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Le pitture del salone delineano un’iconografia sabauda di eventi storici contemporanei, con una precisa descrizione di fatti e siti legata alla produzione topografica. Tradizio- nalmente si riteneva che la lettura del ciclo iniziasse a destra dell’ingresso principale, svolgendosi in senso antiorario, secondo una sequenza cronologica: dall’espugnazione del castello di Crevacuore (1617) alla battaglia di Mombaldone (1637) includendo il fatto di Bestagno dal 162515. In realtà la lettura prende avvio dalla parete ovest, la prima che si vede entrando nel salone, come sottolinea anche l’allestimento dei finti arazzi che si aprono a sipario sui due episodi: il fatto d’arme di Crevacuore del 1617 e l’assedio di Moncalvo del 1628 (rispettivamente identificati in precedenza come fatti di Bestagno e Pieve di Teco del 1625), sovrastati lungo il fregio dalle vedute di Torino con le nuove fortificazioni e di Trino, intercalate dallo stemma sabaudo (fig. 2-3)16. La battaglia di Crevacuore nel Biellese costituisce la prima vittoria di Vittorio Amedeo, ancora principe ereditario, dopo aver assunto nel 1616 la direzione della campagna militare nella prima fase della guerra del Monferrato (1613-1617) contro gli spagnoli, contraddistinti dalla fascia rossa. Prima dell’avvio della guerra dei Trent’anni nel 1618, l’episodio segna la chiusura della prima fase del conflitto, riaperto dall’occupazione di Trino e dall’assedio di Moncalvo, rivendicati dai Savoia, questa volta in alleanza con la Spagna17.

14 R. Roccia (a cura di), Theatrum Sabaudiae. Teatro degli Stati del Duca di Savoia, 2 vol., Torino,

Archivio Storico della Città, 2000, I, p. 302, II, tav.I, 62; G. Carità, «Scheda n. 52», in G. Romano (a cura di), Realismo caravaggesco e prodigio barocco, catalogo della mostra, Savigliano, L’Artistica, 1998, pp. 254-255.

15 Olivero, Cognasso e Lovera di Castiglione, op. cit. (nota 5). 16 Goria, op. cit. (nota 3, 2003), pp. 155-167.

17 Su Vittorio Amedeo I e le guerre del Monferrato, Rosso, op. cit. (nota 10), pp. 173-175; C.

Rosso, «Uomini e poteri nella Torino barocca», in G. W. Symcox e A. L. Cardoza (a cura di), Storia

di Torino. La città fra crisi e ripresa (1630-1730), vol. 4, Torino, Einaudi, 2002, pp. 5-195; P. Merlin

e F. Ieva (a cura di), Monferrato 1613. La vigilia di una crisi europea, Torino, Viella, 2016; P. Bianchi, «Vittorio Amedeo I», in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, in corso di stampa.

Per sciogliere l’interpretazione è stato fondamentale comparare e incrociare più fonti grafiche, principalmente il perduto disegno preparatorio (fig. 8), l’unico a oggi noto riferibile all’impresa, il frontespizio inciso da Boetto, firmato e datato al 1634, su temi di Tesauro, per la Tesi di Robilant (fig. 9) e il libro di Giuglaris del 1638

illustrato dallo stesso Boetto (fig. 10). Il disegno a penna su carta, ora perduto, con una significativa provenienza dalle collezioni ducali, già rinvenuto nella Biblioteca di Sua Maestà e pubblicato nel 1930 nello studio monografico sul palazzo con un’attribuzione a Molineri, raffigura la decorazione della parete ovest, con alcune varianti rispetto alla redazione pittorica18. Il foglio, che ho restituito per via stilistica a Boetto, è in stretta relazione con il frontespizio di Robilant nel 1634, con i fatti esemplari di pace e di guerra della vita di Vittorio Amedeo, ciascuno evocativo di una virtù, affiancato dagli avi (da Beroldo a Carlo Emanuele I), entro una cornice architettonica, incentrati sulla questione del Monferrato e la rivendicazione del titolo regio: tra questi, figurano le sue vittorie militari come principe regnante dal 1617 al 1625, (a sinistra, dall’alto) la presa di Crevacuore, gli assedi di Moncalvo, della Pieve di Teco e di Verrua, in

18 Olivero, Cognasso e Lovera di Castiglione, op. cit. (nota 5), p. 30.

Fig. 8. Giovenale Boetto (attribuito), disegno preparatorio per il salone delle imprese di Vittorio Amedeo I, parete ovest, post 1634. Collocazione ignota.

Fig. 9. Giovenale Boetto, Theses ex universa philosophia di Carlo Francesco Nicolis di Robilant dedicata a Vittorio Amedeo, acquaforte, 1634. Ginevra, MAH Musée d’art et d’histoire. ©Musées d’art et d’histoire,

Fig. 10. Giovenale Boetto, Interno del duomo di Torino, acquaforte, da L. Giuglaris, Funerale fatto nel Duomo di Torino alla gloriosa memoria dell’invittissimo e potentissimo Vittorio Amedeo Duca di Savoia, Torino 1638: nel registro mediano (da sinistra), il Trattato di Cherasco e i Fatti di Crevacuore e di Bistagno. Musei Reali-Biblioteca Reale di Torino. Foto Ernani Orcorte. Su concessione del Ministero per i beni e le attività

corrispondenza al rinnovamento urbano di Torino (in alto, a destra), presentando un sistema di relazioni che ritroveremo negli affreschi19 (fig. 9).

Gli stessi episodi, coincidenti nel frontespizio inciso del 1634 e nel disegno poste- riore a questa data, sono riconoscibili negli affreschi, proseguendo in senso orario: sulla parete nord l’assedio di Verrua del 1625, con la veduta di Asti fortificata, e sulla parete est la presa della Pieve di Teco del 1625 (precedentemente identificata come assedio di Crevacuore del 1617) con la veduta del capo di Sant’Ospizio presso Nizza (fig. 1-4). Per le ultime scene affrescate vale come fonte letteraria e iconografica di riferimento il libro di Giuglaris dedicato al funerale di Vittorio Amedeo allestito nel duomo di Torino (1638), per la regia di Carlo di Castellamonte, affidato a Isidoro Bianchi e altri artisti, con temi ricorrenti dell’iconografia sabauda, dalle statue degli avi ai grandi quadroni delle battaglie descritti da Giuglaris e incisi da Boetto20 con tagli verticali e accentuato dramatismo (fig. 10). Si tratta della tumultuosa battaglia di Tornavento del 1636, a so- stegno delle truppe francesi, che ferma l’avanzata degli spagnoli guidati dal marchese di Leganés Diego Mexía Felípez de Guzmán (parete sud), combattuta durante l’invasione franco-piemontese della Lombardia, riconoscibile per il ponte di barche sul Ticino ricordato da Giuglaris (in contrappunto con quello di Verrua, sulla parete di fronte), in cui rivestì una strategica importanza la città fortezza di Breme, dipinta nel fregio soprastante. La battaglia di Mombaldone sulla Bormida nell’Astigiano nel 1637 (parete est) segna l’episodio finale della carriera militare del duca, con la sconfitta della Spagna (fig. 6). Il tentativo spagnolo di occupare Alba (rappresentata nel fregio) si conclude con la carica dell’esercito sabaudo che obbliga gli spagnoli alla ritirata abbandonando artiglieria e armamentari, come si vede sullo sfondo.

I fatti d’arme del 1625 si inseriscono nella politica di Carlo Emanuele I di conquistare Genova, fondamentale alleata finanziaria della Spagna (in questo scenario si legge l’assedio della Pieve di Teco); nello stesso anno gli spagnoli, sfumato l’assedio di Asti, si dirigono verso l’importante piazzaforte di Verrua, teatro di un lungo assedio ricordato dalle fonti. Con il trattato di Rivoli del 1635, firmato da Vittorio Amedeo, d’accordo con Richelieu, il Piemonte aderisce alla lega antispagnola con il maresciallo francese Charles de Créqui duca 19 Per gli ornamenti della tesi di Carlo Francesco Nicolis di Robilant, C. Morra, «Schede per le

incisioni», in N. Carboneri, A. Griseri e C. Morra, Giovenale Boetto architetto e incisore, Borgo San Dalmazzo, Cassa di Risparmio di Fossano, 1966, pp. 68-70; per un confronto tra il foglio preparatorio e il frontespizio di Boetto, Griseri, op. cit. (nota 1, 1961b), p. 30.

20 Giuglaris, op. cit. (nota 5), pp. 1-23, 59; sulle incisioni di Boetto presenti nel testo, Morra,

op. cit. (nota 19), pp. 73-74; M. Viale Ferrero, «Scheda n. 87», in M. di Macco e G. Romano (a cura

di), Diana trionfatrice. Arte di corte nel Piemonte del Seicento, catalogo della mostra, Torino, Allemandi, 1989a, pp. 83-84; F. Varallo, «Scheda II.7», in C. Arnaldi di Balme e F. Varallo (a cura di), Feste

barocche. Cerimonie e spettacoli alla corte dei Savoia tra Cinque e Settecento, catalogo della mostra, Torino,

Fig. 12. Particolare dall’Assedio della Pieve di Teco (1625), 1639-1645, parete est.

Fig. 13. Veduta della città di Alba. Particolare dalla Battaglia di Mombaldone (1637), 1639-1645, parete est.

di Lesdiguières. L’azione si sposta quindi in Lomellina dove l’esercito sabaudo occupa la città di Breme nel 1635 e avvia nel 1636 l’avanzata verso il Ticino, attaccando gli spagnoli. Le battaglie di Tornavento e Mombaldone, decisive per la campagna militare condotta dalla lega franco-sabauda, svoltasi soprattutto nelle terre dell’Astigiano, del Monferrato e delle Langhe, sintetizzano le mete sabaude: il Monferrato e il confine con il Ticino.

Lungo il fregio superiore scorre l’araldica con i grandi stemmi angolari, figure alle- goriche e i punti che compongono i quarti dello stemma di Vittorio Amedeo (le insegne di pretesa: di Gerusalemme, Lusignano, Armenia e Cipro; quelle di origine: di Sassonia; quelle di dominio: dei ducati di Chiablese e Aosta; nel quarto, il Piemonte e i domini posseduti solo parzialmente, il Genevese e il Monferrato), poi le città fortificate che rinviano alla politica difensiva e urbanistica ducale (al 1635 risale l’istituzione statale del Consiglio delle Fabbriche e Fortificazioni)21. All’altezza degli arazzi si svolge il tema della genealogia sabauda con le finte statue bronzee degli avi e gli emblemi identificabili tramite le incisioni di Boetto del 1634 e del 1638, con la linea diretta dei Savoia iniziata da Amedeo V, sfrondata dalle origini mitiche e dai rami collaterali, fino a Carlo Emanuele I, con la sua impresa e motto, che campeggia al di sopra della porta d’ingresso22.

Per i soggetti della volta si ricorre all’Iconologia di Cesare Ripa, con il carro trion- fale della Vittoria alata o della Pace in procinto di essere incoronata da un putto, guidato da Ercole, preceduto dalla Fama alata e dalle personificazioni della Fortezza e del Soccorso; seguono l’Ingegno, l’Intelligenza e l’Immortalità, in volo otto putti alati tra nodi di Savoia, corone reali e scettri23 (fig. 7). L’apparato trionfale celebra la glorificazione del duca-eroe e ribadisce il tema forte della rivendicazione dinastica del titolo regio promosso da Vittorio Amedeo che nel 1632 aveva assunto il titolo di re di Cipro, Gerusalemme e Armenia24.

La narrazione del ciclo si ricollega al circuito delle residenze ducali, dal progetto di Federico Zuccari per la Grande Galleria di Carlo Emanuele I, agli affreschi dell’équipe dei Bianchi nel castello di Rivoli dedicati agli Amedei, avi del duca (1623), e nel salone del castello del Valentino con le antiche alleanze tra la dinastia francese e quella sabauda (1633-1634)25. I temi e i modelli, elaborati e diffusi dalla grafica, come il ritratto

21 Olivero, Cognasso e Lovera di Castiglione, op. cit. (nota 5), pp. 55-58. 22 Goria, op. cit. (nota 3, 2003), pp. 162-167.

23 C. Ripa, Iconologia, overo Descrittione di diverse imagini cavate dall’antichità, e di propria inven-

tione, Roma, 1603, ed. a cura di E. Mandoswsky, Hildesheim, Zurigo e New York, G. Olms, 1984, pp.

142-143, 166-167, 457, 220-221, 239-240, 506-508; C. Ripa, Iconologia, a cura di S. Maffei, Torino, Einaudi, 2012; Giuglaris, op. cit. (nota 5), pp. 25-26; Griseri, op. cit. (nota 1, 1988), pp. 237-238; Romano, op. cit. (nota 2), p. 308.

24 Sulla rivendicazione del titolo regio, Rosso, op. cit. (nota 10), pp. 221-236.

25 Griseri, op. cit. (nota 1, 1967), pp. 30-59 e 116-120; G. Romano, «Le origini dell’Armeria

equestre, le gesta, la genealogia, il titolo regio, si ritrovano nella grande decorazione e negli allestimenti effimeri. Tra questi ultimi, risulta interessante per gli esiti del cantiere Taffini l’incompiuto allestimento del funerale di Carlo Emanuele I a Vicoforte, affidato nel 1631 da Vittorio Amedeo a Emanuele Tesauro con annessa impresa editoriale che probabilmente contava il coinvolgimento di Boetto, con uno schema celebrativo di gesta militari e virtù, preludio dei trionfi del figlio26.

A ridosso di questo momento l’incisione di Gregoire Huret (Londra, British Museum), recentemente pubblicata, offre una nuova testimonianza dell’ampio pro- gramma celebrativo di Vittorio Amedeo: firmata e datata 1631, anno del trattato di Cherasco che sancisce la fine della seconda guerra del Monferrato, antecedente all’assunzione nel 1632 del titolo regio, raffigura Vittorio Amedeo portato in trionfo sul carro, guerriero vittorioso con il capo cinto d’alloro, in procinto di essere incoronato, affiancato dalla Fortuna e dalla Fortezza, entro una sontuosa architettura con il trono al centro27. Come principe pacificante e guerriero figura nella Tesi boettiana del 1634, quasi un manifesto per l’iconografia dinastica sabauda con un prontuario di fortunati soggetti storici e allegorici, e ancora nell’estremo trionfo dell’eroe nel funerale celebrato nel 1637, spettacolare precedente del ciclo Taffini (fig. 9-10).

Considerando queste relazioni e lo stretto rapporto tra il foglio preparatorio e il frontespizio Di Robilant del 1634 non è da escludere che il primo progetto decorativo fosse concepito ancora vivo il duca, successivamente ripreso e portato a termine con alcune varianti e l’aggiunta delle ultime battaglie presenti nella cerimonia funebre allestita nel duomo di Torino, su incarico di Cristina appena nominata reggente (che si tratti di una redazione non così lineare è indicato anche dalla decorazione a figu- re e fiori rilevata dai restauri sotto l’orlo superiore degli arazzi, più vicina al foglio

Busto Arsizio, Bramante, 1982, pp. 15-30; J. Kliemann, Gesta dipinte. La grande decorazione nelle dimore

italiane dal Quattrocento al Seicento, Milano, Silvana Editoriale, 1993; Romano (a cura di), op. cit. (nota

3); di Macco, op. cit. (nota 6); A. M. Bava e E. Pagella (a cura di), Le meraviglie del mondo. Le collezioni

di Carlo Emanuele I di Savoia, catalogo della mostra di Torino, Genova, Sagep Editori, 2016; P. Vanoli,

«I Recchi a Torino: tradizione lombarda e gusto di corte», in A. Morandotti e G. Spione (a cura di),

Scambi artistici tra Torino e Milano 1580-1714, Milano, Scalpendi, 2016, pp. 113-121; S. Martinetti,

«‘Professione, ingegno et arte’: i lombardi nei cantieri di corte e nei palazzi torinesi», in A. Morandotti e G. Spione (a cura di), Scambi artistici tra Torino e Milano 1580-1714. Cantiere di studio, Milano, Scalpendi, 2018a, pp. 37-40; F. Varallo e M. Vivarelli (a cura di), La Grande Galleria. Spazio del sapere

e rappresentazione del mondo nell’età di Carlo Emanuele I di Savoia, Roma, Carocci, 2019.

26 Baudi di Vesme, op. cit. (nota 11), I, p. 145; Romano, op. cit. (nota 2), p. 312.

27 C. Arnaldi di Balme, «Le feste di corte a Torino tra spazi reali e itinerari simbolici», in C. Arnal-

di di Balme e F. Varallo (a cura di), Feste barocche. Cerimonie e spettacoli alla corte dei Savoia tra Cinque e

Settecento, catalogo della mostra, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2009, pp. 34-35, 39; F. Varallo,

«Il tema della caccia nelle feste sabaude nei secoli xvi e xvii», in P. Bianchi e P. Passerin d’Entrèves (a cura di), La caccia nello stato sabaudo. I. Caccia e cultura (secc. xvi-xviii), Torino, Zamorani, 2010, p. 137.

preparatorio)28. Nel palazzo saviglianese, sotto la protezione di Cristina, si esaltava anche la continuità dinastica della reggenza. La presenza di Cristina è affidata al suo monogramma intrecciato a quello del duca e al grande stemma sabaudo con i gigli di Francia, ripetuto agli angoli del salone, adottato da Cristina subito dopo le nozze e assunto sempre in più occasioni dopo la morte del consorte29. In questo senso è significativo che ad essere incoronata sulla volta sia la Vittoria alata (o la Pace), sul carro condotto da Ercole (fig. 7), vicina all’omonima figura allegorica incisa da Boetto nella Tesi del 1634 con le fattezze di Cristina di Francia (in alto, al centro, Teucro incoronato re di Cipro dalla Vittoria, fig. 9); mentre la Fama potrebbe richiamare anche il modello della tela con l’Allegoria della Fama attribuita a Giovanni Giacomo Sementi (Musei Reali-Galleria Sabauda, Torino), apprezzatissima da Cristina a cui era stata regalata nel 1638 dal marchese Filippo San Martino d’Agliè come autografa di Guido Reni30. Ma rispetto ai cicli dinastico-celebrativi sabaudi dedicati alle storie degli antichi duchi, a palazzo Taffini si sceglieva una rappresentazione più realistica e attuale, un diverso registro stilistico e un impianto illusivo distante dalle storie dipinte in quegli anni dai luganesi Bianchi, ormai affermati pittori di corte impegnati da Cristina su più fronti. Boetto e Claret orientavano la rappresentazione celebrativa verso una più accostante naturalezza e attenzione al dato reale entro una finta impalcatura architettonica ispirata a fonti romane31.

Giovenale Boetto e Giovanni Claret: scambi, invenzioni,