(MA NON DI QUELLE A VOTO PLURIMO)
1. — Le borse non hanno, in sul primo momento, accolto in letizia la deliberazione del consiglio dei ministri volta ad autorizzare le società per azioni ad emettere azioni privilegiate. L'emissione delle nuove azioni privilegiate per il dividendo e per il rimborso del capitale non avrebbe precluso alle vecchie azioni ordinarie ogni possibilità di rice-vere qualcosa in avvenire? Se il pericolo non esistesse, perchè togliere ai vecchi azionisti il diritto di recesso? Perciò i eorsi di non pochi e non minimi titoli subirono ragguardevole ribasso.
2. — L'azione privilegiata può essere mezzo per liquidare un pas-sato ovvero per preparare l'avvenire. Oggi essa è proposta a raggiun-gere il primo intento. Narra il comunicato ai giornali intorno alle deli-berazioni del consiglio dei ministri: « Un equo risanamento finanziario deUe società industriali danneggiate dalla crisi è reso più difficile dal fatto che la quotazione di borsa delle azioni non corrisponde assai spesso all'effettivo valore intrinseco dell'azienda e comunque cristallizza, esagerandole, le ripercussioni momentanee della crisi. Conseguente-mente la pratica normale per il risanamento finanziario delle società, che consiste nel ridurre il capitale svalutando al corso del mercato le azioni esistenti e nel provvedere a nuovo capitale con l'emissione di nuove azioni non può generalmente venire adottata senza causare ingiustificato danno ai vecchi azionisti attraverso la riduzione del valore delle loro azioni ad un livello che, come già detto spesso, è inferiore anche di molto al valore intrinseco delle azioni stesse. La possibilità da parte delle società di emettere azioni privilegiate senza correre il rischio del recesso darebbe invece modo alle aziende di risanarsi finanziariamente senza compromettere la consistenza intrinseca dello azioni vecchie; limiterebbe il sacrificio dei vecchi azionisti ad una postergazione di remunerazione e di rimborso e manterrebbe per essi la possibilità di partecipare in misura equa ai vantaggi che la ripresa economica può riserbare per la loro società ».
3. — Ove si eccettui l'uso delle parole « effettivo valore intrinseco » le quali hanno virtù di dare sui nervi di ogni ben nato economista, tutto ciò è ben detto. Quanto alle parole citate, rimaniamo intesi che non esiste alcun valore il quale sia diverso da quello di fatto corrente sul mercato.
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Quelli che nel linguaggio comune si dicono, in contrapposizione al prezzo corrente realizzabile oggi in fatto, valori « effettivi », « intrin-seci », « reali », « veri » sono ricordi o speranze. Ricordi del felice tempo che fu, quando i prezzi, erano più alti — per i proprietari, gli azionisti, i venditori — o più bassi — per i consumatori — ; ovvero speranze riposte in un avvenire meno fortunoso del presente. Ricordi e speranze sono medesimamente importantissimi motivi di aziono e di prezzi presenti e futuri e non devono perciò essere svalutati. Sia ben chiaro però che essi sono motivi o fattori di prezzi o di valori non questi valori medesimi; e che gli aggettivi « effettivo » ed « intrinseco » ad essi appli-cati non hanno per sè alcun significato.
4. — Fuor di ciò, che, dopo tutto, ò solo uno scrupolo di precisione connaturato in noialtri maniaci di purismo metodologico, il comunicato ministeriale è perfettamente a posto.
Sia una società per azioni la situazione del bilancio della quale poteva nel tempo I (ad es., 31 dicembre 1925) riassumersi per sonimi capi così:
Attivo. Passivo.
Bilancio Bilancio Bilancio Bilancio pubblico Interno pubblico Intorno
a b a 6
Stabili, impianti . . 100 115 Capitalo sociale. . . 100 100 Scorto e merci in la- Debiti verso banche
vorazione . . . . 50 60 e fornitori . . . . 100 100 Crediti, titoli e par- Riserva occulta . . — 30
tecipazioni . . . . 50 55
200 230
200 230 =
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Ambedue i bilanci sono « veri » nel senso che non sono compilati per trarre in inganno nò i terzi, nò gli azionisti. La finanza ha avuto tutto il suo, avendo avuto modo di tassare per tempo, grazie all'esame dei libri sociali, gli utili mandati a riserva occulta. I creditori hanno nelle attività sociali larga copertura. Gli azionisti sanno che le riserve occulte sono state accumulate per assicurarli contro perdite futuro.
5. — Nel tempo II (di crisi, per es., al 31 dicembre 1932) la situa-zione potrebbe essere riassunta così:
Attivo. Passivo.
Stabili, impianti Scorte e merci in la
vorazione . . Crediti, titoli e par
tecipazioni . .
Bilancio Bilancio Bilancio Bilancio pubblico Interno pubblico Interno (ricordi o (valori at- (ricordi e (valori at-speranze) tuali,
cor-renti o di realizzo) speranze) tuali o correnti) m n m n 100 50 Capitale sociale. . . Debiti verso banche
100 10 50 40 e fornitori . . . . 100 100 Riserva occulta . . — — 50 20 200 110 200 110
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Nei tempi tristi si vede quanto fossero stati saggi gli amministratori del tempo I quando avevano costituito la riserva occulta di 30 milioni. La società potò sopportare una prima svalutazione degli stabili e degli impianti da 115 a 100 milioni di lire, delle scorte e merci da 60 a 50, dei crediti e titoli da 55 a 50 senza che in pubblico ne trapelasse notizia. Nel tempo II, il bilancio pubblico (m) non è diverso da quello pubblico (a) del tempo I.
Ma la realtà che poteva essere bene raffigurata cosi per un momento, si palesa presto ben più grave. Errori commessi in passato durante il tempo di prosperità partoriscono i loro effetti. Nuovi amministratori, od i vecchi medesimi fatti cauti dall'esperienza, sottopongono a spietata analisi i valori scritti all'attivo giungendo alla dolorosa constatazione che le attività non possono stimarsi in tutto a più di 110 milioni di lire. A bilancio, all'attivo non possono perciò essere scritti più di 110 milioni di lire; e poiché i debiti verso le banche ed i debitori non possono essere svalutati per volontà di una sola delle parti, nel bilancio interno è giuoco-forza riconoscere che il capitale sociale si è ridotto da 100 a 10 milioni di lire. È fuor di dubbio che gli azionisti hanno perduto nove decimi del capitale versato e che le loro azioni non valgono più di 10 lire. Se, pur astraendo da peggiori sorprese facili in caso di liquidazione, si dovesse liquidare la società ai prezzi correnti, stabili impianti scorte e crediti non potrebbero essere realizzati per una somma maggiore di 110 milioni di lire. Soddisfatti i creditori, agli azionisti non rimarrebbero più di 10 lire.
È estraneo alla materia della presente nota dire come codesta situa-zione urti contro ordini precisi del codice di commercio. Essa ò certo economicamente pericolosa. Un impresa economica, la quale viva su un capitale proprio uguale ad una parte così piccola degli impegni, proba-bilmente liquidi, verso i terzi, non può operare liberamente. Essa ò in mano dei creditori, ossia di chi, non avendo le spalle assicurate da una forte riserva di capitale proprio del debitore, ad altro non pensa che a ritirare i remi in barca, incassare i propri crediti ed andarsene. La liqui-dazione è in vista, con l'ovvia conseguenza che agli azionisti non rimar-rebbe nulla in mano.
6. — Due vie si aprono. La prima è quella solita: deliberazione di riduzione del capitale sociale da parte dell'assemblea degli azionisti, prima stupefatti, poi indignati contro il vecchio consiglio dimissionario, il quale se ne va tra contumelie e minaccio di querele per malversazioni, e finalmente rassegnati dinanzi alla fredda dimoBtrazione data dai nuovi amministratori della necessità di piegarsi all'ingrata opera chirur-gica. Ridotto il capitale da 100 a 10 milioni all'attivo e da 100 a 10 lire per azione, lo si reintegra a 100 con l'emissione di 90 milioni di nuove azioni da 10 lire l'una, date in opzione ai vecchi azionisti o se questi non sottoscrivono in tutto, assunte da un gruppo composto da quelli tra i creditori i quali si sono convinti che vai meglio salvare la società
diventandone azionisti che mandarla a picco, insistendo sull'esazione dei propri crediti. Si fa un bel ripulisti all'attivo ed il bilancio assume nel tempo III la seguente forma.
AtUivo. Passivo.
Stabili, impianti
Scorte e merci in lavorazione . Crediti, titoli e partecipazioni .
50 4 0 20 Capitalo sociale: Azioni vecchie . • nuove . 9 0 10 100 110 100
Debiti verso banche e
fornitori . . . . 10 110
Il bilancio fotografa la situazione risanata. Le cifre iscritte al passivo raffigurano valori veri, ossia correnti sul mercato. La società lavora col proprio capitale. I debiti sono ridotti ad un minimo usualissimo, appena un quarto del valore delle scorte e merci in lavorazione. Più in una botte di ferro di cosi non si potrebbe vivere.
La soluzione però ha lasciato dell'amaro in bocca ai vecchi azionisti. Essi si erano bensì convinti che i loro sudati risparmi erano persi per nove decimi; e, sfiduciati, non avevano sottoscritto, in maggioranza, le nuove azioni, abbandonandole al gruppo assuntore. In fondo al loro cuore essi pensavano tuttavia che in quella svalutazione delle attività, prima da 230 (200 pubblici e 30 occulti) a 200 milioni e poi da 200 a 110 c'era dell'esagerazione. Ricordi del passato, speranze dell'avvenire, valore immateriale dell'avviamento, tutto era stato sacrificato sull'altare del risanamento. Se, nell'avvenire, ricordi speranze avviamento riacquiste-ranno corpo, il frutto sarà per nove decimi goduto dai nuovi azionisti, ammessi, senza aver sofferto le ansie e le perdite del passato, a parteci-pare agli utili ed agli incrementi patrimoniali alla pari, azione per azione, con i vecchi azionisti.
7. — Il decreto recente sulle azioni preferenziali rende possibile diversa soluzione. Il bilancio « pubblico » non è mutato nella sua parto attiva (rimanendo cioè al tipo II m). È vero che i valori « di realizzo » giungono appena al totale di 110 milioni di lire; ma si possono trovare ottime ragioni per passar sopra al riconoscimento di un. fatto brutal-mente antipatico. Cui bonof Quale obbligo vi è, ove i diritti dei terzi non siano violati, di tener conto subito di fatti i quali, dopo tutto, hanno l'aria di essere fuggevoli, determinati dal tremendo uragano della crisi mondiale* Passata la tempesta, gli stabili e gli impianti varranno di nuovo 100; le scorte si riprenderanno da 40 a 50, i crediti ridivente-ranno esigibili ed i titoli e le partecipazioni andran su di prezzo. Chissà, forse, si riesca persino a ricuperare una parte delle riserve nascoste! Basta, in sostanza, riuscire a persuadere i creditori a convertire il loro
credito in azioni « privilegiate » perchè tutto si accomodi.
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8. Ambo le parti guadagnano alla transazione. I creditori rinun-ciano, è vero, a titoli di credito, fruttanti un interesse fisso e provvigioni dell'8 % e muniti del diritto del rimborso pieno ad una scadenza data. Ma interesse e provvigioni non possono essere pagati da una società la quale attraversa brutti momenti e probabilmente chiude da qualche anno il conto profitti e perdite senza un saldo netto di utili, paga di tirare innanzi senza perdite. Gli interessi sono semplicemente scritti a credito, rendendo la situazione patrimoniale sempre più precaria. Non è meglio per i creditori rinunciare a quel che di fatto non si può ottenere e conten-tarsi invece di un privilegio? I cento milioni di crediti convertiti in azioni privilegiate conservano precedenza sul credito degli azionisti ordinari. Se la società otterrà utili, questi fino a concorrenza del 5, del 6 o del 7 % , pongasi del 6 %, rimarranno acquisiti agli ex-creditori. È più sicuro un 6 % eventuale, ricevuto quando gli utili esistano, che non un 8 % fisso e garantito, il quale, a pagarlo quando gli utili non bastano, manda in malora la società debitrice. È più certo il diritto delle azioni privile-giate al rimborso « eventuale », con precedenza sulle azioni ordinarie, di cento lire, che non il diritto assoluto del creditore al rimborso delle stesse cento lire. Quest'ultimo si può esercitare solo provocando una liquidazione disastrosa delle attività sociali; laddove al primo potrà giungersi in tempi migliori, tranquillamente, con prelievi dagli utili o con opportuni realizzi di attività esuberanti. I creditori, del resto, hanno convenienza a guardare, più che a rimborsi in blocco, alla possi-bilità di smobilizzazioni parziali e graduali. I titoli di credito che essi oggi posseggono sono praticamente irrealizzabili. A cagione del loro stato di congelamento, essi non possono formar oggetto di risconto presso altri istituti di credito o presso l'istituto di emissione; nè di vendita a privati. Invece, c'è speranza di vendere alla spicciolata il blocco delle azioni privilegiate. Non oggi. Domani, quando, in virtù anche del risa-namento avvenuto nella struttura finanziaria della società, la società avrà potuto pagare per due o più anni puntualmente il promesso divi-dendo del 6 %, quando i mercati siano favorevoli, le banche creditrici potranno collocare tra i privati risparmiatori le azioni privilegiate senza sacrificio. Occorrerà, certo, creare a poco a poco per esse un mercato attivo. Non abbandonarle a sò medesime, come è accaduto per le obbli-gazioni industriali, cho pochi acquistano, ben sapendo che a rivenderle si suderebbero sette camicie. I creditori preferirebbero, va da sè, in cambio dei propri crediti ricevere bei biglietti nuovi fiammanti di banca. Ma poiché gli ideali in questo basso mondo non sempre si possono realiz-zare, e la scelta è esclusivamente fra « crediti in frigorifero » ed «azioni privilegiate », pare che indubbiamente la preferenza dei creditori debba essere a prò' delle azioni.
9. — Gli azionisti che cosa perdono? Nulla, salvo il diritto astratto al recesso. «Dico astratto», perchè sarebbe grottesco che essi
immagi-I
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nassero di poter recedere portandosi via le 100 lire risultanti dall'ultimo bilancio approvato. Cosi dice l'art. 158 del codice di commercio. Ma poiché le 100 lire non esistono ed è gran mercè se ne trovino 10, è chiaro cho il diritto non può essere esercitato. I creditori farebbero fallire la società prima della fuga, col marsupio, degli azionisti; ed avrebbero mille volte ragiono. L'attivo sociale non garantisce forse in primo luogo i diritti dei creditori? Soddisfatti questi, agli azionisti rimangono dieci miserelle lire, non cento. Se si dovesse consentire il recesso, una brava assemblea generale riconoscerebbe il fatto della volatilizzazione delle attività e ridurrebbe il capitale nominale da 100 a 10 lire per azione. A questo punto, nessuno o quasi nessun azionista eserciterebbe il diritto di recesso. Epperciò la esclusione del medesimo diritto dichia-rata dal decreto recente, la quale sarebbe grave se esistessero realmente le 100 lire, diventa irrilevante di fronte alla realtà. Contro al danno astratto e di fatto inesistente, il vecchio azionista ordinario ottiene taluni vantaggi rilevantissimi:
— ha dietro o contro di sè non più 100 milioni di crediti, ai quali debba soddisfare un interesse fisso e un rimborso inesorabile a data certa; ma 100 milioni di azioni privilegiate a cui pagherà un divi-dendo del 6 %, se e quando utili si otterranno e che rimborserà solo al momento della liquidazione statutaria della società;
— non rinuncia ad alcun ricordo del passato e ad alcuna speranza per l'avvenire. Invece di rendere nuovi azionisti ordinari partecipi per nove decimi degli utili futuri, come accadeva col metodo usuale delle svalutazioni e conseguenti ricostituzioni di capitale, il capitale vecchio è serbato formalmente intatto e ad esso vanno « tutti » gli utili futuri, « dopo » pagato il dividendo pattuito ai privilegiati. Nelle borse, dove Bpesso si ragiona ad intuito ed impressioni momentaneo, molti strilla-rono come so in questo modo agli azionisti ordinari si fosso tolto qualcosa. Non portavano via molto di più e più duramente i creditori? Il guaio sta nell'aver fatto in passato, forse inconsideratamente, debiti, non nel doverli ora pagare ridotti benignamente alla forma di azioni privilegiate. Basta riflettere alla situazione di bilancio conseguente alla omissione (nel tempo III bis) di azioni privilegiate per vedere come i vecchi azio-nisti se ne trovino bene:
La situazione, dal punto di vista sociale, è sanissima. Nessun debito; impegno di pagare il 6 %, e cioè sei milioni di lire, se utili ci saranno; possibilità per la società di posporre il pagamento del dividendo privile-giato finché non si siano ricostituite, coi primi utili, almeno in parte,
Attivo. Passivo.
Capitale sociale: Stabili, impianti
Scorte e merci in lavorazione Crediti, titoli e partecipazioni
100
50 50
Azioni vecchie ordinario . . . 100 » nuove privilegiate 6 % . 100 200 200 •i
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\ I10 riservo o, meglio, ricondotti i valori di mercato dell'attivo alla loro valutazione nominale di bilancio; e fondata speranza di giungere, col tempo, a poter di nuovo remunerare anche gli azionisti ordinari.
10. — In difesa del tirar giù, che fecero le borse, i prezzi delle azioni ordinarie, questo solo si può dire: che gli uomini amano, come gli struzzi, cacciar il capo nella sabbia, pur di non vedere il nemico. Il nemico non sono le azioni privilegiate o l'abolizione del diritto di recesso. Sono i quattrini persi in passato. Non di rado le borse non si accorgono dei quattrini persi se non quando talun avvenimento clamoroso non attiri la loro attenzione. Le azioni della immaginaria società qui considerata valevano già 10 lire e nulla più; per ignoranza della vera situazione o per dimenticanza, i corsi si mantenevano, illogicamente, sulle 30 lire. Se oggi vanno giù a 10, causa del ribasso non sono le emissioni di azioni privilegiate o il tolto diritto di recesso. Mere occasioni codeste; chè la causa vera sta nel non esserci più i quattrini, ed essa non è rimediabile so non dalla saggezza, dalla prudenza e dal tempo.
11. — Qui è il vero punto dolente; e qui il problema delle azioni privilegiate si riattacca a problemi più generali. Il successo del nuovo o rinnovato od allargato istituto, mera forma giuridica data ad una sostanza per ora non sperimentata, dipenderà soprattutto dalla risposta che il tempo darà a due domande:
— quale indirizzo daranno gli azionisti privilegiati alla ammini-strazione della società di cui in effetto diventeranno i padroni, sia perchè 11 capitale privilegiato sarà parte rilevante del capitale totale, sia perchè essendo, almeno all'inizio, il suo possesso concentrato nelle mani delle banche creditrici, sempre accade che i grossi pacchetti di azioni preval-gano nelle assemblee t Giova riconoscere che gli ex-creditori, divenuti azionisti privilegiati, non sono in tutto liberi nell'agire. Essendo quasi sempre banche, essi devono servire alla loro volta interessi ai depositanti e pagare le proprie spese di amministrazione. Se si vuole che le emissioni di privilegiate risanino veramente i bilanci delle società industriali, fa d'uopo che le banche si astengano e possano astenersi dal far deliberare dividendi su di esse fino al giorno in cui non solo gli utili esistano ma possano essere con sicurezza distribuiti. Non vedrei il vantaggio di una norma coattiva in tal senso. Occorre prevalga la persuasione che divi-dendi non guadagnati o prematuri danneggiano nel tempo stesso credi-tori ed azionisti, e scemano la consistenza patrimoniale e quindi, in defi-nitiva, il prezzo delle azioni. Non dovrebbero più ripetersi, almeno dalla generazione che ha vissuta la crisi attuale, gli errori del passato. Alle banche non conviene « rifilare » al pubblico azioni purchessia ed al più presto, per liberarsene; non conviene provocare movimenti al rialzo per scaricare pacchetti. Ciò fu fatto, con successo provvisorio, in passato. Furono guadagnati così milioni a centinaia; ma furono riperduti a
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migliaia. La banca ha si, fra lo sue funzioni più importanti, quella di assumere emissioni e collocarle tra il pubblico. Assumere emissioni sane, solide e curate fino a maturazione; attendere elio il mercato si faccia a poco a poco e godere al giusto momento, — col collocamento tra i rispar-miatori, a prezzo cresciuto, di quelli fra i titoli acquistati di cui per l'esperienza fatta si potrà moralmente garantire il buon fine, — compenso adeguato allo studio, alle cure ed ai risebi passati;
— supponendo che lo banche e gli altri enti creditori possano aspettare, riuscirà il pubblico a mutare la sua perversa mentalità in materia di azioni* Quando esisterà un nucleo crescente di risparmiatori i quali chiedano ai loro agenti di cambio azioni le quali diano un divi-dendo moderato o, meglio, non ne diano affatto, ma di cui si sappia che sono emesse da società le quali ora, in tempo di crisi, « lavorano » senza perdere; e domani quando ritorneranno a guadagnare, non distri-buiranno un soldo di dividendo agli azionisti, fino al giorno in cui potranno dare il tre per cento, accantonando almeno altrettanto e poi il sei, mandando un altro sei a riserva e così via? Quando nelle assemblee gli azionisti chiederanno la parola per lagnarsi di ammini-stratori, i quali hanno repartito dividendi eccessivi e presenteranno ordini del giorno per ridurre i dividendi proposti e costituire col risparmio riserve di garanzia* Quando accadrà che dal far ciò ammi-nistratori ed azionisti non saranno più dissuasi dal timore di vedersi denunciati come frodatori di imposto od avari sfruttatori di maestranze* L'esperienza ammonitrice del passato dovrebbe consigliare ai rispar-miatori di non essere ingordi di grossi dividendi e di sùbiti guadagni