L’esito infausto dell’endocardite infettiva `e associato ad un elevato Charl- son Co-morbidity index, una sottostante cardiopatia ischemica cronica, un precedente intervento chirurgico a carico del cuore e l’uso di statine. `E com- prensibile come un individuo pi`u anziano, affetto da diverse co- morbidit`a
e/o gi`a sottoposto in precedenza ad interventi cardio- chirurgici sia pi`u fragile e di conseguenza anche maggiormente esposto al rischio di andare incontro a decesso in seguito all’insorgenza di un’infezione impegnativa come l’endo- cardite.
Seguendo questo ragionamento, pu`o forse sembrare singolare e sorprendente che la presenza di una malattia aterosclerotica concomitante non rientri fra i fattori prognostici negativi individuati; tuttavia, a questo proposito occorre puntualizzare che in effetti la prevalenza di tale patologia `e risultata maggio- re all’interno della popolazione andata incontro ad exitus rispetto a quella sopravvissuta, raggiungendo una differenza fra i 2 gruppi tale da avvicinarsi molto (pur senza soddisfarlo, ovviamente) al limite della significativit`a sta- tistica (p = 0,057).
Risulta poi altrettanto intuitiva e naturale la presenza di una associazione fra il danno renale acuto o lo scompenso cardiaco acuto nel corso del ricovero e la mortalit`a, poich´e queste due complicanze dell’endocardite infettiva possono far precipitare rapidamente le condizioni cliniche del paziente, andando ad incidere in modo pesantemente negativo sulla prognosi.
Un altro risultato abbastanza prevedibile `e rappresentato dalla capacit`a predittiva per un esito avverso del peptide natriuretico cerebrale (BNP) e del suo precursore, l’NT- proBNP. Il ruolo del BNP come fattore prognostico in caso di endocardite infettiva era gi`a stato dimostrato da due gruppi di ricer- ca, uno attivo negli USA e l’altro in Brasile, rispettivamente negli anni 2010 e 2014 [37] [38]. Le prime prove a sostegno del fatto che anche l’NT- proBNP potesse ricoprire, in caso di endocardite infettiva, un ruolo analogo a quello del BNP risalgono addirittura al 2007, ma si devono ad uno studio effettuato su un campione piuttosto ristretto di pazienti (soltanto 45) [39]; per una pi`u solida conferma di tale ipotesi `e stato necessario attendere fino al 2017, anno in cui `e stato pubblicato un lavoro costruito su una casistica decisamente pi`u ampia, costituita da 703 soggetti affetti da endocardite infettiva [40].
In tutti gli studi appena menzionati, tuttavia, era emerso anche il ruolo del- la troponina I nella stratificazione del rischio del paziente con endocardite infettiva: in particolare, una valutazione combinata della troponina I con il BNP oppure l’NT-proBNP avrebbe dovuto permettere una pi`u accurata definizione della prognosi del paziente.
In effetti, alcune ricerche avevano dimostrato – pur senza riuscire a com- prenderne appieno il meccanismo - un innalzamento dei livelli di troponine circolanti in caso di endocardite infettiva [41], ma le analisi portate avanti in questo studio non hanno confermato tale ipotesi (non vi era una differen- za fra i due gruppi significativa per quanto riguardava tale parametro: p = 0,098).
Un risultato potenzialmente inatteso `e stata la mancata dimostrazione di una correlazione fra un aumento del numero di decessi e la formazione di vegetazioni di diametro superiore al centimetro, associazione recentemente dimostrata da una meta- analisi pubblicata pochi mesi fa [21]. A tale pro- posito, tuttavia, `e bene soffermarsi a riflettere sul fatto che i pazienti in cui si erano rilevate delle vegetazioni di diametro sopra- centimetrico sono sta- ti sottoposti pi`u frequentemente ad un intervento cardiochirurgico rispetto a quelli in cui le vegetazioni avevano un diametro inferiore al centimetro. Questa differenza potrebbe forse avere influito in qualche modo sul risultato finale, in quanto l’esecuzione precoce di un intervento di sostituzione valvola- re potrebbe essere stata in grado di prevenire l’occorrenza di eventi embolici e dunque di ridurre il numero di decessi dovuti a quest’ultima complicanza, come commentato successivamente.
Altri risultati ottenuti trovano invece conferma nella letteratura. In li- nea con due recenti studi, di cui uno italiano e l’altro spagnolo, condotti in maniera pressoch´e parallela ed indipendente fra loro, questo studio non ha individuato nella presenza di diabete mellito un fattore predittivo indipen- dente per mortalit`a intra- ospedaliera da endocardite infettiva [25] [30]. Coerente con quanto gi`a affermato in precedenza da altri autori `e poi anche il riscontro dell’importanza, dal punto di vista prognostico, degli indici di flogosi. Gi`a nel 2013, infatti, Cornelissen ed i suoi colleghi tedeschi avevano dimostrato l’esistenza di una differenza significativa circa i livelli di PCR, PCT e leucociti rilevati nel sangue dei pazienti con endocardite infettiva andati incontro a gravi evenienze quali embolizzazione settica, scompenso cardiaco acuto, aritmie pericolose per la vita, shock settico e vizi valvolari tali da richiedere un intervento cardiochirurgico in regime di urgenza rispet- to a quelli misurati nei campioni ematici provenienti da pazienti affetti dalla medesima infezione ma non andati incontro a simili complicanze [23]. L’analisi statistica condotta nel nostro studio ha in effetti rivelato un incre- mento di questi tre indici di infiammazione (PCR, PCT e leucocitosi) nel gruppo dei malati andati incontro ad un esito infausto significativamente maggiore rispetto a quello registrato nei soggetti guariti.
Tuttavia, a differenza di quanto sostenuto dalla scuola tedesca, secondo la quale il miglior fattore predittivo per un peggioramento dell’outcome era il riscontro di una concentrazione sierica di PCT > 0, 5ng/ml, l’algoritmo di random forest applicato nel corso del nostro lavoro ha identificato nella leu- cocitosi la variabile pi`u strettamente correlata ad un decorso clinico meno favorevole, collocando il riscontro di valori elevati di PCT solo al secondo posto per capacit`a predittiva dell’evento “decesso”.
de nel fatto che l’analisi da noi condotta non ha permesso di individuare alcun valore- soglia al di sopra del quale il potere predittivo positivo per mortalit`a della PCT divenisse sensibilmente maggiore; nonostante questo, `e anche doveroso precisare come, sempre secondo i test da noi effettuati, la variabile discreta “PCT> 0, 5ng/ml” fosse significativamente correlata con un incremento del tasso di decessi per endocardite infettiva.
Fra gli esami di laboratorio per cui `e stata evidenziata una correlazione significativa con il tasso di mortalit`a figurano anche l’innalzamento della crea- tininemia e la piastrinopenia (p= 0,016 e p=0,015, rispettivamente). Questo risultato `e in linea sul fatto che questi indici rientrano fra i parametri del SOFA score (Sequential Organ Failure Assessment score), un sistema di pun- teggio largamente impiegato nelle unit`a di terapia intensiva per la valutazione della gravit`a delle condizioni dei pazienti e correntemente sfruttato nella pra- tica clinica per porre diagnosi di sepsi. Muovendosi in una tale prospettiva, risulta probabile che la presenza di almeno uno di questi fattori correli bene con lo sviluppo di un tipo di infezione endocarditica pi`u grave e dal decorso meno favorevole.
Gli ultimi fattori prognostici negativi in caso di endocardite infettiva evi- denziati dall’analisi sono la positivit`a delle emocolture e l’isolamento di ceppi batterici dotati di farmaco-resistenze multiple (MDR, multi- drug resistant ).
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E da sottolineare a tale proposito che i casi sostenuti da ceppi di S. aureus meticillino- resistenti (MRSA) sono noti da pi`u di due decenni; gi`a nel 1995 due medici statunitensi, Ortwine e Bhavan, avevano riscontrato un aumento del tasso di mortalit`a e morbidit`a in associazione ad episodi batteriemici so- stenuti da S. aureus meticillino- resistente. Secondo gli stessi autori, le pi`u frequenti complicanze di una batteriemia da MRSA sono la sepsi, l’osteomie- lite e, appunto, l’endocardite, tutte e tre di difficile trattamento [42]. Anche se focalizzata su una generica “batteriemia” da MRSA, e non specificatamen- te sulle endocarditi dovute a tale agente microbico, quest’ultima ricerca pu`o essere intesa come una prova a sostegno del possibile legame fra isolamento di germi dotati di farmaco- resistenze multiple e peggioramento dell’outcome del paziente con endocardite infettiva.
Infine, per concludere il commento sull’analisi riguardante la mortalit`a per endocardite infettiva, si deve sottolineare come questo studio abbia provato che l’esecuzione di un intervento chirurgico di sostituzione valvolare `e capace di ridurre in misura decisiva e significativa il numero di decessi (p< 0, 001), ma non di eventi embolici (p = 0,14); tale riscontro va a rafforzare una convinzione gi`a ampiamente diffusa circa la necessit`a di effettuare interventi
cardiochirurgici preventivi nei soggetti a maggior rischio, ma allo stesso tem- po pare in aperta contraddizione con le linee guida attuali sul trattamento dell’endocardite infettiva, le quali giustificano alcune delle indicazioni alla terapia cardiochirurgica etichettandole ed intendendole proprio in termini di prevenzione delle embolizzazioni periferiche (e non della mortalit`a).
Si deve tuttavia osservare che i pazienti inclusi in questo studio sono stati suddivisi in due gruppi semplicemente a seconda che fossero andati o meno incontro ad un’embolia settica, senza tenere conto della rilevanza clinica di quest’ultima. `E possibile che stratificando ulteriormente i soggetti e sepa- rando gli episodi di embolismo maggiore da quelli minori si riuscirebbe a dimostrare anche che l’esecuzione di un intervento cardiochirurgico `e capace di prevenire lo sviluppo di complicanze emboliche pi`u gravi.
Un’altra spiegazione, pi`u semplice, potrebbe ugualmente rendere conto di un simile reperto: nella maggioranza dei casi, infatti, i pazienti inclusi in questo studio sono stati sottoposti ad un intervento cardiochirurgico non a fini pre- ventivi, ma per altre ragioni (inefficacia della terapia medica, insorgenza di complicanze valvolari non altrimenti risolvibili) e questo ha molto probabil- mente influito sul risultato finale, permettendo di sottrarre a decesso certo pazienti in condizioni critiche.