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Vincenzo II Gonzaga aveva favorito il matrimonio tra la nipote Maria (figlia del fratello Francesco e di Margherita di Savoia) e Carlo (1609-1831), figlio di Carlo I duca di Nevers aspirante al titolo di Mantova. Quando dopo la morte del duca Vincenzo II fu resa pubblica la sua dichiarazione a favore del Nevers, emersero nel contesto internazionale i diversi schieramenti. Appoggiarono apertamente questa soluzione: la Francia, Venezia e il papa, mentre la Spagna guidava la fazione favorevole al duca di Guastalla di cui faceva parte anche il principe Luigi Gonzaga di Castiglione. A questo orientamento si mostrarono ben allineati i governatori spagnoli di Milano che si susseguirono tra 1626 e 1630, don Gonzalo Fernández de Córdoba e il mar-

33 G. Tabacco, Lo Stato sabaudo nel Sacro Romano Impero, Torino-Milano-Padova-Firenze-Ro-

ma-Napoli-Palermo, G. Paravia & C., 1939, pp. 130-131.

34 B. Erdmannsdörfer, Herzog Karl Emanuel I. von Savoyen und die deutsche Kaiserwahl von 1619.

Ein Beitrag zur Vorgeschichte des dreissigjärigen Krieges, Leipzig, Veit, 1892; vedi anche R. Kleinmann,

«Charles Emmanuel I of Savoy and the Bohemian Election of 1619», European Studies Review, 5 (1975), pp. 3-29.

35 Schnettger, op. cit. (nota 32), p. 7.

36 Si veda il caso, già citato delle opere di Bartolomeo Zucchi, precettore presso il Pio cui dedicò

chese Ambrogio Spinola Doria entrambi ostili alla successione dei Gonzaga Nevers e particolarmente favorevoli a Ferrante II di Guastalla37. A dimostrazione che in tale questione l’Impero non si sottomise alle posizioni della corte di Madrid nella gestione della politica italiana di questo periodo, sia Ferdinando II sia l’imperatrice Eleonora dichiararono sorprendentemente la loro propensione per il Nevers38.

Ad un’analisi attenta, infatti, le fazioni presenti nelle due corti si presentano molto articolate. Una recente ricostruzione della Guerra di Successione di Mantova vista da Guastalla e basata su documentazione inedita39 restituisce nei dettagli la complessità della situazione: dai carteggi di monsignor Vincenzo Agnelli Soardi, vescovo di Man- tova, e del suo segretario Ercole Marioli, dalla corrispondenza degli inviati a Madrid Giovan Paolo Zaccaria e Ottavio Villani40 si ricava che si respirava un clima di ampio sostegno alla dinastia guastallese non solo negli ambienti madrileni, ma anche in quelli imperiali dove indipendentemente dalla posizione di Ferdinando II e della moglie, si era diffusa l’idea che Ferrante di Guastalla avrebbe potuto garantire una più facile ge- stione del Monferrato, nonché una maggiore partecipazione dei territori gonzagheschi agli interessi italiani ed europei dell’Impero, mentre si riteneva che una successione affidata ai Gonzaga Nevers avrebbe creato una maggior dipendenza del territorio gon- zaghesco dalle mire non solo della Francia, ma anche dei Savoia41. Questa posizione a sostegno della successione guastallese era condivisa in quasi tutto l’ establishment imperiale: dal presidente del Consiglio Aulico, conte Hermann Fürstenberg42, ai consiglieri imperiali Eggenberg43 (del quale Cesare Gonzaga nel testamento ricordò la particolare fedeltà alla causa guastallese) e Khevenhüller (che fu a Guastalla nel

1628), fino al vicecancelliere imperiale Franquenburg. È da ritenere probabile che tale appoggio derivasse anche dall’apprezzamento degli ambienti amministrativi rispetto 37 F. Canova, «Guastalla da Ratisbona alla Pace dei Pirenei. Pedina o contraente necessario?», in

E. Bartoli e F. Canova (dir.), I Gonzaga di Guastalla nel xvii secolo. Stato, dinastia e fonti archivistiche,

Guastalla, Associazione Guastallese di Storia Patria, 2001, pp. 3-59.

38 R. Quazza, La guerra per la successione di Mantova e del Monferrato (1628-1631), 2 vol., Man-

tova, G. Mondovì, 1926, vol. 1, pp. 32 e 80.

39 Canova, op. cit. (nota 37).

40 Ibidem, dove si chiarisce che il primo era inviato di Mantova, il secondo di Guastalla ed era stato

anche auditore di Ferrante II Gonzaga a Vienna.

41 A conferma del ruolo assunto in ambito internazionale dalla questione mantovana giungevano le

corrispondenze da Parigi dove l’ambasciatore mantovano Giustiniano Prandi e il residente Rigolio soste- nevano che il cardinale Richelieu considerasse la successione ai Gonzaga l’occasione per ridare «maggior prestigio» alla Francia, ibidem.

42 Il quale ad un certo punto, rimasto vedovo, avrebbe dovuto sposarsi con una figlia di Cesare

Gonzaga, Artemisia, ma il matrimonio sfumò per la decisione di questa di entrare in convento, e il Fürstenberg si unì poi con una figlia di Ferrante duca di Sabbioneta, ibidem, p. 9.

43 Sugli Eggenberg si vedda W. E. Heydendorff, Die Fürsten und Freiherren zu Eggenberg und ihre

all’impegno col quale il duca di Guastalla aveva svolto la mansione di commissario generale dei feudi imperiali in Italia.

Ma (benché molto forte) il partito filo-guastallese aveva molti oppositori in quanto come si è visto la stessa imperatrice (che pure per ragioni personali e famigliari avrebbe potuto rappresentare a corte l’appoggio maggiore per i Gonzaga di Guastalla) ne divenne la più fiera avversaria in quanto riteneva che sin della prima guerra del Monferrato i legami tra il duca di Guastalla e la corte di Madrid fossero divenuti così stretti da indurre a temere che, stante la contiguità con lo Stato di Milano, Mantova potesse perdere la pro- pria indipendenza a vantaggio della Spagna nell’ambito di un’espansione del Milanese, oppure che ciò potesse in qualche modo influire sulla gestione del governo di Milano. Per capire le considerazioni dell’imperatrice non dobbiamo dimenticare che sia Mantova sia Milano erano feudi imperiali ed era necessario evitare che la politica di Madrid potesse diventare prevalente. L’imperatrice aveva dalla sua parte il consigliere segreto conte Gio- van Battista di Wertenberg che, sposando la tesi della legittima successione della linea dei Nevers, convinse Ferdinando II a orientare l’Impero verso questa scelta.

Tuttavia a questa decisione molto contribuì l’azione sotterranea di altri diversi per- sonaggi i quali «talvolta comprimari» agirono spesso quali «ineffabili ombre silenziose che si muov[eva]no tra avvenimenti più grandi di loro ma con astuzia e duttilità»44; tra costoro vi erano esponenti della diplomazia e della dinastia mantovana quali il marchese Ercole Gonzaga o il marchese Pirro Maria Gonzaga, i quali, benché apparentemente favorevoli a Ferrante di Guastalla, erano sostanzialmente indecisi su quale fosse davvero la soluzione migliore per il sistema. È dunque probabile che la soluzione finale sia stata definita dall’esistenza di molte fazioni che si agitavano all’interno della stessa dinastia Gonzaga, la presenza di conflitti intrecciati che dividevano alcuni rami dei «Gonzaga minores» tra loro e rispetto alla dinastia dei cosiddetti «Gonzaga maiores»45. Del resto si deve capire cosa significasse dal punto di vista del diritto feudale imperiale la scelta di una o dell’altra successione. Infatti pare significativo che autorevoli membri del Consiglio Aulico operante a Vienna e influenti componenti di importanti magistrature imperiali sostenessero la causa guastallese: ciò significava infatti privilegiare una ipotesi di successione che conferiva legittimità di scelta non al vassallo, ma all’Impero, il quale se avesse optato per questa ipotesi avrebbe agito, secondo le consuetudini e i regolamenti burocratici, e tra l’altro avrebbe accordato la successione ad un ramo minore della dina- stia Gonzaga che aveva già il titolo di vassallo imperiale. Al contrario, nella ristretta corte dell’imperatore e della sua famiglia, sembrava essere più forte il partito dei sostenitori

44 Quazza, op. cit. (nota 38), vol. 1, p. 8.

45 Si veda ad esempio quanto emerge in M. Marocchi (dir.), Castiglione delle Stiviere. Un principato

imperiale nell’Italia padana (sec. xvi-xviii), Roma, Bulzoni Editore, 1996, rispetto ai Gonzaga principi di

della successione Nevers, che privilegiava la linearità dinastica, quella cioè derivante dal- la volontà espressa dal duca defunto. In pratica, la prima soluzione preservava il diritto dell’Impero di decidere, così com’era sempre stato, la successione di un feudo imperiale devoluto per la morte dell’ultimo feudatario, mentre il «secondo partito» si muoveva entro una strada nuova difendendo cioè la linearità dinastica, ovvero il diritto delle dinastie dei vassalli di scegliere la propria successione in modo autonomo, così come accadeva alle dinastie sovrane, senza interferenze da parte dell’Impero46 indebolendone in qualche modo l’istanza a vantaggio delle ragioni dinastiche. Questa, come è noto, fu la tesi vincente che dunque sembrò affermare un diritto importante, contrastante con le norme del diritto feudale sino a lì seguito. In realtà, come vedremo, non fu proprio così perché quella scelta fu una soluzione ad hoc, non una regola generale e per delimitarne la portata furono introdotte alcune importanti salvaguardie.

Durante tutto il periodo della crisi per la successione proprio Ferrante II di Guastalla, come si è detto sopra, svolse insieme al figlio Cesare e per conto dell’Impero il ruolo di commissario per i feudi imperiali in Italia: tale posizione da una parte gli guadagnò l’ap- poggio di alcuni funzionari e consiglieri imperiali, dall’altro lo mise in una posizione di estrema visibilità che creò probabilmente una serie di incrinature col mondo della feudalità imperiale italiana, in grado di corrispondere senza filtri burocratici, attraverso i canali di corte, direttamente con l’imperatore e l’imperatrice e influenzarne indirettamente le scelte. Del resto se analizziamo gli affari imperiali in Italia durante il periodo della com- missione generale retta dal duca di Guastalla47, vediamo che il tema più ricorrente fu la stipulazione di trattati di aderenza che da un lato il governo spagnolo di Milano stava tentando di strappare ai vassalli imperiali della Lunigiana, dall’altro la corte di Torino cercava di stipulare con i vassalli imperiali delle Langhe per il controllo di zone confinarie col Monferrato. La gestione di questi problemi, le relazioni che Ferrante poté coltivare con i vassalli imperiali di zone di grande rilievo strategico, possono aver contribuito a non ritenerlo un candidato affidabile agli occhi dell’imperatore e di sua moglie.