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poco dopo l’equinozio autunnale”.

Nel documento Gabriele D'Annunzio e le varianti del rito (pagine 120-136)

Anche le caratteristiche che D’Annunzio attribuisce alla vita pastorale sono il frutto di una fusione tra la sua esperienza diretta e l’assimilazione delle ricerche di De Nino. “La solitudine” e l’isolamento che De Nino aveva individuato come caratteristiche principali della vita pastorale, non sono più viste come una fonte di sofferenza, ma come la via da percorrere per avere una vita serena e felice. Questo dimostra il sogno di Aligi, di vivere in montagna, insieme a Mila, un amore

163 Idem.

164 M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, in E. Mariano, Il primo autografo della Figlia di

121

benedetto dalla Chiesa. Il pastore vive una condizione autonoma, in un mondo di pace, dedicandosi alla sua povera arte, in opposizione alla realtà violenta e corale

del mondo agricolo a cui appartiene Lazaro. Nella caverna vivono più persone diverse, unite soltanto da un’amicizia sincera e

dal rispetto reciproco; è un mondo dove la diversità viene accettata. I personaggi che D’Annunzio ci propone in questo atto, non sono determinanti per

la tragedia, ma hanno soprattutto la funzione di rappresentare “mestieri” inusuali che si potevano trovare nel mondo abruzzese: Malde, il cavatesori, Anna Onna, la vecchia delle erbe, e Cosma, il santo.

Nella prima scena del secondo atto, ci sono Aligi, intento a intagliare in un ceppo la figura dell’Angelo Muto (da offrire in dono al Papa perché sciolga le nozze con Vienda), e Mila, che raduna le schegge per arderle con l’incenso, compiendo il rituale della fumigazione, con lo scopo di purificare l’ambiente. Aligi racconta i suoi piani per il futuro, mentre Mila risponde con formule proverbiali, con un

linguaggio enigmatico che dice molto più di quello che viene inteso da Aligi:

ALIGI: Verso Roma farà viaggio Aligi, andrà dove si va per tutte la strade,

con la sua mandra verso Roma grande,

a pigliar perdonanza dal Vicario, dal Vicario di Cristo Signor Nostro,

perché quelli è il Pastore dei Pastori.

MILA: Affretta, affretta, ché il tempo se viene. Dalla cintola in giù l’Angelo è preso . ancor nel ceppo, i piedi ancor legati

ha nei nocchi, e le mani senza dita, e gli occhi si pareggian con la fronte.

122

Indugiato ti sei a fargli l’ale

penna per penna, ma volar non può .[…]

Affretta, affretta, ché il tempo sen viene

e già la notte è più lunga del giorno,

e sulla pianura monto l’ombra […]165

Mila parla di amore e di sacrificio, recitando ad Aligi una mescolanza di canti popolari che narrano la fine di un amore impossibile.

Cosma il santo dei monti, Malde il cavatesori e Anna Onna la vecchia delle erbe sono personaggi folclorici, cosi come lo è il serparo Edia Fura della Fiaccola sotto il moggio, che D’Annunzio riprende dalle storie raccolte da De Nino.

Cosma incarna la Legge che Aligi ha infranto, disobbedendo ai sui genitori, e il suo sogno spaventoso gli fa conoscere il destino del pastore, che sarà abbattuto ma risorgerà quando sarà ristabilita la legge. Cosma è conosciuto nella zona, è considerato un sacerdote che ha dei poteri sovrannaturali: e infatti gli viene chiesto di compiere un esorcismo, che avrà successo.

Rievocando le vicende accadute, Aligi sembra confessare i suoi peccati al Santo, chiedendo il suo consiglio e sapere magari da lui se sarà possibile ottenere il perdono dalla sua famiglia. Ma Cosma risponde con riserva, appellandosi alle antiche leggi e a Dio:

Parla parole diritte, pastore

e la tua confidanza non in me

poni ma nella santa verità.[…]

Pastore Aligi, la stadera giusta

e le giuste bilance son di Dio. […]

Prima che tu prenda

la via nuova, considera la legge.

123

Chi perverte la via , sarà fiaccato.

Guarda il comandamento di tuo padre.

Segui l’insegnamento di tua madre.

Tienli legati in sul tuo cuore.

E Dio guidi il tuo piè, che non sia preso

nei lacci e non incappi nella brace.166

Cosma si rivolge anche a Mila, donandoli dei consigli: Pace a te, donna. Se il bene sia teco,

fa che da te si versi come il pianto, senza che s’oda.167

Mila, oppressa dal senso di colpa, sta pensando da tanto tempo a come liberare Aligi e ricongiungerlo alla sua famiglia, mentre Aligi continua a ribadire la purezza del loro amore e la volontà di sposarsi:

Io prego Iddio che ponga sopra a noi

il suggello del sacramento eterno!

D’Annunzio moltiplica i punti di vista di quelli che guardano e giudicano i fatti; e se Cosma ammonisce i due innamorati, Anna Onna, la vecchia delle erbe, narra una storia tratta dal mondo naturale:

V’è un’erba rossa che si chiama Glaspi

e un’altra bianca che si chiama Egusa,

e l’una e l’altra crescono distanti;

ma le ràdiche loro si ritrovano

sotto la terra cieca e là s’annodano,

tanto sottili che neppur le scopre

Santa Lucia. Diversa hanno la foglia,

ma fan l’istesso fiore, ogni sett’anni.

166 G. D’Annunzio, La figlia di Iorio, pag.822-826. 167 Idem.

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E questo è scritto anche nelle carte. Cosma sa le potenze del Signore.168

Anna Onna, donna che vede nei segni della natura, capisce che Mila e Aligi sono fatti l’una per l’altro. D’Annunzio qui mette in opposizione la legge naturale, rappresentata da Anna Onna, e la legge morale, di Cosma, il santo, che comanda

sui destini umani. Cosma è il buon consigliere che conosce e promuove le leggi comportamentali

della società agricola cristiana antica; e così come hanno fatto le donne del parentado, anche lui respinge la strategia nuova che Aligi sostiene, che è quella del perdono e della riappacificazione. Come ha scritto Emilio Mariano, “la speranza del cristiano è la fede nel futuro”169. Se da una parte Aligi coltiva la speranza di unirsi in nuove nozze, (“con te partisco l’acqua il pane e il sale”), per Mila il distacco è senza speranza, “forza non ho d’andarmene, Maria. E vivere con

lui Mila non può.” Il drammaturgo sigilla il patto d’amore con un bacio, e come sottolineava

Giannangeli170, si può scorgere nella scena dell’innocente bacio tra Aligi e Mila,” il tradimento alla Madre-Montagna, come valore assoluto”, per così dire una

profanazione dei valori sacri della natura. Dopo l’uscita di scena di Aligi, Mila resta sola con i suoi dubbi, si distrae e lascia

spegnere la lucerna: e questo è uno dei simboli apparentemente accessori attraverso i quali – insistendo proprio sul sistema di credenze superstiziose radicate nella società abruzzese – l’autore lascia presagire il finale tragico della

168 G. D’Annunzio, La figlia di Iorio, pag.821.

169 E. Mariano, Il primo autografo della Figlia di Iorio, pag.30. 170 O. Giannangeli, D’Annunzio e l’Abruzzo del mito, pag.53.

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vicenda. Il rovesciamento dell’olio e lo spegnimento della lucerna infatti, come insegnavano le parabole raccolte da Finamore, sono segno certo di disgrazia.171

Mentre Mila è al culmine della sua disperazione entra in scena Ornella, che è venuta a chiederle di lasciare che Aligi torni a casa, ma nello stesso tempo, ad

avvertirli che il padre, Lazaro, gli sta cercando per chiudere i conti. Ornella e Mila riescono a comunicare alla pari, capiscono entrambe che esistono

nel mondo persone “diverse”, che vanno ugualmente rispettate e accettate. Ma quando sembra che l’azione vada verso una soluzione, il “fato” viene a

sconvolgere i piani. Mila infatti non ha tempo di partire o di trovare il sonno

mortale con le erbe, che nel frattempo arriva Lazaro alla caverna. Lazzaro è “una specie di Superuomo volgare e popolare” 172 , rappresentante di

un’autorità despotica, che vuole affermare la sua volontà di potenza nei confronti del figlio e della donna. Il personaggio è fatto di terra e radicato alla terra, è privo di affetti e di compassione, pieno di disprezzo sia il figlio - pastore e che delle donne. Come sottolineava Giannangeli, “Lazaro sconsacra l’amore coniugale e non vuole subire condizionamenti in questo senso”173.

D’Annunzio acutisce il dramma facendo di Lazaro l’antagonista di Aligi sia in amore, sia nel carattere e nei modi di fare. L’uomo è mosso dalla passione carnale per Mila, e lo confessa apertamente, ma anche dall’odio verso Aligi, che gli ha sottratto la donna ma anche l’affetto della famiglia:

171 “Hai da temere disgrazie se il lume ti cadrà di mano, o se in qualunque altro modo l’olio si versa

per terra.”: cfr. G. Finamore, Tradizioni, in A. Andreoli, Note e notizie sui testi, pag. 1288.

172 O. Giannangeli, D’Annunzio e l’Abruzzo del mito, pag.33. 173 O. Giannangeli, La figlia di Iorio e il canto popolare, pag. 119.

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E, dov’era colcato, sentiva

piangere e lagnare le donne

non per lui ma sì pel pastore

magato da una magalda

su la montagna distante.174

Aligi ha minato due volte l’autorità di Lazzaro, come uomo e come capo famiglia.

Il comportamento di Lazaro è estremo in quanto segue solo la logica del potere, fisico e materiale. Lazaro ribadisce il suo ruolo e il suo potere che gli è stato attribuito da una legge ancestrale:

Come ardimento hai di levare

il viso inverso me? Tu bada

ch’io non te l’arrossi di sùbito.

Va e torna allo stazzo, e rimanti

con la tua mandra dentro la rete

finché io non venga a cercarti.

Per la vita tua, obbedisci. […]

Io ti son giudice. […]

Io sono il tuo padre; e di te

far posso quel che m’aggrada,

perché tu sei come il bue

della mia stalla, […]

E a me è data su te

ogni potestà, fin dai tempi

dei tempi, sopra tutte le leggi.

E come io fui del mio padre,

tu sei di me, financo sottoterra.175

Aligi, in verità non contesta al padre il potere che ha su di lui, ma il potere che, con la forza, vuole esercitare su Mila. Tuttavia, l’antica tradizione abruzzese

174 G. D’Annunzio, La figlia di Iorio, pag.846. 175 G. D’Annunzio, La figlia di Iorio, pag.849-851.

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insegna come ci siano all’interno della società gerarchie e leggi insormontabili,

che non ammettono negoziazioni.

Assistiamo così a un rapido precipitare della vicenda verso la soluzione sacrificale. Aligi fa appello alla legge di Dio, unico e supremo giudice, e affronta il padre, infrangendo la legge dell’antico sangue:

Il Signore sia giudice, padre;

ma questa creatura alla vostra

ira non posso lasciare,

se vivo. Il Signore sia giudice.176

Francesco Nicolosi sottolineava il fatto che attraverso il parricidio, “Aligi si libera dal cerchio incantato in cui viveva”, e diventa un “homo novus”, un rivoluzionario che si sveglia da un sonno di secoli per affermare il diritto di rompere una tradizione ingiusta, despotica e ottusa, che privava l’uomo della facoltà di poter scegliere il proprio destino.177

Il figlio uccide il padre:

(D’improvviso, alla bocca della caverna, apparirà Aligi disciolto. Vedrà il viluppo nell’ombra. Si precipiterà contro il padre. Scorgerà nel ceppo rilucere l’asce ancòra infissa. La brandirà, cieco di orrore.)

ALIGI: Lasciala, per la vita tua!

(Colpirà il padre a morte.)178

176 G. D’Annunzio, La figlia di Iorio, pag.850.

177 F. Nicolosi, La figlia di Iorio, Atti del VII Convegno Internazionale di Studi Dannunziani,

pag.297.

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Esaminando da vicino la comunità abruzzese, D’Annunzio vuole mettere in evidenza il carattere retrivo e violento delle usanze popolari, dove dominano le leggi collettive, che puniscono con la vita la “trasgressione dei ribelli.”

Il terzo atto si apre con il ritorno alla casa di Candia, dove assistiamo alla veglia funebre di Lazaro, “steso sul nudo suolo”, come la tradizione vuole per le persone che hanno subito una morte violenta. Il drammaturgo divide la scena tra le donne del Parentado, il coro delle Lamentatrici e Ornella, che è da sola sotto l’albero, emarginata dalle altre donne perché ritenuta colpevole per aver aiutato Mila e per

aver slegato Aligi, causando questa tragedia.

Il rito funebre viene celebrato all’aperto, nella grande aia, e vi partecipa tutta la comunità, formata per la maggiore parte dalle donne, come era successo già nel primo atto, per il rito di matrimonio. Il rituale funebre, più che alla tradizione cristiana, rimanda ad un sistema culturale arcaico. Non c’è un sacerdote, un celebrante della messa, ma ci sono le donne Lamentatrici, che pregano e rievocano l’evento tragico e il suo carattere ‘fatale’: Iesu Cristo, Iesu Cristo,

l’hai possuto sofferire!

D’esta morte scellerata dovìa morire!

S’è veduto a vetta a vetta

tutto’l monte sbigottire.

S’è veduto in ciel lo sole

la sua faccia ricoprire.

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Ahi, che pianto si piange per te!

Requiem aeternam dona ei, Domine.179

Contemporaneamente al il rito funebre, ma fuori scena, si svolge anche il rito giudiziario del processo di Aligi, il parricida, che deve espiare una colpa terribile. Ornella annuncia l’arrivo del fratello:

Ore viene! Ora viene! Si vede

lo stendardo nero, e la polvere. […]

Lo stendardo è del Malificio

che l’accompagna. Ora viene,

per il commiato di morte

per avere dalla madre la tazza

del consòlo e andarsene a Dio.180 D’Annunzio alterna il lamento funebre ai comenti delle parenti, che osservano la sofferenza muta di Candia, come “quella non si lagna e non lacrima”. Si può osservare come le lamentatrici cambiano ogni volta lamento, adattandolo ai fatti accaduti ai vari protagonisti della vicenda. L’unica formula che ripetono ossessivamente è quella liturgica, e in questo caso specificamente cattolica: “Requiem aeternam dona ei, Domine.”

Il drammaturgo ricostruisce il rituale del giudizio pubblico con molta attenzione, sottolineando tantissimi dettagli essenziali che raccontano le caratteristiche della società abruzzese:

Dov’è Candia? Figliuole del Morto,

il giudizio è fatto. Baciate

la polvere, prendete la cenere.

Il Giudice del Malificio

ha dato sentenzia finale,

179 G. D’Annunzio, La figlia di Iorio, pag.858-859. 180 Idem, pag.859.

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e tutto il popolo è giustiziere

de parricida e l’ha nelle mani.

Ora il fratel vostro lo portano

qui, a pigliar perdonanza

dalla madre sua, che la madre

la tazza gli dia del consòlo,

prima che la mano gli tàglino,

prima che nel sacco lo sèrrino

col can mastino e lo gèttino

al fiume in dove fa gorgo.

Figliuole del Morto, prendete la cenere,

E Nostro Signore Gesù

abbia pietà del sangue innocente!181

D’Annunzio non rinuncia a incrinare la sacralità del momento, come lo ha fatto diverse volte nelle sue opere, e interviene mostrando l’indifferenza delle altre persone davanti alla sofferenza di questa famiglia, circondata da individui che sono lì per curiosità o per una superstiziosa paura. Solo l’uomo che accompagna Aligi, Femo di Nerfa, sembra avere un po’ di pietà:

Sempre ginocchione si stette

e si guardava la mano.

E diceva ogni tanto: Mea culpa.

E innanzi a sé baciava la terra.

E aveva un viso umile e pio

così che pareva innocente.

E l’Angelo intagliato nel ceppo

era là con la macchia di sangue.

E molti piangevano intorno.

E taluno diceva: È innocente.182

181 G. D’A., La figlia di Iorio, pag.863. 182 Idem, pag.864.

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Se da una parte la comunità si sente in pericolo, e cerca di ritrovare l’equilibrio attraverso il rito funebre e attraverso il sacrificio di Aligi, dall’altra parte,

troviamo Candia, che non piange il marito, ma solo il figlio. La disperazione delle tre sorelle (“perché siamo nate?), preparano la passione della madre; e visto che

l’azione si svolge di venerdì, rimanda evidentemente alla passione di Cristo.

Come osservava Emilio Mariano, “quel suo parallelismo in stoffe e stilemi della tradizione abruzzese tra al passione di Maria, e la propria passione vuole innalzare a modello sacro il rapporto Madre-Figlio.”183

D’Annunzio ripropone la figura della madre addolorata, che avevamo incontrato anche nel romanzo Il trionfo della morte, per sottolineare l’importanza delle madri

nella società popolare abruzzese. Candia parla in rime, tra pazzia e poesia, e nel momento in cui Ornella cerca di

farla ragionare, di svegliarla, le donne raccomandano di lasciarla sfogare il suo dolore, per permetterle di superare il momento di crisi. Come in un moto

concentrico, i ricordi vaghi di Candia via via si ristringono sino a mettere a fuoco il figlio. Come sottolineava A. Andreoli, nella cultura popolare, quale che sia la gravità dei peccati commessi, solo il perdono della madre garantisce la felicità

eterna184: e sicuramente Candia ha perdonato Aligi. Ancora una volta, tuttavia, lo svolgimento di un rito – in questo caso il funerale

di Lazaro e il giudizio di Aligi – viene sconvolto dall’entrata in scena, in un momento chiave delle celebrazioni di Mila, che è decisa di confessarsi colpevole dell’uccisione di Lazaro per salvare la vita di Aligi. Lei sa che per la comunità

183 E. Mariano, Il primo autografo della Figlia di Iorio, pag.34. 184 A. Andreoli, Note e Notizie sui testi, pag.1296.

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rimarrà sempre una straniera, una maga, una prostituta, e con una “sublime

menzogna” trasforma “l’antiverità in verità”:

Madre di Aligi, sorelle

d’Aligi, sposa, parenti,

stendardiero del Malificio,

popolo giusto, giustizia

di Dio, sono Mila di Codra.

Mi confesso. Datemi ascolto.

Il santo dei monti m’invia.

Sono discesa dai monti, venuta

sono a confessarmi in conspetto

di tutti. Datemi ascolto. […]

Aligi figliuolo di Lazzaro

è innocente. Commesso non ha

parricidio. Ma sì, il suo padre

ucciso fu da me con l’asce. […]

Mi confesso e mi pento. Non voglio

che l’innocente perisca.

Voglio il castigo, e sia grande! […]185

Mila si sacrifica per salvare la vita di Aligi, che in un primo momento si oppone con resistenza: “Mila, tu innanzi a Dio tu ne menti”. Ma Mila abilmente e rapidamente, riesce a convincere tutti della sua colpevolezza: anche Aligi, la cui mente è stata offuscata dalla “tazza del consòlo”.

Nell’atto conclusivo, D’Annunzio porta in scena un momento di estrema violenza popolare, che culmina con il momento in cui i paesani mandano a rogo Mila, per

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eliminare la strega e fare giustizia al morto. La decisione della comunità di sacrificare Mila dimostra come la religione arcaica della società agricola sia ben lontana dal cristianesimo, le cui leggi insegnano la pietà e il perdono. L’unico personaggio realmente caratterizzato da una religiosità profonda rimane Ornella,

che benedice Mila, rovesciando e annullando la maledizione di Aligi.

Appena ascolta la “confessione” di Mila, Candia “con ambe le braccia, scossa da un fremito quasi di belva, afferra il figlio ridiventato suo”. Attraverso questo gesto, Candia riprende il potere di “grande madre”, di custode e di guida della sua famiglia: un ruolo destinato a diventare, da quel momento in poi, ancor più importante, visto che Lazaro, padre e marito, non c’è più.

Come osservava Emilio Mariano, con il sacrificio di Mila e con la liberazione di Aligi, la comunità richiude in ciclo drammatico, garantendo la stabilità della vita del mondo agricolo-pastorale.186

Ritornando al sacrificio finale, vorrei sottolineare come D’Annunzio assegna a Ornella le ultime parole di benedizione, in quanto lei è l’unica che conosce la verità e riesce a capire il gesto eroico di Mila, che sta nel sacrificio di sé per salvare la persona amata:

(ORNELLA a gran voce)

Mila, Mila, sorella in Gesù,

io ti bacio i tuoi piedi che vanno!

Il Paradiso è per te!187

Abbiamo visto come D’Annunzio mette al centro dell’azione, Mila, una donna coraggiosa, che, come sottolineava Barberi Squarotti, “porta su di sé il compito di

186 E. Mariano, Il primo autografo della Figlia di Iorio, pag.35. 187 G. D’A., La figlia di Iorio, pag.890.

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rivendicare purezza, dignità, valore, capacità di scegliere la propria morte, o almeno di incarnare l’innocenza di fronte all’inganno, alla menzogna, alla

crudeltà, alla follia degli altri personaggi.”188

D’Annunzio sceglie di fare della donna un’eroina tragica, in opposizione ai

drammi tradizionali, dove la donna era soltanto vittima. Secondo Iris Plack, anche se Mila non è una madre, la sua figura si accosta al

ruolo matriarcale delle donne nella società abruzzese, individui pieni di forza d’animo e di coraggio, che con astuzia e ingegno prevalgono sul mondo maschile,

che apparentemente possiede il primato.189 Nelle ultime parole di Mila:” La fiamma è bella! La fiamma è bella!”,

D’Annunzio condensa tutto il significato che questa morte ha per la protagonista.

Nel documento Gabriele D'Annunzio e le varianti del rito (pagine 120-136)