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RISERVE OCCULTE ED IMPOSTA Se siano tassabili coli'imposta di ricchezza mobile le somme

ripartite fra gli azionisti, che si dicono prelevate da "riserva occulta,, costituita mercè svalutazione pruden-ziale del monte merci, coperta da uguale e contemporanea riduzione del capitale sociale nominale.

1. — Si accentua la tendenza a considerare il bilancio degli enti contemplati nell'art. 25 della legge 24 agosto 1877, n. 4021, come base inderogabile per la commisurazione dell'imposta sui redditi propri degli enti medesimi, riconoscendosi però nella finanza il diritto di non deferirne alle risultanze, a condizione che essa provi o, quanto meno, dimostri concludentemente che le risultanze stesse non rispecchino la verità dei fatti posti in essere col bilancio, oggetto dell'accertamento fiscale.

Ma fatti ed atti, rivestiti di forme legali, — e queste produttive di effetti giuridici ineccepibili, — impedirebbero alla finanza l'esercizio del diritto di sindacato e di controllo, che le è riconosciuto dalla legge (1), al fine dell'esatta determinazione dei redditi soggetti all'imposta di ricchezza mobile, anche quando oggetto di accertamento fosse il bilancio di uno degli enti contemplati nel citato art. 25?

In altri termini: le forme legali, in quanto si prestino alla simula-zione, sono esse sindacabili ai fini dell'accertamento del reddito proprio delle società e degli enti contemplati dalla suddetta disposizione di legge?

Opiniamo che la finanza non sia tenuta a deferire alle risultanze di un bilancio, le quali contrastino evidentemente colla logica, colla ragione e colla verità dei fatti posti in essere col bilancio, sempre che essa — la finanza — riesca a dimostrare che il fine anche semplicemente mediato di determinati atti o fatti, sia pure coperti da forme legali ineccepibili, sia stato la simulazione in pregiudizio del proprio diritto all'imposta.

(1) Art. 37 e 50 dolla leggo 24 agosto 1877, n. 4021 e 13 dolio disposizioni approvate con R. D. 17 sottombro 1931, n. 1608.

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2. — Giustifichiamo questa nostra opinione riassumendo l'giamento della Commissione centrale in questi ultimi tempi: atteg-giamento clie, giustamente inteso, non dovrebbe destare serie preoc-cupazioni, perchè richiederebbe solo un maggiore studio, so non pure una maggioro diligenza, nell'esame delle questioni sottoposte al BUO giudizio.

Non può revocarsi in dubbio che la Commissione centrale, da un certo tempo in qua, abbia sostanzialmente accentuato il suo orientamento verso un maggiore ossequio per le risultanze dei bilanci, forse perchè venuta nel convincimento che, della norma dell'art. 25 della legge, non si facesse quella retta applicazione, che finanza e contribuenti avevano il diritto di esigere.

Il supremo collegio amministrativo considerava, infatti, nella recen-tissima decisione 6 luglio 1932, n. 39536 (inedita) che:

« La Commissione provinciale ha accertato i redditi dell'esercizio 1930 e del successivo 1931, anziché in base alle risultanze del bilancio di competenza, tardivamente presentato, quanto al primo ed al bilancio normalmente prodotto quanto al secondo, ma con criteri presuntivi per entrambi, osservando cho il raffronto tra i redditi accertati per i tre anni precedenti ed i saldi attivi emer-genti dai rispettivi bilanci giustificava quella presunzione contraria alla loro veridicità che legittima il procedimento induttivo.

« Questo ragionamento della Commissione provinciale muove da un presup-posto pericoloso ed arbitrario, perchè i redditi degli esercizi precedenti furono accertati mediante concordato ed è elemento caratteristico di codesta forma di accertamento l'essere influenzata da reciproche concessioni sull'opinabile entità

dei fattori attivi e passivi concorrenti alla formazione degli utili tassabili, le quali prescindono sovente dall'intriseca fedeltà dei bilanci. Stabilisce inoltre un cri-terio derogativo dal principio generalo sancito nell'art. 25 della legge d'imposta, che è a ritenersi giuridicamente viziato. Ai termini di quest'articolo i redditi eventuali e variabili di categoria B delle società anonime ed in accomandita per azioni ed in genere di tutti gli enti obbligati, con la sanzione di penalità, a compilare fedelmente i bilanci dei propri esercizi, si devono accertare in base ai risultati effettivi della gestione, quali emergono dalle impostazioni del bilancio dell'anno precedente a quello della denunzia. Soltanto la mancata presentazione del bilancio determina, giustificandola, l'inattuabilità di questa norma; ed ipotesi ad essa equivalente è la presentazione di un bilancio conte-nente infedeli impostazioni. Dal che discende l'ovvia conseguenza, che gli elementi dimostrativi di quest'infedeltà del bilancio che, risolvendosi nella sua giuridica inesistenza, legittima l'accertamento induttivo, debbonsi desumere dal bilancio stesso e non già (come ha fatto la Commissione provinciale e come oggi suggerisce l'Ufficio col porre in rilievo l'importanza economica dell'azienda ed il carattere quasi familiare dei suoi organi direttivi) da circostanze

estrin-seche ed estranee al bilancio stesso. Da queste l'Ufficio e le Commissioni di merito potranno eventualmente attingere preziosi oriteri iterpretativi dei bilanci sot-toposti al loro esame analitico; ma non certamente la legittimazione del più

speditivo procedimento presunzionale, quando non sia dimostrata l'intrinseca inat-tendibilità di quel documento.

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« Questa Commissione centrale ha ribadito i suesposti criteri d'applicazione dell'art. 26 con numerose ed anche r e c e f ' decisioni e non trova motivo por la presento vertenza tributaria di deflettore dalla sua giurisprudenza ».

Se non che, lo stesso supremo collegio, al quale non è mai sfuggito che còmpito suo fosse essenzialmente quello di rendere giustizia anche a traverso il semplice sindacato di legittimità, aveva trovato modo di ben chiarire il suo atteggiamento, considerando che:

« Gli uffici delle imposte e le Commissioni di merito possono allontanarsi, negli accertamenti a carico delle società anonimo, dallo risultanze dei bilanci ogni qualvolta le risultanze degli stessi non rispecchino le reali condizioni dell'azienda. La inattendibilità dei bilanci non occorre che risulti dall'analisi particolareggiata delle registrazioni sottoposte al controllo contabile, pratica-mente forse inattuabile e certapratica-mente eccessiva; ma i necessario che di essa

vengano offerte positive giustificazioni emergenti da obiettivi elementi del bilancio e non sia basata su semplici ed incontrollabili impressioni soggettive ». (Decisione

a Sezioni unite, 9 marzo 1932-X, n. 34873, nel Funzionario delle Imposte dirette,

anno 1932, pag. 343, massima n. 104).

E, coerentemente a quanto era stato ritenuto in detta decisione, con altra più recente, resa pure a sezioni unite, ha trovato modo di confermare che:

a II metodo di accertamento stabilito dall'art. 25 della legge d'imposta pei redditi delle società anonime e in accomandita per azioni, perchè possa vincolare Uffici e Commissioni di merito, deve obbedire all'esigenza logica e razionale che non si risolva in un meccanico ossequio formale della legge. Ond'è che dall'osservanza di questo precetto sia giusto decampare, per la impossibilità di un effettivo controllo dolio scritture contabili, e quando si occultano i documenti giustificativi o so ne dissimula il contenuto e quando trattasi di azienda che per la sua stessa natura si sottrae alle leggi economiche che governano l'attività di ogni impresa, di scambi, di trasformazioni indu-striali, di servizi ». (Decisione 20 luglio 1932-X, n. 40263, nel Funzionario delle

Imposte dirette, anno 1932, pag. 338-339, massima n. 103).

3. — La società anonima S. A. F. A. aveva stabilito di rimborsare in diversi esercizi, con utili di gestione, parte del proprio capitale sociale nominale, dissimulandone il differito rimborso mercè riduzione del capitale stesso, pareggiata colla contemporanea svalutazione del monte merci: svalutazione che giustificava con ragioni di prudenza, in previ-sione di temute perdite future.

Costituiva all'uopo una « riserva » per attingervi, nello stesso eser-cizio e in quelli successivi, somme da distribuire agli azionisti in una agli altri utili di bilancio.

E intanto si proponeva di contestare alla finanza il diritto di tassare le somme prelevate da detta riserva nell'atto in cui le somme stesse

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venivano erogate in favore degli azionisti a titolo di « dividendo », sulla considerazione che:

a) siffatte somme, comunque erogate, restavano sempre capitali, non redditi;

b) in ogni modo, gli utili dissimulati mercè costituzione di riserve occulte si capitalizzano nell'esercizio immediatamente successivo a quello della loro costituzione; — conseguentemente, nell'atto in cui vengono erogati a favore degli azionisti, o comunque impiegati, essi si richiamano alla loro origine, non rappresentano cioè che sommo capi-tali, non redditi, e come tali sono in tassabili;

c) l'imposta colpisco il reddito nell'atto della sua produzione, non in quello successivo della sua erogazione; sicché, non fatto valere il diritto ad applicare l'imposta sull'utile prodotto, o comunque prescritto il diritto stesso, questo diritto non si potrebbe far rivivere nel momento in cui l'utile stesso venga erogato, impiegato o destinato.

4. — Prima di addentrarci nell'esame della nostra questione, vogliamo rilevare che se la suddetta società (S. A. F. A.), indipendente-mente dai bisogni propri, avesse limitato l'operazione alla semplice svalutazione del monte merci, prevedendo un ribasso più o meno pros-simo nei prezzi d'inventario, e costituendo cosi una riserva, sia occulta che palese, indubbiamente non avrebbe potuto conseguire l'eifetto di restituire a riprese, agli azionisti, utili comunque dissimulati, senza pagare la dovuta imposta, perchè portando a perdita, nel conto profitti e perdite, tutta la svalutazione operata nel monte merci, siffatta perdita, appunto perchè non effettiva (presunta), non sarebbe stata riconosciuta dalla finanza come passività deducibile dall'utile lordo di esercizio. — Probabilmente, l'entità della svalutazione avrebbe potuto assorbire non solo gli utili di esercizio, ma determinare anche che il bilancio si chiudesse in forte passivo, sì da richiedere la riduzione del capitale o la sua immediata reintegrazione, ai termini dell'articolo 146 del Codice di Commercio. — Che anche esclusa l'ipotesi dell'applicazione del citato art. 146, ma restando sempre ferma la perdita determinata dalla svalu-tazione del monte merci, con la conseguente passività del bilancio, o questa evitata, mediante l'espediente di un mezzo contabile qualunque, gli utili dei futuri esercizi destinati a reintegrare siffatta passività, sarebbero stati sempre tassabili ai termini dell'art. 30 del vigente testo unico di legge sull'imposta di ricchezza mobile, 24 agosto 1877, n. 4021. Di maniera che, la svalutazione limitata alla semplice diminuzione di valore del monte merci, nei riguardi fiscali, non avrebbe potuto sortire l'effetto desiderato di eludere eventualmente l'applicazione dell'imposta di ricchezza mobile.

Alla società (S. A. F. A.) si sarebbe quindi imposta la necessità di operare anche sul capitale sociale: operazione codesta che, dovendo essere necessariamente rivestita di forme legali solenni, avrebbe

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cato le coso o reso più agevole il conseguimento di fini mediati, fossero pure quelli, questi fini, di frodare l'erario.

E difatti, la nominata società, presentando il proprio bilancio chiuso al 31 dicembre 1927, faceva dallo stesso risultare la seguente situazione:

a) svalutato il monte merci di L. 10.000.000;

b) ridotto il capitale sociale nominale di L. 10.000.000, e

c) reintegrato dell'uguale somma, mediante apporto di nuovo capitalo nell'azienda;

d) passato all'avere del conto perdite e profitti L. 1.000.000 (un milione) come provenienti da parziale realizzazione del monto merci, già svalutato.

Nessun segno apparente, in bilancio, della costituzione della riserva di L. 10.000.000 per svalutazione del monte merci, che però risultava registrata in tutti i libri sociali e, primieramente, nel libro giornale.

Siffatta situazione, presumiamo che sia stata ammessa concorde-mente dalle due parti: finanza e società.

Nella tassazione per l'anno 1929, in base al bilancio dell'esercizio del 1927, si accendeva la prima disputa sulla esclusione del milione dagli utili tassabili di ricchezza mobile e la disputa si rinnovava nelle tassa-zioni per gli anni 1930,1931 e 1932, perchè nei bilanci 1928, 1929 e 1930 figuravano, rispettivamente, riportate le somme di L. 2.000.000; L. 500.000 e L. 800.000: tutte denunziate come provenienti da parziale realizzazione di quella svalutazione prudenziale del monte merci, operata nell'anno 1927.

5. — Ciò premesso, bisogna innanzi tutto riconoscere che a bilan-ciare la svalutazione prudenziale operata nel 1927 nel monte merci si provvide col ridurre dell'uguale importo, il capitale sociale nominale. Ma questa svalutazione importava una perdita effettiva nel patri-monio della società, che avesse potuto giustificare la riduzione appor-tata nel capitale sociale nominale? No, perchè il monte merci non era punto diminuito di volume, nè di valore, essendo rimasto immutato nel patrimonio della società anche pel fatto che le condizioni del mercato non erano punto contrastanti col suo valore d'inventario.

Di vero, — come giustamente osserva il De Gregorio, — « riduzione del capitale sociale non vuol dire diminuzione delle attività patrimo-niali di cui dispone la società; ma riduzione del capitale nominale di questa, cioè riduzione di quella cifra che dev'essere iscritta nel passivo in una posta che non può variare fuori dei casi previsti dalla legge » (art. 158, 96, 100, 101 del Codice di commercio) (1).

Dunque, era solo diminuito il debito della società in conto capitale sociale nominale, poiché gli azionisti avevano solo consentito che i

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10 milioni dell'originario loro credito (in conto capitale sociale nominale) fossero destinati a bilanciare la svalutazione prudenziale operata nel monte merci, abilitando COBÌ la società a disporre liberamente del valore corrispondente alla diminuzione apportata nell'attivo patrimoniale, cioè a disporre della costituita « riserva ».

6. — Di qui, il dilemma: o i 10 milioni passati a riserva, di piena disponibilità della società, costituivano per questa « reddito », e allora si sarebbero dovuti accertare e tassare per l'anno 1929, sulle risultanze del bilancio 1927: veniva cosi ad essere tassato anche il milione compreso in avere del conto perdite e profìtti dell'esercizio 1927; — o i 10 milioni passati a riserva, di piena disponibilità della Bocietà, costituivano t capitale », e allora non poteva farsi più questione di tassabilità nè del milione per l'anno 1929, nè di quelle altre somme (L. 2.000.000; L. 600.000; L. 800.000), che si sarebbero realizzate gradatamente negli esercizi 1928, 1929 e 1930 e che sarebbero state comprese fra gli utili ripartiteli dei rispettivi bilanci.

Come pure, non si sarebbe potuta fare più questione di tassabilità delle somme prolevate dalla riserva di lire 10.000.000 costituita nel-l'anno 1927, — se questa fosso stata considerata come reddito, — sol perchè distribuite agli azionisti negli esercizi successivi, essendo risa-puto che le riserve di utili divengono capitali nell'esercizio immediata-mente successivo a quello in cui si costituirono.

Conseguentemente, le riserve stesse, sia palesi che occulte o clande-stine, Be non furono tassate in base al bilancio in cui si costituirono per

la prima volta, non sarebbero state più tassabili negli esercizi successivi, qualunque sia il modo in cui fossero state erogate, o qualunque sia l'im-piego che se ne fosse fatto. E ciò pei seguenti motivi:

1° perchè la legge colpisce il reddito nell'atto in cui si produce, non nel momento — successivo — in cui si eroga o si realizza. — Fanno eccezione a questo principio:

a) i redditi tassabili una tantum, in cui i due fenomeni

produ-zione e realizzazione si manifestano contemporaneamente, oppure non riesce agevole distanziarli, e quindi identificarli separatamente;

b) i redditi di lenta formazione, per cui BÌ è costretti ad assumere, come fatto certo per la loro tassabilità, il momento della loro realizza-zione;

2° perchè l'accertamento in base a bilancio è, di regola, definitivo e irretrattabile. Deriva da ciò che, successivamente, per qualunque errore incorso nell'apprezzamento dei risultati di nn determinato bilancio, una volta che sullo stesso si è fissata definitivamente la cifra del reddito tassabile pel competente esercizio d'imposta, non è più lecito ulteriore sindacato. — Naturalmente, è sempre fatto salvo il diritto alla corre-zione di quegli errori, che non implichino un giudizio di apprezzamento sui risultati del bilancio, cioè di revisione, ma che siano errori materiali

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veri e propri, rilevabili ex prima facie e documentabili, sempre che però siano denunziati nei modi e termini di legge (1);

3° perchè la legge non dispone che le riserve, per essere ritenute tali, debbano essere, in qualunque modo, messe in evidenza nel bilancio in cui si costituirono. Invero, l'obbligo della pubblicità è solo prescritto per la riserva legale, la quale, al pari del capitale sociale nominale, deve rimanero intangibile sino a quando non sia stato intaccato il capitale stesso, nel quale caso adempio all'ufficio suo — sussidiario — di coprire, sino a concorrenza, le perdite verificatesi nel capitale sociale. Non si potrebbe perciò sostenere che gli utili simulati da riserve occulto, tosto che siano posti in evidenza, divengano di diritto tassabili, prescinden-dosi dal considerare l'epoca alla quale risale la loro costituzione, perchè la legge non assoggetta all'imposta i redditi, in quanto siano posti in evidenza, sia direttamente per denunzia dei rispettivi possessori, che indirettamente, ma in quanto si producano effettivamente, indipenden-temente dalla più o meno facile conoscenza che possa averne la finanza. Tanto ciò è vero, che l'azione della finanza per acquisire i redditi all'im-posta si prescrive con riguardo al tempo al quale risale la loro produ-zione, non valendo, rispetto a questo tempo, come causa interruttiva del termine di prescrizione, qualsiasi impossibilità di fatto, cho possa ostacolarne o comunque ritardarne l'accertamento e, successivamente, la tassazione. L'azione della finanza sorge infatti contemporaneamente al fenomeno produttivo. E poiché in materia di tassazione in base a bilancio, — quando non si tratti di società di nuova costituzione le quali abbiano omesso di presentare la prescritta denunzia dei loro redditi, — non torna applicabile il termine di prescrizione di cui all'art. 59 della legge 24 agosto 1877, n. 4021, dovendosi invece aver riguardo a quello più ristretto dell'art. 3 della legge 2 maggio 1907, n. 222, cosi gli utili simulati da riserve occulte o clandestine, che non siano stati accertati in base al bilancio in cui furono costituite per la prima volta le riserve medesime, successivamente se posti in evidenza e in qualsiasi modo erogati o impiegati, si devono considerare come non più tassa-bili anche perchè caduti in prescrizione (2).

(1) Decisione della Commissione centralo 10 marzo 1895, n. 30105 (« Race. Uff. Imposto », voi. IV, pag. 99); Appello Napoli 4-11 giugno 1897, in causa Cassa di risparmio salernitana (« Le imposte diretto », anno 1897, pag. 310); Cassazione di Roma, 27 febbraio, 15 marzo del 1890, nella medesima causa (« IXJ imposte dirette », anno 1899, pag. 163); Appello Roma, 8 luglio 1930, in causa Società anonima svizzera per improsa alberghi, contro Finanza (» Giurisprudenza Italiana », anno 1930, 1-2, colonna 555).

(2) I concetti esposti noi testo trovano piena rispondenza nella giurisprudenza della Commissione centrale e nelle direttive emanato dall'Amministrazione centrale delle imposte dirette. Difatti, con decisione 23 aprile 1899, n. 66303 (Suppl. « Boll. Uff. Imposte », anno 1899, pag. 208), la Commissiono centrale fermava la seguente massima:

« Non trova applicazione l'art. 30 della legge di ricchezza mobile 24 agosto 1877, n. 4021, nel caso in cui si ripartiscono da una società fra i soci non gli utili dell'esercizio, ma somme tolte dai capitali della società accumulati e già costituenti il suo patrimonio, anohe so risul-tasse ohe questi capitali si formarono con utili non assoggettati all'imposta ».

Questa massima veniva ribadita dalla Commissione centrale nella derisione 25 giugno del 1927, n. 75941, su ricorso della Società anonima cooperativa « Cesare Battisti »

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7. — Nè si dica che le riserve occulte o clandestine non facciano parte del bilancio pel fatto che, in esso, non siano state poste in evidenza in maniera facilmente rilevabile. Perchè il bilancio è sintesi delle scrit-ture contabili del quale la leggo non prescrive il modo di formazione, tranne che per determinate società (quello di assicurazione, per esempio). Una riserva occulta la si può quindi dissimulare in vari modi: il modo più comunemente usato è quello di rappresentare il resto delle attività

catori Scalo S. Basilio in Venezia, in baso allo seguenti considerazioni: • La Società riprendendo i motivi già dedotti nei precedenti gradi del giudizio osserva:

« 1° Che la somma di L. 13.487,50 non costituisce un utile della Cooperativa, ma bensì un fondo accantonato a scopo di previdenza e che serve per i sussidi di malattia per gli operai e per i sussidi e premi di assicurazione contro gli infortuni e contro la disoccupaziono e per provvedere inoltro alio pensioni degli scaricatori inabili al lavoro. Aggiungeva puro cho tale accantonamento si forma mediante trattenute sullo pagho dei lavoratori;

« 2° Cho il predotto accantonamento non proviene dnl solo esercizio 1022 ma era il risultato di dodici anni di esercizi sociali, onde in ogni peggiore ipotesi non potovasi tassare che la quota derivante dalla gestione del 1922, non potendosi cumulare, per una unica tassa: zione, tutte le riserve accumulato negli anni precedenti.

» La Commissiono Provinciale nella sua decisione confermò l'aeccrtamento pei seguenti motivi:

• 1° Perchè gli utili devono essere tassati anche so destinati a scopi di beneficenza. « 2° Perchè sono tassabili ancho gli utili cumulati in esercizi anteriori oltro quello in cui avviene l'accertamento.

» Visto il ricorso della sociotà e lo osservazioni doll'agenzia la quale, in linea di fatto, fa presento ebo non sussiste che la somma di L. 13.487,56 sia la risultante di riserve accumulate in esercizi anteriori, mentre invece non è che il saldo attivo del conto entrato e spese