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tesi di Fiammetta: il suo dolore è maggiore (la costanza della prima persona rinvia e si oppone all‟incipit, dove si accampa il nome del personaggio mitico).

BOCCACCIO A FIRENZE: STRUTTURE SCOLASTICHE TRA PRATICA NARRATIVA ED IDEOLOGIA LETTERARIA

4. tesi di Fiammetta: il suo dolore è maggiore (la costanza della prima persona rinvia e si oppone all‟incipit, dove si accampa il nome del personaggio mitico).

Si vedano due tra gli exempla ai quali questo procedimento appare applicato in maniera più lineare, entrambi di ascendenza principalmente, ma non esclusivamente, ovidiana.

Exemplum di Io, figlia d‟Inaco95.

1. Presentazione del personaggio mitologico e breve narrazione della sua storia:

Dico che, ne' miei dolori affannata gli altrui ricercando, primieramente gli amori della figliuola d'Inaco, la quale io morbida e vezzosa donzella primieramente figuro, quindi la sua felicità, sentendosi amata da Giove, con meco penso: la qual cosa ad ogni donna per sommo bene senza dubbio dovria essere assai

2. proposta della tesi opposta a quella di Fiammetta, con argomento a sostegno, che in questo caso precede:

quindi lei trasmutata in vacca e guardata da Argo ad instanzia di Giunone rimirandola, in grandissima ansietà oltremodo essere la credo. E certo io giudico li suoi dolori li miei in molto avanzare

3. due argomenti contro la tesi appena opposta (più paragone con il dolore di Fiammetta):

se ella non avesse avuto continuamente a sua protezione l'amante iddio. E chi dubita, se io il mio amante avessi aiutatore ne' danni miei, o pure di me pietoso, che pena niuna mi fosse grave? Oltre a ciò il fine di costei fa le sue passate fatiche levissime, però che, morto Argo, con grave corpo leggierissimamente trasportata in Egitto, e, quivi in propria forma tornata e maritata ad Osiri, felicissima reina si vide.

4. tesi di Fiammetta, secondo cui il suo dolore è maggiore:

Certo se io potessi sperare pure nella mia vecchiezza rivedere mio il mio Panfilo, io direi le mie pene non essere da mescolare con quelle di questa donna; ma solo Iddio il sa se essere dee, come che io con isperanza falsa me stessa di ciò inganni.

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166 Exemplum di Ero di Sesto96.

1. presentazione del personaggio mitologico più breve narrazione della sua storia:

Oltre a questi pensieri miserabili mi si para davanti la tristizia della dolente Ero di Sesto, e vedere la mi pare discesa dell'alta torre sopra li marini liti, ne' quali essa era usata di ricevere il faticato Leandro nelle sue braccia, e quivi con gravissimo pianto la mi pare vedere riguardare il morto amante sospinto da uno dalfino, ignudo giacere sopra la rena, e poi essa con li suoi vestimenti asciugare il morto viso della salata acqua, e bagnarlo di molte lagrime.

2. tesi opposta a quella di Fiammetta:

Ahi! con quanta compassione mi strigne costei nel pensiero! In verità con molta più che nessuna delle donne ancora dette, tanto che talvolta fu che, obliati li miei dolori, de' suoi lagrimai.

3. due argomenti contro la tesi opposta a quella di Fiammetta:

E ultimamente alla sua consolazione modo alcuno io non conosco, se non de' due l'uno: o morire, o lui, sì come gli altri morti si fanno, dimenticare. Qualunque di questi si prende, è il dolore finire; niuna cosa perduta, la quale di riavere non si possa sperare, può lungamente dolere. Ma cessi Iddio, però, che questo avvenga a me; il che se pure avvenisse, niuno consiglio se non la morte ci piglierei.

4. tesi di Fiammetta (con confronto e argomenti):

Ma mentre che il mio Panfilo vive, la cui vita lunghissima facciano gl'iddii come egli stesso disia, non mi puote quello avvenire, però che, veggendo le mondane cose in continuo moto, sempre mi si lascia credere che egli alcuna volta debba ritornare mio, sì come egli fu altra fiata; ma questa speranza non venendo ad effetto, gravissima fa la mia vita continuamente, e però me di maggior doglia gravata tengo.

Per ciascun esempio la struttura si ripete sistematica, ma non rigida. Delle partizioni sopra ipotizzate, alcune possono risultare più o meno estese, a seconda del soggetto cui si applicano. La descrizione-narrazione delle sofferenze del personaggio, ad esempio, può

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167 ampliarsi in maniera direttamente proporzionale alla simpatia di Fiammetta, come avviene per il delicato e giovanile amore tra Piramo e Tisbe. Oppure il confronto tra Fiammetta e l‟eroe di turno può farsi più articolato, come avviene a proposito di Giocasta, fino a diventare un vero e proprio dibattito nel caso di Ulisse, dove il discorso procede per alternanza di argomento e obiezione, quest‟ultima costantemente introdotta da «Ma io»97

. È forse un richiamo allo svolgimento della discussione, la prima fase della quaestio disputata, che da alcune reportationes viene registrato nel suo andamento vivace, con interventi rapidi e confutazioni immediate, che interrompono con il «Sed contra» l‟ordine prefissato degli interventi per costringere, ad esempio, il respondens a precisare meglio il problema98.

Ad una vista d‟insieme, il capitolo appare omogeneo nella successione di moduli disputativi identici, che, concentrandosi tutti intorno al medesimo problema, richiamano da vicino la successione degli articuli di una summa, quale si mostra nel suo esemplare più noto, la Summa Theologiae di Tommaso d‟Aquino:

6. Argomento o titolo: «Utrum» (interrogativa disgiuntiva, anche in assenza del secondo termine)

7. Proposizione della tesi che verrà confutata («videtur quod / videtur quod non»), più argomenti a sostegno

8. Un argomento contro la tesi proposta: «Sed contra»

9. Tesi dell‟autore, introdotta da una distinctio o divisio, oppure da argomenti: «Respondeo. Dicendum quod»

10. Confutazione degli argomenti presentati a sostegno della tesi contraria a quella dell‟autore; soluzione delle difficoltà («Ad primum»; «Ad secundum»; «Ad tertium», ecc.).

Rispetto al possibile modello, non mancano divergenze: il fattore di maggior distanza non è tanto la mancata confutazione degli elementi contrari, che viene di fatto assorbita nel confronto tra Fiammetta e il personaggio con cui si misura, quanto l‟assenza della posizione iniziale della questione. Ogni modulo del capitolo VIII non inizia infatti con la disgiuntiva d‟ordinanza, ma direttamente con una narratio o descriptio, che, come nel caso delle «questioni d‟amore» del Filocolo, sembra richiamare semmai la disputa

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Fiammetta VIII 16. 98

168 giuridica99. Si può tuttavia ritenere il «queritur» sottinteso perché sempre identico, posto una volta per tutte nel paragrafo iniziale, sotto forma della volontà espressa da Fiammetta di «commensurare», come si è visto, le proprie pene con quelle dei personaggi tragici dell‟antichità. La stessa immagine della bilancia, il cui significato non è solo sottinteso a quell‟incipit, ma operante in ciascuno degli exempla presentati, sta metaforicamente al posto di una domanda mai formulata esplicitamente, ma che si potrebbe rendere, con qualche approssimazione: «se sia maggiore il dolore di Fiammetta o quello sofferto da X».

All‟organizzazione del singolo modulo presiede indubbiamente una logica disputativa, che trova la sua maggiore evidenza di affinità con il modello scolastico nel «Se» o «Ma» da cui viene introdotto l‟argomento contro la tesi esposta per prima: equivalgono infatti al «Sed contra» che nella summa introduce l‟argomento che contrasta la posizione opposta a quella dell‟autore. Da questo, che potremmo chiamare nucleo oppositivo, intorno al quale si gioca ogni volta il confronto tra l‟eroina moderna e quelle dell‟antichità, scaturisce l‟analogia strutturale con l‟articulus, al quale il modulo dell‟Elegia è accomunato dalla medesima sequenza delle parti attraverso cui si snoda la dimostrazione. È un elemento che diversifica il capitolo VIII dalla «questione d‟amore» del Filocolo, per una maggiore analogia con la summa, segnata anche da un‟organizzazione complessiva più serrata, giacché gli exempla storico-mitologici sono raggruppati in categorie. Non si dimentichi, poi, che nel penultimo capitolo della sua Elegia, Fiammetta è sola: quello che si snoda davanti agli occhi del lettore non è, a differenza che nell‟episodio del Filocolo, un “vero” dibattito, bensì la sua simbolica rievocazione, schematicamente richiamata per conferire alla trattazione quello che nel tardo medioevo si ritiene il procedimento scientifico. Non siamo lontani dalla riproposizione “simbolica” della discussione nelle summae e nei trattati per questioni.

Ad assimilare il capitolo VIII alle «questioni» del Filocolo interviene, però, non solo un evidente fattore strutturale, quale la successione di unità caratterizzate da una forma disputativa di matrice scolastica, ma soprattutto la finalità letteraria che si è attribuita a questo tipo di organizzazione testuale. L‟evidente trait d‟union è il personaggio di Fiammetta, al quale in entrambe le opere boccacciane viene affidato un ruolo discriminante, sottolineato nella sua autorevolezza dalla solennità delle formule che ne accompagnano le determinationes: più intime, certo, nella Fiammetta, considerato sia il solipsismo della protagonista, sia il prevalente registro elegiaco del romanzo, contrapposti alla situazione di

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Rispetto alla quaestio disputata del diritto, la narrazione nell‟Elegia ha una funzione diversa; non è il casus da cui scaturisce la questione, ma è argomento stesso del confronto con Fiammetta.

169 gioco e socialità del Filocolo; ma non meno incisive. A maggior ragione se si considera che la fictio dell‟Elegia vuole che Fiammetta sia non solo protagonista e narratrice dell‟opera, ma sua scrittrice, il che le conferisce una consapevolezza letteraria che soprattutto nel capitolo VIII fa tutt‟uno con l‟auctoritas del magister che determina, dopo aver confutato le tesi che si oppongono alla propria.

La finale e complessiva soluzione di quella quaestio sul «maggior dolore» che è il capitolo ottavo si affida al suo ultimo paragrafo, dove, annientato ogni rivale nel triste primato, la scrittrice si erge quale unico esempio di dolore, a suggellare il raggiungimento di quanto si era inizialmente proposta di dimostrare:

Ecco adunque, o donne, che per li antichi inganni della Fortuna io sono misera; e oltre a questo essa non altramenti che come la lucerna vicina al suo spegnersi suole alcuna vampa piena di luce maggiore che l'usato gittare, ha fatto; però che dandomi in apparenza alcuno rifrigerio, me poi nelle separate lagrime ritornante, ha miserissima fatta. E acciò che io, posposta ogn'altra comparazione, con una sola m'ingegni di farvi certe de' nuovi mali, v'affermo con quella gravità che le mie misere pari possono maggiore affermare, cotanto essere le mie pene al presente più gravi, che esse avanti la vana letizia fossono, quanto più le febbri sogliono, con equale caldo o freddo vegnendo, offendere li ricaduti infermi, che le primiere. E perciò che accumulazione di pene, ma non di nuove parole vi potrei dare, essendo alquanto di voi diventata pietosa, per non darvi più tedio in più lunga dimoranza traendo le vostre lagrime, se alcuna di voi forse leggendo n'ha sparte o spande; e per non spendere il tempo, che me a lagrimare richiama, in più parole, di tacere omai dilibero, faccendovi manifesto non essere altra comparazione dal mio narrare verissimo a quello ch'io sento, che sia dal fuoco dipinto a quello che veramente arde. Al quale io priego Idio che o per li vostri prieghi, o per li miei, sopra quello salutevole acqua mandi, o con trista morte di me, o con lieta tornata di Panfilo100.

La gravità del tono («v‟affermo con quella gravità che le mie misere pari possono maggiore affermare») non lascia dubbi che, nel venire alla conclusione, Fiammetta si ponga al massimo grado di asseverazione possibile della propria tesi101. In un crescendo

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Fiammetta VIII,18. 101

Cfr. FRANSEN,cit., p.254, per i diversi gradi di certezza della soluzione: «andiamo dalla perentorietà di “dico” e “potest” ai concetti più sfumati di “credo”, “mihi videtur” e “videtur”»; GLORIEUX, La Littérature

170 argomentativo che prelude alla chiusura, ella presenta ancora due «comparazioni». La prima viene istituita dalla protagonista con se stessa: non paga di essersi commisurata con eroine ed eroi, Fiammetta confronta il suo stato attuale con quello precedente all‟illusione che il suo amante fosse in procinto di tornare; già misera, la fortuna l‟ha resa ora «miserissima», a causa di una sofferenza che dopo la vana aspettativa di felicità si è incrementata, così come la febbre in occasione di un‟inattesa ricaduta. Ancora più interessante la seconda comparazione, che non è tanto una similitudine, quanto un‟ulteriore commisurazione, una valutazione; tra il suo narrare (pur verissimo) e la sua sofferenza, dice Fiammetta, c‟è la stessa relazione che intercorre tra il fuoco dipinto e quello vero. L‟immagine proviene dalla trattatistica morale, dove ricorre la formula per cui il fuoco delle pene ultraterrene supera tanto in ardore il fuoco terreno, quanto questo supera il fuoco dipinto102; dietro la similitudine usata dai predicatori, si cela un‟iperbole che vuol suggerire un calore intensissimo; non c‟è infatti reale proporzione tra l‟immagine del fuoco e il fuoco vero, perché solo quest‟ultimo brucia, mentre l‟altro è un‟immagine che può esclusivamente ricordare, suggerire, stare al posto del fuoco reale. Nell‟uso moralistico, la similitudine è un modo per dire che il calore del fuoco infernale è incommensurabile, non si può paragonare a quello terreno, non ha con esso una proporzione fisica che si possa rendere con una formula matematica (il doppio, il triplo, mille volte tanto, ecc.), poiché nella prima parte della similitudine (fuoco dipinto – fuoco reale) il primo termine di paragone è pari a zero. Il ricorso a questo topos, nell‟Elegia, è motivato dall‟esigenza di comunicare l‟incommensurabilità del proprio dolore, alludendo contemporaneamente alle sofferenze infernali. Tuttavia c‟è motivo di credere che nel rapporto tra l‟immagine dipinta del fuoco e il fuoco vero si voglia richiamare anche la relazione tra la scrittura e la realtà. Nella «Conclusione dell‟autore» del Decameron, come poi nel capitolo XIV delle Genealogie deorum gentilium la pittura sarà evocata come termine di paragone per la letteratura, ma già nell‟epilogo della Fiammetta si può probabilmente cogliere un riferimento all‟attività scrittoria, giustificato dalla finzione che vuole la protagonista anche autrice del suo

dubitando o inquirendo, ma solo quando parla asserendo (assertive) o determinando si impegna, dando una

soluzione “ferma e autorevole”». 102

Cfr. Fiammetta VIII 18,3, p. 385 nota 5, per la diffusione dell‟immagine del fuoco dipinto in relazione a quello vero, nella trattatistica morale medievale, adottata tra gli altri da Onorio Augustodunense nell‟Elucidarium, Alano di Lilla nella Summa de arte predicatoria e, in ambito volgare, da Giacomino da Verona nel De Babilonia civitate infernali.

171 «libro»103. Qui Fiammetta sta dicendo che la sua scrittura è verissima (è un fuoco dipinto, cioè riproduce una storia vera), ma le sofferenze che rappresenta (il fuoco reale) sono talmente grandi da non poter essere esaurientemente raffigurate (il fuoco eterno). Benché infatti le due immagini cui ricorre quest‟ultimo paragrafo del capitolo VIII, la febbre e il fuoco dipinto, rientrino entrambe nel repertorio morale (dove la prima è impiegata come termine di paragone della ricaduta nel peccato), hanno tuttavia una funzione diversa, che rispecchia il duplice ruolo di Fiammetta: l‟una significa che ora la donna, dopo l‟estremo inganno della fortuna, è ancora più misera; l‟altra, nel ribadire iperbolicamente la misura del suo dolore, suggerisce che il racconto, pur verissimo, non è riuscito ad esprimerla appieno. Ambedue le similitudini pertengono all‟autorità di magistra che il cap. VIII ha assegnato a Fiammetta, con la differenza che quella della febbre rimane interna alla logica del romanzo, finalizzata alla “dimostrazione” del primato di sofferenza e quindi alla giustificazione dell‟opera, la seconda riguarda anche quell‟aspetto di riflessione metapoetica che deriva al romanzo dall‟averne attribuito la scrittura alla sua protagonista.

Il ricorso ad un modello scolastico consente dunque all‟Elegia non solo di sostenere le motivazioni della scrittura (che qui restano tutte interne alla finzione autobiografica), ma anche di suggerirne un più profondo livello di lettura, aperto all‟esterno nella misura in cui Fiammetta scrittrice si fa portavoce dell‟autore. Come già nelle «questioni d‟amore» del Filocolo, dove attraverso il procedimento dialettico si affronta la concezione erotica cortese, adattandola alla riflessione boccacciana nelle determinazioni di Fiammetta regina, così nell‟Elegia gli stessi strumenti sono adottati per mettere in questione una consolidata tradizione letteraria. Anche in questo caso alla teoria si riserva uno spazio circoscritto, distinto dalla narrazione vera e propria, che in tal modo risulta rispettata nelle sue esigenze di coerenza interna e verosimiglianza; ne è prova il fatto che, sia per il Filocolo che per la Fiammetta, si sono nei secoli avanzati dalla critica molti dubbi sulla omogeneità dei due episodi ai rispettivi contesti romanzeschi. L‟autorità con la quale Fiammetta, forte del proprio status di scrittrice e della cultura abbondantemente esibita nel corso della narrazione, sceglie di confrontarsi nell‟ottavo capitolo della sua Elegia è la tradizione letteraria classica, sostenuta e insieme rappresentata dagli exempla presentati in successione. Nel suo faticoso snodarsi attraverso casi storici e mitologici, il capitolo VIII esclude infatti tutti possibili finali chiusi della storia, determina la vicenda di Fiammetta per la sua differenza rispetto a storie concluse da esiti definitivi. Tale affermazione di alterità avviene

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La rubrica del Prologo recita: «Incomincia il libro chiamato Elegia di madonna Fiammetta da lei alle innamorate donne mandato».

172 non in forma narrativa, ma ricorrendo ad un modello esemplare ed argomentativo insieme, che fa emergere dal confronto con un costante esito tragico la differente tempra della vicenda di Fiammetta, che proprio dalla mancata conclusione, cioè dalla continuità nel tempo riceve il crisma della superiorità nella miseria. Tale dimostrazione passa per un confronto che è fondato essenzialmente sulla durata: gli exempla che vengono messi in discussione sono tutti «conclusi repentinamente da un esito catartico»104, risultando perciò opposti ad una vicenda che non si conclude, avendo la protagonista escluso sia il suicidio, sia la scelta di dimenticare il proprio amato. Nel «contrasto tra la brevità tragica degli exempla antichi e l‟estenuante durata della sua quotidiana pena»105, risiede il tratto consapevolmente “moderno” della vicenda di Fiammetta, che l‟autore vuole sia letto come un conflitto tra generi: quello tragico da una parte (presentato nella forma breve dell‟exemplum, secondo il modello della Commedia) e quello elegiaco dall‟altra.

È dunque una questione letteraria quella affrontata da Fiammetta, che si rivela controfigura dell‟autore nel momento in cui dichiara il valore dell‟esperimento elegiaco rispetto alla tradizione tragica: una storia d‟amore infelice può essere affidata al genere dell'elegia, inferiore secondo il canone medievale, senza per questo perdere in drammaticità. Ma l‟elegia che propone Boccaccio non è né quella latina, né quella medievale, bensì un genere rinnovato, che coniuga il dolore amoroso di Ovidio con l‟opera distruttiva di una Fortuna che causa il rivolgimento di ogni tipo di felicità (non solo quella in amore), lasciando tuttavia qualche spazio all‟intervento dell‟uomo106. La chiave di questo genere, che non a caso si esprime in prosa, è il tempo; nel confronto tra passato e presente si misura la profondità del dolore: un‟operazione che è alla base della scrittura di Fiammetta e la cui continuità arriva ad eccedere persino la gradazione di sofferenza di miti tragici, tradizionalmente ritenuti inarrivabili sotto questo aspetto. La strategia scelta da Fiammetta è di superarli in una durata che si fa garanzia di verità: per quanto famosi e densi di dolore, gli exempla sono in definitiva meno “veri”; appartengono ad un mondo lontano dalla società attuale, dove si deve tener conto di fattori relazionali cogenti (l‟onore, il buon nome, la fedeltà coniugale) che impediscono i gesti estremi e tragici di antiche eroine, le quali nulla

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DELCORNO, Note sui dantismi nell‟«Elegia di madonna Fiammetta», cit., p. 289. 105

Ivi, p. 290. 106

Questa la prospettiva del personaggio della Balia, nelle cui parole si preannuncia una concezione della Fortuna diversa da quella di Fiammetta e che preannuncia invece il Decameron

173 sembra invece vincolare107. Fiammetta tiene celato il suo amore adultero, attribuisce a motivi non veri il suo deperimento, causato in realtà dall‟abbandono dell‟amante, e sceglie la modalità del suicidio (poi fallito) in base alla possibilità di farlo passare per un incidente. Quando si confronta con gli exempla, la narratrice evidenzia, insieme con la continuità, anche la profondità nascosta del proprio dolore, incapace di manifestarsi in forme eclatanti e