II. Inchiesta sociale e prassi istituzional
3. Le posizioni di tecnici, amministratori, professionisti
La posizione di chi lavora nei servizi risulta già da questa prima osservazione estremamente contraddittoria. C'è la possibilità per i tecnici dei servizi di “spingere” gli utenti alla mobilitazione, incapsulandone la partecipazione in termini efficentisti per coprire delle falle organizzative oppure la possibilità di “aprire” alla cittadinanza con le sue contraddizioni e i suoi conflitti, ponendosi come parte di un processo di elaborazione dei processi di inclusione. Queste possibilità non sono nettamente diversificate nelle posizioni dei soggetti reali che amministrano o lavorano nei servizi.
I paradossi delle forme di partecipazione nei servizi pubblici mettono in questione un’onda lunga di trasformazioni sociali e demografiche. I sistemi sanitari devono ridurre i costi umani ed economici delle malattie croniche e delle condizioni degenerative, situazioni che non possono essere trattate in ambito ospedaliero, ma devono diventare oggetto di un management quotidiano e di lungo periodo in ottica di “integrazione” e “territorializzazione”: le persone e le famiglie (soprattutto le donne) devono gestire malattie di lungo periodo nel loro contesto domestico, incastrando prestazioni tecniche e stili di vita: i servizi devono immaginare delle nuove forme di
supporto territoriale per facilitare questo management97
. Il processo di “integrazione” e “territorializzazione” dei servizi socio-sanitari si è sviluppato molto a rilento e non è riuscito a realizzare forme di garanzia e copertura dei rischi adeguato. Secondo alcune analisi anche nei servizi sociali si riproducono le dinamiche esclusive della “società dei due terzi” . Due terzi98
che possiedono le risorse e partecipano alla vita politica, un terzo che ne è strutturalmente estromesso. Nessuna previsione di crescita economica lascia sperare in un prossimo miglioramento della condizione di questo pezzo di popolazione, destinato ad appoggiarsi stabilmente a qualche intervento sociale, penale, sanitario o assistenziale senza che possa essere prodotta alcuna dinamica emancipativa. Eppure la constatazione dell'inadeguatezza del sistema è genericamente richiamata ogniqualvolta si affermi che “bisogna trovare nuove strategie”, “attivare nuovi coinvolgimenti”, “stimolare gli attori economici a considerare questo possibile campo di investimenti”. “Comunità” e “partecipazione” diventano dunque vettori di discorsi ambigui, che chiamano a una qualche trasformazione senza chiarire in quale direzione essa venga prodotta; le sperimentazioni di “nuove presenze” nei servizi possono essere immaginate come un campo specifico di questo discorso, in cui i non tecnici vengono chiamati in causa nel progettare “nuove vie” alla territorializzazione dei servizi.
Definire il ruolo degli attori sociali in gioco e le caratteristiche delle loro relazioni è dunque un compito fondamentale. Nei fatti sempre più le nuove forme di governance dei servizi richiedono che all’azione pubblica si affianchino il privato e il terzo settore. Restano da definire però gli spazi di elaborazione politica delle domande e dei bisogni sociali, e in che modo coinvolgere i soggetti in questi spazi. Proprio in questa direzione, chi lavora nei servizi socio-sanitari si interroga sul senso di termini come “partecipazione”, “negoziazione degli interessi”, “sviluppo di comunità”. In un territorio, come quello dell’Emilia Romagna, in cui sono presenti esperienze di grande partecipazione, tradizioni di universalismo e punte di eccellenza tecnico- scientifica, la tendenza più conforme alle linee di sviluppo della “società dei due terzi” sembra essere che si vengano a creare “servizi a due velocità”: alte specializzazioni tecniche per chi può e permettersele e un sistema frammentario di degenze istituzionali per gli altri.
La tensione implicita in questi temi emerge dalle parole di Maria Augusta Nicoli, responsabile dell’Area Comunità, Equità e Partecipazione della Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale dell’Emilia – Romagna, raccolte durante il convegno di Modena.
La partecipazione dei cittadini alle politiche di salute costituisce oggi un campo di sperimentazioni che richiede scelte chiare. Le ricerche promosse dall’Agenzia Sanitaria
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Si veda l'esposizione di Tommaso Vitale in “Integrazione e territorializzazione del welfare. Alcune implicazioni per i servizi sociali”, Voci di strada, 2007, XIX (3), pp.91-113. <hal-01021420>
98 Articolo di Nadia Urbinati su la Repubblica: “la ricchezza è concentrata nel 64 percento della popolazione; ovvero,
per semplificare al rialzo, poco più di due terzi dentro, gli altri fuori”.
e Sociale dell’Emilia – Romagna vanno dunque nella direzione di “riscrivere” le modalità di intervento medico, aumentando il peso della “comunità”.
Ho vissuto la nascita del coordinamento regionale delle associazioni che si occupano di salute mentale. Abbiamo in questi anni lavorato molto nel campo del rapporto tra cittadini e servizi pubblici, promuovendo sperimentazioni e realizzando alcune innovazioni. Sto cercando di chiarire sempre più a me stessa un ragionamento che possa diventare una pista di lavoro innovativa. Parto dicendo che in questo tipo di confronti c’è sempre la percezione di qualcosa che è finito e di qualcosa che deve iniziare. Faccio l’esempio della riforma psichiatrica, che è un argomento che stiamo affrontando con gruppi di operatori brasiliani. I colleghi brasiliani, che cercano di trasferire in Brasile quello che è avvenuto in Italia, ci chiedono di raccontare l’esperienza della riforma. Le loro elaborazioni sulla riforma psichiatrica di fatto arrivavano a un punto morto. Nel senso che per fare quella riforma è stato necessario dire una cosa fondamentale: cioè che qualcosa andava chiuso. Oggi bisogna domandarsi di nuovo cosa va chiuso e cosa va iniziato. Sicuramente deve essere iniziato un nuovo modo di guardare ai servizi: servizi che non possono essere fatti e popolati solo da attori tradizionali della cura. In altri contesti si stanno evidenziando questi elementi. La premessa sarebbe che il prendersi cura oggi va collocato sempre più in una ottica territoriale, di luogo99. Il
prendersi cura oggi vuol dire: “prendersi cura di quelle strade, di quelle persone che abitano in quelle case”, e non prendersi cura di “categorie” (anziani, bambini, adolescenti, portatori di disagio).Questa può essere la premessa che ci permette di dire in maniera precisa cosa va chiuso e cosa va iniziato. Questa è la premessa sollecitata dalle esperienze di partecipazione. Le storie di partecipazione che abbiamo sentito oggi ci dicono che già esistono altri “luoghi della cura”. Gli utenti e le associazioni parlano già di altri servizi, che ancora non esistono. Si tratta di servizi nuovi che non vanno messi in parallelo con quegli esistenti ma che vanno sostituiti a quelli esistenti.
Dobbiamo accettare un cambiamento della società, dunque anche i servizi devono cambiare. Ci sono infatti fenomeni che interrogano le istituzioni, le organizzazioni e il modo con il quale noi forniamo i servizi, rispetto ai quali non possiamo più chiudere gli occhi. Oggi le persone hanno identità trasversali che bisogna riconoscere, sono sempre meno etichettabili. L’identità del sofferente psichico non rinchiude più la persona: io entro in un area di bisogno con tutto quello che sono, socialmente, non solo con l’etichetta del mio disagio.
Per servizio io non intendo necessariamente una cosa immutabile. Per loro natura i servizi nascono nel momento in cui c’è un incontro e una condivisione su quale dovrebbe essere l’oggetto di lavoro. Per esempio, prima non esistevano i consultori: c’è stata una condivisione sul bisogno, una condivisione tale che venisse “inventato” un servizio. I servizi dunque possono morire e nascere.
Pensiamo all’esempio della radio o alle attività teatrali, descritte da voi come un
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Maria Augusta Nicoli fa qui riferimento a una distinzione molto importante per le politiche sociali: la distinzione people\place. Questa distinzione è stata spiegata così da Alessandro Coppola: “l’alternativa fra una cosiddetta opzione people – caratteristica del caso americano – ed un’opzione place – viceversa tipica di quello francese. L’opzione people punterebbe al contrasto dei fenomeni di marginalità urbana attraverso una sorta di scommessa sulle popolazioni e prima ancora sugli individui in situazione di difficoltà; l’opzione place viceversa insisterebbe di più sulle condizioni di svantaggio proprie di ciascun territorio attraverso politiche di normalizzazione soprattutto sul versante dell’offerta pubblica di servizi”. Disponibile su:
momento propulsivo di nuove iniziative, nuovi sguardi, nuovi modi di stare. Non potrebbero essere questi nuovi servizi? Vediamo subito che appena indichiamo nuove frontiere verso cui tendere, vediamo nuovi servizi in cui non c’è solo lo psicologo, non c’è solo lo psichiatra, anzi spesso non ci sono affatto, ma ci sono altri “tecnici”, che producono altri servizi, come la radio o l’attività teatrale.
Un altro elemento è molto importante: in questi contesti-servizio, in questi luoghi di cui ci si prende cura, che tipo di relazioni devono instaurarsi? In questa dinamica di partecipazione, con questi attori nuovi che popolano la scena della cura, si possono innescare dinamiche relazionali non favorenti un rinnovamento. Si possono instaurare relazioni che invece di sviluppare bloccano, come ha messo bene in evidenza Beppe Pratesi dalla Toscana.
La domanda è: qual è la visione che abbiamo di queste organizzazioni nuove di cui sentiamo la necessità? verso quale tensione portiamo questa organizzazione? Uno sguardo alle esperienze al di fuori dell’Italia ci dice che deve esserci una tensione. Organizzazioni centrate sull’attività del territorio; un servizio sanitario che si fa permeare da varie forme di partecipazione, però con una condivisione e chiarezza sull’oggetto di lavoro. L’oggetto di lavoro oggi più che mai necessita di essere ripensato, per poter fondare i servizi nuovi di cui c’è bisogno.