

Le prospettive future: l’accordo che sostituirà Cotonou ... 103

4.1 Il nuovo partenariato: la discussione sulle possibili alternative e il mutato contesto internazionale ... 103

4.2 La raccomandazione della Commissione per l’apertura delle negoziazioni ... 108

4.3 Il mandato negoziale del Consiglio dei Ministri ACP ... 109

4.4 Il mandato del Consiglio e l’apertura del primo ciclo di negoziati ... 114

4.5 Le recenti fasi negoziali: i lavori continuano ... 119

Conclusioni ... 123

(3)

3

Siglario

ACP: Africa, Caraibi e Pacifico

ACWL: Advisory Centre on WTO Law AETS: Accordo europeo trasporti su strada AfCFTA: African Continental Free Trade Area ALS: Area di libero scambio

ANS: Attori non statali

APE: Accordi di partenariato economico

ARPE: Accordi Regionali di Partenariato Economico BEI: Banca europea per gli investimenti

CARICOM: Caribbean Community CARIFORUM: Caribbean Forum CdG: Corte di Giustizia

CEDU: Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali

CE: Comunità europea

CECA: Comunità europea del carbone e dell’acciaio CEE: Comunità economica europea

CEMAC: Communauté Économique et Monétaire de l’Afrique Centrale COMB: Common Organisation of the Market in Bananas

CONCORD: Confédération Européenne des ONG d’urgence et de développement COP21: Conferenza sul clima di Parigi

CPI: Corte penale internazionale CSA: Centro di sviluppo agricolo

CSCE: Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa CSI: Centro di sviluppo industriale

DCI: Development Cooperation Instrument DFID: Department of International Development DG EXPO: Directorate-General for External Policies DSN: Documento di strategia nazionale

DTI: Department of Trade and Industry EAC: Eastern African Community

(4)

4 EBA: Everything but arms

ECDPM: European Centre for Development Policy Management ECOWAS: Economic Community of West African States

ECU: European Currency Unit

EFSD: European Fund for Sustainable Development EPA: Economic Partnership Agreement

ESA: Eastern and Southern Africa

EUROSTEP: European Solidarity Towards Equal Participation of People EVI: Economic Vulnerability Index

FECOM: Fondo europeo di cooperazione monetaria FES: Fondo europea di sviluppo

GATT: General Agreements of Tariffs and Trade HAI: Human Assets Index

IDE: Investimenti diretti esteri

IEPA: Interim Economic Partnership Agreement JAES: Joint Africa-Europea Strategy

JCES: Joint Caribbean-Europe Strategy LDC: Less Developed Country

MAIE: Movimento Associativo Italiani all’Estero

NDICI: Neighbourhood, Development and International Cooperation Instrument NEPAD: New Partnership for Africa’s Development

OMC: Organizzazione mondiale del commercio ONG: Organizzazione non governativa

ONU: Organizzazione delle Nazioni Unite OSM: Obiettivi di Sviluppo del Millennio OSS: Obiettivi di Sviluppo Sostenibile OUA: Organizzazione dell’Unità Africana OXFAM: Oxford Committee for Famine Relief PAC: Politica agricola comune

PE: Parlamento europeo

PECO: Paesi dell’Europa centrale e orientale PIL: Prodotto interno lordo

PMA: Paesi meno avanzati PMS: Paesi meno sviluppati

(5)

5 PPA: Protocol of Provisional Applications

PTOM: Paesi e territori d’oltremare PVS: Paesi in via di sviluppo

QFP: Quadro finanziario pluriennale RNL: Reddito nazionale lordo RPC: Repubblica Popolare Cinese SACU: Southern Africa Customs Union

SADC: Southern Africa Development Community SAMA: Stati africani malgascio associati

SDT: Special and differential treatment SIDS: Small Island Developing States SPG: Sistema delle preferenze generalizzate TCE: Trattato che istituisce la Comunità europea

TCEE: Trattato che istituisce la Comunità economica europea

TCEEA: Trattato che istituisce la Comunità europea dell’energia atomica TDCA: Trade, Development and Cooperation Agreement

TFUE: Trattato sul funzionamento dell’Unione europea TUE: Trattato sull’Unione europea

UA: Unione africana UE: Unione europea

UEMOA: Union Économique et Monétaire Ouest Africaine

UNCTAD: United Nations Conference on Trade and Development WTO: World Trade Organization

(6)

6

Introduzione

A partire dal 1957 le strategie legate alla cooperazione allo sviluppo si sono costantemente evolute attraverso accordi, programmi e strumenti che l’Unione europea ha utilizzato per realizzare politiche adibite ad intervenire sull’economia dei Paesi in via di sviluppo. L’obiettivo ultimo di questa cooperazione era la lotta alla povertà e la riduzione della distanza tra Nord e Sud del mondo. Negli ultimi decenni del XX° secolo la visione puramente economica di questo settore della politica europea è stata modificata da un nuovo modo di concepire le strategie di sviluppo internazionali, il quale ha riconosciuto che gli obiettivi da raggiungere non potevano essere misurati solamente in termini finanziari. Adottando la politica dello human rights based approach l’Unione europea ha iniziato a pretendere il rispetto di alcuni valori considerati universali: la tutela dei diritti umani, il rispetto dello Stato di diritto, il buon governo e la democrazia. Lo sviluppo umano è diventato così il nucleo della cooperazione, con l’obiettivo di garantire ad ogni individuo il godimento delle proprie capacità e libertà senza alcuna discriminazione etnica, sessuale, religiosa, politica o di altro genere.

Lo scopo di questa ricerca è fornire un inquadramento dei rapporti tra l’UE e il gruppo di Stati ACP dalla loro nascita sino ai giorni nostri, fornendo un’analisi approfondita delle basi giuridiche e della loro evoluzione all’interno degli atti e dei Trattati dell’Unione europea che hanno accompagnato la cooperazione e soffermandomi sulle convenzioni concluse nel corso degli anni con i Paesi in via di sviluppo. Mi concentrerò inoltre sul rapporto di incompatibilità tra la normativa GATT/OMC e l’Accordo di Lomé, analizzando lo strumento europeo degli accordi di partenariato economico, e tenterò di definire il sistema di cooperazione che si svilupperà alla scadenza dell’Accordo di Cotonou. Nel primo capitolo tratterò del periodo che va dall’istituzione del regime di associazione con i Paesi e territori d’Oltremare, sancita dai Trattati di Roma (1957), sino alla revisione della quarta Convenzione di Lomé (1995). Con la creazione del Fondo europeo per lo sviluppo e l’istituzione della Parte Quarta del TCEE i sei Paesi fondatori hanno manifestato una prima forma di interessamento nei confronti della liberalizzazione del commercio con le loro dipendenze coloniali, senza tuttavia introdurre alcuna disposizione relativa al rispetto dei diritti umani o specificatamente alla cooperazione allo sviluppo. Per tutta la seconda metà del XX° secolo questo tipo di interventi comunitari si sono intensificati sino ad interessare Paesi provenienti da tutto il mondo e dando vita, con la sottoscrizione delle varie

(7)

7 Convenzioni di Lomé, al gruppo di Stati ACP. Si può certo affermare che la conclusione intermedia delle due Convenzioni di Yaoundé (1964 e 1971), siglate con l’obiettivo di mantenere i vantaggi provenienti da condizioni economiche privilegiate del periodo coloniale, ha rappresentato un periodo di passaggio dall’associazione prettamente commerciale prevista dal Trattato di Roma ad una nuova dimensione della cooperazione, la quale si poneva l’obiettivo di dar vita ad un sistema di associazione che si estendesse a livello globale e che fosse subordinato al rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali e dei principi democratici. Con la firma della quarta Convenzione di Lomé (1989) la politica di condizionalità è diventata un elemento cardine della politica di cooperazione europea, che verrà successivamente istituzionalizzata all’interno del Trattato di Maastricht (1993).

Tuttavia, alla fine degli anni ’90 la Convenzione di Lomé è stata duramente criticata con l’accusa di non essere uno strumento efficace per favorire lo sviluppo e la prosperità dei Paesi in via di sviluppo (in particolare quelli del gruppo ACP) in quanto non aveva soddisfatto le aspettative previste in ambito socioeconomico. Queste valutazioni hanno portato l’Unione europea ed i suoi partner ad una rielaborazione della propria politica di cooperazione allo sviluppo e successivamente alla conclusione dell’Accordo di Cotonou, di cui mi occuperò all’interno del secondo capitolo. La firma della nuova convenzione è stata preceduta da un lungo dibattito in merito ai risultati ottenuti nel corso dei venticinque anni di Lomé e da una disamina degli elementi ritenuti incompatibili con la normativa del GATT/OMC. I legislatori di entrambe le Parti hanno convenuto nel conferire un ruolo di primo piano al dialogo politico e alla cooperazione decentrata, tramite i quali promuovere la partecipazione della società civile alla realizzazione delle politiche necessarie per lo sviluppo e la condivisione di valori comuni. Molti studiosi hanno definito questo accordo come una vera e propria innovazione nella cooperazione tra Nord e Sud del mondo, soprattutto grazie all’introduzione degli accordi di partenariato economico: si tratta della creazione di aree di libero scambio che consentono il commercio tra l’UE e gli Stati ACP in conformità con le regole del GATT/OMC, ovvero tramite il rispetto del principio di reciprocità e l’eliminazione di accordi preferenziali che favoriscano un Paese a discapito di un altro.

Il cuore di questo lavoro è rappresentato dal terzo capitolo, all’interno del quale emerge proprio la disciplina giuridica degli scambi commerciali nel quadro normativo del GATT/OMC e l’incompatibilità di alcuni principi della cooperazione allo sviluppo europea con essa. Nel suo testo originale l’Accordo generale sulle tariffe e il commercio non teneva conto dei diversi livelli di sviluppo tra le Parti contraenti e solo in un secondo momento ci si rese conto che il GATT avrebbe rappresentato l’unico strumento internazionale in grado

(8)

8 di regolare la cooperazione economica commerciale multilaterale. La firma dell’Accordo di Marrakech nell’aprile 1994 ha trasformato il GATT 1947 in un’organizzazione internazionale con personalità giuridica, l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Come si vedrà nel corso della trattazione, uno dei dibattiti cruciali sulla compatibilità delle norme europee con le regole dell’OMC è ruotato attorno alla realizzazione degli APE, spesso accusati di essere più proficui per l’Unione europea che per i Paesi del gruppo ACP e di non rispettare i principi sanciti dagli articoli I e XXIV del GATT.

Nonostante il ragguardevole impatto nell’ambito delle relazioni commerciali e sullo sviluppo economico dei Paesi in via di sviluppo, l’Accordo di Cotonou ha dimostrato scarsa efficienza nella risoluzione di alcuni problemi rilevanti a livello globale, quali la gestione dei flussi migratori, del terrorismo internazionale e dei cambiamenti climatici. Questi deficit hanno portato le principali istituzioni europee e del gruppo di Stati ACP a lavorare congiuntamente per la conclusione di un accordo futuro per il periodo post-2020. L’analisi dell’attuale contesto internazionale ha dimostrato come la convenzione del 2000 sia ormai superata, a causa della comparsa di nuovi e molteplici fattori: la globalizzazione, i mutamenti interni all’UE e agli Stati ACP, la comparsa di nuovi attori globali che si pongono come alternativa alla cooperazione UE-ACP (come ad esempio i BRICS), la crisi a cui è andata incontro l’UE nell’ultimo decennio sono soltanto alcuni degli eventi che hanno modificato la percezione e gli obiettivi del partenariato. In aggiunta a questo, nella stesura del nuovo accordo le Parti dovranno tener conto del problema legato al cambiamento climatico e ambientale, vera e propria spada di Damocle che potrà influire sullo sviluppo del gruppo ACP. Per tutti questi motivi l’Unione dovrà impegnarsi maggiormente per dimostrare di essere ancora il partner ideale per questi Paesi, vincendo la concorrenza di organizzazioni come i BRICS che sono disposte a fornire aiuti non vincolati al rispetto dei diritti umani e fondamentali, della democrazia e dello Stato di diritto.

(9)

9

1

L’evoluzione delle basi giuridiche in materia di cooperazione allo sviluppo

e del contenuto degli accordi con gli Stati ACP (1963-1995)

1.1 Le basi giuridiche relative alla politica di cooperazione allo sviluppo all’interno dei Trattati dell’Unione europea

Come è noto, le basi giuridiche dei Trattati su cui si fonda l’Unione europea (UE) indicano i limiti entro i quali essa può esercitare le sue competenze nonché le procedure da seguire per adottare gli atti necessari alla realizzazione della sua azione. Già nel Trattato di Roma del 1957, con l’instaurazione di un rapporto commerciale privilegiato con i Paesi e territori d’oltremare (PTOM), si è cercato di dare un inquadramento giuridico alla collaborazione tra i sei Paesi fondatori1 e le colonie europee del continente africano. Non potendo ancora contare su un quadro giuridico specifico in tema di cooperazione (solamente con la firma del Trattato di Maastricht sarà introdotta una competenza specifica in questo settore, nel Titolo XVII), la Comunità decise di utilizzare le norme che regolavano gli accordi commerciali o di associazione, adoperando laddove necessario la clausola dei poteri impliciti. È uno strumento oggi contenuto nell’articolo 352 TFUE (ex articolo 308 TCE), con il quale si afferma che qualora un’azione dell’Unione si renda necessaria «per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate»2. Si tratta dunque di una clausola di salvaguardia che ha lo scopo di conferire all’Unione il potere di iniziativa legislativa anche ove questa non sia chiaramente regolamentata dai Trattati, consentendole di ampliare i propri poteri senza dover per forza richiedere una precisa attribuzione delle competenze da parte degli Stati membri caso per caso. In questo campo è stato fondamentale il lavoro della Corte di Giustizia (CdG) nell’accrescere il treaty making power dell’Unione, dando così vita ad una giurisprudenza tale da permetterle di concludere accordi anche laddove manchi una specifica competenza unionale: è questo il caso della c.d. sentenza AETS del 31 marzo 1971, che ha introdotto la teoria dei poteri impliciti nella giurisprudenza comunitaria. La causa ha visto contrapposti la Commissione, interessata alla stipula di un accordo internazionale in materia di trasporti, ed il Consiglio, il quale aveva

1 Belgio, Francia, Germania Ovest, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi.

(10)

10 deciso che tale accordo avrebbe dovuto essere concluso singolarmente da ogni Stato membro: la CdG, stabilendo che la Comunità europea (CE) poteva concludere l’Accordo europeo per il trasporto su strada, le ha conferito il potere di sostituire gli Stati membri su questioni di interesse europeo al fine di evitare una frammentazione che avrebbe potuto mettere a rischio le norme europee3.

Le prime basi giuridiche della cooperazione allo sviluppo comunitaria riguardavano le disposizioni della politica commerciale comune e degli accordi con i Paesi terzi, le quali più precisamente erano contenute negli articoli 113 (oggi articolo 207 TFUE), 1144, 228 (oggi completamente trasformato nell’articolo 218 TFUE) e 238 (oggi articolo 217 TFUE)del Trattato CEE. L’articolo 113 conferiva alla neocostituita Comunità, al termine del periodo transitorio, la competenza ad intervenire nei settori della politica commerciale comune, «fondata su principi uniformi, specialmente per quanto concerne le modificazioni tariffarie, la conclusione di accordi tariffari e commerciali, l’uniformazione delle misure di liberalizzazione, la politica d’esportazione e le misure di difesa commerciale, tra cui quelle da adottarsi in casi di dumping e di sovvenzioni»5. Sulla base di tale disposizione la CEE ha approvato uno strumento unilaterale per favorire lo sviluppo dei Paesi in via di sviluppo (PVS), il c.d. Sistema delle preferenze generalizzate6 (SPG). L’idea nacque durante la seconda sessione dell’UNCTAD7 tenutasi a Nuova Delhi dal 31 gennaio al 29 marzo 19688.

Il primo SPG comunitario entrò in vigore il 1° gennaio 1971 (assieme alla revisione della Convenzione di Yaoundé) e rimase valido per dieci anni: esso permetteva l’entrata nel mercato della CEE di una grande varietà di prodotti provenienti dai Paesi in via di sviluppo, in una quantità stabilita dalle Parti e senza l’imposizione di alcun dazio doganale.

3 Corte di Giustizia, Commissione delle Comunità europee c. Consiglio delle Comunità europee, Accordo

europeo trasporti su strada, causa 22-70, 31 marzo 1971.

4 Contenuti nel Titolo II, capo terzo del TCEE, riguardante la “Politica commerciale”. L’articolo 114 TCEE

venne successivamente abrogato con l’entrata in vigore del Trattato sull’Unione europea (TUE) a partire dal 1° novembre 1993.

5 Trattato che istituisce la Comunità economica europea, art. 113, par. 1.

6 Oggi il Sistema delle preferenze generalizzate (SPG) è uno strumento dell’Unione Europea destinato a

favorire la crescita economica dei Paesi in via di sviluppo (PVS). Il sistema incentiva le importazioni di beni originari di questi mercati con la riduzione o la rimozione completa, unilaterale e su base non reciproca, dei dazi doganali che sono applicati sugli stessi prodotti originari di Paesi non beneficiari del SPG. L’obiettivo è quello di agevolare le esportazioni di questi Paesi al fine di renderli economicamente autosufficienti, stimolare la loro industrializzazione, incoraggiarli a diversificare la loro economia, accelerare il loro sviluppo sostenibile e farli diventare partner a pieno titolo nell’ambito del commercio internazionale.

7 La United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD) è il principale organo permanente

dell’ONU, che opera nei settori del commercio, finanza, imprenditoria, sviluppo sostenibile e tecnologia. È stata istituita nel 1964 su proposta dell’Assemblea Generale dell’ONU con il compito di promuovere l’integrazione dei PVS nell’economia mondiale (ad oggi conta 194 Paesi membri).

8 United Nations, Proceedings of the United Nations Conference on Trade and Development – Volume I. Report

(11)

11 Al contrario dell’articolo 113, che si occupava strettamente della politica commerciale, l’articolo 238 TCEE presentava un contenuto più flessibile. Quest’ultimo stabiliva che la Comunità era competente a concludere accordi che avrebbero istituito un’associazione caratterizzata da diritti e obblighi reciproci, da azioni in comune e da procedure particolari con uno Stato terzo, un’unione di Stati o un’organizzazione internazionale9, in virtù della

sua personalità giuridica10. Tuttavia, nemmeno in questo caso venivano precisati gli ambiti ricoperti dall’associazione. Gli accordi fondati sull’articolo 238 furono per lo più accordi misti11, la cui durata era indeterminata, come nel caso degli accordi di associazione del Bacino del Mediterraneo12, o con una scadenza che sarebbe coincisa con il rinnovo dell’associazione in un accordo successivo, come nel caso degli accordi conclusi con gli Stati africani e malgascio associati (SAMA)13 o quelli con gli Stati dell’Africa, dei Caraibi

e del Pacifico (ACP).

Anche se inizialmente la cooperazione allo sviluppo della Comunità europea era direttamente collegata alla politica commerciale, con il tempo questo settore ha conosciuto un’evoluzione tale che ad oggi non può più essere confinato a questo singolo campo. In particolare, essa ha visto la sua definitiva istituzionalizzazione con l’introduzione del Titolo XVII (artt. 130 U – 130 Y) del Trattato di Maastricht (Paesi Bassi), il quale fu per l’appunto denominato Cooperazione allo sviluppo. La Comunità si impegnava a promuovere e sostenere lo sviluppo dei PVS attraverso la conclusione di accordi commerciali, l’utilizzo del SPG, l’assistenza tecnica e finanziaria e l’erogazione di aiuti umanitari. Tutto questo, come ogni obiettivo dell’Unione, doveva essere subordinato al rispetto del principio di sussidiarietà14.

Nell’articolo 130 U veniva affermato che la politica comunitaria aveva come obiettivo generale lo «sviluppo e consolidamento della democrazia e dello Stato di diritto, nonché di

9 Trattato che istituisce la Comunità economica europea, art. 238, par. 1.

10 È la capacità dell’Unione europea di concludere e negoziare accordi internazionali nel rispetto delle sue

competenze esterne, diventare membro di organismi internazionali e aderire alle convenzioni internazionali, come la CEDU. Era stabilita dall’articolo 210 TCEE, oggi articolo 47 TUE.

11 Si tratta di accordi conclusi dalle istituzioni della Comunità congiuntamente con gli Stati membri, in settori

in cui la competenza comunitaria non è esclusiva ma condivisa con i suoi singoli membri.

12 Sono i c.d. Accordi di prima generazione, accordi commerciali e di associazione conclusi dalla CEE con i

Paesi del Mediterraneo negli anni ’60 e ’70. Gli accordi di associazione ex articolo 238 TCEE sono quelli con Tunisia e Marocco (196), con Malta (1970) e con Cipro (1972).

13 Sono accordi stretti nell’ambito della Convenzione di Yaoundé del 1963, che analizzerò in seguito. 14 «Nel quadro delle competenze non esclusive dell’Unione, il principio di sussidiarietà, sancito dal Trattato

sull’Unione europea, definisce le condizioni in cui l’Unione ha una priorità d’azione rispetto agli Stati membri». La base giuridica di tale principio è contenuta nell’articolo 5, paragrafo 3 TUE.

(12)

12 rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali»15. In questo modo veniva riconosciuto giuridicamente il vincolo tra rispetto dei diritti umani e sviluppo di questi Paesi, elevando tale principio da opzionale a prioritario. Fondamentale in questa direzione è stato il passaggio dell’articolo 130 V, con il quale si affermava che gli obiettivi enunciati nell’articolo 130 U sarebbero stati validi per qualsiasi tipo di politica realizzata dalla Comunità nei confronti dei Paesi in via di sviluppo16. Un altro elemento importante che emerse dal nuovo testo fu la volontà di coordinare meglio l’azione comunitaria e quella degli Stati membri in materia di cooperazione, operazione necessaria per rendere le politiche intraprese più efficaci nel contesto internazionale. Era diretto proprio a questo scopo l’articolo 130 X, nel quale si leggeva che:

«La Comunità e gli Stati membri coordinano le rispettive politiche in materia di cooperazione allo sviluppo e si concentrano sui rispettivi programmi di aiuto, anche nelle organizzazioni internazionali e in occasione di conferenze internazionali. Essi possono intraprendere azioni congiunte»17.

Il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 (in vigore dal 1° dicembre 2009), ha in parte modificato il contenuto dei documenti precedenti. Nel tentativo di semplificare il sistema delle relazioni esterne dell’UE è stato inserito nel testo del nuovo Trattato sull’Unione europea (TUE) il Titolo V (articoli 21 e 22), relativo all’azione esterna nel suo complesso. Ai nostri fini, risulta interessante l’articolo 21, paragrafo 2, che sottolinea come l’UE favorisca lo sviluppo sostenibile dei Paesi in via di sviluppo sul piano economico, sociale ed ambientale, con l’obiettivo primo di eliminare la povertà. Quanto alla divisione di competenze tra l’UE e i suoi Stati membri, il TFUE stabilisce che la cooperazione allo sviluppo e l’aiuto umanitario rientrino tra le competenze parallele, e prevede che in questi settori «l’Unione ha competenza per condurre azioni e una politica comune, senza che l’esercizio di tale competenza possa avere per effetto di impedire agli Stati membri di esercitare la loro»18.

La disciplina materiale della cooperazione allo sviluppo si trova all’interno della Parte V, Titolo III TFUE, intitolato appunto Cooperazione con i Paesi terzi e aiuto umanitario, dove rilevano in particolar modo i quattro articoli del Capo 1 (208-211). Questo Titolo opera una vera e propria ristrutturazione delle disposizioni sulla cooperazione allo sviluppo con i

15 Trattato sull’Unione europea, art. 130 U, par. 2. 16 Trattato sull’Unione europea, art. 130 V. 17 Trattato sull’Unione europea, art. 130 X, par. 1.

(13)

13 Paesi terzi, aggiungendo un terzo paragrafo interamente dedicato all’aiuto umanitario. Tale razionalizzazione consiste nell’aver raggruppato questa disciplina nel corpo dell’azione esterna dell’UE e nell’averla ancorata ai suoi principi e obiettivi19. Rinviando implicitamente

all’articolo 205 TFUE, l’articolo 208 (ex articolo 177 TCE) chiarisce che la politica dell’Unione e quella degli Stati membri in materia di cooperazione allo sviluppo si rafforzano a vicenda con l’obiettivo ultimo dell’eliminazione della povertà, incoraggiando così le Parti a collaborare più strettamente al fine di mettere in atto politiche adatte allo sviluppo dei PVS. Mentre il precedente articolo 177 TCE elencava gli obiettivi della cooperazione allo sviluppo, la razionalizzazione operata dal Trattato di Lisbona ha collegato direttamente questa politica agli obiettivi dell’azione esterna elencati all’articolo 21 TUE20. La base giuridica interna in materia di cooperazione allo sviluppo è oggi disciplinata dall’articolo 209 TFUE, che rispetto al testo del precedente articolo 179 TCE apporta delle modifiche fondamentali: innanzitutto, abolisce la clausola di salvaguardia che garantiva alla CE la possibilità di ricorrere ad altre disposizioni specifiche del Trattato utili allo stesso scopo, cioè a basi giuridiche di supporto, che aveva generato numerose incertezze interpretative ed applicative; in secondo luogo, omette il riferimento agli obiettivi della politica di cooperazione, autorizzando Consiglio e PE ad adottare «le misure necessarie per l’attuazione della politica di cooperazione allo sviluppo»; infine, accanto ai già esistenti programmi pluriennali con i PVS, per l’attuazione di tale politica vengono previsti i c.d. programmi tematici21, che riguardano settori specifici di intervento22. Il paragrafo 2 conferisce inoltre all’Unione una base giuridica specifica per concludere accordi internazionali in materia. Tale disposizione ha costituito la base giuridica per la costituzione del Development Cooperation Instrument (DCI), lo strumento varato dall’UE per il periodo 2014-2020 che ha lo scopo di incoraggiare uno sviluppo economico, sociale ed ambientale sostenibile, nonché promuovere la democrazia, lo Stato di diritto, il buon governo e la tutela dei diritti umani. Questo meccanismo ha varato programmi specifici a sostegno della cooperazione con quarantasette PVS, provenienti da America Latina, Asia, Sud-Est asiatico,

19 A. Tizzano (a cura di), Trattati dell’Unione europea, Giuffrè Editore (II edizione), Milano, 2014, p. 1718. 20 Ibidem.

21 I principali programmi tematici, la cui base giuridica è costituita dal Regolamento (CE) n. 1905/2006 del

Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 che istituisce uno strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo (o da specifici Regolamenti quadro), sono: diritti umani e democrazia; sviluppo umano e sociale; ambiente e gestione sostenibile delle risorse umane, ivi compresa l’energia; attori non statali che partecipano allo sviluppo; sicurezza alimentare; cooperazione con i Paesi industrializzati; migrazione e asilo.

(14)

14 Medio Oriente e Africa meridionale per un totale di 19,6 miliardi di euro23. Come vedremo nel corso di questo lavoro, l’impegno della Comunità europea nella creazione di un quadro giuridico esauriente in materia è andato via via intensificandosi nel corso del tempo, abbandonando l’iniziale dimensione puramente economica e commerciale in favore di una progressiva integrazione con il rispetto dei principi democratici e dei diritti dell’uomo.

L’articolo 210 TFUE (ex articolo 180 TCE) sancisce che l’Unione e gli Stati membri debbano coordinare le proprie politiche in materia di cooperazione allo sviluppo anche all’interno delle organizzazioni internazionali, e se necessario intraprendere azioni congiunte. Secondo quanto stabilito dalla Corte di Giustizia, gli Stati membri hanno «il potere di assumere impegni nei confronti degli Stati terzi, collegialmente o individualmente, se non addirittura insieme alla Comunità»24. L’articolo sottolinea la necessità di un

coordinamento interno tra le azioni dell’Unione e quelle dei suoi membri, allo scopo di favorire la complementarità e l’efficacia delle azioni di tutti gli attori. Il Trattato prevede inoltre che tale convergenza venga assicurata in ambito internazionale all’interno di quelle organizzazioni che si pongono l’obiettivo dell’integrazione dei Paesi in via di sviluppo nell’economia mondiale25. Un’eventuale carenza di questo coordinamento e del principio di

coerenza dell’azione esterna sarebbe pregiudizievole non solo per i Paesi terzi e per gli Stati membri ma anche per l’Unione stessa. Tale principio di complementarità deve essere dunque rafforzato da determinati elementi: in primis, l’esistenza di una volontà politica forte da parte della Commissione e degli Stati membri di dare vita ad un approccio combinato; un coordinamento efficiente tra UE, Paesi beneficiari e altri finanziatori dei fondi; un meccanismo che regoli tale coordinamento; una strategia di sviluppo a medio termine per i Paesi destinatari degli aiuti; infine, l’avvio di azioni congiunte tra UE e Stati membri nel rispetto del principio di sussidiarietà26. Il compito di dare vita a questo coordinamento viene affidato alla Commissione, la quale mantiene anche il diritto di iniziativa esclusivo in questo settore: i risultati raggiunti nel corso degli anni dall’UE si devono indubbiamente all’ampio lavoro di coordinamento delle politiche di cooperazione allo sviluppo svolto da essa.

23 https://ec.europa.eu/europeaid/funding/funding-instruments-programming/funding-instruments/development-cooperation-instrument-dci_en .

24 Corte di Giustizia, Parlamento c. Consiglio, causa C-316/91, 2 marzo 1994, in A. Tizzano (a cura di), op.

cit., p. 1733.

25 Ivi, pp. 1733-1734. 26 Ivi, p. 1734.

(15)

15 1.2 Il rapporto con i PTOM nel Trattato di Roma, l’istituzione del primo Fondo europeo

per lo sviluppo e l’“associazione dei Paesi e territori d’Oltremare”

È dagli anni ’50 del XX° secolo che dobbiamo partire se vogliamo studiare la nascita e l’evoluzione della cooperazione allo sviluppo europea come la conosciamo oggi. Inizialmente l’idea di “sviluppo” era associata al concetto di “modernizzazione”, con lo scopo ultimo di una maggiore crescita economica: in questo senso, le iniziative del periodo si concentrarono sull’investimento in capitale fisico e umano, al fine di risollevare il settore industriale27. A partire dalla fine della seconda guerra mondiale, alcuni Stati europei iniziarono a manifestare l’intenzione di approfondire i loro rapporti economici e commerciali con i Paesi d’oltremare ai quali erano legati da esclusivi legami coloniali, al fine di conservare il loro accesso alle risorse naturali del Sud del mondo, come rame, oro, diamanti e altre materie prime28. Già con la Dichiarazione Schuman29 del 1950 era emerso il desiderio che gli Stati europei ponessero tra i loro doveri essenziali lo sviluppo del continente africano30. I Trattati di Roma, firmati nella capitale italiana il 25 marzo 1957 da Belgio, Francia, Germania Ovest, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi, impressero una svolta significativa alla concezione di cooperazione allo sviluppo. Nonostante il testo non facesse alcun riferimento ad una vera e propria politica in materia, furono introdotte delle disposizioni in merito alle relazioni tra gli Stati della neonata Comunità e i loro possedimenti coloniali situati in tutto il mondo. Così, assieme al testo del Trattato istitutivo (TCEE) e a quello del Trattato che istituiva la Comunità europea dell’energia atomica (TCEEA), che davano formalmente vita alla Comunità economica europea (CEE), venne creato anche lo status dei c.d. Paesi e territori d’Oltremare (PTOM). Si tratta di un gruppo di Paesi e territori

27 Un esempio di tali iniziative è stata la Import Substitution Industrialization (ISI), un tipo di politica

economica rivolta ai Paesi meno sviluppati con l’obiettivo di portarli ad un più alto livello di sviluppo e all’autosufficienza grazie al potenziamento del mercato interno.

28 L. Mosca, Il partenariato Africa Europa: dal Trattato di Roma all’Accordo di Cotonou e sue revisioni, in

A. Iodice (a cura di), Per un nuovo inizio. Democrazia, economia e politica estera nell’Unione europea, APES S.r.l, Roma, 2017, p. 171.

29 Documento rilasciato dall’allora Ministro degli Esteri francese Robert Schuman il 9 maggio 1950, nel quale

veniva proposta la creazione di una Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA).

30 Dichiarazione Schuman, 9 maggio 1950: «Questa produzione sarà offerta al mondo intero senza distinzione

né esclusione per contribuire al rialzo del livello di vita e al progresso delle opere di pace. Se potrà contare su un rafforzamento dei mezzi, l'Europa sarà in grado di proseguire nella realizzazione di uno dei suoi compiti essenziali: lo sviluppo del continente africano. Sarà così effettuata, rapidamente e con mezzi semplici, la fusione di interessi necessari all'instaurazione di una comunità economica e si introdurrà il fermento di una comunità più profonda tra paesi lungamente contrapposti da sanguinose scissioni».

(16)

16 localizzati nei continenti americano ed africano e nel Pacifico, i quali a livello costituzionale dipendevano dagli Stati europei.

Durante i negoziati per l’istituzione della CEE, svoltisi a Venezia il 29 e 30 maggio 1956, la delegazione francese espresse la volontà di includere i PTOM all’interno del Mercato comune della Comunità31; va precisato che, nell’ambito dell’Unione francese32, la Francia prevedeva già la creazione di Dipartimenti e Territori d’Oltremare come parte integrante della Quarta Repubblica. L’intenzione della Francia era evitare di essere sottoposta a due regimi doganali differenti, ma la sua proposta venne inizialmente respinta dalle altre delegazioni a causa della grande diversità economica ed istituzionale tra i sei Stati europei ed i PTOM. Tuttavia, fu riesaminata nel corso della Conferenza di Bruxelles (Belgio) del settembre 1956 e durante la Conferenza di Parigi (Francia), tenutasi il 20 e 21 ottobre 1956, attestato che per la Francia si trattava di una condicio sine qua non per l’adesione alla Comunità, venne infine approvata33.

L’istituzione della Parte Quarta, intitolata Associazione dei Paesi e Territori d’Oltremare, e della Convenzione d’applicazione relativa all’associazione dei Paesi e Territori d’Oltremare ad essa allegata, fu dunque determinata dalla necessità di conciliare le relazioni particolari che alcuni Stati membri intrattenevano con Paesi e territori non europei con la creazione di un mercato europeo comune. Le questioni principali dell’associazione furono la liberalizzazione degli scambi commerciali tra Stati membri e PTOM, l’aiuto finanziario e il diritto di stabilimento34 sul territorio. L’articolo 131 TCEE affermava infatti che gli Stati membri «convengono di associare alla Comunità i paesi e i territori non europei che mantengono con il Belgio, la Francia, l’Italia e i Paesi Bassi delle relazioni particolari. Questi paesi e territori, qui di seguito chiamati “paesi e territori”, sono enumerati nell’elenco che costituisce l’allegato IV del presente Trattato. Scopo dell’associazione è di promuovere lo sviluppo economico e sociale dei paesi e territori e l’instaurazione di strette relazioni economiche tra essi e la Comunità nel suo insieme. Conformemente ai principi enunciati nel preambolo del presente Trattato, l’associazione deve in primo luogo permettere di favorire gli interessi degli abitanti di questi paesi e territori e la loro prosperità, in modo da condurli allo sviluppo economico, sociale e culturale che

31 L. Mosca, op. cit., p. 171.

32 Unione dei territori d’oltremare prevista dalla Costituzione francese del 27 ottobre 1946 (Quarta Repubblica). 33 L. Mosca, op. cit., p.171.

34 Con esso si intende la possibilità per gli Stati membri della CEE di costituire un’impresa o generare una

qualsiasi attività economia sul territorio di questi Paesi, tramite l’apertura di agenzie e filiali, stabilendo inoltre il divieto di discriminare un imprenditore sulla base della nazionalità. La basi giuridiche di tale diritto si ritrovavano all’interno degli articoli 52-58 TCEE (oggi articoli 49-55 TFUE).

(17)

17 essi attendono»35. Come si può notare, il criterio geografico di individuazione di questi Paesi aveva natura negativa: erano ammessi all’associazione solo quelli non situati in Europa36.

Secondo l’articolo 132, paragrafi 1-4 della Parte Quarta, gli Stati membri «applicano ai loro scambi commerciali con i paesi e territori il regime che si accordano tra di loro, in virtù del presente Trattato. Ciascun paese o territorio applica ai suoi scambi commerciali con gli Stati membri e gli altri paesi e territori il regime che applica allo Stato europeo con il quale mantiene relazioni particolari. Gli Stati membri contribuiscono agli investimenti richiesti dallo sviluppo progressivo di questi paesi e territori. Per gli investimenti finanziati dalla Comunità, la partecipazione alle aggiudicazioni e alle forniture è aperta, a parità di condizioni, a tutte le persone fisiche e giuridiche appartenenti agli Stati membri e ai paesi e territori»37. Lo scopo dell’associazione era dunque quello di applicare ai PTOM lo stesso

regime di esportazione in vigore tra i sei Stati fondatori della CEE, includendo anche il diritto di libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali.

L’eliminazione delle restrizioni commerciali avrebbe dovuto coinvolgere le istituzioni della CEE. La Commissione europea38, che disponeva di funzioni esecutive e normative, avrebbe dovuto proporre al Consiglio, l’organo decisionale, un programma da approvare all’unanimità; insieme, avrebbero dovuto stabilire le misure considerare più adatte all’aumento degli scambi commerciali e della produzione39. L’articolo 133, interamente

dedicato alla regolamentazione doganale, al paragrafo 1 stabiliva che «le importazioni originarie dei paesi e territori beneficiano, al loro ingresso negli Stati membri, dell’eliminazione totale dei dazi doganali che interviene progressivamente fra gli Stati membri conformemente alle disposizioni del presente trattato»40. Tuttavia, il paragrafo 3 dello stesso articolo prevedeva una deroga alla norma, in base alla quale «i paesi e territori possono riscuotere dei dazi doganali che rispondano alle necessità del loro sviluppo e ai

35 Trattato che istituisce la Comunità economica europea, art. 131.

36 I Paesi e territori d’Oltremare associati in questo modo furono: l’Africa occidentale francese (Senegal, Sudan,

Guinea, Costa d’Avorio, Mauritania, Dahomey, Niger, Alto Volta); l’Africa equatoriale francese (Medio Congo, Ubanghi-Ciari, Ciad, Gabon); Saint-Pierre et Miquelon; l’Arcipelago delle Comore; il Madagascar e dipendenze; la Somalia francese; la Nuova Caledonia e dipendenze; gli stabilimenti francesi dell’Oceania; le Terre australi e antartiche; la Repubblica autonoma del Togo; il territorio del Camerun sotto amministrazione fiduciaria francese; il Congo belga e il Ruanda-Urundi; la Somalia (sotto amministrazione fiduciaria italiana); la Nuova Guinea olandese.

Trattato che istituisce la Comunità economica europea, Allegato IV.

37 Trattato che istituisce la Comunità economica europea, art. 132.

38 Ha iniziato a operare dal 1° gennaio 1958. Attualmente è l’organo esecutivo dell’Unione europea ed è

composta da un delegato per ogni Stato membro, a cui è richiesta la completa indipendenza dal suo governo nazionale.

39 Trattato che istituisce la Comunità economica europea, art. 54, par. 1-3. 40 Trattato che istituisce la Comunità economica europea, art. 133, par. 1.

(18)

18 bisogni della loro industrializzazione o dazi di carattere fiscale che abbiano per scopo di alimentare il loro bilancio»41. Probabilmente la ratio di questa deroga è stata dettata dalla consapevolezza dei sei Stati fondatori delle diversità esistenti tra i due gruppi di Paesi e dalla volontà di agevolare lo sviluppo dei PTOM spronandoli a commerciare con la Comunità.

Accanto all’abolizione dei dazi doganali e al regime di libera circolazione, il Trattato prevedeva inoltre la creazione di un sistema di aiuti finanziari attraverso il Fondo europeo di sviluppo (FES)42. Il FES fu introdotto con l’obiettivo specifico di sovvenzionare gli Stati associati: i crediti venivano emessi sotto forma di aiuti non rimborsabili per gli investimenti economici e sociali, a scadenza quinquennale, per far sì che questi progetti contribuissero allo sviluppo delle infrastrutture locali43. Inizialmente gli aiuti erano rivolti ai Paesi africani che avevano lo status di colonia e l’obiettivo degli Stati membri era quello di mantenere sotto controllo le forti spinte indipendentiste che stavano attraversando quei Paesi alla fine degli anni ‘50. Nel corso degli anni il FES è rimasto uno dei principali strumenti della cooperazione allo sviluppo. Per il primo quinquennio (1959-1964) vennero stanziati 569 milioni di unità di conto (ECU)44, destinati per lo più a progetti di sviluppo della produzione, con particolare attenzione riservata al settore agricolo. Anche se di dimensioni ridotte, il primo FES fu comunque di notevole importanza in quanto i fondi provenivano direttamente dai budget degli Stati membri: i finanziamenti vennero erogati in cinque quote annuali e ripartiti tra i territori di Belgio, Francia e Italia allo scopo di favorire il concetto di aiuto multilaterale della Comunità, a discapito di quello bilaterale45. L’azione della CEE prevedeva due tipologie di intervento il cui iter decisionale ed istituzionale era affidato alla Commissione europea, mentre la fase esecutiva era gestita interamente dagli organi europei preposti al Fondo all’interno del quadro giuridico della Comunità.

Al fianco del FES, per la gestione degli aiuti economici al di fuori della Parte Quarta del TCEE, l’articolo 129 istituì la Banca europea per gli Investimenti (BEI). Nonostante i motivi della sua creazione fossero il sostegno all’integrazione europea e la creazione del mercato comune, tra i suoi poteri venne inserita anche la possibilità di erogare prestiti per progetti di

41 Trattato che istituisce la Comunità economica europea, art. 133, par. 2.

42 Trattato che istituisce la Comunità economica europea, Convenzione d’Applicazione relativa a

L’Associazione dei paesi e territori d’oltremare alla Comunità.

43 Ibidem.

44 L’European Currency Unit (ECU) era una valuta-paniere il cui valore era definito dalla media dei valori

delle monete dei Paesi della CEE, ponderate per tener conto del peso delle relative economie nazionali in ambito europeo. Corrispondono agli attuali 569 milioni di euro.

E. Esposito, Gli appalti dei servizi finanziati dal FES, Unione Europea – Collana Normative e Procedure, Lavio Editore, Italia, 2004, p. 44.

(19)

19 investimento al di fuori dei territori europei degli Stati membri, come stabilito dall’articolo 18 del suo Statuto contenuto in un Protocollo allegato al Trattato CEE46. Oggi la BEI è l’istituzione finanziaria dell’Unione europea ed è chiamata ad operare nel quadro istituzionale dell’UE ai sensi dell’articolo 309 TFUE. Opera concedendo finanziamenti per attuare progetti che contribuiscono alla realizzazione dei suoi obiettivi, sia all’interno dell’UE che al suo esterno, sostenendo le politiche di sviluppo e cooperazione dell’Unione in tutto il mondo. Nel corso degli anni la BEI ha investito su un’ampia gamma di progetti in Africa subsahariana, nei Caraibi e nel Pacifico e nei PTOM, partendo dai microcrediti sino alle grandi opere infrastrutturali47. I finanziamenti possono essere erogati con due modalità di intervento: per progetti di grandi dimensioni (superiori ai 25 milioni di euro), tramite la fornitura di prestiti diretti; in caso di progetti di piccole dimensioni (inferiori ai 25 milioni di euro) tramite l’apertura di linee di credito per istituti finanziari che a loro volta concedono fondi ai richiedenti.

Tuttavia, in nessuna delle disposizioni contenute nella Parte Quarta del TCEE veniva data una definizione precisa del concetto di “associazione con i PTOM”. L’articolo 238 TCEE stabiliva che la Comunità poteva concludere «accordi che istituiscano un’associazione caratterizzata da diritti e obblighi reciproci, da azioni in comune e da procedure particolari». Questo concetto stride però con il contenuto della Parte Quarta del Trattato: il carattere dell’associazione avrebbe dovuto essere definito dagli accordi stretti singolarmente con questi soggetti, mentre nella prassi è stato determinato dalle norme contenute negli articoli 131-136. L’associazione con i PTOM è stata infatti imposta dagli Stati membri come una decisione presa unilateralmente dalla CEE per il bene di questi Paesi. In conclusione, possiamo affermare che il Trattato di Roma ha rappresentato il primo tentativo effettivo di dare vita ad una cooperazione allo sviluppo europea, anche se ancora orientata più alla concessione di un trattamento particolare alle colonie che ad una cooperazione vera e propria. Nonostante gli obiettivi di sviluppo economico, sociale e culturale di questi Paesi non siano stati realizzati appieno, in questa prima forma di cooperazione vi era la volontà degli Stati europei di agevolare la transizione dall’epoca

46 Trattato che istituisce la Comunità economica europea, Protocollo sullo Statuto della Banca europea per gli

investimenti.

47 Gli scopi che si prefigge con questi finanziamenti sono il miglioramento della qualità della vita, la creazione

di opportunità per individui e imprese ed uno sviluppo economico sostenibile, il tutto in conformità con il Consenso europeo in materia di sviluppo del 2017 e gli obiettivi stabiliti all’interno dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Nel 2018 la BEI ha investito 1,57 miliardi di euro in 41 progetti in Africa subsahariana, Caraibi e Pacifico, nonché nei PTOM.

(20)

20 coloniale all’indipendenza, pur mantenendo con essi delle relazioni privilegiate basate sul concetto dell’associazionismo48. Tuttavia, l’ideologia neocoloniale49 della Comunità

emergeva dal fatto che, nonostante la volontà fosse quella di sostenere economicamente le zone più arretrate del mondo, gli aiuti fossero rivolti solamente ai Paesi e territori che rappresentavano interessi economici concreti per gli Stati membri.I Paesi in via di sviluppo, proprio in virtù della loro posizione economica, non avevano la possibilità di determinare i loro legami con gli Stati europei sulla base di un rapporto paritario. Perciò, sulla base di quanto appena esposto, possiamo certamente affermare che il concetto di cooperazione allo sviluppo era ancora profondamente diverso da quello che conosciamo oggi.

1.3 La prima (1964) e la seconda (1971) Convenzione di Yaoundé

Tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 il processo di decolonizzazione coinvolse molti dei Paesi africani appartenenti ai PTOM, i quali una volta raggiunta l’indipendenza non soddisfacevano più i requisiti degli articoli 131-136 del Trattato CEE. Inizialmente solo due di loro, Togo e Camerun, espressero la volontà di mantenere la loro associazione con la Comunità per poter continuare ad usufruire dell’accesso preferenziale ai suoi mercati e degli aiuti finanziari predisposti in loro favore50. Alcuni Paesi africani temevano che la CEE potesse imporre loro un nuovo tipo di protezionismo per mantenere la sua egemonia economica e politica, ma ciò non minò la loro intenzione di aggiornare i precedenti accordi e continuare l’associazione. Nonostante questa richiesta avesse fatto nascere qualche dissenso tra gli Stati membri, originato dal timore che la domanda di associazione sarebbe potuta provenire anche dai territori africani dell’area della sterlina51, il 6 dicembre 1961 i sei Stati membri della CEE aprirono i negoziati per un rinnovo dell’associazione con quattordici ex colonie francesi, tre belghe ed una italiana52, le quali

presero il nome di Stati africani e malgascio associati (SAMA). Lo scopo della Comunità era il rinnovamento della cooperazione commerciale e politica con questi Paesi,

48 Si intende il tradizionale rapporto che veniva instaurato tra la madrepatria e le colonie, al fine di preservare

l’influenza della prima sulle seconde con diversi gradi di autonomia.

49 Il neocolonialismo è la tendenza delle ex potenze coloniali a mantenere la propria influenza politica

all’interno del governo delle loro ex colonie e a continuare lo sfruttamento economico nei loro confronti facendo leva sui bisogni tecnologici e finanziari di quei Paesi.

50 L. Mosca, op. cit., p. 173.

51 Il Regno Unito entrerà nella Comunità soltanto il 1° gennaio 1973.

52 I Paesi del gruppo SAMA erano: Benin, Burkina Faso, Burundi, Camerun, Repubblica Centroafricana, Ciad,

(21)

21 promuovendo il progresso economico, sociale e culturale dei suoi Stati membri ed allo stesso tempo l’industrializzazione e lo sviluppo degli Stati ad essa associati.

Così, il 20 luglio 1963 fu firmata la Convenzione di Yaoundé (Camerun), la quale entrò in vigore il 1° giugno dell’anno successivo. Dati i continui mutamenti che stavano interessando il contesto internazionale si decise che la convenzione avrebbe avuto una durata quinquennale53 e sarebbe stata aggiornata periodicamente. L’accordo rappresentava un primo tentativo di instituire un regime di associazione tra i PVS e la Comunità, la cui struttura verrà poi ripresa in tutte le convenzioni che seguiranno negli anni. Il testo era composto da un Preambolo, cinque Titoli54, sette Protocolli e svariate Dichiarazioni allegate. Durante i negoziati emersero opinioni contrastanti sul nuovo inquadramento dei SAMA all’interno della CEE: da una parte, la Francia vedeva la convenzione come il proseguimento dei principi enunciati nella Parte Quarta del Trattato di Roma e propose un rinnovamento della politica di cooperazione comunitaria sulla base dell’articolo 136 del TCEE55; dall’altra,

i negoziatori cercarono di dare vita ad uno strumento pattizio fondato sull’articolo 238 TCEE, con lo scopo di limitare i vantaggi dei SAMA a quelli che avrebbero precisato all’interno di esso. Anche il Parlamento europeo si espresse in merito: affermò che era impossibile considerare la Convenzione di Yaoundé un accordo del tutto nuovo in quanto esisteva già un’associazione precedente con questi Paesi, tuttavia sostenne che le disposizioni contenute nell’articolo 136 erano insufficienti e avrebbero dovuto essere integrate con gli articoli 228 e 238 TCEE. Così, venne raggiunto un compromesso e si fece un passo avanti verso l’istituzione di vere e proprie associazioni con i PVS: ai Paesi associati fu concessa la possibilità di presentare autonomamente progetti di investimenti economici e sociali. La volontà di stabilire dei rapporti di cooperazione tra Stati sovrani emerse inoltre dal quadro istituzionale paritetico a cui si diede vita, con la creazione di quattro organi comuni: il Consiglio di Associazione, il Comitato di Associazione, la Conferenza Parlamentare e la Corte d’Arbitrato56. Tuttavia, nella sostanza vennero ripresi i principi

adottati nei confronti dei PTOM all’interno del Trattato di Roma: nonostante ai SAMA fosse stata concessa una parità sul piano del diritto internazionale, le grandi differenze che persistevano in materia di sviluppo economico e politico li ponevano ancora molto lontani

53 Convenzione di Yaoundé, art. 59.

54 In materia di: scambi commerciali; cooperazione finanziaria e tecnica; diritto di stabilimento, servizi,

pagamenti e capitali; istituzioni; disposizioni generali e finali.

55 Posizione che venne appoggiata anche dai 18 SAMA, che così avrebbero mantenuto il sistema di

associazione accordato nel 1957 col Trattato di Roma.

(22)

22 dai Paesi della CEE. In merito al contenuto della convenzione, essa si concentrava per lo più sulla cooperazione economica e tecnica nel campo delle infrastrutture: in questo senso, la quota del secondo FES (1964-1970) venne elevata a 730 milioni di ECU57.

I rapporti tra SAMA e Stati membri erano basati sul principio della reciprocità58 e, come già stabilito dal Trattato di Roma, ai Paesi associati veniva data la possibilità di mantenere o istituire dazi doganali al fine di aumentare il loro sviluppo, la loro industrializzazione o il loro bilancio, purché tale politica non provocasse una discriminazione fra gli Stati membri59. Inoltre, la nuova convenzione era aperta all’adesione di Stati terzi, la cui economia e produzione fossero paragonabili a quelle dei Paesi associati all’interno della Comunità60:

questa apertura verso il mondo esterno era rivolta principalmente ai Paesi del Commonwealth e a quelli dell’America Latina.

In effetti, vennero firmati due trattati internazionali con gli Stati del Commonwealth, i quali non avevano mai avuto “relazioni particolari” con nessuno degli Stati membri: il Trattato di Lagos61 (in Nigeria) del 16 luglio 1966 con la Nigeria ed il Trattato di Arusha62

(in Tanzania) del 26 luglio 1968 con gli Stati dell’Eastern African Community (EAC) Kenya, Tanzania e Uganda. Per quanto riguarda il primo Trattato, di carattere strettamente commerciale, esso non entrò mai in vigore a causa della crisi governativa che seguì lo scoppio della c.d. guerra del Biafra63. In merito all’accordo firmato ad Arusha, i negoziati iniziarono nel 1965 ma si interruppero poco dopo a causa di alcuni disguidi emersi in merito alle quote del caffè e alla reciprocità64. Le Parti arrivarono finalmente ad un accordo nel luglio 1968 e dopo la firma del Trattato venne stabilito come termine finale il 31 maggio 1969, lo stesso giorno in cui si sarebbe estinta la Convenzione di Yaoundé. Tuttavia, a causa

57 Convenzione di Yaoundé, art. 16.

58 In diritto internazionale, è il principio a cui si ispirano gli Stati negli accordi ove vengono scambiate

concessioni su determinate materie o trattamenti. La regola si basa su precise necessità: l’uguaglianza e l’uniformità di trattamento; la regola del do ut des; cautelare l’esecuzione di determinati obblighi internazionali; tutelare l’interesse dei cittadini; condizionare ad una contropartita gli obblighi assunti dallo Stato. Nel caso in questione, gli Stati membri della CEE si impegnavano a mettere in pratica un sistema commerciale che avrebbe comportato l’eliminazione progressiva dei dazi doganali (e dei tassi di effetto equivalente ad essi collegati) sui prodotti esportati dai SAMA in cambio di pari benefici sulle esportazioni degli Stati europei nei Paesi associati.

59 Convenzione di Yaoundé, art. 3, par. 2. 60 Convenzione di Yaoundé, art. 58.

61 Risoluzione sull'Accordo che crea un'associazione tra la Comunità Economica Europea e la Repubblica della

Nigeria e sui documenti allegati, Parlamento europeo, 16 dicembre 1966.

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=OJ:JOP_1966_232_3907_003&qid=1557675687413&from=IT .

62 Parlamento europeo, Risoluzione sull'accordo che crea un'associazione tra la Comunità economica europea

e la Repubblica unita di Tanzania, la Repubblica dell'Uganda e la Repubblica del Kenya, in GUCE C 108, 19

ottobre 1968, pp. 25-26.

63 È il nome con cui viene definita la guerra civile combattuta in Nigeria tra il luglio 1967 e il gennaio 1970. 64 L. Mosca, op. cit., p. 176.

(23)

23 del breve tempo a disposizione non tutti gli Stati della CEE riuscirono a ratificarlo: il testo fu infatti firmato solamente dalle tre Nazioni africane, dal Belgio e dai Paesi Bassi65. Così si decise di rinegoziarlo: il 24 settembre 1969 ad Arusha venne firmato il nuovo testo che entrò infine in vigore il 1° gennaio 1971, con una durata quinquennale (fino al 31 gennaio 1975). Un carattere di novità fu che i tre Paesi africani non vennero associati con una decisione unilaterale della Comunità ma negoziarono l’accordo assieme, come un’entità unica.

Si stava avvicinando il giorno della scadenza per la Convenzione di Yaoundé e alla Comunità si presentò il problema di uniformare sotto un unico quadro giuridico più associazioni diverse tra loro. Dall’esame della situazione comunitaria seguito dal Comitato economico e sociale emerse infatti un parere nel quale si affermava che:

«In occasione del rinnovo della Convenzione di Yaoundé l’aiuto commerciale, finanziario e tecnico che la Comunità apporta all’industrializzazione di questi paesi, al perfezionamento della loro infrastruttura e al miglioramento delle loro strutture agrarie, deve essere aumentato»66.

Così, durante la Conferenza dell’UNCTAD tenutasi a Nuova Delhi agli inizi del 1968, la Comunità e i SAMA presentarono il loro sistema di associazione: a sostegno della loro tesi portarono il fatto che le importazioni della CEE dai PVS in quegli anni fossero aumentate molto più di quelle dai Paesi industrializzati e prospettarono la creazione di ulteriori sistemi preferenziali per esportare gli stessi vantaggi agli Stati bisognosi dei PTOM67. Ma questo sistema preferenziale di scambi venne criticato duramente dagli Stati Uniti e dai Paesi dell’America Latina, i quali sostennero che rispecchiasse i rapporti di dominazione coloniale che gli Stati europei avevano applicato nei confronti dei Paesi africani, e venne definito una “vestaglia del passato” dal segretario generale dell’UNCTAD Raúl Prebisch68.

I negoziati per il rinnovo della Convenzione di Yaoundé si aprirono nel dicembre 1968: il testo fu firmato nel luglio 1969 ed entrò in vigore a partire dal 1° gennaio 1971. Il nuovo accordo, di durata quinquennale, fu per lo più un rinnovo del testo precedente, senza rilevanti modifiche. Con l’entrata in vigore della nuova convenzione venne inoltre inaugurato il primo SPG comunitario, che da quel momento in poi diventerà uno degli strumenti chiave della Comunità europea per aiutare la crescita economica dei Paesi in via di sviluppo. Questo

65 Francia, Germania Ovest, Italia e Lussemburgo non lo ratificarono.

66 Commissione europea, Consultazione e parere del Comitato economico e sociale sulla situazione

comunitaria nel suo complesso, in GUCE C 47, 10 aprile 1969, pp. 9-10.

67 G. Pennisi, L’associazione CEE-SAMA: un esame critico, in Africa: Rivista trimestrale di studi e

documentazione dell’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente, vol. 21, n. 3, 1966, pp. 230-231.

(24)

24 sistema poggiava su tre cardini, i quali sono rimasti invariati col passare del tempo: la non reciprocità commerciale, poiché i PVS non erano tenuti a ricambiare i privilegi ricevuti dagli Stati membri; l’autonomia, poiché le concessioni non erano la conseguenza di negoziazioni bilaterali ma di un’azione unilaterale della Comunità; infine, la generalità, in quanto tali privilegi erano applicati dalla quasi totalità dei Paesi industrializzati verso tutti PVS. Contemporaneamente i fondi per il terzo FES (1970-1975) furono ulteriormente ampliati a 900 milioni di ECU, indirizzati principalmente verso la pianificazione agricola, e vennero istituiti aiuti eccezionali a titolo compensativo nel campo della cooperazione commerciale (nel tentativo di equilibrare le fluttuazioni dei proventi dell’associazione)69.

1.4 La prima Convenzione di Lomé: l’ingresso dei Paesi del Commonwealth nel gruppo di Africa, Caraibi e Pacifico e l’abbandono del principio della reciprocità

È all’inizio degli anni ’70 che si può dire nasca la cooperazione allo sviluppo della CEE. In questo periodo, all’interno della Comunità cominciò ad emergere la volontà di imprimere una svolta nelle relazioni con i PVS, abbandonando l’associazionismo e dando vita ad una nuova forma di assistenza. L’entrata del Regno Unito nella Comunità il 1° gennaio 1973, assieme a Danimarca e Irlanda, implicò l’ingresso di venti ex colonie del Commonwealth70 all’interno dell’area economica della CEE. Contemporaneamente, la crisi che colpì il sistema monetario nel 1971 con il crollo del sistema di Bretton Woods fece barcollare le finanze degli Stati membri, provocando un conseguente aumento del prezzo delle materie prime che aumentò ancora di più il gap dei PVS nei confronti dei Paesi della CEE. Tutto questo fu trattato all’interno del Vertice dei Capi di Stato e di Governo della Comunità, tenutosi a Parigi dal 19 al 21 ottobre 1972, dove vennero definiti i nuovi campi di azione della CEE: tra questi emerse la volontà di portare la cooperazione ad un livello globale, estendendola anche in favore dei Paesi meno avanzati (PMA) al di fuori di quelli con cui la CEE aveva instaurato “relazioni particolari”. Per la prima volta, dunque, la cooperazione allo sviluppo venne vista come un elemento fondamentale delle relazioni esterne della Comunità europea.

69 E. Esposito, op. cit., p. 46.

70 Il Commonwealth era composto da Paesi dell’Africa (Botswana, Gambia, Ghana, Kenya, Lesotho, Malawi,

Mauritius, Nigeria, Sierra Leone, Swaziland, Tanzania, Uganda, Zambia), dei Caraibi (Barbados, Giamaica, Trinità, Tobago) e del Pacifico (Isole Figi, Samoa occidentale, Tonga).

(25)

25 Così, nel luglio 1973 si aprirono le trattative per il rinnovo della Convenzione di Yaoundé: vennero convocati a Bruxelles i nove ministri degli Esteri della Comunità allargata, le diciannove delegazioni dei SAMA e i rappresentanti dei venti Paesi del Commonwealth, la cui presenza venne garantita dal Protocollo 22 dell’Atto di adesione del Regno Unito71. Dopo quasi due anni di negoziati, il 28 febbraio 1975, a Lomé (Togo), i nove Stati membri della Comunità ed i quarantasei Paesi di Africa, Caraibi e Pacifico sottoscrissero il nuovo documento che prese il nome di Convenzione di Lomé. Pochi mesi dopo, il 6 giugno 1975, l’Accordo di Georgetown (Guyana) definì lo status delle ex colonie firmatarie della convenzione, che da quel momento vennero definite come gruppo di Stati di Africa, Caraibi e Pacifico (ACP). La firma della nuova convenzione arrivò in un momento storico per la Comunità: oltre ad essere appena avvenuto il primo allargamento, vi era l’intenzione di creare un nuovo ordine economico mondiale che inseriva i principi di solidarietà ed uguaglianza nelle relazioni Nord-Sud72.

L’accordo, che aveva l’obiettivo di porre tutti i partner su un piano di parità, rispondeva inoltre al principio “not aid but trade” del Nuovo Ordine Economico Internazionale (NOEI)73, approvato durante la sesta Sessione Straordinaria dell’Assemblea Generale dell’ONU, tenutasi dal 19 aprile al 2 maggio 1974. La convenzione, entrata in vigore il 1° aprile 1976 con durata quinquennale, venne definita dall’allora presidente della Commissione europea Francois-Xavier Ortolì come «una tappa decisiva nella storia della comunità umana» e dall’allora Commissario europeo Claude Cheysson come «un Accordo unico al mondo e nella storia»74. A differenza del suo predecessore di Yaoundé, il nuovo testo al suo interno non presentava il termine “associazione” per definire il rapporto tra Stati membri e Paesi ACP. Esso era composto da un Preambolo, sette Titoli75, sette Protocolli e ventiquattro Dichiarazioni allegate.

Le istituzioni originate dall’accordo rispecchiavano la volontà dei firmatari di porre tutte le Parti contraenti su un piano di parità: il Consiglio dei Ministri, il Comitato degli

71 Con il Protocollo 22 la Comunità offriva ai venti Paesi del Commonwealth situati in Africa, nei Caraibi e

nel Pacifico la possibilità di negoziare l’organizzazione delle loro relazioni future nell’ambito di accordi commerciali o di associazione.

J.-M. Palayret, Da Lomé I a Cotonou: morte e trasfigurazione della Convenzione Cee/Acp, in E. Calandri (a cura di), Il primato sfuggente: l’Europa e l’intervento per lo sviluppo (1957-2007), Franco Angeli Editore, Milano, 2009, p. 36.

72 Ivi, p. 35.

73 L. Mosca, op. cit., p. 180. 74 Ibidem.

75 In materia di: cooperazione commerciale; proventi dalle esportazioni dei prodotti di base; cooperazione

industriale; cooperazione tecnico-finanziaria; misure relative allo stabilimento dei servizi, dei pagamenti e dei movimenti di capitale; istituzioni; disposizioni generali e finali.

Riferimenti

Documenti correlati

For example, if total recharge (diffuse plus nondiffuse) is within the range of 56–58 mm yr 21 (as estimated by the regional water balance model and the median estimate from

In this scenario, we showed that nicotine administration in the more posterior region of the ventral hippocampus did not affect auditory remote fear memories, whereas nicotine

L'articolo 2 della Costituzione del 2 aprile 1997 definisce la Polonia come uno "Stato democratico di diritto che attua i principi di giustizia sociale".

Meat, fish, dairy products, eggs and risk of ischemic heart disease: a prospective study of 7198 incident cases among 409,885 participants in the pan-European EPIC cohort..

We studied the rate of urinary excretion of albumin, a1- microglobulin (as an indicator of the renal tubular involve- ment), sodium, potassium, and creatinine in the basal

Se, da un lato, le misure di favore sono commisurate, ragionevolmente e proporzionalmente, ai fini perseguiti (o non perseguiti, come nel caso della finalità

In questa seconda sperimentazione sulla fotodegradazione del legno di Castanea sativa Mill., l’obiettivo è stato quello di verificare con elaborazioni statistiche i fenomeni

After 35 ms the secondary (surface) ignition event happens, this time due to the heterogeneous conversion of the char, which leads to a continuous heat-up of the particle and