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La fedeltà a Don Bosco

5. I COMPITI PRINCIPALI DEI CAPITOLI GENERALI SECONDO DON RUA

5.3. La fedeltà a Don Bosco

Un altro compito importante del Capitolo Generale, secondo le Costitu-zioni, è operare sempre conforme al fine e alla ragione per cui fu fondata la Congregazione. Questo compito fu interpretato fin dal primo Capitolo Gene-rale presieduto da don Rua come assoluta fedeltà a Don Bosco. Per don Rua e per tutti i membri dei Capitoli Generali, che avevano nella loro maggioranza conosciuto direttamente Don Bosco e molti dei quali erano stati formati da lui, la Congregazione era Don Bosco. Don Bosco rappresentava il suo mag-gior attivo. Tutti ben sapevano che era lui che attirava l’attenzione di tutto il

66Cf i Verbali del VI CG.

67Ibid.

68Così disse, per esempio, quando comunicò il risultato dell’elezione del 1898: “Ugual-mente fu consolante e gloriosa per la nostra Pia Società l’unione nel rieleggere gli altri Membri del Capitolo Superiore. Essi mi avevano aiutato potentemente negli anni precedenti, e godo qui poterne fare di nuovo solenne testimonianza, come già feci nel Capitolo Generale subito dopo la loro elezione, lieto che siano stati rieletti senza che neppure su di uno sia stato necessario un secondo scrutinio. Son certo che essi continueranno ad aiutarmi efficacemente colla loro opera e col loro consiglio, e che tra tutti si promuoverà la gloria di Dio e il bene delle anime. L’essere stati rieletti tutti i Membri del Capitolo precedente, ad eccezione del Sig. D. Lazzero, impedito da infermità, mi pare un segno chiaro che la Congregazione cammina bene, animata da senti-menti di reciproco affetto e confidenza”. M. RUA, Lettere circolari..., p. 218. È vero, ma bi-sogna tener conto anche dei voti avuti da ognuno dei membri. Su 217, don Rua ne ebbe 213, non contando il suo, gli mancarono 3 voti, uno dei quali fu nullo. Degli altri membri: don Cer-ruti ne ebbe 209, oltre il suo, gli mancarono soltanto 7 voti, il che dimostra il grado di accetta-zione della sua persona. Don Albera come catechista generale, ne ebbe 200, soltanto 16 meno dei possibili. A tutti gli altri mancarono un buon numero di voti possibili, il che vuol dire che non erano pochi quelli che in principio non erano favorevoli alla rielezione: il prefetto generale don Belmonte ne ebbe 130, 86 meno dei possibili; all’economo don Rocca ne mancarono 81 (135); al consigliere don Bertello, 73 (143); e a don Durando, 58 (158).

mondo. L’espansione della Congregazione era dovuta al fatto che dappertutto si voleva avere Don Bosco, incarnato nei suoi salesiani. Tutti cercavano il suo carisma, il suo metodo educativo, la sua preoccupazione per la gioventù e le sue soluzioni ai problemi dei giovani. Questo obbligava i salesiani alla fedeltà assoluta; a mantenere intatto e vivo lo spirito di Don Bosco; a non far niente che potesse non già tradire, ma nemmeno oscurare il carisma del Fondatore.

La fedeltà era vista e vissuta come condizione indispensabile di continuità.

Niente di strano, perciò, che i Capitoli Generali facessero continuo rife-rimento a Don Bosco. Nelle proposte, nelle iniziative e negli aggiornamenti, la grande preoccupazione era quella di non distaccarsi minimamente da Don Bosco.

La presenza di Don Bosco fu costante e molto viva durante questi toli, il suo spirito aleggiava in ogni momento sull’aula capitolare. I sei Capi-toli ebbero luogo a Valsalice, accanto alla salma di Don Bosco. Durante il giorno i capitolari facevano frequenti visite alla sua tomba per meditare e pre-gare. Nel VII Capitolo fu consegnato a tutti il primo volume della vita di Don Bosco scritta da don Lemoyne69, sebbene si raccomandasse che non andasse in mano a tutti per non ostacolare la sua causa di beatificazione, la cui apertura ufficiale era stata chiesta già nel 1899 in un documento inviato al Cardinale Arcivescovo di Torino e con la firma di tutti i capitolari di allora. Nell’VIII Capitolo si mise la prima pietra della nuova cappella destinata ad accogliere i resti del venerato Fondatore; già nel Capitolo del 1889, solo un anno dopo la sua morte, i capitolari chiesero ufficialmente l’apertura del processo di beatifi-cazione di Don Bosco, firmando un documento da inviare alla curia episcopale di Torino; e nel CG10 fu aperta la tomba perché tutti i capitolari potessero vedere ancora una volta il corpo dell’amato Padre.

Ripetutamente si propose che si facesse un’edizione completa delle opere di Don Bosco; e anche che si leggessero in refettorio i suoi scritti; che si facesse una specie di vademecum con testi di Don Bosco, affinché servisse come guida spirituale anche per la meditazione giornaliera.

Che don Rua avesse fatto della sua vita un atto di fedeltà totale a Don Bosco lo si constatò indiscutibilmente anche durante i Capitoli da lui presie-duti, nei quali egli si sforzò visibilmente per mantenere in tutto lo spirito del buon Padre. Il suo culto per la Regola, massima eredità di Don Bosco, lo por-tava a preoccuparsi dall’osservanza della medesima, e non cessava di

racco-69La vita di Don Bosco scritta da don Lemoyne fu pubblicata e poi completata in due volumi: Vita del venerabile servo di Dio D. Giovanni Bosco, fondatore della Pia Società Sale-siana, dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice e dei Cooperatori salesiani. Torino, 1911-1913.

mandare ai capitolari la più stretta fedeltà anche alle usanze, alle tradizioni e alle Costituzioni lasciate dal Fondatore. Secondo lui la Regola non era sol-tanto il libro di vita che misurava la perfezione del salesiano, ma anche la ga-ranzia di fecondità della Congregazione. Nei Capitoli Generali non solo in-culcò queste idee, ma cercò di tenerle presenti in ogni momento, quando si di-scutevano i temi che in qualche modo toccavano le Regole o l’insegnamento di Don Bosco.

Sono innumerevoli le testimonianze al riguardo. Per economia di spazio mi permetto unicamente di trascrivere le prime parole di don Rua che tro-viamo nel primo verbale dei capitoli da lui presieduti: “Alle ore 19 i capitolari si radunarono nella sala capitolare dove don Rua diede loro il benvenuto e su-bito passò a parlare di Don Bosco: «Ma un pensiero ci addolora: manca Don Bosco. Ma dobbiamo consolarci, siamo vicini alla sua salma e come le reli-quie dei santi sono fonti di benedizione, così lo sarà specialmente per noi la salma di Don Bosco; ma non solo la salma, bensì il suo spirito ci guiderà e ci otterrà lumi nelle deliberazioni delle varie Commissioni e sessioni. Pre-ghiamo, ma uniformiamoci specialmente ai suoi sentimenti; indaghiamo bene quali fossero i suoi intendimenti... poiché si vide come fu guidato da Dio nelle sue imprese; egli intendeva sempre in tutto la gloria di Dio ed il bene delle anime...»”70.

Una citazione strategicamente situata che ci mostra come tutto l’operato nei sei Capitoli Generali ebbe costantemente presente il sempre attuale mes-saggio di Don Bosco, senza scostarsi minimamente dal suo spirito e dal suo operato71. Perciò don Rua, e ugualmente gli altri capitolari, facevano appello sempre alla tradizione, alle idee o alle parole di Don Bosco quando volevano esporre o sostenere le proprie opinioni o contestavano le proposte innovative presentate da qualcuno.

La fedeltà totale portava quasi inevitabilmente ad un atteggiamento con-servatore, con rischio evidente di un certo immobilismo, anche se è vero che la preoccupazione dei Capitoli di mantenere ad ogni costo l’essenziale del le-gato di Don Bosco non scartava del tutto il bisogno di introdurre adattamenti o correzioni. Queste però dovevano essere bene studiate e ponderate perché nessun cambiamento potesse mettere in qualche modo in pericolo lo spirito genuino del Fondatore. Perciò i capitolari si videro non di rado confrontati da due esigenze: fedeltà e novità. Un equilibrio non facile da mantenere in quei

70Cf Verbale del CG5, p. 83.

71Solo una volta, trattandosi della comunione al Venerdì Santo, il CG5 decise che era meglio non farla. Ma don Giulio Barberis accennò all’esempio di Don Bosco, dicendo che una volta Don Bosco la faceva fare. Don Berto rispose che era un privilegio viva voce, ormai sca-duto. Tutti accettarono la spiegazione e si decise di non includere la comunione quel giorno.

tempi ancora tanto vicini al venerato Fondatore e tanto marcati dalla sua per-sonalità carismatica. Di fatto, da ciò che si può dedurre dai Capitoli, non sembra che questo necessario equilibrio sia stato sempre correttamente man-tenuto. La tendenza di don Rua e della maggioranza dei capitolari andava cer-tamente verso l’assoluta fedeltà e una certa resistenza alla novità. Il conserva-torismo si percepisce da una doppia prospettiva: da un lato, la necessità di mantenere l’unità, intesa spesso come uniformità, era maggioritariamente sentita nei diversi temi trattati. Si avvertiva chiaramente la paura che le novità potessero rompere l’unità e indebolire così la coerenza, la credibilità e l’effi-cacia del sistema. Questo frenava le proposte o iniziative che anche lontana-mente potessero sembrare estranee o non pienalontana-mente assumibili dal sistema salesiano primitivo. La fedeltà non solo allo spirito ma persino alla lettera di Don Bosco non di rado velò il necessario rinnovamento che affiorava in al-cuni – non molti – interventi o iniziative dei capitolari.

D’altro lato in questi Capitoli pare che non si conoscessero, o non si prendessero in considerazione, le nuove idee e i nuovi metodi, le nuove ana-lisi riguardanti la situazione della gioventù e la sua educazione, che erano già attive nel mondo. Studiando gli interventi dei capitolari, si ha l’impressione che per educare la gioventù il sistema educativo di Don Bosco non fosse sol-tanto il migliore, ma addirittura l’unico possibile ed efficace per tutti i tempi e tutte le situazioni, perché conteneva in sé tutto ciò che di buono esisteva in qualsiasi altro sistema. Si direbbe che per i salesiani la gioventù fosse sempre e dappertutto la stessa, che non ci fosse evoluzione se non in peggio, e che perciò valessero dappertutto e fossero immutabili lo stesso sistema, le stesse forme, gli stessi metodi, semmai meglio esplicitate e regolate. Perciò mai si misero in discussione l’efficacia e le basi ferme del metodo salesiano. In un momento di grandi cambiamenti culturali, sociali ed economici che tocca-vano ogni campo, anche il campo dell’educazione e delle idee pedagogiche, si ha la sensazione che i salesiani fossero immuni a quest’ondata di plura-lismo liberale. I capitolari non vedevano, o non volevano vedere, la situa-zione reale dei cambi che stavano covando nella società. Si era creata una specie di educazione endogamica di poca o nessuna apertura ad altre culture, poco autocritica e con idee troppo fisse e, quindi, con soluzioni difficilmente variabili.

La adesione ad oltranza al Papa, frequentemente difesa e raccomandata da don Rua nei Capitoli, soffiava anche in direzione conservatrice. Fortunata-mente l’impegno di carità verso i più poveri e bisognosi e la crescente preoc-cupazione per i giovani artigiani nelle scuole e ospizi salesiani, di cui si occu-parono i Capitoli, avvicinava i salesiani al movimento sociale propugnato da Leone XIII e favoriva la cosiddetta questione operaia, studiata in una

pro-posta specifica nel CG672. Negli altri campi tutto si manteneva dentro l’antica tradizione ecclesiastica: i libri di testo che i Capitoli raccomandavano per lo studio dei chierici dovevano attenersi alla più stretta ortodossia; il latino si voleva andasse pronunciato alla romana; si rifiutava qualsiasi idea che suo-nasse a modernismo73; si negava il pluralismo, alle volte anche in cose mi-nime. D’altra parte, essendo quasi tutti i capitolari italiani, si avverte già una certa tendenza patriottica, ancora in forma assai moderata, che si avverte nel mantenimento e difesa della prassi e le forme italiane; nell’insistenza nello studio e propagazione della lingua italiana; nell’assistenza prioritaria agli emigranti italiani, ecc. Anche se per la pace in casa don Rua raccomandava che si evitassero le dispute di nazionalità.