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Il soggetto maschio sui iuris, sano di mente, privo di tutore pupillare e di curatore, può contrarre autonomamente il proprio fidanzamento; dotato di capacità giuridica e svincolato da qualsivoglia ingerenza paterna, egli può assumersi la propria responsabilità. Già in età arcaica costui era pienamente capace di impegnarsi e di assumere le relative conseguenze della promessa di matrimonio; l’evoluzione classica dell’istituto garantisce ancor più l’autonomia del soggetto di proprio diritto458.

Quid iuris in caso di un sottoposto? Il problema ben si coglie nelle conseguenze di un gesto che configura nel mondo romano un atto di disposizione della propria libertà personale-affettiva.

Il confronto di due testi paolini impegna da sempre la dottrina che si interroga sull’autonomia dei futuri sponsi:

D.23.1.7.1, Paul. 35 ad ed.

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Volterra (Ricerche intorno agli sponsali, cit. pp. 351-352), dalla lettura delle fonti storico-letterarie (tra cui Corn. Nep., Att. 19-20) e di quelle giuridiche (D.23.1.14, Mod. 4 diff. e Paul. Sent. 2.19.1), deduce che anche successivamente alla legislazione augustea fosse ammesso il fidanzamento con la fanciulla infradecenne; la posizione di Astolfi, (Il fidanzamento nel diritto romano, cit. pp. 65-66) è ancor più precisa e ben definita: il fidanzamento contratto con l’infradecenne è «non regolare» e «irrilevante» secondo la lex Iulia de maritandis ordinibus, così come aggiornata dalla lex Papia et Poppaea nuptialis. L’A. trova conforto proprio nell’attestazione di Modestino (D.23.1.14, 4 diff.).

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Astolfi, La lex Iulia et Papia, cit. p. 10; Idem, Il matrimonio nel diritto romano classico, cit. passim.

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Applichiamo in via analogica, se non addirittura per argumentum a fortiori, la regola di Modestino, espressa in D.23.2.25, Mod. 2 reg.: filius emancipatus etiam sine consensu patris uxorem ducere potest et susceptus filius ei heres erit e sottintesa anche nell’incipit di un passo tratto dal commento all’Editto del suo maestro, in D.37.4.3.5, Ulp. 39 ad ed.: si emancipatus filius uxore non ex voluntate patris ducta filium fuerit sortitus […]. Sull’argomento Fayer, La familia romana 2, cit. p. 60; Astolfi, Il fidanzamento nel diritto romano, cit., p. 75.

138 In sponsalibus etiam consensus eorum exigendus est, quorum in nuptiis desideratur. Intellegi tamen semper filiae patrem consentire, nisi evidenter dissentiat, Iulianus scribit459.

D.23.2.2, Paul. 35 ad ed.

Nuptiae consistere non possunt nisi consentiant omnes, id est qui coeunt quorumque in potestate sunt.

Entrambi i passi sono estratti dal XXXV libro di commento all’Editto e sono raccolti nel titolo De sponsalibus del Digesto. Si trovano in successione nella Palingenesia di Lenel460, entro la sottorubrica De matrimonio contrahendo et dirimendo, che afferisce alla rubrica De re uxoria. Non a caso lo studioso riporta i due passi uno di seguito all’altro461. Nel primo passo Paolo attesta che per il fidanzamento è richiesto il consenso di tutti quelli che devono acconsentire anche alle nozze; nel secondo esprime il principio che le nozze richiedono il consenso di tutti, sia dei nubendi sia di coloro che hanno la potestà su di loro. Nei due frammenti si può cogliere la simmetria tra la disciplina che governa le nozze e quella che connota gli sponsalia. I due passi del commento

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Sebbene quell’etiam non possa e non debba essere trascurato: nel fidanzamento infatti si richiede il consenso ‘anche’ di coloro dai quali esso si esige per le nozze; ‘anche’: dunque il consenso dell’avente potestà è necessario ma non sufficiente; si condivide dunque l’osservazione di Di Marzo, Lezioni sul matrimonio romano, cit. p. 10; sul passo già Voci, Storia della patria potestas, cit. p. 404. Orestano (La struttura giuridica del matrimonio romano, passim), riferisce la disputa dottrinaria tra chi sostiene l’alterazione relativa al regime del consenso degli aventi potestà e tra chi la esclude. L’A. confronta il testo in epigrafe con un frammento dei Tituli ex corpore Ulpiani, 5.3, e con D.23.1.2, Iul. 16 dig. ed ancora con D.23.2.2, Paul. 35 ad ed. (quest’ultimo però si riferisce esclusivamente al matrimonio); la sua lettura comparata rassicura, in quanto anche Orestano sostiene un’applicazione analogica sul fidanzamento del regime previsto per il matrimonio e riscontra nei quattro testi un comune inquadramento dogmatico da parte della giurisprudenza classica; tuttavia non riesce a sottrarsi al sospetto di interpolazione che, a suo dire, accomunerebbe le fonti; tuttavia l’A. non estende – cosa che sembra maggiormente rilevante – anche al consenso un regime che l’A. ritiene di fattura classica. Del frammento si occupa anche Di Marzo (Lezioni sul matrimonio romano, cit. p. 10), che si sofferma più che altro sulla seconda parte del passo in epigrafe, dedicata al consenso della fanciulla. L’A. giustifica le posizioni interpolazionistiche sulla base del fatto che appare strano che già ai tempi di Giuliano venisse riconosciuta l’indipendenza della fanciulla, prendendone poi tuttavia le distanze, dal momento che non trova affatto insolito che in età adrianea l’ingerenza paterna nell’ambito del fidanzamento della filia fosse meno pregnante di quella esercitata sugli sponsalia del figlio maschio, in quanto era fondamentale che il pater non avesse successori senza il suo imprimatur. Astolfi (Il fidanzamento nel diritto romano, cit. p. 71), da una lettura comparata con D.23.2.2, Paul. 35 ad ed., deduce la necessità del consenso del padre del fidanzato che sia in potestà del nonno, dal momento che, alla morte dell’avus, i figli del novello sposo cadranno nella sua potestas; la stessa ragione esclude il necessario consenso del padre della fidanzata in potestà del nonno, poichè i figli generati dal futuro matrimonio cadranno sotto la potestas dello sposo stesso, o del suo avente potestà. Lo stesso ragionamento si trova in Fayer, La familia romana 2, cit. pp. 60-61; ben definita è anche la posizione di Lamberti (La famiglia romana e i suoi volti, cit. pp. 98-99 e nt. 24), laddove l’A. riconosce che la validità degli sponsalia è subordinata al consenso dei fidanzati; vieppiù con riferimento all’avanzato Principato.

460

Pal. 1, coll. 1039-1040, frr. 523-524.

461

139 all’Editto paolino sono dunque assonanti, sebbene solo nel secondo Paolo espliciti più chiaramente la necessità del consensus dei diretti interessati (id est qui coeunt).

Le regole espresse da Paolo sembrano compatibili con le affermazioni di Giuliano, contenute in un passo dei suoi Digesta, compreso a sua volta entro la rubrica De sponsalibus del Digesto e raccolto da Lenel sotto il titolo De nuptiis462, che afferisce alla rubrica De re uxoria:

D.23.1.11, Iul. 16 dig.

Sponsalia sicut nuptiae consensu contrahentium fiunt: et ideo sicut nuptiis, ita sponsalibus filiam familias consentire oportet.

È quindi Giuliano a sancire l’imprescindibilità del consensus dei contraenti, tanto con riferimento alle nozze quanto relativamente agli sponsalia. Il giurista dunque da un lato comprova che è necessaria una consapevole volontà di fidanzarsi da parte dei diretti interessati, dall’altro attesta una delle analogie sussistenti tra i due istituti.

La regola contenuta nei Digesta di Giuliano potrebbe essere ancora operante quando scrive Paolo.

Sia D.23.1.7.1, Paul. 35 ad ed., sia D.23.1.11, Iul. 16 dig. sono bipartiti: le prime parti (in sponsalibus etiam consensus eorum exigendus est, quorum in nuptis desideratur e sponsalia sicut nuptiae consensu contrahentium fiunt) sono preposte ad attestare la necessità del consenso dei protagonisti dell’‘atto’ e dei loro aventi potestà; le parti finali (intellegi tamen semper filiae patrem consentire nisi evidenter dissentiat Iulianus scribit e et ideo sicut nuptiis, ita sponsalibus filiam familias consentire oportet) sono peculiarmente dedicate alla rilevanza del consensus della ragazza.

Muovendo da Astolfi463, con riferimento al passo di Paolo si possono trarre alcune considerazioni di carattere sintattico: rilevata la difficoltà indotta dalla strutturazione della frase con la doppia subordinata oggettiva, diversamente da lui, si vuole qui evidenziare la posizione semi-proclitica del tamen, all’inizio del capoverso che potrebbe assumere la funzione di un at, quasi a voler rimarcare una cesura con l’enunciato precedente. Forse Paolo intende esplicitare quale sia la

462

Pal. 1, col 362, fr. 262.

463

140 ‘regola’, rectius la prassi ancora invalsa nell’epoca cui si sta riferendo il giurista; egli tende però a fornire un’ulteriore precisazione riportando il pensiero di Giuliano: se è vero, dunque, che per fidanzarsi devono acconsentire tutti coloro il cui consenso è richiesto per le nozze, viene tuttavia specificato che, se il padre non dissente apertamente, significa che egli presta il consenso alla scelta della figlia. Per Giuliano, infatti, il ‘silenzio’ del pater va letto come ‘assenso’. La doppia casistica ha quasi valore antitetico: nel primo caso il comportamento attivo del pater è funzionale all’assenso e, dunque alla validità del gesto; nella seconda fattispecie l’agire del pater invalida l’impegno. Stando alla prima parte del frammento, se è necessario anche il consenso del padre che rientra di diritto nell’eorum...quorum in nuptiis (il consenso) desideratur, dalla precisazione di Giuliano si può dedurre che se il pater non interviene, manifestando dissenso alla scelta filiale, l’atto di fidanzamento produce i suoi effetti.

Si potrebbe provare a sintetizzare questo principio: è necessario il consenso paterno che, con riferimento alla filia, si manifesta nel ‘silenzio-assenso’. Il tutto quindi si tradurrebbe in una questione di interpretazione del silenzio464.

Il nisi ha valore condizionale, per cui deve essere correttamente reso con il ‘qualora’ e non, al contrario, in modo un pò più libero, con il ‘quando’; la proposizione nisi evidenter dissentiat è, infatti, condizionale: il fidanzamento è valido nell’ipotesi in cui il pater scelga di non esprimere palesemente il suo dissenso, e non ‘quando’, di fatto, non lo faccia per qualsivoglia ragione o causa. Questo rilievo non è tautologico: il valore condizionale esprime meglio la circostanza che il genitore sia consapevole di quanto la figlia abbia intenzione di fare e scelga deliberatamente di non intervenire con un dissenso. Il valore temporale, viceversa, contemplerebbe anche l’ipotesi in cui il pater non possa intervenire in quanto non è a conoscenza del progetto della figlia, magari per motivi oggettivi, o, ancor più semplicemente, non faccia in tempo ad intervenire.

Si suggerisce il seguente paragone: il silenzio paterno vale come l’atteggiamento passivo del dominus a fronte delle parole pronunciate dall’adsertor libertatis, in occasione della manumissio

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141 compiuta con la vindicta davanti al magistrato. In tale forma di liberazione del servus, il dominus è presente e ‘sa’ cosa sta avvenendo e ne ‘vuole’ le conseguenze. Specularmente nel fidanzamento del passo paolino il pater vuole le conseguenze dell’atto della figlia e ‘manifesta’ tale volontà rimanendo inerte. Il pater non è il grande assente del fidanzamento; non rappresenta neppure il convitato di pietra degli sponsalia, ma integra, col suo silenzio, le volontà necessarie all’atto.

Sul punto in questione Castello465, nella recensione all’edizione del 1989 della monografia di Astolfi, sorvola sull’effettivo ruolo del consenso paterno e sulla relativa modalità di manifestazione, limitandosi ad evincere, dalla lettura comparata dei due passi, la necessità che sussista il consenso dei diretti interessati466. Il consenso della figlia e quello paterno sembrano potersi legare da una congiunzione inclusiva, necessitando il primo di una manifestazione attiva, esternandosi il secondo con un silenzio-assenso.

Lo stesso anno Castello467 scrive un’altra recensione all’opera di Astolfi. In questa sede, tornando sull’argomento, lo studioso genovese sembra isolare in modo granitico una regula iuris universalmente valida per il fidanzamento romano: «In ogni epoca della storia di Roma anche per il fidanzamento, e non solo per le iustae nuptiae dei filii e delle filiaefamilias, è necessario il consenso del loro pater»; egli prosegue poi proponendo alcune deroghe, nel caso in cui il pater fosse captus ab hostibus, absens o, forse, anche furiosus. Egli non si sofferma sul problema che potrebbe sorgere nel caso in cui il pater non possa acconsentire in quanto catturato, assente o pazzo, e sulle eventuali possibilità di sostituzione del pater stesso, in attesa di un suo eventuale ritorno o di un rinsavimento.

Castello468 attribuisce il nisi evidenter dissentiat del passo di Paolo alla figlia: il padre, insomma, decide per il fidanzamento della figlia e l’atto è valido se essa non sarà manifestamente dissenziente. Questa interpretazione non sembra del tutto condivisibile, benchè supportata da altri

465

C. Castello, Rec. a R. Astolfi, Il fidanzamento nel diritto romano, in IURA 40, 1989, pp. 89-91, in partic. p. 90.

466

Sembra conforme anche una tarda costituzione di Giustiniano del 530 d.C., C.5.4.25.1.

467

In SDHI 55, 1989, pp. 482-488.

468

142 passi esaminati di Ulpiano469 e di Giuliano470, ma soprattutto da un passo ulpianeo tratto dalla monografia sugli sponsali471, laddove il maestro di Modestino attesta che è concesso alla figlia dissentire dalla scelta paterna nel caso in cui essa sia ricaduta su un soggetto indignus moribus vel turpis e, dunque, in un caso specifico e peculiare472. Tuttavia, se per il passo di Paolo siamo in grado di sostenere che il giurista severiano si stia riferendo alla disciplina del fidanzamento sussistente nell’arco temporale compreso tra Giuliano e Paolo stesso, viceversa, non siamo in grado di comprendere a quale epoca si stia riferendo Ulpiano, che bene forse fornisce un ragguaglio sull’assetto giurisprudenziale vigente per il fidanzamento pre-classico, ma, presumibilmente, in un momento in cui già si comincia ad intravedere il tramonto della sponsio quale (unico) strumento per contrarre gli sponsalia. Castello incentra la responsabilità dell’atto di fidanzamento sulla figura dell’avente potestà, mentre Astolfi sembra ammettere la visione di una filia ‘emancipata’473

e dunque maggiormente ‘responsabilizzata’ di fronte all’ordinamento.

L’analisi dell’autorevole dottrina consente di mantenere una posizione mediana e quindi una lettura che vede una progressiva autonomia e una graduale responsabilizzazione della filia circa la portata di quell’atto che è finalizzato al matrimonio: la ‘fanciulla arcaica’, ‘passiva’ e ‘promessa’, diviene ora, in età classica, ‘parte attiva’ e ‘protagonista’ della propria vicenda sentimentale, benchè sotto lo sguardo del pater, il quale, integrando la volontà della filia con un comportamento

469

D.23.1.4, Ulp. 35, ad Sab.: sufficit nudus consensus ad constituenda sponsalia.

470

D.23.1.11, Iul. 16 dig.: sponsalia sicut nutpiae consensus contrahentium fiunt: et ideo sicut nuptiis ita sponsalibus filiam familias consentire oportet.

471

D.23.1.12, Ulp. l.s. de spons.: sed quae patris voluntati non repugnat consentire intelligitur. Tunc autem solum dissentiendi a patre licentia filiae conceditur, si indignum moribus vel turpem sponsum ei pater eligat. Il passo effettivamente sembra militare nella direzione di Castello, in quanto si esplicita la facoltà della filia di dissentire dal padre, seppure in un caso specifico; la parte finale del frammento è tuttavia sospettata – a mio avviso fondatamente – di interpolazione post-classica; sulla questione tornerò diffusamente nel paragrafo successivo dedicato al consenso della filia. Sulla comparatio di D.23.1.11, D. 23.1.7.1, D.23.1.12 e D.23.1.4 si vedano le considerazioni di Lamberti, La famiglia romana e i suoi volti, cit. pp. 98-99 nt. 24.

472

Per un esame più dettagliato si veda più avanti.

473

143 passivamente consenziente, la affianca nell’assunzione di responsabilità, senza sostituirsi alla sua volontà e senza assumersi le relative conseguenze e le determinazioni giuridiche474.

Quanto al figlio maschio si propongono tre fonti: un passo del commento all’Editto di Paolo; un brano tratto dai libri responsorum di Marcello ed una costituzione di Alessandro Severo.

D.23.1.13, Paul. 5 ad ed.

Filio familias dissentiente sponsalia nomine eius fieri non possunt. D.24.3.38, Marcell. l.s. resp.

Lucius Titius cum esset filius familias, voluntate patris uxorem Maeviam duxit et dotem pater accepit: Maevia Titio repudium misit: postea pater repudiati absente filio sponsalia cum ea de nomine filii sui fecit: Maevia deinde repudium sponsalibus misit atque ita alii nupsit. Quaero, si Maevia aget cum Lucio Titio quondam marito et a patre herede relicto de dote et probetur culpa mulieris matrimonium dissolutum, an possit maritus propter culpam mulieris dotem retinere. Marcellus respondit, etiamsi ut heres institutus a patre Titius conveniretur, tamen, si sponsalibus non consensisset, culpam mulieris multandam esse475.

C.5.4.5, Imp. Alex.

Si, ut proponis, pater quondam mariti tui, in cuius fuit potestate, cognitis nuptiis vestris non contradixit, vereri non debes, nepotem suum ne non agnoscat.

Quanto ai figli maschi, Astolfi476 sottolinea la maggiore pregnanza del ruolo del consensus; si deve invero rilevare che, anche nel caso di matrimonio del filius, le fonti sembrano riconoscere il valore di assenso nel silenzio paterno477; saranno tuttavia valide le nozze contratte dal filius in assenza di consenso paterno, nel caso in cui l’avente potestà sia assente o prigioniero. A ben vedere non si tratta di dissenso, ma di omessa manifestazione di non-dissenso per motivi di rilevanza obiettiva478. La regola sembrerebbe estendibile a maggior ragione al fidanzamento. Non vi sono peraltro passi che attestino espressamente l’estensione di tale regula anche al fidanzamento; è

474

Al momento della sponsio di fidanzamento, tipica dell’epoca precedente (come trattato nella Parte I), il pater assumeva su di sè ogni responsabilità relativa all’inadempimento della promessa matrimoniale, pagandone il fio anche con il versamento della somma che aveva costituito oggetto di specifica stipulazione penale. Sul problema del silenzio-assenso già si interrogava Volterra (Diritto di famiglia, cit. p. 130 e p. 132): l’autore sosteneva tuttavia che la fanciulla che restasse silente assentisse in tal modo alla decisione paterna.

475

Tralascio tutte le questioni relative agli aspetti dotali, attingendo solo le informazioni sul consensus paterno e filiale.

476

Il fidanzamento nel diritto romano, cit. p. 72.

477

Vat. Frag. 102, Paul. 7 resp.

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144 tuttavia possibile osservare che, anche nel caso degli sponsalia, così come nel passo di Paolo precedentemente esaminato (D.23.1.7.1), “le soluzioni di Giuliano” – mutatis mutandis – “ebbero molta importanza per l’attenuazione del rigore tradizionale” in questo ambito479

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