IL MODULO QUESTIONATIVO NELLA PRODUZIONE DEL BOCCACCIO NAPOLETANO
2. L E « QUESTIONI D ‟ AMORE » DEL F ILOCOLO
La quaestio disputata, che nel Filostrato funge da principio organizzativo del Proemio, in un‟altra opera napoletana del Boccaccio, il Filocolo, costituisce il modulo costruttivo di un intero episodio, quello delle «questioni d‟amore». La differenza nell‟impiego del modello scolastico è addebitabile al diverso genere letterario cui appartengono i due testi boccacciani. Al leggero intreccio del poemetto la disputa è anteposta, presentata come rivissuta nella memoria dall‟autore, che ne fa il nesso tra la vicenda personale e la scrittura. Nel Filocolo, romanzo-fiume a sfondo storico, la quaestio disputata è invece inserita nel tessuto narrativo e si sviluppa in durata secondo un modello seriale, cui si affidano l‟esposizione e la difesa di una personale concezione d‟amore36
. Comune al ri-uso della forma questionativa nei due testi è la sua contestualizzazione cortese, che, richiamando probabilmente usanze della corte angioina, diverge in entrambi i
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L‟undicesima delle «questioni d‟amore» del Filocolo propone il medesimo problema di quella proemiale del
Filostrato, ma riducendo a due le alternative e assegnando ad essa un diverso scioglimento; la soluzione della
questione prospettata nel Filocolo è infatti che fonte di maggior diletto sia il pensare alla donna. Il fatto che questa sia proprio la posizione esplicitamente ritrattata nel Filostrato, fa supporre che il Filostrato sia stato composto dopo il Filocolo. Cfr. BATTAGLIA RICCI, Boccaccio, pp. 78-79: «L‟anteriorità del Filocolo sul
Filostrato è comunque confermata da una sorta di ritrattazione delle tesi sostenute nel Filocolo, che si legge
nelle pagine iniziali del Filostrato» (pp. 78-79); diversa l‟opinione di BRANCA, Introduzione a G. BOCCACCIO,
113 casi dall‟ambientazione della vicenda, troiana (come si è visto) nel Filostrato, tardo-antica nel Filocolo.
Sullo sfondo della prima era cristiana si collocano infatti le peripezie affrontate nel romanzo dai protagonisti, Florio e Biancifiore, i due fedeli amanti ingiustamente separati, che riusciranno infine a ricongiungersi. Lo sforzo ambizioso di dare veste classica ad una materia di tradizione popolare, trasmessa dal poemetto francese intitolato Conte de Floire et Blancheflor, dà luogo nel Filocolo ad un pastiche di generi e modelli, nel quale risulta prevalente e originale del Boccaccio la prospettiva della quête: la ricerca della donna amata da parte di Florio si manifesta progressivamente come un‟«educazione alla vita»37
, che lo condurrà alla conversione al Cristianesimo.
Nel percorso formativo del protagonista, una tappa fondamentale è rappresentata dall‟episodio delle «questioni d‟amore», in cui Victoria Kirkham riconosce un‟eco poetica dello schema narrativo che presiede all‟intero romanzo, dominato dal contrasto tra l‟amore mondano e l‟amore cristiano, ma tendente verso la conversione dei personaggi (anche minori) dall‟uno all‟altro38
. Sulla stessa linea interpretativa si pone Roberta Morosini, che legge le questioni come commenti diretti, anche se non esplicitati per tali, alle vicende di Florio; il protagonista, tramite questa «terapia di gruppo (…) impara dalle esperienze o dai racconti degli altri»39 a superare l‟amore folle, cioè passionale e «per diletto», fino a raggiungere quello guidato dalla ratio.
Con un paradossale e anacronistico scarto diegetico, l‟episodio delle «questioni d‟amore» viene non solo collocato sullo sfondo tardo-gotico di un giardino partenopeo, dove una lieta brigata di giovani (presaga di quella decameroniana) si dà al festeggiare con melodie e canti, ma proposto e guidato dalla medesima Fiammetta che era apparsa, come committente dell‟opera, al principio del Libro Primo. In forma leggermente diversa da quella constatata nel Filostrato, si manifesta la stessa, costante esigenza boccacciana che la scrittura risulti scaturire da un‟autobiografia, forse più romanzata che reale, ma in ogni caso presentata come vera. È infatti Fiammetta, di cui lo scrittore si è dichiarato innamorato all‟inizio del romanzo, che gli ha chiesto di restituire debita dignità narrativa e stilistica alla bella storia di Florio e Biancifiore, finora «lasciata solamente ne‟ fabulosi parlari degli
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MUSCETTA, Boccaccio, cit., p. 56. 38
Cfr. V. KIRKHAM, Reckoning with Boccaccio‟s «Questioni d‟amore», in «Modern Language Notes», 89
(1974), pp. 47-59. 39
R. MOROSINI, «Per difetto rintegrare». Una lettura del «Filocolo» di Giovanni Boccaccio, Ravenna 2004, Cap. II, Le «quistioni d‟amore», pp. 61-89, a p. 73.
114 ignoranti»40; nel Libro Quarto, dove viene presentata in termini di lode ed esaltazione da Caleon (controfigura, e non l‟unica nel testo, di Boccaccio) come colei che tiene i giovani «assembrati tutti in un volere»41, la stessa nobile giovane propone il gioco delle questioni d‟amore, delle quali viene unanimemente eletta regina.
A lei vengono avanzati a turno, da altrettanti membri della brigata, tredici quesiti d‟argomento amoroso, alcuni dei quali concernono l‟intensità di un sentimento o di una virtù valutabile in una determinata situazione (e vertono dunque sul maggiore o minor grado di amore, dolore, allegrezza, lealtà, liberalità), altri chiedono invece una precisa direttiva sulla scelta dell‟oggetto da amare (e quindi concernono non la quantità, ma la qualità o forse l‟adeguatezza del partner: una donna deve scegliere il cavaliere che ha vinto per lei in torneo o quello che si è fatto vincere per lo stesso motivo? e per un uomo è meglio che la donna da amare sia più o meno nobile di lui? timida o disinvolta? e così via). Tra le questioni del primo tipo, particolarmente interessanti sono le due sul maggior dolore, declinato prima al femminile (nella seconda questione: tra due sorelle, delle quali la prima ha perduto il proprio amante senza speranza di riaverlo, l‟altra non è riuscita a far suo l‟uomo amato, «quale maggiore doglia vi pare che sostenga»)42, poi al maschile (nella quinta questione43, dove Clonico chiede la soluzione di una disputa sorta tra lui stesso ed un suo amico, sostenendo entrambi di avere il primato della sofferenza amorosa, l‟uno perché non è mai stato ricambiato dalla donna amata, l‟altro che è tormentato dalla gelosia). Entrambe le questioni presentano affinità terminologiche e concettuali con le due opere boccacciane, il Filostrato e l‟Elegia di Madonna Fiammetta, ascrivibili al genere elegiaco, che vi appare caratterizzato soprattutto dall‟intervento della fortuna e dal motivo boeziano del passato felice come causa di massima intensità del dolore presente44. Anche per la seconda delle due tipologie di questioni da noi individuate, quella che concerne la richiesta di un parere, sussiste un certo equilibrio, essendo ad esempio rappresentata la parte femminile dalla domanda di Giovanna: «Consigliatemi, adunque, a quale io più tosto, per meno biasimo e per più sicurtà, io mi deggia di costoro donare», tra un uomo saggio, uno liberale, uno
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G. BOCCACCIO, Filocolo I 1,25, a c. di A.E. Quaglio, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, Milano 1967
(da cui si cita). 41 BOCCACCIO, Filocolo IV 16,1. 42 Filocolo IV 23,16. 43 Filocolo IV 35-38. 44
115 forte45; quella maschile dalla proposta di Ferramonte: «Disidero di sapere da voi, di cui più tosto un giovane, per più felicemente il suo disio ad effetto conducere, si dee innamorare di queste tre, o di pulcella o di maritata o di vedova»46.
Come si può intuire già da questa sommaria presentazione, le questioni possono essere di natura tanto concreta quanto astratta. In quest‟ultimo caso, il problema è posto direttamente, senza narrazione, giacché è di natura teorica. Nel primo caso (che è quello più rappresentato, con una percentuale di nove su tredici), la questione scaturisce da una narrazione che si vuole realistica, tanto che chi la propone se ne presenta come protagonista o almeno come testimone; in due occasioni la narrazione si amplifica a vera e propria novella: è il caso della quarta questione, introdotta dal racconto del giardino in pieno gennaio47, e della tredicesima, che nasce dalla storia della donna creduta morta48; entrambe entreranno, conservando una traccia della loro originaria funzione disputativa, nella Giornata X del Decameron.
In tutte le sue possibilità, astratta o concreta, con o senza narrazione, la questione del Filocolo propone costantemente una scelta, di solito tra due partiti, che più raramente divengono tre49; a differenza di quanto si verifica nel De amore di Andrea Cappellano, che pure costituisce un modello per l‟episodio boccacciano, la questione non è semplicemente una domanda che si esaurisce, contentandosene, con la risposta della regina; la proposta del dubbio provoca, tra Fiammetta e il suo interlocutore di turno, un dibattito che si svolge secondo uno schema costante, articolato in quattro punti: proposta della questione, prima risposta della regina, replica contraria del proponente, sentenza definitiva della regina50. Questa l‟organizzazione delle questioni del Filocolo, che i pur presenti modelli letterari, individuati dalla critica passata e recente, non sembrano spiegare esaurientemente, 45 Filocolo IV 27,6. 46 Filocolo IV 51,2. 47
La quarta questione (Filocolo IV 31-34) è proposta da Menedon: «Dubitasi ora quale di costoro fosse maggiore liberalità, o quella del cavaliere che concedette alla donna l'andare a Tarolfo, o quella di Tarolfo, il quale (…) rimandò la sopradetta donna intatta al suo marito; o quella di Tebano, il quale (…) ogni cosa rimise, rimanendosi povero come prima».
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La tredicesima questione (Filocolo IV 67-70) è avanzata da Messaallino: «Si dubita qual fosse maggiore, o la lealtà del cavaliere o l'allegrezza del marito, che la donna e 'l figliuolo, i quali perduti riputava sì come morti, si trovò racquistati».
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Cfr. BAZÀN, Les questions disputées, cit. p. 65, per la possibilità che la disputatio scolastica sia «bifulcata et etiam trifulcata», ovvero «triplex». Tre sono anche, come si è visto, i partiti del Proemio del Filostrato. 50
Cfr. L. SURDICH, Il «Filocolo»: le «questioni d‟amore» e la «quête» di Florio, in IDEM, La cornice di
116 soprattutto quanto al rapporto fra la struttura della singola questione ed il suo inserimento nella compagine dell‟episodio. Al De amore, cui si accennava sopra, le questioni del Filocolo si avvicinano per il capitolo De variis iudiciis amoris51, nel quale un‟ampia casistica cortese si dispiega attraverso le situazioni problematiche sottoposte all‟autorevole parere della Contessa di Campagna ed altre nobili dame, i cui giudizi non sono tuttavia, come invece avviene nel romanzo boccacciano, soggetti a dibattimento. Che prende invece ampio spazio in un‟altra sezione del trattato del Cappellano, laddove si propongono modelli di dialogo tra uomo e donna, differenziati a seconda delle varie condizioni sociali52, in cui la proposta d‟amore dell‟uno suscita le acute opposizioni dell‟altra, assumendo così la forma del «dibattito-dialogo tra l‟uomo e la donna, tra le parole che vengono consigliate a Gualtieri e le supposte repliche avversative dell‟innamorata»53
. Se il De amore offre al Filocolo, ma distinti, sia il modello della serie di dubbi come mezzo per esporre l‟ideologia cortese, sia l‟esempio di tecniche di discussione, già applicate peraltro al contraddittorio amoroso dal genere poetico del débat o contrasto, è forse il joc partit, in ambito letterario, la forma più vicina a quella boccacciana. È questo diffuso sottogenere della tenzone d‟oltralpe che fornisce alle questioni del Filocolo non solo la maggior parte dei temi54, ma probabilmente anche lo spunto per la struttura alternata; in entrambe le situazioni, infatti, la discussione prende le mosse dalla proposta di qualcuno (un poeta nel joc, un personaggio nell‟episodio boccacciano), che avanza l‟argomento problematico senza schierarsi per l‟una o l‟altra delle posizioni possibili, ma lasciando la scelta all‟avversario. Una conferma che Boccaccio si sia ispirato al joc partit può leggersi nella evidente rivitalizzazione della sua valenza sociale, di quel carattere ludico che, affondando le radici nell‟ambiente cortese, è all‟origine dello scarso radicamento nell‟Italia comunale55
. Il nostro autore, che a Napoli ha forse l‟opportunità di frequentare una corte francese a tutti gli effetti, dove potrebbe aver assistito o addirittura partecipato a degli jeux partis, ne recupera il valore performativo nella
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Cfr. ANDREA CAPPELLANO, De amore, II xxxi, a cura di G. Ruffini, Milano 1980. Il trattato, ben noto al
Boccaccio, rappresenta un ascendente delle «questioni d‟amore», sia per il ruolo che vi svolge Fiammetta nelle vesti di regina, sia per la tecnica disputativa.
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ANDREA CAPPELLANO, De amore I xi-xviii. 53
SURDICH, Il «Filocolo»: le «questioni d‟amore», cit., p. 21. 54
Cfr. P. RAJNA, L‟episodio delle questioni d‟amore del «Filocolo» del Boccaccio, in «Romania», 31 (1902), pp. 28-81. Del joc partit, si è trattato sopra, nel Cap. II, dove un accenno è dedicato anche al débat.
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117 propria fictio, facendone un momento della festa descrittavi56. All‟intrattenimento cortese ricondurrebbe anche un altro possibile modello, il gioco de «Le Roi qui ne ment», ricordato in alcuni testi letterari (tra cui Le jeu de Robin e Marion, che Adam de la Halle compose a Napoli presso la corte di Carlo I), dove si rappresenta un magister o una magistra ludi che in un gruppo di dame e cavalieri pone a ciascuno una domanda, per poi (almeno secondo una parte delle testimonianze) a sua volta rispondere con sincerità57.
Di probabile ascendenza letteraria, dunque, sia la valenza ludico-cortese, sia la disposizione oppositiva propria del joc partit, che tuttavia “mancano” quella che pare la peculiarità delle questioni d‟amore del Filocolo: la combinazione della forma disputativa con un‟organizzazione chiusa, o meglio la tensione della prima verso la seconda. Ciascuna questione, infatti, si snoda attraverso lo scambio di battute tra il proponente e la regina, ma tende al tempo stesso verso la soluzione, data da Fiammetta in termini tali da non lasciare dubbi circa l‟importanza che ad essa si annette: «E però noi ultimamente tegnamo, conchiudendo, che quegli sia più amato a cui è donato, che a cui è tolto»58.
La ripetizione della medesima struttura per i tredici interventi, evidenziata dalla cadenza di formule ritornanti, contribuisce a delimitare l‟insieme coeso in cui si collocano le singole questioni. Un‟organizzazione simile non è del joc, canzone a quattro mani dove lo scontro tra i due poeti che vi prendono parte termina (come abbiamo visto) con l‟appello ad uno o più giudici, ma non con le loro sentenze: segno di un disinteresse per il raggiungimento della verità, che fa tutt‟uno con l‟assenza dell‟autore unico, del magister che si assume la responsabilità della definizione. Nel Filocolo, al contrario, al termine di ogni questione cade inesorabile la soluzione di Fiammetta, presentata costantemente con lo
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SABATINI, Napoli angioina, cit., p. 35, ricorda che Carlo I, «fornito di un‟educazione cavalleresca e
letteraria», era stato arbitro di jeux partis, e addirittura in uno si era misurato con Perrin d‟Angicurt. 57
La possibile influenza del gioco de «Le Roi qui ne ment» sulle questioni del Filocolo è stata di recente avanzata da MOROSINI, «Per difetto rintegrare», op. cit., che sviluppa la tesi di R.F. GREEN, «Le Roi qui ne
ment» and Aristocratic Courtship, in Courtly Literature: Culture and Context, by K. Busby, E. Kooper,
Amsterdam and Philadelphia 1990, pp. 211-225. Ma già RAJNA, L‟episodio delle questioni d‟amore, p. 70, afferma che la riunione di giovani descritta nel Filocolo è una Corte d‟Amore e ritrae «costumanze reali della Napoli contemporanea», importate dalla Francia, dove era vivo «l‟uso di designare, là dove si festeggia, dei “Re” e delle “Regine”», come testimoniano vari esempi letterari in lingua d‟oc e d‟oil. In particolare, il fabliau di Jean de Condé intitolato Li sentiers batus, «ci rappresenta un‟accolta di dame, donzelle, cavalieri, simile alla nostra che, dopo aver atteso ad altri svaghi “une royne fistrent / Pour jouer au roy qui ne ment” (...) Il giuoco consiste in ciò, che il Re – oppure la Regina – rivolge per turno una domanda a tutti i partecipanti, e deve poi rispondere con verità a quella che, terminato il giro, ciascuno, per turno del pari, rivolge a lui – od a lei». 58
118 stigma della verità e con toni solenni che non hanno nulla del gioco; si veda la determinatio della questione X: «Basti oramai per risponsione ciò che detto avemo a voi, il quale la lunga età dee più che gli altri fare discreto. Crediamo che quando queste poche parole per la mente debitamente avrete digeste, troverete il nostro giudicio non fallace, ma vero e da dovere essere seguito»59. Tali toni richiamano semmai le definizioni dei giudizi d‟amore del Cappellano, le quali non scaturiscono però, come si è detto, da un dibattito.
L‟episodio del Filocolo presenta una complessa originalità organizzativa, che sembra mirare, attraverso un sistema di questioni, alla definizione del tema amoroso, secondo la prospettiva e la responsabilità di un auctor (del quale Fiammetta è figura), che tuttavia non rifiuta il confronto con posizioni opposte alla propria. Una simile compenetrazione tra apertura del dibattito e chiusura della definizione conclusiva, che dal punto di vista tematico riflette la dialettica tra inserimento nella tradizione e innovazione personale, non pare essere frutto esclusivo della riflessione su schemi letterari, ma più plausibilmente di una integrazione di questi con il modello universitario della quaestio disputata. È soprattutto il ruolo che in tale procedura didattica e di ricerca gioca il magister a suggerire un accostamento, che nel Filocolo trova conferme strutturali, incognite invece ai modelli poetici pure influenzati dalla scolastica per l‟impostazione disputativa e la tecnica della discussione. Se ne rinvengono chiari indizi nella lettura della questione principale del romanzo boccacciano, la settima, che si colloca, sia per l‟ordine che per l‟argomento, al centro dello schema «center-oriented»60 in cui si organizza l‟episodio.
Introdotta da una descriptio pulchritudinis, che, insieme con la descriptio loci in cui è armoniosamente inserita, colloca questa pausa tra la pittura tardo-gotica e l‟ammirazione estatica dello Stilnovo (con varie riprese dalla Vita nova e dalle Rime dantesche), la questione settima viene posta a Fiammetta da Caleon, di lei innamorato. Un contesto lirico, con il quale contrastano i termini teorici in cui viene formulata la domanda: «se a ciascuno uomo, a bene essere di se medesimo, si dee innamorare o no»61. Il contrasto riflette la contraddizione interiore della stessa Fiammetta che, pur essendo soggetta ad Amore, sarà tenuta dall‟imparziale moralità del suo ruolo a deliberare contra, definendolo passione irrazionale e perniciosa.
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Filocolo IV 55-58; dove si può cogliere forse un‟eco delle parole di Cacciaguida a Dante, in Paradiso XVII, 130-132: «Ché se la voce tua sarà molesta / nel primo gusto, vital nodrimento / lascerà poi, quando sarà digesta».
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KIRKHAM, Reckoning with Boccaccio‟s «Questioni d‟amore», cit., p. 52. 61
119 Evidenti emersioni del linguaggio e dei procedimenti scolastici sono spia dell‟impostazione “specialistica” del dibattito, che trova piena esplicitazione nella evidente specularità dei discorsi, i quali si rispondono e richiamano per opposizione. Alla proposta del tema dilemmatico (“se sia bene per l‟uomo innamorarsi o no”), segue la prima risposta della regina, la quale, dopo aver distinto tre tipi di amore, onesto, per diletto, per utilità, si sofferma sull‟amore per diletto, definendone la natura in termini del tutto negativi, da cui consegue la necessità di evitarlo. La replica di Caleon argomenta, in contrario, come l‟amore costituisca una fonte di virtù e sia dunque bene per l‟uomo innamorarsi; viene tuttavia annullata dalla sentenza definitiva della regina, che confuta gli argomenti di Caleon, ne apporta altri in proprio favore e ribadisce la sua tesi.
Lo stile della questione lascia affiorare la terminologia scolastica, adottata in tutto l‟episodio per sottolineare gli snodi del ragionamento: «essere manifesto», da manifestum est, formula tipica dei trattati latini, nonché del Convivio62; «ancora», dall‟adhuc che presso gli scolastici segna il passaggio ad altro argomento63. Affini sono le indicazioni che, spesso riassumendo lo stato del discorso, anticipano il senso e lo scopo di ciò che si sta per dire 64: «Ma però che tu essemplificando ti 'ngegni di dimostrarne da costui ogni bene e ogni virtù procedere, a riprovare i tuoi essempli procederemo»65; qui «riprovare» vale «confutare», come nel procedimento adottato nel secondo canto del Paradiso, dove, per esporre la teoria delle macchie lunari, Beatrice prima smentisce la posizione opposta (sostenuta dal Dante agens), poi argomenta la propria: «Quel sol che pria d‟amor mi scaldò ‟l petto, / di bella verità m‟avea scoverto, / provando e riprovando, il dolce aspetto»66
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Alcune espressioni boccacciane, nel richiamare direttamente la quaestio disputata, ne designano lo svolgimento: «in dubbio»67 introduce non solo questa settima, ma con alcune varianti anche altre questioni68, alludendo al formulario con cui nel corso della Lectio vengono inseriti i dubia e le quaestiones: dubium est, dubitandum est, dubitatio (pure nei