2.3 LA CONDIZIONE DELLA DONNA E IL RUOLO DELLA DOTE
2.3.1 Figlia, sposa, madre
In un saggio intitolato Crying when she’s born and crying when she goes away Gloria Raheja riporta un’antica canzone indù. “Nell’androne del palazzo colorato, nasceva una bambina. Mentre nasceva la bambina, suo nonno era triste. [La ragazza, subito dopo il matrimonio:] Nonno, perché sei lo sconfitto e perché il padre di mio suocero è il vincitore? [Il nonno] Cara figliola, perché io con te ho perso, ma con tuo fratello ho vinto. Nell’androne del palazzo colorato nasceva una bambina.”210 (Raheja, 1995: p. 27) Questi versi rendono bene l’idea dei “sentimenti culturali”, associati alla nascita di una bambina. La preferenza per il maschio è una caratteristica di tutte le società patrilineari, ma nell’India rurale è particolarmente sentita.
La vita di una donna è segnata da tre eventi fondamentali: la prima mestruazione, il matrimonio e il parto. L’infanzia giocosa, dietro il sari della madre, viene interrotta dall’arrivo della pubertà. La prima mestruazione è sempre
209 Da un dialogo personale il 7 luglio 2006. Aggiungo solo che in tale frangente questo mio amico, di cui ometto l’identità per preservarne l’anonimato, si è lasciato un po’ prendere dall’enfasi del racconto. In molti casi, poi, i giovani che mettono a repentaglio l’onore di una famiglia rischiano la vendetta dei parenti e non sempre sono considerati degli eroi. Tuttavia, non ho voluto smussare il tono della narrazione poiché mi sembra che sia testimone di un idealtipo culturale.
210 “In a corner of the color palace, a little girl was born. When the little girl was born, her grandfather was woebegone. [Girl speaking, just after marriage:] Grandfather, why are you the loser, and why is my grandfather-in-law the winner? [Grandfather speaking] Dear girl, because of you I’ve lost, but because of my grandson I’ve won. In a corner of the color palace a little girl was born.”
accompagnata da una cerimonia di purificazione. Una volta questa coincideva con la preparazione delle nozze. Oggi non è necessariamente così, ma l’età del matrimonio arriva sempre molto presto, spesso troppo presto.
“Mi sono resa conto allora per la prima volta che se le cose andranno nel modo in cui tutti sperano, dovrò trascorrere la vita accanto a un uomo che neppure conosco.
Rivedrò mai i miei genitori? Non mandatemi così lontano, avrei voluto gridare, ma naturalmente sono rimasta in silenzio. Avrei fatto la figura dell’ingrata. Papà si è dato tanto da fare per trovare questa occasione per me. E poi, non è forse il destino di ogni donna, come mi ha sempre detto la mamma, quello di lasciare il noto per l’ignoto? E’
successo a lei, e a sua madre prima di lei. Le donne sposate appartengono al marito, alla famiglia di lui.”211 (Divakaruni, 1995: pp. 18-19) La partenza può essere straziante.
L’obbedienza e il rispetto nei confronti del marito e dei parenti sono necessari. Solo col tempo la donna acquisterà autorità.
In realtà, in un matrimonio indiano assumere il ruolo di moglie è il preludio all’evento fondamentale e risolutivo: diventare madre (Divakaruni, 1995). Solo dopo aver dimostrato di poter assicurare la discendenza alla famiglia del marito, una donna entra a far parte a pieno titolo della nuova casa. Eppure “anche un atto così scontato come quello di mettere al mondo un figlio continua ad essere un rischio quotidiano per la sopravvivenza di migliaia di donne.” (Torri, 2000: p. 760) Il parto nelle aree rurali è ancora un’importante causa di morte.
Da quel momento in poi essa dovrà occuparsi di tutto quello che accade tra le mura domestiche. Oltre la metà delle donne in Tamil Nadu non lavora e la realizzazione professionale è un concetto concreto solo per una parte delle classi cittadine. Tuttavia, molte donne di bassa estrazione sociale sono costrette a lavorare a giornata per aumentare il reddito familiare già altamente deficitario.
La condizione della donna è più aperta e flessibile presso le caste di rango inferiore, i cristiani e alcune biraderi musulmane. Esse esprimono maggiormente la loro opinione, hanno un ruolo più forte all’interno della famiglia e sono più libere verso l’esterno. Anche il rapporto demografico maschi / femmine conferma questa tendenza.
In tutti e tre i casi le donne sono in numero superiore rispetto agli uomini. Questo trend
211 “For the first time it occurred to me that if things worked out the way everyone was doping. I’d be going … to live with a man I hadn’t even met. Would I ever see my parents again? Don’t send me so far away, I wanted to cry, but of course I didn’t. It would be ungrateful. Father had worked so hard to find this match for me. Besides, wasn’t it every woman’s destiny, as Mother was always telling me, to leave the known for the unknown? She had done it, and her mother before her. A married woman belongs to her husband, her-in-laws.”
è conseguenza dell’aspettativa di vita, biologicamente più elevata per le persone di genere femminile.
Sarebbe ingiusto sostenere che la donna in India svolga solo un ruolo da comprimario. Infatti, “mentre diverse persone in India asseriscono che il potere delle donne è insufficiente e stanno lottando per una maggiore uguaglianza sociale e politica, la maggior parte non vede la donna completamente priva di potere. Le convenzioni sociali, l’eredità patriarcale e la residenza patrilocale impongono loro molte limitazioni, ma le donne hanno poteri che non sono direttamente visibili dalle persone che guardano la situazione dall’esterno o sufficientemente considerati da quelli che la osservano dall’interno. Questi poteri sono resi espliciti dalla mitologia e dal folklore, dove le figure femminili, donne e dee, esercitano un potere considerevole. La venerazione delle dee, come vergini, madri e guerriere suggerisce importanti supposizioni sul ruolo e sulle abilità delle persone di genere femminile nella società.”212 (Courtright e Harlan, 1995:
p. 9)
Il ruolo delle donne non si esaurisce in un mero ricordo mitologico, ma è tangibile nella vita quotidiana. Questo paragrafo si è aperto con una rassegna delle tante figure femminili con un ruolo sociale importante e riconosciuto a livello pubblico. Ma le donne sono anche e soprattutto le responsabili della famiglia. Nella maggior parte delle decisioni domestiche le donne giocano un ruolo fondamentale e, spesso, la loro influenza è preponderante. Le mogli non sono di certo relegate solo alla cucina e alle faccende pratiche, ma nella gestione e nell’educazione dei figli e nell’andamento di tutte le questioni che riguardano la famiglia nel suo complesso riescono a far pesare le loro opinioni ben oltre un’evidenza immediata. Per ora, la scena pubblica e l’esercizio del potere continuano ad essere dominati da figure maschili, ma nel privato le donne influenzano anche le possibili decisioni pubbliche dei loro fratelli, mariti e figli. Infine, esse hanno quella fierezza, senso di responsabilità e sensibilità prettamente femminili, che spesso tengono uniti i membri delle varie generazioni: le donne hanno la capacità di unire e in molti casi è grazie a loro se le famiglie in gravi difficoltà evitano di disgregarsi completamente.
212 “While many people in India agree that the power women wield is insufficient and so are fighting for greater social and political equality, most do not see women as utterly powerless. Social convention, patrilineal inheritance, and patrilocal residence impose many limitations on women, but women do have certain powers that are not obvious to outsiders or valued by all insiders. These powers are made visible in mythology and folklore, where female figures, women and goddesses, exercise considerable power.
The veneration of goddesses, as virgins, mothers, and warriors, and its attendant valuation of the female suggests certain important assumptions about the character and abilities of women in society.”
Personalmente, in varie occasione ho avuto modo di incontrare donne con mariti scappati di casa o intenti a sprecare i loro soldi in squallidi “wine shop”: i risparmi di una settimana, bevuti in pochi sorsi di whisky. E loro, le mogli, capaci di continuare a gestire le relazioni all’interno delle mura domestiche, attente ai figli e ai doveri rituali nel villaggio. E altrettante volte sono stato accolto da donne desiderose di condividere un pasto in comune. Nonostante la giornata di lavoro, con il marito sdraiato su una branda a guardare la televisione o a “catalogare” insetti d’ogni sorta, riprendono le redini della cucina. E c’è sempre un po’ di sambar, due idli e qualche chapati per l’ospite di turno. Il tutto senza mai perdere il sorriso.
2.3.2 La dote
Il peso di una figlia nell’economia di una famiglia è dovuto soprattutto alla tradizione della dote. Questa può essere definita come una transazione di denaro o beni durevoli dalla famiglia della sposa a quella dello sposo.
Tale pratica è molto diffusa in tutta l’India e, in particolare, in Tamil Nadu.
Viene anche chiamata prezzo dello sposo, poiché sancisce il valore del futuro marito.
Egli, infatti, si deve preoccupare di mantenere la famiglia, mentre la donna non vi contribuisce in maniera sostanziale. Quindi, il pagamento della dote sopperisce a questa
“mancanza”: quanto più lo sposo è ricco, possidente, benestante, tanto più la dote deve essere consistente.
Questo costume un tempo era in uso solo presso la casta dei Bramini, ma nel corso dei secoli si è diffuso a tutta la società indiana. Oggi è diventato una tradizione trasversale a tutte le caste e tutte le religioni. Esistono diverse possibilità di dote e spesso gli incontri preliminari tra le due famiglie servono proprio a definire le modalità del pagamento. Nell’area Viluppuram e a Nilakottai possiamo distinguere tre forme differenti: denaro, doni in oro, gioielli e utensili per la casa, cessione di proprietà immobili. In tutti e tre i casi la riscossione può avvenire al momento del fidanzamento, il giorno delle nozze o in un periodo successivo, fissato in maniera precisa da un accordo scritto o sulla parola. Nelle comunità cristiane il patto può essere stipulato in presenza del sacerdote e parte della dote può essere devoluta alla chiesa locale (Caplan, 1993: p. 362).
La cidanam, ovvero l’acquisizione di terre o altri beni immobili da parte della famiglia dello sposo è la modalità meno diffusa. I pagamenti in denaro, oro e gioielli, invece, sono praticati dalla maggior parte delle famiglie. Molto spesso non si tratta di un passaggio diretto. I doni sono sempre offerti alla sposa da membri della sua famiglia: lei però li utilizzerà in seno alla nuova casa.
La pratica della dote porta con sé quattro ordini di conseguenze: uno di carattere antropologico, uno di carattere giuridico, uno di carattere economico e uno di carattere sociale. La conseguenza antropologica è che il modello dell’ipergamia è sostenuto proprio dalla pratica della dote. “La famiglia di basso status (ma non necessariamente di modeste ricchezze) tenta di qualificarsi socialmente contraendo un matrimonio di livello superiore per le figlie e le sorelle. Vi è qui uno scambio di status ottenuto tramite il patrimonio, e non vi è dubbio che i ricevitori di dote possano essi stessi avvantaggiarsene pretendendo doti elevate dai datori di donne.” (Goody e Tambiah, 1973: p. 100)
La seconda conseguenza è giuridica solo in prima battuta e riguarda la proprietà dei beni immobili ricevuti dalla sposa, in caso di divorzio, abbandono o morte prematura di uno dei due coniugi. La consuetudine vuole che tutti i doni fatti alla sposa possono essere utilizzati dalla nuova famiglia, ma rimangono proprietà della sposa. I beni immobili e le concessioni in denaro, invece, appartengono alla famiglia dello sposo.
L’entità della dote nelle famiglie può arrivare fino a “sei volte il reddito annuo dei genitori e, di conseguenza, è causa di debiti e povertà.”213 (Rao, 1993: p. 667) Sulle famiglie che gravano in condizioni economiche precarie, spesso insicure per quello che riguarda anche il livello minimo di sostentamento, questa pratica è un fardello insostenibile. Pur di permettere alle proprie figlie di sposarsi e non subire l’onta di una
“zitella” in famiglia i genitori sono disposti a indebitarsi per anni. Le famiglie da me intervistate hanno detto che per l’organizzazione di un matrimonio tradizionale (quindi, comprensivo anche delle spese per la celebrazione) si sarebbero indebitati, mediamente, per un periodo variabile tra i due e i dieci anni.
Il problema economico ha due riflessi sociali. Il primo riguarda il desiderio di non avere una figlia femmina. Di fronte alle spese che comporta il pagamento della dote diventa più chiaro per quale motivo il nonno della canzone si considerava vincitore grazie a suo nipote e perdente a causa di sua nipote. Il secondo problema è che molto
213 “six times the parents’ annual income and, consequently, a cause of indebtness and destitution.”
spesso la dote viene pagata in fasi differenti. Questo significa che tra la famiglia della sposo e quella della sposa si crea una relazione creditore / debitore. La prima persona che subisce un eventuale mancato rispetto dei patti o una dilazione del pagamento è proprio la donna. Questo “può aumentare il rischio di violenza domestica, come numerosi articoli di giornale sulla violenza a causa della dote hanno sottolineato nel corso degli anni.”214 (Bloch e Rao, 2002: p. 1033) In ogni caso una dote non saldata o la consapevolezza di un ingente debito che grava sui genitori, costituisce un fardello molto opprimente per la giovane sposa. Lei, soprattutto nei primi anni della vita matrimoniale, oltre a dover affrontare le difficoltà di “ambientamento” in un luogo spesso estraneo, è cosciente dei debiti contratti dai genitori per pagare la sua dote. La consapevolezza delle difficoltà affrontate dalla sua famiglia di origine non sono di certo fonte di serenità.
E’ utile aggiungere che, in realtà, lo stato indiano si è accorto da tempo del fatto che la dote può essere fonte di molti problemi sociali e familiari. Il Dowry prohibition act risale al 1961, ma da allora la situazione non è cambiata di molto e, all’interno del matrimonio, la dote resta uno dei costumi più praticati (Uberoi, 1993: p. 41).
214 “can also raise the risk of domestic violence, as numerous newspapaers articles on dowry violence have outlined over the years.”
Nel concludere questo capitolo, mi sia permesso di recuperare ancora una volta la dimensione emotiva. Il matrimonio è un evento importante dal punto di vista socio-antropologico, ma lo è ben di più dal punto di vista umano. Ho intervistato le coppie, ne ho parlato con le persone dell’ASSEFA e con alcuni amici: il problema principale non era certo quale rito avrebbero fatto o che tipo di alleanza si sarebbe instaurata e con chi.
Il matrimonio è uno spartiacque nella vita delle persone che vivono a Kallakurichi e dintorni e lo è in particolar modo per le donne. Come ho accennato anche nella sezione autobiografica del capitolo precedente, il pensiero su chi sarà mio marito o mia moglie è al centro delle riflessioni personali di ogni giovane. Dietro il matrimonio si celano le paure, le insicurezze, ma anche le speranze e i sogni per la vita adulta. Le nozze in Tamil Nadu sono un simbolo della relazione uomo / donna e sono il veicolo concettuale più semplice per parlare dell’amore.
Durante le mie visite nei villaggi, dopo essere entrati un po’ in confidenza, le persone mi chiedevano sempre se ero sposato. Di fronte alla mia risposta negativa, da un lato si stupivano e poi cercavano di capire: come mai un uomo di venticinque anni non pensa al matrimonio?
Nelle conclusioni dedicherò più spazio alle riflessioni suscitate da questo tema, ma ora vorrei dar voce ai sentimenti che sono affiorati nei dialoghi sul matrimonio.
Eppure, un po’ per senso del pudore, un po’ perché non sempre sono riuscito ad andare veramente a fondo su questo argomento, preferisco tralasciare le note del mio diario di viaggio. Aggiungo solo, cavalcando un piccolo stereotipo con fondo di verità, che le donne sono sempre più sensibili e profonde nel parlare di questi argomenti. E la differenza di genere, nel raccogliere le loro confidenze e nell’aprirmi alle mie, si è fatta sentire, anche nelle amicizie.
Per questo motivo preferisco riportare il racconto di una donna anziana, raccolto da Josiane Racine in un libro illuminante sotto diversi punti di vista. Viramma, così si chiama la donna, racconta i suoi pensieri e le sue emozioni all’idea del matrimonio:
“Era primissimo mattino, il sole stava per spuntare, e dovevamo sbrigarci per arrivare a Karani prima dell’ora nefasta. Nella semioscurità, riconoscevo tutti i campi che attraversavamo, ed enumeravo, uno dopo l’altro, i loro proprietari. Sapevo tutto a memoria. Erano appena stati fatti i raccolti. I campi apparivano vuoti, la natura triste.
Triste come me. Ma che fare? Mi dicevano che era per il mio bene che mi mandavano
via così da quella terra, dov’ero nata, per condurmi da sconosciuti. Mi misi a piangere, mentre intorno a me sentivo parlare di matrimonio”.
“Mi spiegarono cos’era il matrimonio. Stavo per lasciare la casa, la famiglia, le mie amiche, il mio villaggio natale, per andare a fare da mangiare a degli stranieri e a lavorare per loro. Ormai, sarei appartenuta soltanto a quelle persone, sarei diventata figlia loro, e per venire a trovare i miei genitori avrei avuto bisogno del loro permesso.
Era troppo per la testolina che mi ritrovavo. Singhiozzavo giorno e notte. Imploravo mia madre di non darmi in matrimonio. Sarei stata buona. Non avrei più giocato, avrei lavorato sodo, avrei portato molti soldi a casa. Domandai anche a Nayaki e alle mie amiche d’intervenire presso mia madre, e di farle abbandonare il suo progetto.
Abbracciate insieme, piangevamo a calde lacrime. Mamma sapeva bene che ero soltanto una bambina e che non capivo niente di tutta quella faccenda, ma lei stessa si sentiva incapace di spiegarmela. Citò il suo esempio. Anche lei aveva lasciato sua madre per venire a Velpakkam; qui aveva avuto dei bambini ed era stata felice, anche se non sempre mangiava quando aveva fame. Ecco il destino delle donne. La partenza è spaventosa, si crede che tutto finisca, ma in realtà con il matrimonio comincia tutto. Si diventa donne e si sboccia per diventare la luce del focolare.”
(Viramma, 1997: pp. 37 e 28)
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I I M MA AT TR R IM I MO ON N I I C CO OM MU UN NI I TA T AR RI I D DE EI I P PR RO OG GE ET TT TI I AS A S SE S EF FA A
Helping someone to get married, is like building 1.000 temples Proverbio tamil
L’analisi del contesto è terminata. Abbiamo preso in esame tutti gli elementi che comparivano attorno alle coppie comunitarie, abbiamo sfogliato l’album di famiglia, quello dei matrimoni tradizionali. Siamo finalmente arrivati al soggetto sul quale è stato puntato l’obiettivo.
Questa volta è difficile cominciare il capitolo in termini esclusivamente analitici.
Quel soggetto, infatti, sono persone, uomini e donne, con una memoria alle spalle, un vivere al presente e diverse speranze per l’avvenire.
Nell’osservare questa fotografia ideale sono consapevole di avere fra le mani un piccolo tesoro. Dietro i matrimoni comunitari c’è la storia delle persone che li hanno pensati, quelli che li hanno organizzati, quelli che li hanno vissuti e quelli che li hanno osservati. Procedo con cautela, testimone di un’esperienza e cosciente di alcuni limiti.
Prima di iniziare la descrizione e l’analisi devo fare tre premesse.
Come sostenuto anche nell’introduzione, questa tesi viaggia su un doppio binario. I matrimoni comunitari dei sette progetti ASSEFA non sono un modello, ma un’esperienza. Per le persone che li hanno vissuti e per me che li ho osservati, seppure in forme e con ruoli diversi, sono qualcosa di irripetibile. In questo senso, la descrizione sarà intrisa di filtri culturali: i miei, ma anche quelli dei miei interlocutori. Nella maggior parte dei casi sarà il risultato di percorsi di convergenza, altre volte di divergenza.
Tenuto conto di questi filtri, l’obiettivo del mio lavoro è fornire una chiave di lettura all’esperienza. L’analisi procederà in maniera dinamica, le osservazioni saranno parte integrante della descrizione, ma solo nell’ultimo paragrafo e nelle conclusioni vi
Tenuto conto di questi filtri, l’obiettivo del mio lavoro è fornire una chiave di lettura all’esperienza. L’analisi procederà in maniera dinamica, le osservazioni saranno parte integrante della descrizione, ma solo nell’ultimo paragrafo e nelle conclusioni vi