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Le fattispecie di revoca disciplinate dal diritto derivato dell’Unione

La mancanza di una disciplina organica del procedimento amministrativo a livello di diritto primario dell’Unione, oltre a comportare un surplus di attività giurisdizionale creatrice in capo alla Corte di giustizia al fine di colmare tale lacuna, ha altresì favorito il proliferare di svariate discipline di settore, affidate alla regolazione del diritto derivato, che sono aumentate nel tempo, di pari passo con l’allargamento delle competenze dell’Unione stessa.

In pratica, l’Unione ha adottato per ogni settore, dall’ambiente ai contratti pubblici, dalla tutela della concorrenza alla politica agricola, per citarne solo alcuni, discipline specifiche, adeguate alle peculiarità della materia trattata, che hanno finito per frammentare ulteriormente la già precaria sistematica del procedimento amministrativo europeo127.

125 D. CORLETTO (a cura di), op. cit., 1 e ss.

126 P. MENGOZZI,op. cit., 633 e ss.; per L. LORELLO, La tutela del legittimo affidamento tra diritto interno

e diritto comunitario, Torino, Giappichelli, 1998, anche nel nostro ordinamento il principio in esame “nei rapporti con il soggetto pubblico ha assunto la veste tanto di un parametro di giudizio della condotta, quanto di un criterio di comportamento, quanto ancora di una regola che l’amministrazione deve porre alla base delle sue decisioni”.

Si ritiene utile illustrare a titolo esemplificativo la disciplina di due settori, ambiente e concorrenza, in cui la problematica legata al potere delle amministrazioni comunitarie di rivedere le proprie decisioni in autotutela, si presenta particolarmente sentita.

Con specifico riferimento al riesame delle decisioni amministrative in ambito ambientale, occorre menzionare il Regolamento (CE) n. 1367/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 settembre 2006128, sull’applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della convenzione di Aarhus, in attuazione del quale è stata adottata la Decisione della Commissione, del 13 dicembre 2007, che si è resa necessaria per definire norme dettagliate riguardo al contenuto e alle modalità di presentazione delle richieste di cui all’articolo 11, paragrafo 1, del Regolamento (CE) n. 1367/2006, ai sensi del quale le organizzazioni non governative sono legittimate a livello comunitario alla formulazione di una richiesta di riesame interno nei confronti delle istituzioni e degli organi comunitari.

La convenzione di Aarhus, del giugno 1998, ratificata in Italia dalla legge n. 108 del 2001 in tema di “partecipazione del pubblico nell’elaborazione di

taluni piani e programmi in materia ambientale”, consente infatti all’interessato

di contestare la legittimità sostanziale o procedurale di decisioni, atti od omissioni riconducibili nell’alveo della partecipazione procedimentale, dotati di pregnanza ed autonomia, e rispetto alle quali la regolamentazione interna, in materia di vizi di legittimità, dovrebbe recedere.

Il titolo IV del Regolamento in questione, rubricato “Riesame interno e

accesso alla giustizia”, disciplina all’art. 10 le richieste, motivate, di riesame

interno di atti e omissioni di natura amministrativa129, che l’istituzione o l’organo comunitario deve esaminare, a meno che esse siano chiaramente infondate e alle

128 Regolamento (CE) n. 1367/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 settembre 2006

sull’applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, in www.eur-lex.europa.eu

129 Il Regolamento definisce “atto amministrativo” qualsiasi provvedimento di portata individuale

nell’ambito del diritto ambientale adottato da un’istituzione o da un organo comunitari e avente effetti esterni e giuridicamente vincolanti.

quali, non appena possibile, e comunque entro massimo diciotto settimane dal ricevimento della richiesta, deve rispondere per iscritto adducendo le sue motivazioni.

Quanto sopra riportato non esclude che l’organizzazione non governativa, che ha formulato la richiesta di riesame interno ai sensi dell’articolo 10, possa proporre ricorso dinanzi alla Corte di giustizia a norma delle pertinenti disposizioni del trattato; “facoltà” che, si badi bene, diventa “diritto”, in base al disposto dell’art. 12 del Regolamento, nel caso in cui l’amministrazione europea ometta di pronunciarsi sulla richiesta.

Viene, quindi, tratteggiato un disciplinare del potere di riesame delle istituzioni comunitarie, anche se limitatamente alla materia ambientale, precisando i soggetti legittimati alla richiesta, quelli preposti ad evaderla e la tempistica da osservare nella presentazione della richiesta e nell’adozione della deliberazione motivata di riscontro, favorevole o meno, della stessa.

In base alla disciplina appena illustrata, possiamo affermare che l’amministrazione europea è tenuta a esercitare, anche su istanza di parte, il potere di riesame delle proprie decisioni in materia ambientale, potendosi, peraltro, profilare l’esistenza di un obbligo a concludere tale scrutinio con un provvedimento espresso e motivato, la cui inosservanza aziona il diritto delle organizzazioni interessate ad adire la Corte di giustizia con un ricorso giurisdizionale.

Poteri tipizzati di revoca sono previsti soprattutto da disposizioni in materia di concorrenza, le quali attribuiscono alla Commissione la facoltà di revocare esenzioni dal divieto di pratiche restrittive da essa stessa accordate.

Esemplare al riguardo è il Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002130, che disegna un nuovo regime di applicazione delle procedure antitrust con lo scopo di garantire un'osservanza più effettiva delle regole comunitarie della concorrenza nell'interesse dei consumatori e delle

130 Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l'applicazione delle

regole di concorrenza di cui agli articoli 101 e 102 del trattato TFUE (ex articoli 81 e 82 del trattato CE) pubblicato nella GUCE L1 del 4 ottobre 2003, 1.

imprese. Prendendo le mosse dall'applicazione decentrata delle regole della concorrenza e dal rafforzamento del controllo ex post, il presente regolamento alleggerisce il carico di competenze della Commissione, che continua ad occuparsi delle violazioni più gravi in materia di concorrenza. Allo stesso tempo, accresce il ruolo delle autorità e giurisdizioni nazionali nell'attuazione del diritto comunitario della concorrenza, garantendone l'applicazione effettiva e uniforme.

Per controllare l'applicazione delle regole di concorrenza in materia di accordi, decisioni di associazioni di imprese e pratiche concordate (art. 101 del TFUE) e di abusi di posizione dominante (art. 102 del TFUE) che possano imporre restrizioni alla concorrenza, la Commissione è dotata di diversi poteri, come quello di prendere decisioni, svolgere indagini e irrogare sanzioni.

In particolare l’art. 29 del predetto Regolamento stabilisce dei casi specifici in cui la Commissione, agendo d'ufficio o in seguito a denuncia, può revocare il beneficio concesso con un regolamento d'esenzione qualora constati che in uno specifico caso un accordo, una decisione o una pratica concordata ha effetti incompatibili con le disposizioni del trattato in materia.

Stesso potere è riconosciuto all'autorità garante della concorrenza di ciascun Stato membro che può revocare il beneficio disposto da un regolamento d’esenzione sul territorio di tale Stato qualora, in uno specifico caso, taluni accordi, decisioni di associazioni di imprese o pratiche concordate producano effetti incompatibili con il trattato, anche se solo sul territorio di uno Stato membro o in una parte di esso avente tutte le caratteristiche di un mercato geografico distinto.

Si tratta di disposizioni che già ad una prima lettura, senza poter scendere nel merito della peculiare disciplina trattata, sanciscono non solo il riconoscimento in capo ad una istituzione dell’Unione del potere di revocare proprie precedenti decisioni, in presenza di determinati presupposti, operando in amministrazione diretta, ma riconoscendo tale potere anche alle autorità amministrative nazionali preposte al governo dello specifico settore della concorrenza, fanno emergere la stretta connessione giuridica tra i due

ordinamenti, con tutto ciò che ne deriva in termini di influenza del diritto comunitario sui procedimenti e sull’organizzazione delle amministrazioni nazionali.

Ulteriori discipline particolari, che confermano, a contrario, la sussistenza di un potere generale delle istituzioni comunitarie di procedere al ritiro dei propri atti a prescindere dall’esistenza di previsioni espresse in tal senso, sono contenute nello Statuto del personale comunitario131 e, soprattutto, nel Regolamento (CE, Euratom) n. 2988/95132, relativo alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità, il quale dispone che “gli atti per i quali si stabilisce che hanno per

scopo il conseguimento di un vantaggio contrario agli obiettivi del diritto comunitario applicabile nella fattispecie, creando artificialmente le condizioni necessarie per ottenere detto vantaggio, comportano, a seconda dei casi, il mancato conseguimento oppure la revoca del vantaggio stesso”.

Ciascuna regolamentazione del potere di revoca seppur specifica non esclude, tra l’altro, la contemporanea piena operatività, anche in tali settori, dei principi generali elaborati dalla giurisprudenza comunitaria e, primo fra tutti, quello del legittimo affidamento133.