• Non ci sono risultati.

FIGLIA DI IORIO E LA FIACCOLA SOTTO IL

Nel documento Gabriele D'Annunzio e le varianti del rito (pagine 102-120)

MOGGIO

L’attività teatrale di D’Annunzio diventa molto intensa all’epoca della sua

relazione con l’attrice Eleonora Duse: una storia d’amore intensa, durata otto anni, nel corso dei quali, l’attrice promosse il genio letterario di Gabriele D’Annunzio, e insieme s’impegnarono – nella loro prospettiva – per sollevare il teatro dalla “volgarità” e trasformarlo in un mezzo di elevazione della massa.137 Ma il

successo li divide invece di unirli. Come drammaturgo, D’Annunzio ottenne il suo più grande successo con la

tragedia La figlia di Iorio, scritta nel 1903 e pubblicata nel 1904, alla quale si

aggiunse nel 1905, La fiaccola sotto il moggio. Per la composizione di entrambe, D’Annunzio fece ricorso al folclore abruzzese,

con l’obiettivo di evocare in queste opere un’atmosfera intrisa di superstizioso arcaismo. L’intenzione dello scrittore era di rinnovare la drammaturgia con trame rivoluzionarie, intrecciando vicende di violenza, follia ed erotismo. D’Annunzio riteneva necessario ripristinare dal grande passato, l’antica comunione, ormai perduta, fra l’artista e l’anima popolare. Cosi, la ricca tradizione abruzzese dei riti

e delle cerimonie diventa il centro irradiante e unificatore di queste due tragedie. Come sottolineava P. Toschi nel suo studio su Le origini del teatro italiano,

137 A. Andreoli, Note e notizie sui testi, in G. D’Annunzio, Tragedie, sogni e misteri, Mondadori,

103

tutte le forme drammatiche da cui si sviluppa il nostro teatro riconoscono la loro prima e unitaria origine nel rito. Nascono come i momenti essenziali e

significativi delle cerimonie religiose.138

D’Annunzio conosceva bene i riti della sua gente, anche perché aveva assistito personalmente, diverse volte, alle cerimonie pubbliche; colse quindi l’opportunità di presentarli su un palcoscenico molto più grande, per fargli conoscere all’Italia

intera. Come una rappresentazione teatrale, il rito richiede l’allestimento di un luogo, di

una scena, dove degli attori preparati da un “regista” svolgono un’azione

drammatica con lo scopo di trasmettere un’esperienza ancestrale che racchiude in sé i valori morali di una società. Il rito chiude la comunità dentro a una sorta di barriere protettive e, in caso di conflitti tra persone e gruppi appartenenti allo stesso sistema sociale, il rito diventa anche elemento di integrazione.

Questi conflitti categorizzabili come “drammi sociali”139 sono scanditi da

momenti ben definiti: l’infrazione di una legge che vige all’ interno di una società,

la crisi, l’azione riparatrice e la rintegrazione o la punizione del colpevole. D’Annunzio ha costruito le sue due opere drammatiche su questo schema, dando

al rito valore morale, sociale e poetico. Sul versante del mito ci conducono molti indizi a partire dalla collocazione spazio

- temporale delle opere analizzate. La vicenda del La Figlia di Iorio è ambientata “nella terra d’ Abruzzi, or è molt’anni”, in uno spazio e un tempo indefiniti. Nella

138 P. Toschi, Le origini del teatro italiano, Bollati Boringhieri, Torino, 1976, pag.8. 139 V. Turner, Dal rito al teatro, Il Mulino, Bologna, 2014.

104

Fiaccola sotto il moggio, la collocazione temporale “al tempo del Re Borbone

Ferdinando I”, è più precisa, ma non ha valore per l’azione della tragedia, che si svolge in un solo giorno dalla mattina alla sera, alla vigilia della Pentecoste, nella casa degli Sangro e degli Acclazamòra. D’Annunzio non solo colloca l’azione alla vigilia di una festa religiosa molto sentita nell’Abruzzo, ma aggiunge il

riferimento di un altro anniversario: un anno dalla morte di donna Monica, madre della protagonista Gigliola, morte che costituisce l’elemento scatenante della tragedia.

La Pentecoste rimemora la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli, che diventano simboli di verità e di sacralità sulla terra. Proprio in quel giorno, Gigliola vuole rivelare la verità sulla tragica morte della madre. La ricorrenza della Pentecoste è particolarmente sentita a Luco dei Marsi, in quanto si connette al rito delle serpi, una tradizione che si lega alla leggenda della divinità Angizia, che aveva il potere di incantare i serpenti e la capacità di curare i morsi di questi animali. In epoca cristiana, il ruolo di Angizia fu preso da San Domenico, la cui statua sfila in processione, il primo giovedì di maggio, cinta di rose e di

serpenti.140

Nella Figlia di Iorio, l’azione inizia nella casa di Candia della Leonessa e di Lazaro di Roio, per poi spostarsi nel secondo atto sulle montagne, e nell’ultimo atto, ritornare alla casa natale di Aligi. Per la composizione della tragedia,

D’Annunzio si è ispirato alle tradizioni popolari raccolte da De Nino, il quale però aveva descritto una società rurale estremamente povera, oltre che arcaica.

140 A. Tumini, Il mito nell’anima, magia e folklore in D’Annunzio, Casa Editrice Rocco Carabba,

105

Il drammaturgo ci mette di fronte a una condizione più agiata della gente abruzzese. Nella descrizione della casa di Candia, tutti gli oggetti (il telaio, la madia, il desco) testimoniano una vita contadina ben organizzata, arricchita da tanti elementi simbolici come la banda di lana scarlatta, la croce di cera, le spighe di meliga rossa a ciascuna finestra, presenze apotropaiche “contro i malefizii”. D’Annunzio evoca cioè un mondo particolare, che va compreso e interpretato. La sfera privata della famiglia comunica con il mondo più ampio della comunità attraverso la grande porta aperta. La tragedia si apre con le tre sorelle - Splendore, Favetta e Ornella - intente a preparare quanto necessario per il matrimonio del fratello Aligi con Vienda. L’azione si svolge alla vigilia della festa di San Giovanni, che viene celebrata il 24 giugno. Secondo le credenze popolari, San Giovanni è il patrono del mosto, dei matrimoni e del grano, e per questo motivo il giorno a lui consacrato era sempre riservato, nelle comunità agro-pastorali, alla

celebrazione dei matrimoni. D’Annunzio costruisce il quadro del matrimonio insistendo ancora una volta sulla

contaminazione tra riti religiosi e le credenze superstiziose praticata della comunità abruzzese. Le protagoniste della prima scena sono, le sorelle dello sposo, che preparano i vestiti per la sposa, scherzando tra loro e cantando.

ORNELLA: Tutta di verde mi voglio vestire, di verde per San Giovanni,

ché in mezzo al verde mi venne a fedire… Oilì, oilì, oilà!

FAVETTA: Ecco il busto dei belli ricami con la sua pettorina d’argento,

la gonnella di dodici téli,

106

che ti diede la madre tua nuova.

ORNELLA: Tutta di verde la camera e i piani. Oilì, oilì, oilà!141

D’Annunzio mette in scena la preparazione del rito matrimoniale attingendo alla sua personale conoscenza del folclore abruzzese, e aggiungendo nuovi elementi desunti da svariati capitoli degli Usi di De Nino: Le nozze frumentarie, La suocera

riceve la sposa, La sposa non vuole entrare, Epopea del matrimonio, Ornamenti rituali delle donne, I doni della sposa e La festa di San Giovanni.

Nei primi versi della tragedia l’azione si svolge - come abbiamo visto - nella casa dello sposo, dove secondo il rito, la sposa deve svestirsi dei suoi abiti per indossare quelli ricevuti in dono dalla suocera, sua ‘nuova madre’. La cerimonia inizia la mattina per arrivare al “mezzodì”, momento in cui arrivano le parenti con i doni per gli sposi. Come osservava Finamore nelle Tradizioni abruzzesi,

“l’abbigliamento della sposa popolana non è mai di bianco”,142 ma di verde,

colore magico, simbolo di vita rinnovata. Il suono delle campane di mezzogiorno ha un doppio significato: è il momento in cui inizia il rito nuziale frumentario, con la benedizione degli sposi per mezzo del pane condiviso, e l’arrivo delle donne del parentado con i doni dei cerali; ma è anche il momento più caldo del giorno, che stordisce Lazaro e i mietitori e insieme desta il loro desiderio.

FAVETTA: Ora suona la campana, la campana di mezzodì.

141 G. D’Annunzio, La figlia di Iorio, in Tragedie, sogni e misteri, tomo I, Mondadori, Milano, 2013,

pag. 768.

142 G. Finamore, Tradizioni popolari abruzzesi, in A. Andreoli, Appendice a La figlia di Iorio,

107

SPLENDORE: Ora viene il parendato a portarti le canestre,

le canestre di grano trimestre; e tu, ecco, non sei pronta! 143

D’Annunzio descrive nei minimi dettagli i preparativi per il rituale nuziale, dalla casa, agli abiti degli sposi, al cibo ricco da consumare insieme, fino ai doni che la comunità fa alla coppia. Osserviamo tuttavia che al rituale partecipano soltanto le donne, mentre gli uomini sono nei campi a mietere il grano e si dedicano a ben

altro rito, la cosiddetta ‘incanata’. Il protagonista della Figlia di Iorio, Aligi entra in scena “imberbe”, “con voce

grave ed occhi fissi, religiosamente”, come se fosse in uno stato di confusione mentale.

Nello stesso modo entra in scena Gigliola, la protagonista della Fiaccola sotto il

moggio, secondo la didascalia:

Gigliola discendendo la scala esce dall’ombra del voltone, vestita di gramaglia, in atto di inseguire perdutamente qualcuno che le sfugga, pallida, anelante, con gli

occhi allucinati. S’arresta e vacilla. Ha la voce rotta.144 All’inizio di entrambe le tragedie i rispettivi protagonisti, Aligi e Gigliola

prendono la parola per esprimersi con tono quasi profetico, alludendo

oscuramente ciascuno al proprio destino e alla minaccia sconosciuta che incombe sulle loro famiglie:

ALIGI: Io mi colcai e Cristo mi sognai. Cristo mi disse: - Non aver paura. San Giovanni mi disse: - Stai sicuro.

143 G. D’Annunzio, La figlia di Iorio, pag.769. 144 La fiaccola sotto il moggio, pag.914.

108

Senza candela tu non morirai.

Disse: -Non morirai di mala morte. E voi data m’avete la mia sorte,

madre; la sposa voi l’avete scelta pel vostro figlio nella vostra casa.

Madre, voi ne l’avete accompagnata perché dorma con me sopra il guanciale,

perché mangi con me nella scodella. Io pascevo la mandra alla montagna,

alla montagna debbo ritornare.145

GIGLIOLA: Nonna, domani è il dì di Pentecoste. Questa è la festa delle lingue di fuoco. Se lo spirito viene anche su di me, io che ho sempre taciuto, parlerò.146

I due protagonisti, Aligi e Gigliola, si trovano in uno stato mentale particolare, in uno stato di sub-coscienza, che gli impedisce loro di agire e di vivere in modo

lucido e razionale. Aligi entra in scena recitando la salutazione rituale del mattino, una preghiera di

lode ai santi e alla famiglia, utilizzando un linguaggio liturgico, nei significati e nel ritmo:

Laudato Gesù e Maria! E voi, madre che mi déste questa carne battezzata, benedetta siate, madre.

Benedette voi, sorelle, fiore del mio sangue.

Per voi, per me, la croce mi faccio in mezzo al viso dove non passo

145 G. D’Annunzio, La figlia di Iorio, pag. 773.

109

il falso nemico né morto né vivo, né fuoco, né fiamma,

né veleno né fattura;

né malo sudore lo bagni né pianto. Padre, Figliuolo e Spirito Santo!147

Aligi si mostra pronto al volere della madre e della famiglia, rispettoso delle leggi immutabili che governavano quella società primitiva. Le parole di Aligi

rimandano alla fede religiosa, al rispetto dei “comandamenti” dei genitori, ma anche a una mentalità superstiziosa caratteristica degli Abruzzesi. Aligi è sceso, per tre giorni, alla casa paterna, per prendere moglie Vienda, secondo il desiderio di sua madre: ma sembra ”uscito da un favoloso sonno plurisecolare”148, durante

il quale ha avuto un oscuro presagio di ciò che accadrà. D’Annunzio mette in opposizione i due mondi, quello pastorale di Aligi, più

contemplativo e pacifico, e quello agricolo, del padre Lazaro, dominato dalla fatica e dalla violenza. Aligi dichiara apertamente di voler ritornare alla montagna, dove sente che si trova il suo posto; nella casa paterna, oramai si sente un

estraneo, che ha dimenticato “la sua culla”. Il padre Lazaro è assente alla cerimonia di matrimonio, ma viene evocato da Aligi

attraverso il comandamento che da lui fu dato. Aligi si esprime utilizzando scongiuri e preghiere, formule scelte da D’Annunzio

dal repertorio di Finamore ,(Preghiere e canti di devozione), che hanno lo scopo di proteggere dal “falso nemico”( il diavolo), e dalla “cosa trista” (le streghe). Aligi, essendo pastore, ha abbandonato le usanze del mondo agricolo, non le conosce più, e ha accolto le tradizioni pastorali (la transumanza, la comunione con

147 G. D’Annunzio, La figlia di Iorio, pag.772.

110

il mondo naturale della montagna), esibendo le proprie qualità artistiche nelle

immagini, naturalistiche e simboliche, che scolpisce nel legno della sua mazza. Mentre nella casa si sta celebrando il rituale matrimoniale, fuori, Lazaro e i

mietitori fanno “l’incanàta”, cioè si lasciano andare ad una pratica rituale che D’Annunzio ha ripreso, ancora una volta, dagli Usi di De Nino149:

Per diritto consuetudinario, è permesso ai mietitori di dire quante più male parole vogliono a chi passa: lupa, scrofa, cornuto, e simile zizzania!

E questo gridare, come farebbero i cani, si dicono incanàte. Ritorniamo al rito delle nozze per osservare i protagonisti: Candia, la madre dello

sposo, è la sacerdotessa che conduce il rituale, sostenuta dalle figlie e dalle altre donne della comunità. Come di consuetudine, il rito consiste nella benedizione

degli sposi attraverso la condivisione del pane:

CANDIA: Nuora, nuora, segnai con questo pane il mio sangue; ed ecco, ora lo spezzo,

lo spezzo sul tuo capo rilucente. Fa crescer la casa d’abondanza, come il lièvito buono che ogni volta fa traboccar la pasta nella madia. Portami pace e non portarmi guerra.

LE TRE SORELLE: Così sia, madre. Baciamo la terra. (Si chineranno, toccheranno la terra con la destra, e questa recheranno alle labra.

Aligi sarà prostrato come chi prega, in disparte. […] Vienda s’asciugherà il volto col grembiale. Poi nel grembiale, preso per le cocche, riceverà dalla suocera il

149 De Nino, Usi II, LII, Le incanate e le biche con la bandiera, in A. Andreoli, Note e notizie sui

111

pane spezzato). CANDIA: In sangue e latte me lo devi rendere! 150

Ma il rituale è turbato in sottofondo dalle urla dei mietitori, come commenta

Candia:

I mietitori fanno l’incanata,. Dalla pazzia del sole Iddio li scampi, figlio, e dal sangue li guardi il Battista!

La scena si chiude con l’immagine del pane benedetto che cade per terra dal grembiule della sposa: un terribile segno di malaugurio, che Ornella cerca di

coprire e di neutralizzare attraverso una formula di scongiuro: ORNELLA (con la voce soffocata):

Ah! Libera nos, Domine! Raccata,

raccatta e bacia, che mamma non veda. (Vienda come impietrita dal terrore superstizioso, non si chinerà raccogliere ma

guaterà con occhi sgomenti i due pezzi del pane caduti a terra. Aligi, levatosi,

occuperà il vano dell’uscio come per impedire la vista alla madre.) FAVETTA: Raccatta e bacia, ché l’Angelo piange. Fa un vòto muto, il più grande che puoi.

Chiama San Sisto, se vedi la morte. ORNELLA: San Sisto, San Sisto, lo spirito tristo

e la mala morte di giorno e di notte,

tu caccia da noi; tu strappa e calpesta ogni occhio che nuoce. Qui faccio la croce. (Mormorando lo scongiuro, ella raccatterà rapidamente i due pezzi del pane, li

premerà l’un dopo l’altro su la bocca della cognata, poi li riporrà nel grembiale,

112

col pollice vi farà il segno. E trarrà gli sposi a risedére, mentre la prima delle donne con l’offerta frumentaria apparirà nel vano della porta soffermandosi dinanzi alla cintura tesa.)151

La madre Candia, guida la cerimonia ed è custode del focolare, ma anche Ornella contribuisce molto allo svolgimento del rituale; a differenza della madre, tuttavia, evita di giudicare e d’imporsi sul destino del fratello e della cognata, e fa

piuttosto di tutto per aiutarli e proteggerli. Ornella è molto attiva in tutta l’opera, con la mente vigile e sempre in allerta; sa guidare il rituale, sa pronunciare gli scongiuri opportuni, sa negoziare con le donne del parentado, dimostrando di avere un carattere forte e intraprendente, nonostante sia la figlia più piccola della casa.

D’Annunzio mette in scena una piccola processione delle donne che si presentano al cospetto degli sposi, ognuna portando dei doni e rivolgendo loro delle

benedizioni:

Pace a te, Candia della Leonessa. Pace al figlio di Lazaro di Roio.

Pace alla sposa che gli ha dato Cristo. (Ella deporrà la sua canestra ai piedi della sposa; prenderà un pugno di

grano e lo spargerà sul capo di lei; ne prenderà un altro pugno e lo

spargerà sul capo del giovine). Questa è la pace che vi manda il Cielo. […] (La seguente ripeterà la cerimonia; le altre resteranno in fila aspettando la

loro volta, con le canestre sul capo. L’ultima, la madre della sposa, starà ancora presso la soglia, soffermata; e col lembo del grembiale si

asciugherà le gocce del sudore e del pianto.)152

151 G. D’Annunzio, La figlia di Iorio, pag.781-782. 152 G. D’Annunzio, La figlia di Iorio, pag. 784-785.

113

D’Annunzio descrive il rituale con estrema attenzione, seguendo ogni movimento in modo rigoroso, cosi come veniva compiuto nella sua terra d’Abruzzo,

sottolineando il fatto che sono le donne, le depositarie delle tradizioni, di riti e del

canto popolare. Questo quadro di serenità agreste è continuamente venato da piccoli infausti

indizi. Nel pieno del cerimoniale nuziale, modulato secondo norme ataviche, irrompe Mila, una donna “ammantata”, che chiede protezione dai mietitori, turbando lo svolgimento del rituale:

Gente di Dio, salvatemi voi! La porta! Chiudete la porta! Mettete le spranghe! Son molti, son pazzi di sole e di vino, di mala brama e di vituperio…. Mi vogliono prendere, me creatura di Cristo, me sventurata che male non feci. […]

Di qui mi strapperanno, dal vostro focolare (Dio non perdona),

dal focolare benedetto (Dio tutto perdona e questo no). Sono un’anima battezzata. Aiuto, per San Giovanni, per Maria dei Sette Dolori, per l’anima mia, per l’anima vostra!153

Esaminando il comportamento delle donne presenti, osserviamo che solo Ornella decide subito di chiudere la porta per difendere Mila, contraddicendo l’autorità della madre, Candia (Anna di Bova: “All’ultima di tua figliolanza/ or passata è la

114

signoria?), mentre le altre donne si chiedono se non sia meglio allontanare l’intrusa, che rappresenta una minaccia per tutte loro. Le donne si mostrano veramente preoccupate per le conseguenze nefaste che potrebbe proccurare l’interruzione del rito, e consigliano a Vienda di pregare e formulare un altro scongiuro.

L’unica persona che mostra pietà cristiana nei confronti di Mila, è, appunto Ornella. Come sottolineava Ettore Paratore, Ornella esprime i valori di fraternità promossi dalla nuova religione cristiana, dimostrando cosi di essere una persona

di spirito superiore.154 D’Annunzio lavora abilmente con i significati della morale, quella che Emilio

Mariano chiama “l’ambivalenza del sacro”155, che si divide le caratteristiche delle cose e delle persone in elementi sacri e elementi profani, soprattutto nella

costruzione dell’immagine di Mila, come lei viene vista dagli altri. Ornella vede in Mila una “creatura di Cristo”, Aligi una persona custodita dall” angelo muto”, e quindi una persona pura, degna di essere protetta; mentre le donne del parentado vedono in lei soltanto il lato impuro e maledetto che può contaminare tutti. D’Annunzio insiste molto sulla visione superstiziosa delle donne del parentado, che si riferiscono a Mila in tante formule, tutte negative: “una che si nasconde la faccia”, “pecora marcia”, “pecoraccia scabbiosa”, “bagascia di fratta e di bosco”, “puta di fienile e di stabbio”. Ma Mila non si arrende e invoca la sacra legge

154 E. Paratore, La figura di Ornella, in La figlia di Iorio, Atti del VII Convegno Internazionale di

Studi Dannunziani, Pescara, 24-26ottobre, 1985, Centro Nazionale di Studi Dannunziani e della Cultura in Abruzzo, Ediars, Pescara, 1993, pag.263.

155 E. Mariani, Il primo autografo della Figlia di Iorio, in La figlia di Iorio, Atti del VII Convegno…,

115

dell’ospitalità, che non si può negare a nessuno, respingendo Aligi che le donne vogliono convincere ad espellere l’intrusa.

Non mi toccare! Peccato fai contro la legge del focolare,

Tu fai peccato grande mortale contro il tuo sangue, contro la legge

Nel documento Gabriele D'Annunzio e le varianti del rito (pagine 102-120)