riferiche
Nell’approcciarsi al capitolo delle embolizzazioni periferiche, `e necessario in- nanzitutto anticipare che, a differenza di quanto fatto per la mortalit`a, in questo caso non si `e applicato l’algoritmo di random forest per ordinare le co- variate da quella dotata del maggior potere predittivo nei confronti del- l’evento di interesse (ovvero l’embolizzazione periferica) a quella di minore importanza; si pu`o comunque affrontare questo argomento analizzando i ri- sultati ottenuti grazie alla sola analisi univariata e confrontandoli con quanto gi`a presente e noto in letteratura.
Come anticipato prima, alcune delle variabili associate ad un incremento dell’incidenza di embolizzazioni periferiche correlano anche con la mortalit`a, in particolare: la positivit`a delle emocolture, la PCT e la PCR.
Il numero di emocolture positive `e risultato infatti significativamente mag- giore nei soggetti vittime di embolia rispetto agli altri (con una media di 2 nel primo gruppo e di 1 nel secondo, p<0,001). Tale reperto, apparentemen- te banale, `e in realt`a importante e sta forse ad indicare che un inadeguato
controllo della replicazione batterica (di cui la persistente positivit`a alle emo- colture potrebbe forse essere spia) si rende responsabile dell’insorgenza di una simile complicanza.
Interessante `e anche la correlazione fra gli indici di flogosi ed il rischio di embolizzazione periferica, risultato gi`a prospettato dal lavoro di Durante- Mangoni pubblicato nel 2003 [5]. Le conclusioni dei due studi non sono per`o del tutto sovrapponibili: nella casistica a nostra disposizione non si `e infat- ti evidenziata una maggiore tendenza allo sviluppo di embolie settiche fra i giovani; la variabile “et`a” non `e risultata proprio correlata in alcun modo all’occorrenza di questi eventi. Si deve per`o anche ammettere che il rapporto fra et`a e rischio di embolizzazione periferica `e sempre stato controverso ed ampiamente discusso: secondo alcuni embolizzano di pi`u gli anziani, secondo altri i giovani, infine vi `e chi sostiene non sussista alcuna relazione significa- tiva fra le due variabili.
Una particolare rilevanza, secondo il nostro studio, viene ad essere assunta dalla PCT: il successivo passaggio dell’analisi statistica, ovvero la costruzio- ne della curva ROC relativa all’evento embolizzazione, ha infatti dimostrato che il valore soglia di 2,9 ng/ml ha una buona specificit`a e sensibilit`a nell’in- dividuare i pazienti andati incontro ad almeno un evento di embolizzazione periferica. Tale riscontro apre forse la strada alla realizzazione di un sistema per il calcolo del rischio di embolizzazione periferica basato anche sul do- saggio della PCT, ed in particolare sul rilievo di concentrazioni superiori a questo cut- off.
Il terzo indice di infiammazione associato con l’aumento del tasso di mor- talit`a, la leucocitosi, ha mostrato solo una tendenza all’aumento nel gruppo dei pazienti colpiti da un episodio di embolismo, ma non `e stata raggiunta la significativit`a statistica (p = 0,069).
Rimanendo nell’ambito degli esami di laboratorio, e spostando l’attenzione sugli indici di danno cardiaco, si nota come in questo caso ad avere valore di fattore predittivo non siano i peptidi natriuretici n´e i loro precursori, bens`ı la troponina I (p = 0,004).
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E risultata inoltre evidente la presenza di una differenza significativa fra i due gruppi relativa all’insorgenza di TIA o ictus nel corso della malattia: in effetti questi sono proprio sintomi di embolizzazione periferica a carico del sistema nervoso centrale, e dal momento in cui quest’ultimo rappresenta la sede preferenziale di embolie settiche nella popolazione oggetto di studio, un simile reperto `e comprensibile e quasi ovvio.
Altre variabili associate ad un incremento significativo dell’incidenza di eventi embolici sono l’abitudine al fumo, la presenza di cardiopatia dilatativa
e la concomitanza di difetti valvolari quali stenosi o insufficienza (“soffi no- ti”). Si tratta di un riscontro interessante, ma unico e isolato: gli studi che in precedenza si sono occupati del problema dell’individuazione dei fattori di rischio per embolismo periferico in corso di endocardite infettiva non hanno infatti mai incluso, fra i potenziali candidati a tale ruolo, il fumo e la cardio- patia dilatativa [5] [6] [7] [18], limitandosi al pi`u a considerare quale fattore predisponente la presenza di una cardiopatia congenita [6] o di una generica “pregressa patologia cardiaca” [7]. Pare superfluo puntualizzare come queste ultime due variabili non siano risultate associate significativamente all’occor- renza di episodi embolici.
Di conseguenza, sarebbero necessarie ulteriori ricerche per approfondire que- sto aspetto ed indagare meglio la relazione fra embolizzazioni da una parte, abitudine al fumo e presenza di una cardiopatia dilatativa dall’altra.
In realt`a, anche la presenza di soffi noti non `e mai stata esplicitamente con- siderata dagli stessi lavori ora citati: tre di essi, infatti, hanno del tutto ignorato una simile co- morbidit`a [5] [7] [18] e solo uno ha incluso fra le variabili da indagare la presenza di “valvole native predisposte all’infezio- ne” [6], concetto comunque un po’ diverso da quello inteso nel nostro studio con “difetti valvolari”. Quest’ultima definizione, infatti, non fa riferimento esclusivo alla presenza di vizi a carico di valvole native, ma include anche tutti i casi di pazienti con problemi di stenosi o insufficienza tanto gravi da essere stati sottoposti ad un intervento chirurgico di sostituzione valvolare, ed andati poi incontro ad un’endocardite su valvola protesica. Anche a que- sto proposito sarebbe pertanto auspicabile svolgere studi pi`u mirati, nella speranza di ottenere almeno un’altra conferma della nostra ipotesi.
Non stupisce in misura eccessiva l’esclusione di un qualsiasi tipo di lega- me fra la presenza di diabete mellito e l’aumento dell’occorrenza di eventi embolici; in fondo, dopo qualche iniziale speranza in proposito suscitata dal- le tesi di Hubert e dei suoi collaboratori, ideatori dell’algoritmo francese per il calcolo del rischio di embolizzazione periferica (il cosiddetto “French Risk Calculator”) [7], studi successivi non hanno confermato tale reperto [6] [21] [29].
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E stata evidenziata la mancanza di una correlazione fra la presenza di vegetazioni di grandi dimensioni (cio`e di diametro >10mm) e l’incidenza di embolizzazioni periferiche, dato su cui si trova un consenso piuttosto ampio in letteratura e considerato ormai un punto fermo [7] [21]. `E tuttavia oppor- tuno precisare che, sebbene l’analisi statistica non abbia poi mostrato una differenza significativa fra i due gruppi, anche nel corso di questo studio si `e osservata una tendenza a registrare un pi`u alto numero di vegetazioni sopra
centimetriche nei pazienti vittima di eventi embolici (p = 0,09). Inoltre, vale probabilmente anche in questo caso un ragionamento analogo a quello fatto prima a proposito del legame fra diametro delle vegetazioni e mortalit`a: dal momento in cui i soggetti con vegetazioni di grandi dimensioni sono stati sot- toposti ad un intervento cardio- chirurgico pi`u spesso rispetto agli altri, pu`o essere lecito ipotizzare che in questo modo si sia evitata l’insorgenza di un evento embolico in una quota di individui con vegetazioni sovra- centimetri- che sufficiente a rendere non significativa la differenza relativa alla frequenza di embolizzazione periferica nei due gruppi di soggetti.
Un dato su cui diversi gruppi di ricerca si trovano concordi identifica un fattore di rischio per embolizzazione periferica in corso di endocardite infetti- va nell’eziologia da S. aureus. Un risultato analogo emerge anche dall’analisi della popolazione oggetto di questo studio: in effetti, la prevalenza percen- tuale di infezioni sostenute da tale germe fra i pazienti andati incontro ad embolizzazione era circa il doppio di quella registrata nell’altro gruppo di soggetti (23,73% vs 12,35%), per una differenza significativa dal punto di vista statistico (p = 0,018).
Infine, `e da osservare e capire l’apparente ruolo protettivo dell’insorgenza di una deiscenza delle valvole protesiche nei confronti dell’insorgenza di em- bolie settiche. Questo reperto non `e di facile ed immediata spiegazione, ma potrebbe aiutare riflettere sul corrispettivo anatomo- patologico di una simile lesione: il distacco di una valvola protesizzata `e spia di un processo invasivo a carico soprattutto dell’anello di sutura e della parete cardiaca, e non tanto dei lembi valvolari; dal momento in cui gli agenti microbici sono impegnati ad erodere la parte circostante la stessa valvola impiantata, `e probabile che si formino soltanto piccole vegetazioni che non embolizzano o, nel raro caso in cui lo facciano, causano solo il distacco di micro- trombi non rilevabili con gli esami di imaging a disposizione.