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Gli sponsalia comportano conseguenze giuridiche significative554; deve pertanto esservi certezza sulla reale sussistenza di un rapporto di fidanzamento. A tal fine si possono ritenere necessarie alcune brevi osservazioni sulla cd. eventuale ‘prova’ di fidanzamento.

Gli sponsali arcaici venivano contratti con una simmetrica promessa verbale, che vincolava il promittente ad un matrimonio futuro. Le ‘prove di celebrazione’, sotto il profilo meramente giuridico, erano strettamente connesse alle regole che sovrintendevano alla sponsio555. È ancora una volta Brutti556 con icastica brevità ad attestare la portata di questa obligatio verbis: «Le parole sono artefici della situazione giuridica, obbediscono ad un rigoroso ordine formale; compongono uno schema adattabile ad una molteplicità di rapporti concreti e di prestazioni […]. Questo agile rituale servirà ogni genere di relazioni e di interessi nella storia della società romana: dalle convenzioni rilevanti per la vita familiare al meccanismo per la circolazione dei beni […], dai rapporti in sé privi di effetti giuridici a quelli nei quali già vi è un vincolo obbligatorio […]».

554

Alcune di esse saranno rapidamente passate in rassegna nel prosieguo della disamina.

555

Cfr. Parte I.

556

173 L’efficace descrizione ci ricorda la versalità dell’istituto idoneo a realizzare persino la volontà di impegnarsi verso nuptiae futurae557; sotto il profilo probatorio è proprio la prova della celebrazione della sponsio a costituire testimonianza di celebrazione del fidanzamento: la promessa, come noto, è azionabile processualmente con l’actio ex stipulatu e, prima ancora, con le legis actiones attraverso una legis actio per iudicis postulationem558. Nella fase apud iudicem la prova ‘regina’ sarà la testimonianza di coloro che hanno direttamente assistito alle celebrazioni della sponsio.

Alla fine dell’età repubblicana il fidanzamento veniva celebrato pubblicamente e la cerimonia terminava generalmente con un banchetto al quale prendevano parte parenti ed amici559. Al di là del fatto che il dies sponsalis mantenga un rilievo di carattere etico e sociale560, la ratio sottesa alle modalità celebrative non riguardava solo gli aspetti festosi: sussisteva infatti anche un intento probatorio in quanto i parenti e gli amici intervenuti sarebbero stati i testimoni dell’avvenuta celebrazione.

557

D.23.1.1, Flor. 3 inst.: sponsalia sunt mentio et repromissio nuptiarum futurarum. Si sono già fatte osservazioni sulla ‘versatilità’ della definizione di Fiorentino che, per certi aspetti, può essere declinata sia per la fase arcaica, sia per quella classica.

558

Gai. 4.17: per iudicis postulationem agebatur, si qua de re ut ita ageretur lex iussisset sicuti lex XII tabularum de eo quod ex stipulatione petitur. Eaque res talis fere erat. Qui agebat sic dicebat: EX SPONSIONE TE MIHI X MILIA SESTERTIORVM DARE OPORTERE AIO: ID POSTVLO AIAS AN NEGES. Aduersarius dicebat non oportere. Actor dicebat: QVANDO TV NEGAS, TE PRAETOR IVDICEM SIVE ARBITRVM POSTVLO VTI DES. Itaque in eo genere actionis sine poena quisque negabat […]. Cfr. Parte I, Capitolo I, §. 9.

559

Suet. Aug. 53.3: officia cum multis mutuo exercuit, nec prius dies cuiusque sollemnes frequentare desiit, quam grandior iam natu et in turba quondam sponsaliorum die vexatus. Si trattava tuttavia di una scelta discrezionale; non mancavano casi di sponsalia celebrati sobriamente nell’intimità di poche persone; il precedente storico riguarda Ottavia, la figlia di Claudio, come attestato ancora da Svetonio (Claud. 12.1): at in semet augendo parcus atque civilis praenomine Imperatoris abstinuit, nimios honores recusavit, sponsalia filiae natalemque geniti nepotis silentio ac tantum domestica religione transegit. Cicerone (ad Quint. fr. 2.4.2 e 2.6.1) vi fa riferimento utilizzando il verbo despondere. La stessa partecipazione al banchetto di fidanzamento era considerata talvolta un onere sociale (Plin. nat. hist. 9.117; Tert. de idol. 16.1); Plinio il giovane (ep. 1.9.4) attesta la frequenza di sponsalia, cui i suoi contemporanei dovevano assistere tra le varie futilità che ingombravano le loro giornate: hodie quid egisti? […] sponsalia aut nuptias frequentavi. Il banchetto era offerto dal padre della fidanzata; cfr. Fayer, La familia romana, cit. p. 68. La testimonianza di Paolo (D.23.1.7, Paul. 35 ad ed.) sembra invece riferirsi alla ‘prova’ nel fidanzamento arcaico.

560

Fayer, La familia romana, cit. p. 66. L’A. lo evince anche dalla necessità di scegliere con oculatezza il giorno del fidanzamento, così come il giorno del matrimonio, atteso che non tutti i giorni erano propizi.

174 Dal momento che spesso la dote veniva promessa contestualmente agli sponsalia, l’intervento dei testimoni assicurava altresì l’esigenza di attestare la costituzione della stessa. A tal proposito è presumibile che l’interesse patrimoniale prevalesse su quello sociale ed affettivo e dunque che i testimoni rilevassero, principalmente, a garanzia delle aspettative economiche che discendevano dall’atto.

Anche l’anello che veniva donato dallo sponsus alla fanciulla costituiva prova di fidanzamento, impegno per il futuro e suggello tra umano e divino, dato che si pensava che un nervo collegasse l’anulare nel quale veniva infilato, direttamente al cuore561

.

L’anello non costituiva l’unica forma di donatio contestuale alla cerimonia; altri doni potevano essere offerti tra i fidanzati562; stando alle fonti, l’anello ha un valore simbolico, anche sul

561

Gell. 10.10: quae eius rei causa sit, quod et Graeci veteres et Romani anulum in eo digito gestaverint, qui est in manu sinistra minimo proximus. Veteres Graecos anulum habuisse in digito accipimus sinistrae manus, qui minimo est proximus. Romanos quoque homines aiunt sic plerumque anulis usitatos. Causam esse huius rei Apion in libris Aegyptiacis hanc dicit, quod insectis apertisque humanis corporibus,

ut mos in Aegypto fuit, quas Graeci Þnatomáj appellant, repertum est nervum quendam tenuissimum ab eo

uno digito, de quo diximus, ad cor hominis pergere ac pervenire; propterea non inscitum visum esse eum potissimum digitum tali honore decorandum, qui continens et quasi conexus esse cum principatu cordis videretur; Giovenale (6.25-27) parla di ‘patto convenuto’: conventum tamen et pactum et sponsalia nostra / tempestate paras iamque a tonsore magistro / pecteris et digito pignus fortasse dedisti? Tert. apol. 6.4: circa feminas quidem etiam illa maiorum instituta ceciderunt quae modestiae, quae sobrietati patrocinabantur cum aurum nulla norat praeter unico digito quem sponsus obpignerasset pronubo anulo […]; si noti l’uso del verbo obpignero, che bene rende il senso del vincolo, dell’impegno futuro; il dono dell’anello evidentemente ha lo stesso valore della promessa di fidanzamento pronunciata verbis; conforta tale supposizione l’uso che ne fa Terenzio, heaut. 794: num illa oppignerare filiam meam me invito potuit? Sull’anello e sul significato dell’anulare anche Macrobio (sat. 7.13.7, ), che rielabora la materia di Gellio ed ancora Isidoro (de eccl. off. 2.20.8 ed etym. 11.1.71: quartus (digitus) anularis, eo quo in ipso anulus geritur; per ulteriori fonti e bibliografia sull’anulus pronubus si veda Fayer, La familia romana 2, cit. pp. 69-72 e, in partic. nt. 199; non contava tanto il valore dell’anello, ma il simbolo e, dunque, la prova di fidanzamento, Plin. nat. hist. 33.12; più in generale, sui risvolti sociali del fidanzamento e sulle usanze P. Grimal, L’amore a Roma (trad it. di D. Interlandi), Milano 1964, pp. 75-80.

562

D.16.3.25.pr. Pap. 3 resp.: die sponsaliorum aut postea res oblatas puellae, quae sui iuris fuit, pater suscepit: heres eius ut exhibeat recte convenietur etiam actione depositi; D.24.1.27, Mod. 7 reg.: inter eos, qui matrimonio coituri sunt, ante nuptias donatio facta iure consistit, etiamsi eodem die nuptiae fuerint consecutae. D.24.1.32.27, Ulp. 33 ad Sab.: si quis sponsam habuerit, deinde eandem uxorem duxerit cum non liceret, an donationes quasi in sponsalibus factae valeant, videamus. Et Iulianus tractat hanc quaestionem in minore duodecim annis, si in domum quasi mariti immatura sit deducta: ait enim hanc sponsam esse, etsi uxor non sit. sed est verius, quod Labeoni videtur et a nobis et a Papiniano libro decimo quaestionum probatum est, ut, si quidem praecesserint sponsalia, durent, quamvis iam uxorem esse putet qui duxit, si vero non praecesserint, neque sponsalia esse, quoniam non fuerunt, neque nuptias, quod nuptiae esse non potuerunt. Ideoque si sponsalia antecesserint, valet donatio: si minus, nulla est, quia non quasi ad extraneam, sed quasi ad uxorem fecit et ideo nec oratio locum habebit. D.24.1.65, Lab. 6 Post. a Iav. epit.: quod vir ei, quae nondum viripotens nupserit, donaverit, ratum futurum existimo, anche se la fattispecie non allude, expressis verbis, ad un precedente fidanzamento; D.24.1.66.pr., Scaev. 9 dig.: Seia Sempronio cum

175 piano etico, rappresentando un impegno per il matrimonio futuro; il valore di tale impegno non è però giuridico, ma solo sociale e morale563, mentre gli altri doni non assurgono ad un valore più che probatorio. Pare peraltro che l’anulus pronubus venisse inviato dallo sponsus alla fidanzata e non piuttosto consegnato di persona564.

Col Principato la prova del fidanzamento è fornita anche per iscritto, con tabulae nuptiales o sponsales565.

È netta la posizione di Astolfi566: con riferimento all’ultimissima fase della repubblica e, ancor più, nel corso del Principato, tuttavia, le prove del fidanzamento, anche qualora rappresentino

certa die nuptura esset, antequam domum deduceretur tabulaeque dotis signarentur, donavit tot aureos: quaero, an ea donatio rata sit. Non attinuisse tempus, an antequam domum deduceretur, donatio facta esset, aut tabularum consignatarum, quae plerumque et post contractum matrimonium fierent, in quaerendo exprimi: itaque nisi ante matrimonium contractum, quod consensu intellegitur, donatio facta esset, non valere; anche in questo caso non è possibile evincere con sicurezza la sussistenza di precedenti sponsalia, anche se il riferimento alle tabulae potrebbe farlo supporre. Ciò non di meno, se era prassi la donazione in vista delle nozze, anche in assenza di precedente fidanzamento, a fortiori deve potersi ammettere l’usanza di una donatio in costanza di sponsalia. Fayer, La familia romana, cit. p. 69.

563

Si può concordare con Fayer, La familia romana 2, cit. p. 73; di pregio sono i suoi rilievi terminologici su Giovenale (6.27) e Tertulliano (apol. 6.4; de idol. 16.1), che attestano la pregnanza sociale del dono, idoneo evidentemente a creare un vincolo morale e affettivo e coerentemente utilizzano il sostantivo pignus ed il verbo oppignerare; Paolo (D.24.1.36.1, Paul. 36 ad ed., sotto riportato) lo ritiene un munus, come tale inidoneo a creare obblighi giuridicamente vincolanti; come noto è lo stesso giurista severiano ad attestare che l’impegno giuridico per sponsionem e la relativa stipulatio poenae siano contrarie al costume ed alla morale (D.45.1.134.pr., Paul. 15 resp.): […] quia inhonestum visum est vinculo poenae matrimonia obstringi sive futura sive iam contracta. Sull’anello e la sua funzione tra gli altri già E. Costa, Storia del diritto romano privato, cit. p. 54; commentando il fidanzamento arrale, Volterra, Studio sull’ «arrha sponsalicia», cit. pp. 31 ss.; L. Anné, Les rites de fiançailles et la donation pour cause de mariage sous le Bas-Empire, Louvain 1941, p. 36; Treggiari, Roman Marriage, cit p. 149; J. Carcopino, La vita

quotidiana a Roma all’apogeo dell’impero, (Trad. it. E. Omodeo Zona) Roma-Bari 19916

, pp. 96-101, in part. p. 97.

564

Plin. nat. hist. 33.12; Gell. 4.4, anche se il frammento, come noto, si riferisce al fidanzamento arcaico, in quanto parla di sponsio. Ma è attestato anche nel Digesto (24.1.36.1, Paul. 36 ad ed.), in un frammento del commento all’editto di Paolo, per una fattispecie davvero peculiare: sponsus alienum anulum sponsae muneri misit et post nuptias pro eo suum dedit: quidam et Nerva putant fieri eum mulieris, quia tunc factam donationem confirmare videtur, non novam inchoare, quam sententiam veram esse accepi.

565

Lo attesta Giovenale, che scrive durante il Principato, sotto i Flavi e gli Antonini, sino ad Adriano (6.200): si tibi legitimis pactam iunctamque tabellis / non es amaturus, ducendi nulla videtur / causa […]. Il frammento è tutto incentrato sulla responsabilità personale e affettiva, che costituisce l’essenza della relazione e non può sfociare in alcuna formalizzazione giuridica qualora sia venuto meno l’amor, rectius il ‘bene velle’. Emerge qui la pregnanza personalistica del rapporto di fidanzamento: durante tale rapporto, il consensus è un presupposto giuridico, l’affetto invece è un elemento personalistico, entrambi strutturano l’ontologia dell’istituto-rapporto. Dal passo Fayer (La familia romana, cit. p. 59 nt. 151) deduce che Giovenale accenni alla piena libertà di sciogliere gli sponsalia; se così fosse l’istituto si reggerebbe quindi sul continuus consensus che, venuto meno, legittimerebbe lo scioglimento. Questo consentirebbe di dare maggiore credito alle posizioni dottrinarie più risalenti, che appunto fanno leva proprio sul continuus consensus; posizione alla quale si intende qui aderire. Ma si veda di seguito, nel prosieguo della disamina, relativamente allo scioglimento degli sponsalia.

176 un impegno sul piano affettivo e morale, non comportano implicazioni di carattere giuridico. Né, tantomeno possono considerarsi requisiti formali per la validità del fidanzamento: pertanto, se mancano, non inficiano gli sponsalia; se vi sono, non comportano obblighi giuridici.

La prova in età classica resta dunque libera e facoltativa567, in quanto assente è qualunque onere di forma; ciò che conta quindi è la sostanza, ossia la volontà dell’ ‘atto’, il consensus, che accompagna, sussiste e traspare nell’agire stesso. Le prove celebrative tuttavia consentiranno maggiore certezza con riferimento agli effetti giuridici che connotano il ‘rapporto’.

Detto in altre parole, se il fidanzamento è valido anche in assenza di celebrazione formale, quest’ultima sarà utile per accertare la sussistenza del rapporto e dunque per l’applicazione delle conseguenze giuridiche che connotano la responsabilità ‘da fidanzamento’. Occorre essere certi infatti del fatto che due soggetti siano legati da un rapporto di fidanzamento, al fine di poter riconoscere responsabilità significative, quali ad esempio quella per l’omicidio della fidanzata, per l’iniuria alla stessa o per il tradimento commesso dalla sponsa in danno del proprio fidanzato.

566

Astolfi, Il fidanzamento, cit. p. 67.

567

Si interpreta a fortiori l’insegnamento di Paolo, presumibilmente riferibile al periodo arcaico, nel quale per concludere il fidanzamento era necessaria la sponsio: in sponsalibus nihil interest, utrum testatio interponatur an aliquis sine scriptura spondeat (D.23.1.7.pr., Paul. 35 ad ed.).

177

CAPITOLO 3

LA RESPONSABILITÀ NEL FIDANZAMENTO

Premessa.

Per quanto riguarda gli effetti giuridici, l’atto ed il rapporto di fidanzamento non sono di certo indifferenti all’ordinamento del periodo ‘classico’.

Il ‘fatto’ di fidanzarsi determina infatti conseguenze significative sul piano del diritto568: gli sponsi assumono una responsabilità che può ritenersi per certi aspetti ‘reciproca’; l’ordinamento richiede loro alcuni specifici comportamenti e, allo stesso tempo, li protegge da ‘attacchi antigiuridici’ da parte di soggetti terzi, attraverso un complesso sistema di tutela giuridico-processuale.

1. L’uccisione del fidanzato.

Sotto il profilo della responsabilità ci si occupa ora delle conseguenze giuridiche relative all’uccisione degli sponsi che riguardano profili di rilevanza penale pubblicistica.

In particolare ci si interroga sulla possibilità di un’applicazione congiunta della lex Cornelia de sicariis et veneficiis e della lex Pompeia de parricidio569, che avrebbe esteso la portata applicativa della legge di Silla570.

568

Ne forniva un’elencazione di tipo dogmatico già Volterra, Diritto di famiglia, cit. p. 141.

569

Dell’81 a.C. la prima, risalente al 55 a.C. la seconda; Paul. sent. 5.24: lege Pompeia de parricidiis [tenetur] qui patrem, matrem, avum, aviam, fratrem, sororem, patronum, patronam occiderint, etsi antea insuti culleo in mare precipitabantur, hodie tamen vivi exuruntur vel ad bestias dantur; D. 48.9.6, Ulp. 8 de off. procons.: utrum qui occiderunt parentes an etiam conscii poena parricidii adficiantur, quaeri potest. Et ait Maecianus etiam conscios eadem poena adficiendos, non solum parricidas. Proinde conscii etiam extranei eadem poena adficiendi sunt.; D.48.9.1, Marc. 14 inst. e D.14.9.9.pr., Mod. 12 pand., di seguito riportati nel testo; l’apparente antinomia tra i passi di Marciano e Modestino fa supporre che il primo intervento normativo non prevedesse anche le ipotesi peculiari introdotte con la seconda legge; soltanto

178 La disciplina della responsabilità per l’uccisione del fidanzato e della fidanzata si ricava da una lettura comparata di alcuni passi di Marciano. I frammenti del giurista attestano che, dall’applicazione congiunta delle due leggi – delle quali quella di Pompeo costituirebbe un intervento ad integrandum che determinava l’estensione della precedente a casi ulteriori – si ricava l’equiparazione della gravità del gesto omicida compiuto contro il marito, la moglie, il suocero, la suocera, il fidanzato, la fidanzata ed i genitori di questi ultimi.

Procediamo quindi con la lettura congiunta dei tre passi di Marciano: D.48.9.1, Marcian. 14 inst.

Lege Pompeia de parricidiis cavetur, ut, si quis patrem matrem, avum aviam, fratrem sororem patruelem matruelem, patruum avunculum amitam, consobrinum consobrinam, uxorem virum generum socrum, vitricum, privignum privignam, patronum patronam occiderit cuiusve dolo malo id factum erit, ut poena ea teneatur quae est legis Corneliae de sicariis.

Pompeo avrebbe infatti istituito una quaestio speciale prevedendo altresì una pena peculiare, sostituendo l’aqua et igni interdictio con la poena cullei. La lex Pompeia de parricidio prevede una particolare casistica, punendo l’uccisione di genitori, avi, fratelli, zii, cugini, nipoti, coniugi e fidanzati, affini in primo grado, figliastri e patroni; cfr. G. Rotondi, Leges publicae populi Romani, cit. pp. 357-358; sul tema Volterra (Ricerche intorno agli sponsali, cit. pp. 379-387), che si sofferma sulle difficoltà esegetiche dei passi di Marciano, di seguito commentati, anche e soprattutto alla luce delle conoscenze sul contenuto e sulla portata applicativa della lex Cornelia de sicariis et veneficiis e della Lex Pompeia de parricidio. La tematica è complessa ed ampiamente trattata dalla dottrina; è intenzione qui attenersi strettamente alle questioni che possano avere una rilevanza con riferimento alla sola responsabilità nel fidanzamento. In generale sul tema e sul problema del parricidio confronta H. Kupiszewski, Quelques remarques sur le ‘parricidium’ dans le droit romain classique et post-classique, in Studi in onore di E. Volterra 4, Milano 1971, pp. 601- 614, in part. pp. 606-607 ( = Scritti minori, con pagine introduttive di L. Labruna e M. Zablocka, Napoli 2000, pp. 225 ss.); A Magdelain, Paricidas, in Duchâtiment dans la cité. Supplices corporels et peine de morte dans le monde antique. Table ronde, Rome 9-11 novembre 1982, Paris-Rome 1984, pp. 549-571 (= Ius Imperium Auctoritas. Études de droit romain, Roma 1990, pp. 519-538; H. Stiegler, Konkubinenkind «privignus», «parricidium», in Sodalitas. Scritti in onore di A. Guarino 7, Napoli 1984, pp. 3191-3214; M. Torres Aguilar, El parricidio del pasado al presente de un delito, Madrid 1991 passim; F. Lucrezi, Senatusconsultum Macedonianum, Napoli 1992, pp. 161 ss., in part. p. 16 ntt. 38-39; E. M. Lassen, De ultimate Crime. Parricidium and the Concept of Family in the Late Roman Republic and Early Empire, in Classica et Mediaevalia, 43, 1992, pp. 147-161; R. Mentxaka, Algunas consideraciones sobre los crimina contra las personas in las Etimologias de Isidoro (5,26), in Mélanges F. Sturm 1, Liège 1999, pp. 777-788; B. Santalucia, Cic. pro Rosc. Am. 3.8. e la scelta dei giudici nelle cause di parricidio, in IURA 50, 1999, pp. 143-151; A. Casamento, Clienti, patroni, parricidi e declamatori. Popillio e Cicerone (Sen. contr. 7.2), in La parola del passato 59, 2004, pp. 361-377; G. Rizzelli, Il furor di Elio Prisco. Macer 2 iud publ. D.1.18.14, in Studi per G. Nicosia 6, Milano 2007, pp. 495-530; D. Cloud, Leges de sicariis: the first chapter of Sulla’s lex de sicariis, in ZSS 126, 2009, pp. 114-155.

570

Sul tema già E. Costa, Crimini e pene da Romolo a Giustiniano, Bologna 1921, p. 71 e p. 157; B. Santalucia, Diritto e processo penale nell’antica Roma, Milano 1998, pp.145-149, pp.161-162: la lex Pompeia de parricidiis detta nuove norme in materia di parricidio, estendendo la portata dell’illecito anche all’uccisione dei prossimi congiunti e dei patroni, rendendo comminabile al parricidio la pena prevista per l’omicidio semplice; Astolfi, Il fidanzamento, cit. p. 117.

179 Sed et mater, quae filium filiamve occiderit, eius legis poena adficitur, et avus, qui nepotem occiderit: et praeterea qui emit venenum ut patri daret, quamvis non potuerit dare571.

D.48.9.3, Marcian. 14 inst.

Sed sciendum est lege Pompeia de consobrino comprehendi, sed non etiam eos pariter complecti, qui pari propioreve gradu sunt. Sed et novercae et sponsae personae omissae sunt, sententia tamen legis continentur.

D.48.9.4, Marcian. 1 de publ. iudic.

Cum pater et mater sponsi sponsae socerorum, ut liberorum sponsi generorum appellatione continentur.

I tre frammenti, raccolti nel XLVIII libro del Digesto, titolo 9, rubricato De lege Pompeia de parricidiis, non sono disposti in modo consecutivo, infatti il primo frammento apre il titolo predetto ma è immediatamente seguito da un passo tratto dai libri Regularum di Scevola572. I primi due passi sono estratti dalle Institutiones, mentre il terzo proviene dalla monografia dedicata ai giudizi pubblici. Nella Palingenesia di Lenel573 i due frammenti tratti dalle Institutiones di Marciano sono raccolti sotto la medesima rubrica De lege Pompeia de parricidiis. Si trova anche il passo della monografia sui pubblici giudizi574, rubricato a sua volta Ad legem Pompeiam de parricidiis, unico frammento della monografia di Marciano dedicato al commento di questa legge. Tuttavia Lenel575 fa espresso richiamo al primo passo riportato in epigrafe (D.48.9.1), invitando al confronto con le parole si quis … [socerum] generum … occideret. Mommsen576 nell’apparato critico in relazione a D.48.9.1 fa un esplicito richiamo a D.48.9.4, per integrare l’elenco contenuto nel primo frammento.