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L‟U NIVERSITÀ E LA NASCITA DELLA LETTERATURA VOLGARE

LA DISPUTATIO OLTRE I CONFINI DELL’UNIVERSITÀ

1. L‟U NIVERSITÀ E LA NASCITA DELLA LETTERATURA VOLGARE

«Senza negare alle creazioni della letteratura e dell‟arte il loro carattere specifico di prodotti dell‟immaginario e senza dimenticare il valore individuale dello scrittore e dell‟artista, oggi sappiamo che la letteratura – contrariamente a quanto credevano i romantici e gli idealisti – non nasce spontaneamente e non si sviluppa separata dal contesto sociale. La letteratura medievale non sfugge a queste condizioni di radicamento nella società»1. Nel delineare l‟ampio e variegato fenomeno di «fioritura che abbraccia tutto l‟Occidente cristiano a partire, all‟incirca, dall‟Anno Mille, e culmina nel XII secolo»2

, Jacques Le Goff vi fa confluire insieme la nascita delle letterature volgari e lo sviluppo delle università; due aspetti della medesima rinascita, quello letterario e quello delle istituzioni culturali, che rivelano le reciproche interconnessioni proprio nella penisola italiana, dove «la forza del movimento comunale e il frazionamento politico, fonte di emulazione fra le città, hanno moltiplicato le università e le hanno radicate nel loro ambiente culturale e sociale, creando le condizioni favorevoli a un‟attività letteraria locale e regionale»3. Nell‟Italia

comunale (ma insieme imperiale e pontificia) la diffusione delle università, nonché quella forse ancor più capillare degli studia domenicani e francescani, caratterizzati da organizzazione e metodo di insegnamento del tutto omologhi a quelli universitari4, ha un

1

J. LE GOFF, Alle origini del lavoro intellettuale in Italia. I problemi del rapporto fra la letteratura,

l‟università e le professioni, in Letteratura Italiana, diretta da A. Asor Rosa, vol. I, Il letterato e le istituzioni,Torino1982, pp. 649-79, a p. 649. 2 Ibidem. 3 Ivi, p. 650. 4

Cfr. R. ANTONELLI, L‟ordine domenicano e la letteratura nell‟Italia pretridentina, in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa, vol. I, cit., pp. 681-728, a p.704, per il ruolo di mediazione culturale tra il potere e la masse svolto a vari livelli dai domenicani, attraverso le loro scuole, la produzione scolastica, la predicazione, che con Giordano da Pisa adotta «la tecnica retorica del sermone moderno (...) espressione specifica della

34 ruolo non secondario nell‟espansione delle letterature volgari; ad esse reca in primo luogo un contributo nel campo della formazione, elargendo alle due parti attive nella comunicazione letteraria, gli autori e il pubblico, una comune base culturale. Quella italiana del Duecento è una società in rapida evoluzione, alla cui varietà di esigenze (legate soprattutto alla «moltiplicazione dei centri amministrativi e burocratici»)5, presta il suo apporto la triplice disciplina del Trivium, che dalle scuole passa alla facoltà delle Arti; queste, con il loro ordinamento, «specie i primi due anni di studio di grammatica e logica (...) fornivano la conoscenza di base comune agli intellettuali del Medioevo»6. In Italia le Arti sono originariamente annesse ad università nate con una specifica vocazione giuridica, come quelle di Padova e Bologna; vi si studia grammatica, filosofia naturale, logica: lo studio di quest‟ultima risulta particolarmente avanzato7.

A Bologna, dal XIII secolo, le arti del Trivio si rinnovano, specializzandosi nella dottrina dell‟ars dictandi 8.

La retorica di ascendenza ciceroniana, nella sua proteiforme natura di arte e tecnica della persuasione, scienza del parlare ma anche dello scrivere secondo regole, trova una nuova vita quale disciplina del dictamen, il documento ufficiale steso secondo le «forme corrette ed eleganti quali si esigevano dal costume

cultura dialettica universitaria». Analoga funzione viene individuata da C. BOLOGNA, L‟Ordine francescano e

la letteratura nell‟Italia Pretridentina, in Letteratura italiana, diretta da Asor Rosa, vol. I, cit., pp. 729-797, p.

736, per l‟ordine francescano, che, alla fine del XIII secolo, «può dirsi ormai a pieno titolo ordo studens, accanto a quello domenicano» e il cui insegnamento condiziona, attraverso una serie di mediazioni, il pensiero laico; cfr. ancora BOLOGNA, cit., p. 740, per l‟ambito bolognese, dove le Quaestiones de gratia di Matteo

d‟Acquasparta «segnalano manifestamente l‟interesse appassionato per il dibattito sull‟aristotelismo e per l‟averroismo anche nell‟ambiente francescano, la cui mistica speculativa fu piuttosto intrisa di elementi d‟ascendenza neoplatonica ed agostiniana».

5

S. BATTAGLIA, La letteratura italiana, vol. I, Medioevo e umanesimo, Firenze 1971, p. 27; ma cfr. l‟intero paragrafo intitolato L‟insegnamento della retorica, ivi, pp. 27-31.

6

J.PINBORG,A.KENNY, La letteratura filosofica medievale, in Filosofi e teologi. La ricerca e l‟insegnamento

nell‟università medievale, a c. di L. Bianchi e E. Randi, Bergamo 1989, pp. 109-43, a p. 113.

7

A. MAIERÙ, L'insegnamento della logica a Bologna nel secolo XIV e il manoscritto antoniano 391, in

Rapporti tra le università di Padova e Bologna, a cura di L. Rossetti, Trieste 1988; poi in A. MAIERÙ,

University Training in Medieval Europe, tr. and ed. by D.N. Pryds, Leiden - New York – Köln 1994.

8

La retorica medievale si articola in varie branche, tra cui quelle dell‟ars praedicandi e dell‟ars poetriae, che come l‟ars dictaminis applicano le regole del De inventione e della Rhetorica ad Herennium alle nuove esigenze della predicazione e della poesia. Per un quadro generale vedi J. J. MURPHY, La retorica nel

medioevo, Napoli 1983. Per le artes poeticae, di ambito francese, ma molto note in Italia, dove tra l‟altro sono

35 contemporaneo»9. Chi a qualunque titolo voglia accedere all‟amministrazione della cosa pubblica passa per questo tipo di studi, che dunque formano la classe dirigente attraverso la rinnovata interpretazione di una disciplina antichissima; della sua tradizione, la retorica non dimentica né la combattività argomentativa (estesa dall‟orazione classica all‟epistola dalla Rettorica di Brunetto Latini), né l‟attitudine all‟esegesi poetica, come dimostrano le esemplificazioni di metafore apportate nella sua Rhetorica Novissima (divulgata nel 1235) da Boncompagno da Signa10. Questi è uno dei maggiori maestri dello Studio bolognese, che con il magistero di un altro famoso professore, Guido Faba, comincia a vedere affiancato al latino il volgare nell‟esemplificazione dei vari tipi di epistole. La didattica delle Arti, insomma, è un crogiolo di tecniche nuove e consolidate tradizioni culturali, che attraverso la riflessione sul latino e la sua assunzione a modello per il volgare, offre a quest‟ultimo le condizioni propizie per assurgere a lingua letteraria11. Una situazione indagata, per lo Studium di Arezzo, da Helene Wieruszowski12. Non va tuttavia dimenticato il ruolo che nella trasformazione del volgare in lingua letteraria hanno svolto non solo le traduzioni dal latino, ma anche i volgarizzamenti da quelle lingue romanze d‟oltralpe che avevano già sviluppato, in anticipo rispetto all‟Italia, una raffinata produzione letteraria.

Un insegnamento come quello impartito presso le Arti, fornendo un omogeneo livello di competenze (linguistiche, retoriche, grammaticali), ha dunque contribuito alla

9

BATTAGLIA, La letteratura italiana, vol. I, cit., p. 28. 10

Nella Rhetorica Novissima, libro IX, di Boncompagno, il capitolo De transumptionibus, che ha per argomento: «Quod aliqua per diversos effectos in bonam et malam significationem transumitur», così esemplifica: «Mulier speciosa transumitur in deam, Venerem, Palladem et Iunonem, in solem, lunam et stellam (...) Amplius capilli transumuntur in aurum contortum, oculi in stellas, dentes in ebora (...) bracchia in ramos Libani, crura et coxe in cristallinas columnas» (in VECCHI, Il magistero, op. cit., note 62 e 63, p. 25). Evidenti le analogie con gli esempi di descriptio superficialis offerti dai manuali di ars poetriae, come la Poetria nova di Goffredo di Vinsauf (in Faral, Les arts poétiques, op. cit.), autore che secondo alcuni critici avrebbe seguito i corsi bolognesi.

11

Cfr. P. VON MOOS, La retorica nel medioevo, in Lo spazio letterario del Medioevo, 1. Il Medioevo latino, a c. di G. Cavallo, Cl. Leonardi, E. Menestò, vol. I, La produzione del testo, tomo II, Roma 1992, pp. 231-271; per lo studioso, nell‟Italia medievale la retorica gode di una condizione privilegiata, che sulla scia di Boezio e Vittorino le consente di non ridursi a mera dottrina dell‟ornatus, conservando invece il carattere argomentativo che la accomuna alla dialettica, con la differenza che l‟una (la retorica) si rivolge al concreto, l‟altra (la dialettica) all‟astratto.

12

Cfr. H. WIERUSZOWSKI, Arezzo as a Center of Learning and Letters in the Thirteenth Century, in «Traditio», 9 (1953), pp. 321-392, poi in Politics and Culture in Medieval Spain and Italy, Roma 1971, pp. 387-474.

36 formazione di un pubblico alla nuova letteratura volgare, con cui gli stessi autori (provenienti dalle file dei notai, giudici, cancellieri)13 condividono, sia pure ad un grado più alto di padronanza, le medesime abilità. Una sorta di “piattaforma culturale”, dunque, nella cui composizione entra lo stesso metodo attraverso il quale passano (e ancor prima si costruiscono) le conoscenze; è il procedimento della disputatio, che, in quanto metodo logico, presso le Arti era al tempo stesso anche materia di studio. Avendo infatti questa facoltà un ruolo propedeutico rispetto alle altre, il suo compito fondamentale «era di fornire ai giovani studenti gli strumenti scientifici necessari agli studi superiori. Tra questi strumenti, la logica (la dialettica) occupava un posto privilegiato. La sua acquisizione non risultava da uno studio puramente teorico. Tanto arte quanto scienza, essa si acquisiva attraverso una continua pratica. Il metodo delle dispute era il mezzo più adeguato per il suo effettivo apprendimento»14. A Bologna, nel XIII secolo, l‟insegnamento dell‟ars dictandi trova una «nuova impostazione logico-dialettica»15, inserendosi a pieno titolo nel rinnovamento degli studi triviali, avviato dalla riscoperta della logica nova. Ancora la Rhetorica novissima di Boncompagno costituisce un documento circa l‟adozione delle nuove tecniche didattiche, consistenti nel «metodo scolastico che procede attraverso la lezione, il problema, la discussione, la soluzione ad opera del maestro (lectio, quaestio, disputatio, determinatio)»16. Presso le facoltà di Arti italiane, quanto presso quella parigina, la didattica della grammatica e della dialettica adotta tecniche che variamente mettono in pratica il modello della quaestio disputata, arrivando, con le questioni indipendenti e con i sophismata del Trecento, a livelli di articolazione e difficoltà paragonabili a quelli delle esercitazioni in ambito teologico17.

13

Cfr. BATTAGLIA, La letteratura italiana, cit., p. 28: «Per noi assume valore determinante la constatazione che la prima letteratura d'arte in lingua italiana si sia sviluppata come occupazione intellettuale di questa categoria di giudici, notai, cancellieri, dettatori».

14

BAZAN, Les questions disputées, op. cit., p. 85. 15

G. VECCHI, Il magistero delle “artes” latine a Bologna nel Medioevo, Bologna 1958, pag. 16. Nel XIII secolo si colloca la «fase matura delle arti del trivio a Bologna: nel nuovo clima di studi, l‟aspirazione costante (...) alla elocuzione ornata si tradusse nella teoria e nella prassi del dictamen. L‟arte del dettare fu, ad un certo momento, comprensiva di tutta la tecnica dello scrivere d‟arte, in prosa e in poesia, volle tradurre il vasto ambito dell‟eloquentia antica in un sapere d‟interesse universale, che abbracciava anche la filosofia, la dialettica e la grammatica» ed era finalizzato a rispondere alle esigenze del moderno Comune (ivi, p. 9). 16

LE GOFF, Alle origini del lavoro intellettuale, op. cit., p. 656. 17

Cfr. gli studi citati nel capitolo precedente, in part. O. WEIJERS, La disputatio dans les Facultés des arts au

Moyen Age, Turnhout 2002; EADEM, La disputatio à la Faculté des arts de Paris (1200-1350 environ):

37 Il metodo universitario, che si articola intorno alla disputatio quale mezzo di insegnamento, esposizione e ricerca, si afferma tra la fine del XII e il XIV secolo come il metodo intellettuale per eccellenza: “masticato” da chiunque abbia frequentato uno Studium, sia pure alla quota “elementare” delle Arti, diviene una struttura mentale che influenza la considerazione stessa della realtà. Il pensiero medievale è imbevuto di esprit de controverse, perché cerca la verità attraverso il contrasto di opinioni, in tutti i campi del sapere. «Il metodo del sic et non abelardiano ha un posto nella storia della logica, come della teologia e del diritto canonico»18. In mano ad autori di una certa levatura, in possesso di una competenza attiva e non solo passiva, il modello scolastico diviene la via privilegiata della comunicazione diseguale con il lettore, da magister ad allievo.