«E' sull'accettazione o sul rifiuto del conflitto come elemento positivo di cambiamento che si è giocata questa partita. Spesso l'attenzione degli amministratori nel rispondere ai bisogni della popolazione attraverso i servizi, si è trovata a sopraffare qualunque espressione di conflittualità, concepita come elemento puramente negativo. Il che ha comportato il fatto che i servizi consentono poco spazio e ridotta possibilità al soggetto del conflitto e che, di conseguenza, lasciano poco margine agli utenti per esprimersi e per stimolare le risposte più adeguate: cioè comporta il rischio di burocratizzare tutto. Se il servizio si limita ad appiattirsi sulla vecchia domanda di intervento (il sintomo e la malattia) senza arricchire la risposta di tutti gli elementi nascosti e impliciti nella domanda; se l'egemonia culturale di tipo istituzionale resta intatta, senza riuscire a far fronte ai problemi e alle variabili di natura diversa che il disturbo psichico esprime, la distanza tra utente e nuovo servizio rischia di restare identica a quella tra utente e vecchie istituzioni, perché ciò che si conserva è la medesima distanza fra complessità dei bisogni e unidirezionalità della risposta tecnica da parte
dei servizi.» Franca Ongaro Basaglia - Governare la riforma - 1984
Condizioni di salute e disuguaglianze sociali
Per analizzare i nodi contraddittori dei sistemi sanitari propongo di fare riferimento ad un complesso di contributi teorici che hanno sostanziato la critica dei sistemi sanitari e ad una particolare impostazione delle ricerche di antropologia medica in chiave marxista e fenomenologica: il paradigma dell'incorporazione. Come indicano alcuni contributi teorici sulle politiche di salute mentale e sulle dinamiche di trasformazione dei sistemi sanitari, è di primaria importanza appropriarsi di un quadro teorico capace di cogliere nelle dinamiche di “cura e presa in carico” gli effetti di un tendenziale impoverimento della qualità delle prestazioni sanitarie destinate a classi sociali più basse. Il fondamento teoretico delle ipotesi sulla segmentazione della qualità dei servizi deriva dall'analisi della letteratura scientifica sul rapporto tra stato di salute e disuguaglianze socioeconomiche. Richiamiamo in primo luogo le osservazioni di Mario Cardano in proposito, secondo cui le disuguaglianze sociali di salute sono “differenze biografiche incise nei corpi”21
. Come mostra l'autore, “a partire dalla seconda metà di questo secolo in gran parte dei Paesi industrializzati le statistiche sullo stato di salute della popolazione documentano, infatti, la presenza di due tendenze contraddittorie: la crescita generalizzata della speranza di vita e il progressivo inasprirsi delle disuguaglianze di mortalità e morbilità che separano gli individui in ragione della loro classe sociale”. Questo fenomeno è da mettere in relazione a variabili che attengono alla “tossicità dei contesti di vita”. Un'altra interessante ricerca connette invece gli esiti dei trattamenti sanitari alla condizione socioeconomica22
, suffragando l'idea che le persone più povere e meno istruite siano più propense a richiedere prestazioni sanitarie di maggior peso non avendo altri canali di espressione di disagio. Si tratta qui della tendenza ad “incorporare” quella condizione di assenza di voce che si realizza compiutamente nella condizione di presa in carico continuativa attraverso interventi ad alta intensità. Tuttavia i dati dicono che questo gruppo sociale più debole ottiene un minore accesso complessivo ai servizi e cure di minore qualità ed efficacia. Secondo Rapiti et al. “gran parte della spesa del Servizio Sanitario Nazionale è assorbita da prestazioni erogate ai gruppi sociali più deboli, ma l’apparente immagine di equità e solidarietà del sistema viene contraddetta da un eccesso di inappropriatezza ed inefficacia. (…) Le persone di livello socioeconomico inferiore hanno, a parità di bisogno reale e di gravità di malattia, minori probabilità di ricevere cure efficaci ed appropriate; evidenti svantaggi sociali nell’accesso alla prevenzione primaria, alla diagnosi precoce ed alle cure tempestive e appropriate; difficoltà nell’accesso quotidiano ai servizi, per insufficienti informazioni sulle prestazioni,
21 Il titolo del saggio di Mario Cardano è appunto “Disuguaglianze sociali di salute. Differenze biografiche incise nei
corpi”. Pubblicato in “Polis”, 2008, anno XXI I , num. 1, pp. 119-146.
22 E. Rapiti, CA. Perucci, N. Agabiti et al.; Diseguaglianze socio-economiche nell’efficacia dei trattamenti sanitari.
scarsa conoscenza delle strutture erogatrici, delle liste di attesa, delle tariffe e dei percorsi”. Importanti in questo senso sono le ricerche sul razionamento delle cure mediche, in particolare sulle dinamiche di razionamento implicito, sul quale hanno ricercato in particolare Day e Fraser23
, secondo i quali “le evidenze suggeriscono che l'età come altri fattori sociali costituiscono spesso un criterio implicito di razionamento delle cure a livello clinico”. Particolare attenzione a questo fenomeno è stato riservato rispetto alle componenti socioeconomiche ed etniche dei pazienti: come scrivono Klein e collaboratori, “l'interpretazione del medico a proposito del “fare del suo meglio” può essere condizionata da fattori molto lontani dalla salute come l'appartenenza di classe del paziente o le sue origini etniche”. Il fenomeno, definito creaming, riguarda la “percezione del medico della capacità di beneficiare del trattamento da parte del paziente, che può essere condizionata da assunzioni a proposito del suo background, della personalità, e della motivazione – per esempio a proposito della soglia di dolore o della depressione”24
. Al di là di questi contributi che possono aiutarci a spiegare dal punto di vista “microsociologico” la questione delle disuguaglianze di trattamento, va ricordata in questo contesto una delle assunzioni dell'epidemiologia sociale degli anni '70: il medico di famiglia Julian Tudor Hart pubblicò nel 1971 un articolo sul Lancet intitolato The inverse care law (La legge dell’assistenza inversa). Egli affermava che la disponibilità di cure mediche tende a variare inversamente ai bisogni della popolazione servita. Questo assioma, noto anche come legge di Tudor Hart, è tanto più evidente quanto più le politiche sanitarie sono sottoposte alle leggi del mercato: l'offerta delle risorse con criteri mercantili contribuisce a rafforzare una cattiva distribuzione delle stesse. Tudor Hart precisava in seguito che mai il mercato avrebbe spostato i suoi investimenti dalle aree in cui c'è maggiore profitto a quelle in cui c'è maggiore bisogno. Varie ricerche oggi mostrano la validità di questa legge e ne confermano la persistenza in moderni servizi sanitari sottoposti a logiche di mercato o quasi-mercato25
. A partire da tali elementi presenti in
23 Dey, I. Fraser, N. 2000 age-based rationing in the allocation of health care, 2000, p. 517 24 Klein et al. (1996)
25
Cfr, Managing depression in primary care: another example of the inverse care law? Chew-Graham CA , Mullin S , May CR , Hedley S , Cole H, 2002, Pubmed. “I soggetti concettualizzano la depressione come un problema di tutti i giorni, piuttosto che come una categoria diagnostica. Lo studio suggerisce una tensione tra tre tipi di visualizzazioni di pazienti depresse: (i) la depressione è una risposta comune e normale per gli eventi della vita, nell'accesso ai servizi si riflette la medicalizzazione di tali condizioni, (ii) l'etichetta o diagnosi di depressione offre un grado di guadagno secondario sia per i pazienti e per i medici, in particolare per i medici che praticano in aree urbane e (iii) che all'interno delle città ci sono MMG che sperimentato la gestione delle persone depresse come un problema interazionale, in contrasto con quei medici che servono una popolazione meno deprivata, che vede la depressione come una malattia curabile e incontra medici che trovano la prescrizione di farmaci come lavoro gratificante. La depressione è comunemente considerata dai medici come una diagnosi che spesso comporta la separazione di una reazione normale per l'ambiente e la malattia vera. Per quei pazienti che vivono in ambienti socio-economicamente svantaggiate, i problemi, e quindi la depressione, si rivelano insolubili. Ciò ha un'importante implicazione per la realizzazione di interventi educativi attorno migliorare il riconoscimento e il trattamento della depressione nelle cure primarie: alcuni medici possono essere riluttanti a riconoscere e rispondere a tali pazienti in profondità a causa dei fattori strutturali e sociali che ci hanno suggerito nel presente documento. Che siano i medici che lavorano con le popolazioni bisognose, che esprimono questi punti di vista, significa che la 'legge di assistenza inverso' [Tudor Hart J. La Legge cura inversa. Lancet 1971, 1 (7696): 405-412] opera nella gestione della depressione”. Traduzione mia da “Deprivation, psychological distress, and consultation length in general practice. Stirling AM , Wilson P , McConnachie A, 2001, Pubmed”. Ed anche “L'aumento deprivazione socio-economica è associato ad una maggiore prevalenza di disagio psicologico e di consultazioni brevi. Questo fornisce ulteriori prove a sostegno 'legge di
letteratura un obiettivo preliminare della ricerca è definire le caratteristiche dei sistemi sanitari e, in essi dei servizi di salute mentale, inquadrandoli entro gli elementi teorici che ne hanno rilevato i nodi critici e le contraddizioni.
In generale la correlazione problematica tra sistemi sanitari e sistemi di salute emerge oggi in un contesto più ampio di disarticolazione dei sistemi sanitari tipici delle società industriali, segnato da alcuni fenomeni il cui impatto destrutturante si riflette in una crisi dei relativi modelli analitici. Se infatti si moltiplicano gli elementi da più parti indicati come “sfide epocali” ai sistemi sanitari di tipo “biomedico”, i processi convulsi che attraversano in generale i sistemi di welfare occidentali hanno nel giro degli ultimi trent'anni messo in discussione radicalmente i modelli sanitari dominanti nelle società industriali. Il crescere di incisività dell'oggettivazione diagnostica, se da una parte costituisce un campo di sempre maggiore investimento per l'apparato tecnologico e industriale biomedico, dall'altro impone una condizione di diffusione senza precedenti di possibili condizioni oggettivabili come campi di intervento medico. Questo, oltre a generare un livello di possibile bisogno non rilevato di immani proporzioni, acuisce la contraddizione tra possibili campi di investimento medico ad alta redditività e capacità complessiva dei sistemi sanitari di rispondere ai bisogni di salute della popolazione. Su questo campo si può leggere la radicale complessità di ogni osservazione rivolta ai temi della salute\malattia nelle società moderne. Proprio tale complessità richiama la necessità di un'analisi aperta ai contributi che ci vengono dalla scienza politica e dall'antropologia medica, al fine di assumere uno sguardo che di tali fenomeni di disarticolazione lasci emergere l'aspetto di processi conflittuali e dialettici, la cui posta in gioco sta nello stesso farsi dell'esperienza di salute e malattia e nella risoluzione della problematicità dei concetti di cura e guarigione. A fronte di una disarticolazione dei modelli analitici della sociologia della salute, rilevanti apporti euristici possono venire quindi dal concetto antropologico di incorporazione, inteso come processo di inscrizione delle dinamiche sociali nel corpo e del corpo nelle dinamiche sociali. Tale posizione teorica è inscindibile da un'analisi dei rapporti di forza capace di cogliere gli aspetti egemonici all'interno del campo costituito dai sistemi sanitari in un determinato blocco storico, e come tali rapporti sociali definiscano in un determinato contesto le nozioni di salute\malattia, guarigione e cura.
La critica marxista di Giulio Alfredo Maccacaro
Da una prospettiva marxista sono fondamentali le critiche al sistema medico come modello della riproduzione sociale capitalista espresse da Giulio Alfredo Maccacaro, che, da medico e biologo interessato ai temi della salute del lavoro e della nocività, elabora una serie di rilievi complessivi sulla questione medica. Agli inizi degli anni '70 il crescente sviluppo dei sistemi di protezione sociale incontra in Italia tare e arretratezze strutturali (il sistema delle mutue verrà definitivamente smantellato solo
dalla legge del 1978) che ne condizionano pesantemente il funzionamento in termini di abilitazione all'esercizio di diritti; la diffusione di un sistema assistenzialistico sostanzialmente passivizzante e oggettivante è uno dei primi obiettivi della sua polemica:
«L'ideologia mistificante della "società al soccorso dell'individuo" è essenziale per fare accettare la funzione sociale assegnata al singolo, attribuendogli, come sempre, la responsabilità individuale del suo inadattamento a altre funzioni. In questa prospettiva, il Capitale tende ad attribuire quindi anche al sistema sanitario (in associazione a quello scolastico e con quello psichiatrico) il compito particolare di selezionare il più precocemente possibile i soggetti non adatti a mansioni lavorative specializzate. Questi lavoratori, nei casi più tipici, sono caratterizzati di volta in volta da: assenteismo; inadattamento alla disciplina e ai ritmi; tendenza agli infortuni; tendenze alle malattie fisiche e psichiche recidivanti. Essi vengono probabilmente fabbricati dal sistema in numero sempre maggiore; in una situazione economica favorevole e con una tecnologia avanzata, essi costano meno come assistiti (come consumatori, come lavoratori degradati) che come produttori»26.
Lungo le lotte sociali degli anni '60 e '70 si sviluppa una consapevolezza critica sul ruolo sociale della medicina di cui Maccacaro è uno dei più fecondi interpreti: il sistema sanitario, con la sua articolazione interna pratica e scientifica, viene riconosciuto come uno dei modi dell'alienazione dell'uomo nel sistema capitalistico; la pratica clinica appare nella sua funzione di controllo sociale e pacificazione forzata delle contraddizioni. Il medico, che sta in una posizione di potere rispetto al malato, è manipolato dall'istituzione sanitaria sino ad assumere il ruolo di funzionario del
consenso: “Da una parte ho prima indicato, come possibile ipotesi, il fare a pezzi del
malato, dall'altra c'è il fare a pezzi del medico: cioè impoverirlo come medico totale, come medico globale, e invece avviarlo verso la specializzazione come frantumazione della sua identità di medico, in modo che, in sostanza, il risultato sia questo: ogni volta soltanto un pezzo di malato incontri soltanto un pezzo di medico e un pezzo di medico un pezzo di malato, perché se mai accadesse che tutto il malato e tutto il medico si incontrassero davvero autenticamente fino a riconoscere ciascuno l'alienazione propria e dell'altro, si ritroverebbero uniti dalla stessa volontà di rivolta; questo sarebbe l'unico risultato di un loro incontro totale"27
. Giulio Maccacaro ha lavorato sul concetto di partecipazione in medicina, fornendone una caratterizzazione radicale riassunta nel programma politico di “lottare contro la malattia come perdita di partecipazione e rifiutare la perdita di partecipazione come malattia”. A partire da questa interpretazione radicale della partecipazione emerge una critica all'istituzione sanitaria, “ordinata all'ottimizzazione di se stessa, del suo vantaggio economico, delle sue autorità di comando, del suo plesso di potere. Pertanto nell'occultamento di una profonda divergenza della sua funzione dai fini sociali cui dovrebbe rendere e misurare il suo servizio, riconosce ogni primato al funzionamento e converte la totale perdita di efficacia in una ulteriore domanda di efficienza” (Maccacaro, 1976). A
26 Giulio Maccacaro - Pratica medica e controllo sociale, 1970.
partire dalla critica dell'istituzione, dal riconoscimento del suo mandato sociale, dei conflitti politici che attraversano la società, si riconosce che “è in nome dell'efficienza del funzionamento per una mentita efficacia della funzione che la partecipazione popolare è sempre stata sistematicamente esclusa - come è esclusa la madre del bambino ricoverato, come è' esclusa la consapevolezza del paziente abusato, come è esclusa la realtà della sofferenza sociale - dalla gestione della cosa sanitaria, dalla possibilità di intervenire per indicarle fini nuovi, ulteriori impegni, più vere destinazioni”. (Maccacaro, 1976) La partecipazione è in quest'ottica ricollegata all'emergere di una soggettività di classe “alternativa alla definizione - cosiddetta obiettiva - della salute e della malattia, del benessere e del disagio, della nocività e del danno. Costituisce, quindi, la base di quel ritiro della delega lungamente rilasciata al "tecnico" quale verificatore e falsificatore di una sofferenza soggettivamente patita e dunque reale ma che poteva essere negata, in conto della pretesa "obiettività" di una scienza che non è retorico chiamare padronale. Da questa rivendicata soggettività è nata la identificazione di un quarto gruppo di fattori di nocività, è nata una ridefinizione del benessere-malessere non più come conformità-difformità a modelli espressi ed imposti dalla logica della produzione per il profitto, ma come vissuto individuale e di gruppo del rapporto con le condizioni di lavoro e di vita. L'altro significato di soggettività, che si integra al primo, è, oltre i limiti di ciò che può pur sempre essere ricondotto a una lettura medica, l'affermazione di sè non solo come soggetto di salute ma come soggetto di sanità capace di appropriazione e di autogestione della medesima”. In questo senso la partecipazione “forte” esprime il rapporto dialettico tra una soggettività autonoma e l'organizzazione sociale. Allo stesso modo risultano fondamentali le elaborazioni critiche di Franco Basaglia, rivolte a sostanziare l'aspetto politico della corporeità come luogo della capacità di agire, il cui controllo, anche attraverso le scienze mediche e i sistemi sanitari, risulta una posta sostanziale in termini di egemonia politica. Basaglia chiarisce infatti il ruolo di manipolazione dei bisogni svolto dalle istituzioni soprattutto come azione sul corpo, a partire dalle sue formulazioni fenomenologiche sulla presenza, il silenzio, lo sguardo. Nello specifico dei manicomi, Basaglia individua il mandato sociale dell'esclusione e della razionalizzazione dell'esclusione; a fronte della prassi concreta che vi si svolge, la psichiatria legittima con carattere di “neutralità scientifica” il processo di sovradeterminazione dei bisogni sociali che l'istituzione mette in atto. Il tema delle istituzioni è legato da Basaglia alla tematica gramsciana dell'egemonia e del mantenimento del consenso attraverso gli intellettuali (Gramsci, 1930). Centrale è la contraddizione tra bisogni e istituzione: in “Crimini di pace” le istituzioni sociali, comprese quelle scientifiche e accademiche, sono corpi che “codificano e determinano i comportamenti, passano sotto silenzio i bisogni primari, ne creano di artificiali, insegnano agli uomini il significato della loro nascita, cosa sono, quale deve essere la loro vita, quale è il rapporto da instaurare fra di loro, quale deve essere e quale forma deve assumere la loro morte. (…) Nella nostra realtà sociale le diverse branche delle scienze non possono che pianificare risposte formalmente universali (cioè programmate per tutti i cittadini), che di fatto si traducono nella risposta ai
bisogni del gruppo dominante e nel controllo o contenimento dei bisogni del gruppo dominato. Ogni servizio progettato serve agli organizzatori e all'organizzazione in sé, più che agli utenti, altrimenti non si spiegherebbe, ad esempio, l'enfatizzazione dei servizi sanitari in rapporto alla qualità dell'assistenza prestata. Nella logica del capitale, ogni istituzione diventa un organismo produttivo, dove la finalità e la giustificazione del suo esistere (per l'ospedale: l'assistito) risultano marginali. Per quanto possa apparire paradossale, l'ospedale è fatto per i medici e per il personale, non per i malati. Inoltre l'intervento tecnico si presenta sotto la veste della neutralità, dove si presume non esista divisione tra la figura sociale del prestatore del servizio e quella del cliente che lo richiede.” (Basaglia, 1980).
Franca Ongaro Basaglia: il dibattito sui tecnici del sapere pratico
In questo tipo di lettura convergono le acquisizioni dell'operaismo degli anni '60, il dibattito interno alla sinistra italiana sul ruolo degli intellettuali e la tradizione critica della psichiatria francese. Sul primo versante lo stimolo ad una critica della neutralità della scienza si sviluppa nel dibattito attorno all'organizzazione razionale del lavoro favorita dallo sviluppo industriale post-bellico; è in particolare Raniero Panzieri, insieme alla redazione dei “Quaderni rossi” a rompere con la tradizione positivistica del marxismo e la sua concezione ottimistica del progresso, basata sull'assunto di fondo della tendenziale incompatibilità tra progresso scientifico e sostenibilità dei rapporti di produzione capitalistici. Le lotte operaie degli anni '60, indicando chiaramente l'organizzazione “scientifica” del lavoro come approfondimento delle dinamiche di sfruttamento, avevano mandato in frantumi questa tesi e mostrato che “il processo di industrializzazione, via via che si impadronisce di stadi sempre più avanzati di progresso tecnologico, coincide con l'incessante aumento dell'autorità del capitalista”28
. Ritornando ai testi marxiani e rompendo con l'ufficialità dell'interpretazione sovietica, così come con le tendenze revisionistiche nostrane, gli autori dell'operaismo partono dalla constatazione che i rapporti capitalistici di produzione plasmano dall'interno lo sviluppo tecnologico piegandolo verso un fine che non è quello della massima razionalità ma quello della massima estrazione di plusvalore: la scienza, prodotto secondario di questa dinamica, è la rappresentazione astratta e formale di questa penetrazione. In questo contesto la medicina del lavoro è riconosciuta come parte integrante della scienza borghese dell'organizzazione del