• Non ci sono risultati.

La scelta dell'attore per interpretare il presidente della DC cade su Roberto Herlitzka. Una scelta, se vogliamo, in controtendenza rispetto a quella fatta da Ferrara con Volonté. L'attore milanese traeva con sé un portato estremamente stratificato, sia per la sua figura pubblica di intellettuale militante, sia per i ruoli interpretati nella sua carriera cinematografica – soprattutto, relativamente alla figura di Moro, per quel che riguardava Todo modo di Elio Petri. Herlitzka è, invece, un attore perlopiù sconosciuto al grande pubblico. È già apparso in numerose pellicole, a partire dagli anni '70 e ha anche già lavorato con Bellocchio, ne Il sogno della farfalla del 1994. Non si tratta mai, comunque, di ruoli di primo piano né partecipa a film che raggiungono grandissimi livelli di notorietà.

Ha anche alle spalle una grande carriera teatrale, con numerosi ruoli scespiriani. Tra questi, poco prima di assumere il ruolo di Aldo Moro, c'è quello di Amleto, in uno spettacolo intitolato ExAmleto del quale è anche regista ed unico interprete. È probabilmente lì, da quei ruoli tragici, che Herlitzka attinge l'humus per dar vita al suo Aldo Moro. Quello di Herlitzka è un Moro sovente in scena da solo, osservato dal

“pubblico” di brigatisti – dal personaggio di Chiara, soprattutto – attraverso lo spioncino che dà sulla sua prigione/palcoscenico.

Buongiorno, notte non è un film sul caso Moro. Non è neppure un film che ha come protagonista il presidente della DC. Il personaggio principale è quello di Chiara, l’alter-ego della Braghetti, anche se – come osservato nel paragrafo precedente – possiamo spingerci ad affermare che la vera protagonista del film è la rappresentazione

91 Il fatto che il doppio finale di Bellocchio, in quanto problematico rispetto all’orizzonte delle attese dello spettatore, agisca come riattivatore della memoria viene sottolineato anche da P. Desogus (Il brigatista sul grande schermo, cit.): «Rispetto a La meglio gioventù, Buon giorno, notte non termina con una conciliazione, non cerca il facile lieto fine […] Il doppio finale e agisce in questo modo sull’orizzonte delle attese, tradendo – anche se solo in parte – la lettera storica, ma permettendo in questo modo di riportare sul piano del possibile la vicenda Moro. Il trauma dei cinquantacinque giorni esce in questo modo dal vicolo cieco della memoria: viene rivissuto per essere decostruito insieme al dispositivo ideologico brigatista che ha portato all’assassinio del dirigente democristiano»

71

del caso Moro, tra memoria e sogno. All’interno di questa scelta autoriale acquista perciò un valore maggiore il modo in cui Bellocchio sceglie di rappresentare Moro: i riferimenti, le scelte registiche. Le analizzeremo, come fatto nel capitolo precedente per il film di Ferrara, con l’intento di comprendere qual è il contributo di Herlitzka e Bellocchio alla figura di Aldo Moro nella memoria collettiva.

In un’intervista92 a proposito del suo ruolo nel film, Roberto Herlitzka fa alcune osservazioni che risultano per noi interessanti. Interrogato sulle modalità con le quali è stato scritturato per il film, risponde:

HERLITZKA

«Quando mi ha offerto Moro...beh, come si fa a dire di no a un personaggio così?

Anche se nella sceneggiatura c’era molto meno che nel film. […] La sua presenza era più, come dire, di sfondo: […] una presenza meno presente, anche se è

chiaro che era importante. Quindi io ho accettato senz’altro»

INTERVISTATORE

«L’idea del finale controfattuale, in cui contro ogni evidenza della storia – purtroppo – Moro si scopre libero, esce, fa una passeggiata meravigliosa, che è il cuore

del film: quello c’era già dalla prima stesura?»

HERLITZKA

«Sì sì, quella c’era già ed è stato un colpo d’ala davvero di Bellocchio, straordinario, che poi ha acquistato un sacco di significati. Non certo solo quello di

essere un sogno della brigatista...un sogno forse di tutti...»

Queste poche parole evidenziano due aspetti importanti. Il primo è che la scelta di Bellocchio è quella, sin dall’inizio, di fare un film che non sia incentrato su Moro e, soprattutto, non sia una ricostruzione storica del sequestro e dell’assassinio. Il secondo è che quello di Moro è una figura che un attore aspira ad interpretare; per il suo valore storico, certamente; ma anche per quello simbolico, per il suo essere una figura centrale

92 Il video dell’intervista è visibile all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=IKSL3U0UA-s

72

nella narrativa contemporanea e, sicuramente, anche per i suoi precedenti cinematografici. Fare Moro significa interpretare il personaggio di una tragedia, esattamente come quelle scespiriane con le quali Herlitzka ha avuto grande successo.

Significa interpretare un personaggio ben presente nella memoria degli italiani. E significa rifare Volonté, che di quella figura è il principale mediatore se non, addirittura, nell’immaginario collettivo, il sostituto.

La figura di Moro entra in scena quando il film è già entrato nel vivo. E lo fa con un’immagine che richiama già una simbologia cristiana che verrà riproposta sia dalla sceneggiatura che da alcune inquadrature. Siamo al minuto 14, quando nella penombra dell’appartamento di via Montalcini, quando il corpo del presidente della DC viene estratto dalla cassa che è servita per trasportarlo. Esanime, tra le braccia dei brigatisti, richiama le immagini del corpo di Cristo deposto dalla croce.

Moro viene estratto dalla cassa, nel buio dell’appartamento di via Montalcini

La prima volta che udiamo la sua voce, risponde a Moretti che gli chiede se ha capito chi sono. La risposta, affermativa, proviene fuoricampo, dalla voce stanca di un volto che non abbiamo ancora visto. La prima immagine in cui riusciamo a vedere chiaramente il presidente della DC è qualche minuto dopo: Chiara si sveglia nel cuore della notte, dopo il primo dei sogni che Bellocchio ci mostra attraverso l’inserimento di scene tratte da altri film (dei sogni di Chiara parleremo nel prossimo paragrafo). La

73

brigatista, mentre i suoi compagni dormono, si intrufola nel cubicolo in cui dorme More e lo osserva. La figura di Moro appare illuminata da una luce uniforme, che non si sa da dove provenga; è in posizione fetale, rivolto verso la parete.

Chiara “spia” il prigioniero durante la prima notte del sequestro

Infine, in un processo di progressivo svelamento, Moro-Herlitzka ci appare per la prima volta frontalmente sulla riproduzione delle celeberrime Polaroid scattate dai brigatisti e recapitate alla stampa.

74

Il volto di Moro-Herlitzka sulle polaroid e il primo comunicato delle BR

Quindi, per la prima volta attraverso lo spioncino, attraverso l’occhio di Chiara, vediamo Moro con le mani giunte, pensieroso o, forse, raccolto in preghiera. Ancora una volta con il volto illuminato da una luce irreale.

Il prigioniero visto attraverso lo spioncino, con gli occhi della brigatista Chiara

75

Nelle scene successive, il montaggio alterna i brigatisti e il presidente della DC. I primi sono attorno alla tavola mentre mangiano una minestra e dialogano; interrogano Chiara su quel che si dice nel suo ambiente di lavoro in merito ai fatti di via Fani. Moretti è a capotavola, come un capofamiglia tradizionale. Moro è solo. Il volto sempre illuminato, fa il segno della croce e mangia la sua minestra in silenzio.

Al di là della risposta affermativa sull’identità dei suoi rapitori, non lo abbiamo ancora sentito parlare e siamo già oltre la mezz’ora di film. La scarsità di battute riservate al presidente della DC mette ancora di più in risalto quelle che gli vengono fatte pronunciare.

Le prime – inizialmente fuori campo, al buio, mentre Chiara entra nell’intercapedine, quindi con il suo volto nell’inquadratura, ancora una volta illuminato e incorniciato dall’alone nero dello spioncino dal quale lo osserva la protagonista – parole significative che Moro pronuncia sono durante il primo interrogatorio di Moretti.

MORO

«Forse avete sbagliato persona.

Io non ho potere istituzionale, non ho incarichi di governo»

MORETTI

«Ma tu sei la Democrazia cristiana. Noi non vogliamo processare te come persona, privato cittadino, padre di famiglia, ma ciò che rappresenti: il simbolo, la funzione, il

partito che tu incarni, come io rappresento tutto il proletariato»

MORO

«Il mio partito è un partito autenticamente popolare. È un grande partito di massa, di gente umile, operai, contadini, impiegati»

MORETTI

«Tu parli di gente. Noi parliamo di classe, di lotta di classe, di odio di classe»

MORO

«Ma io non riesco a odiare neanche lei. Non credo che l'odio di classe, la lotta di classe, sia il motore della storia. La gente ha paura. Il mio partito è proprio il partito della

normalità, della tranquillità, della carità. Del modesto benessere»

76 MORETTI

«Ecco il pensiero reazionario, l’atteggiamento ipocrita»

La prima inquadratura intera del prigioniero, in luce e non visto attraverso lo spioncino; arriva al termine del primo “interrogatorio”, ben oltre la mezz’ora dall’inizio del film

L’interrogatorio si chiude bruscamente, la porta si apre e, per la prima volta, vediamo la figura intera di Moro, non attraverso lo spioncino. Il dialogo sintetizza alcuni punti fermi, assodati e sostenuti dalle varie testimonianze alle quali Bellocchio poteva attingere. Primo fra tutti, l’incomunicabilità tra il linguaggio delle BR e quello di Moro93 94. In secondo luogo – aspetto più importante per la nostra analisi – Moro ci viene mostrato perfettamente lucido e tranquillo. E le frasi che pronuncia sono un manifesto della statura

93 Nel suo memoriale – che è fonte primaria, ricordiamolo, della sceneggiatura di Bellocchio – la Braghetti osserva: «Quando Mario ci interpellò chiedendo la nostra opinione sulle dichiarazioni di Moro, il mio contributo fu pari a zero. Ma anche lui e gli altri, rispetto ai quali mi sentivo –

ed ero – inesperta, non se la cavavano molto meglio. Moro era il massimo virtuoso di un linguaggio che ci trovava orgogliosamente analfabeti. […] Avevamo raggiunto il cuore dello Stato, e non ci capivamo niente» (A. L. Braghetti, Il prigioniero, cit., pag. 38-39).

94 Sull’aspetto dell’incomunicabilità insiste anche il brigatista Moretti nell’intervista di Rossanda e Mosca;

si veda, ad esempio, questo passaggio: «Moro è Moro, su tutto. Le scelte di governo che hanno prodotto divisioni tragiche tra lavoratori e hanno distrutto le possibilità di una svolta politica, Moro le smussa e insiste invece su una, per me fantomatica, anima popolare della Dc». Questo passaggio viene inserito dallo stesso Bellocchio in uno dei dialoghi, come citato poche righe fa. O ancora, sempre dalle parole di Moretti:

«Moro non tace, rivela molte cose, ma lo fa da democristiano, parlando in codice. Quando stende il memoriale ha in mente coloro che posseggono le chiavi del suo linguaggio, sanno di che parla; non pensa, credo, che io lo possa davvero capire. E infatti non lo capisco».

77

e della collocazione che la figura di Moro ha già raggiunto nel 2003. La prima frase («Forse avete sbagliato persona») riecheggia in mondo chiaro quel Moro “meno coinvolto di tutti” che fu dipinto da Pasolini prima e Sciascia poi e che rappresenta il nucleo di partenza della figura di statista che gli è stata disegnata intorno. Dire “non ho potere istituzionale, non ho incarichi di governo” equivale a indicare in altri politici – Fanfani, Andreotti, Cossiga, Leone – gli uomini che avrebbero dovuto entrare nel mirino delle BR.

Ma la battuta che fa entrare Moro in una dimensione “altra” rispetto alla politica – quella dei partiti e quella dei brigatisti – è la successiva. Moro è un uomo, un padre di famiglia, non una funzione o un simbolo. Quello è ciò che cercano di cucirgli addosso, un ruolo al quale – con pacatezza, ma con fermezza – si ribella. In quanto uomo, non è capace di odio politico. Nemmeno nei confronti di chi in quel momento lo tiene prigioniero.

Il dialogo svela il passaggio che, simbolicamente, Bellocchio fa fare a Moro entrando nella prigione del popolo: il suo ingresso avviene in quanto uomo politico, ma – una volta dentro – smette quei panni per indossarne altri. Non è più il Moro incravattato, ma il Moro in pigiama – al massimo in maniche di camicia, come appare nelle polaroid. I panni che indossa sono quelli che, almeno inizialmente, Moretti gli nega: privato cittadino, padre di famiglia. E, aggiungiamo, nella simbologia e nel gioco di rimandi di Bellocchio, quelli di martire, di “altro Cristo”95. La cristizzazione di Moro si compie attraverso i richiami visivi all’iconografia sacra – come abbiamo già accennato – e attraverso i dialoghi che il prigioniero ha con Moretti.

95 Come osserva R. Scalia (cit.) «Molteplici, d’altronde, erano le sorgenti cui Bellocchio poteva attingere per una lettura cristologica della figura di Moro. Già alcune delle lettere del prigioniero, infatti, indulgevano a toni evangelici e religiosi e si abbandonavano a apocalittiche profezie. Ma era stato ancora una volta Sciascia (54) che, pur misconoscendo l’eroismo di Moro, ne aveva tuttavia suggerito una possibile lettura cristologica, sostenendo che “non era un eroe, né preparato all’eroismo. Non voleva morire di quella morte, ha tentato di allontanarla da sé”. È evidente in queste parole l’evocazione di un archetipo tragico fortemente radicato nell’immaginario cattolico degli Italiani: l’antieroica e scandalosa preghiera con cui Cristo, nell’orto del Getsemani, aveva chiesto al Padre di allontanare da sé il calice del martirio».

78

A sinistra, una delle tante immagini nelle quali il volto di Herlitzka spicca al centro dello schermo buio e ricorda le immagini dei “santini”, a destra

Di quelli che nel film di Ferrara sono messi in scena come veri e propri interrogatori96 – parte di quel processo proletario messo in atto, o, per meglio dire messo in scena dalle Brigate Rosse – non c’è traccia nel film di Bellocchio. In Buongiorno, notte Moretti e Moro si confrontano su temi più ampi e universali, pacatamente97. E attraverso questi dialoghi, nei quali le parole di Moro assumono via via toni sempre meno politici e più religiosi, si procede alla mutazione in chiave cristologica del prigioniero. Esaminiamo alcuni passaggi.

Mentre alla televisione scorrono le immagini dei funerali degli uomini della scorta, con i loro volti mostrati in primo piano e le parole del vescovo accusano gli “sciagurati assassini”, Chiara e gli altri due brigatisti stanno assiepati nell’intercapedine ad ascoltare

96 Nell’intervista di Rossanda e Mosca a Moretti, il brigatista smentisce questa ricostruzione; descrive gli incontri come dialoghi nei quali lui stesso, coperto da passamontagna per precauzione, ma anche in quanto anonimo rappresentante di tutte le BR, muove accuse specifiche e pesanti a Moro e alla DC, ma all’affermazione dell’intervistatrice «Usi sempre il termine “conversazione” ma voi Moro lo avete processato, il processo lo avete sbandierato ai quattro venti, anche se non ne avete detto nulla in concreto», Moretti risponde: «...ma che processo! La violenza sta nella situazione in cui si trova, è in certo modo oggettiva. Ma accusa e difesa si giocano sul piano storico, non c’è rituale che le possa rappresentare. Il resto è un parlare tra due uomini da sponde opposte: cerco di farmi capire, cerco di capire» (cit.)

97 Ventura ne Il cinema e il caso Moro (cit., pag. 81) osserva: «Più che temi politici legati al sequestro affrontano “massimi sistemi” come la morte, la paura della morte, la religione, la fede, la famiglia, i figli.

Temi intimi e profondi discussi a bassa voce, in un modo molto pacato e tranquillo, che ricorda il sacramento della confessione».

79

il dialogo tra il loro capo e il prigioniero. Le voci dei due, inizialmente, giungono da fuori campo, mentre la telecamera inquadra i volti degli altri tre.

MORETTI

«Tu non devi interpretare, tu devi confessare»

MORO

«Lei mi chiede di confessare. Nel sacramento della confessione il pentimento è obbligatorio. Ma di cosa mi dovrei pentire? Non sarei credibile. Di tutta la mia vita, non

sarei credibile. E soprattutto dovrei confessare dei fatti che lei sembra conoscere, ma che io ignoro. Dovrei inventare, dovrei mentire per ottenere la sua benevolenza»

Quindi Moro chiede al suo carceriere di spiegargli cosa sia questa giustizia proletaria di cui lui parla, quali leggi la regolino. Solo ora la telecamera stacca e passa dall’intercapedine all’interno del cubicolo in cui si trovano i due dialoganti. Il brigatista è inquadrato in primissimo piano, come un cattivo nei film di Sergio Leone, gli occhi incorniciati dal passamontagna scuro, mentre spiega che la giustizia proletaria non è come la giustizia borghese e prevede anche la pena di morte, senza appello.

Il primissimo piano, quasi da western di Sergio Leone, sul brigatista, che spiega a Moro come la giustizia proletaria preveda la pena di morte

80

Quindi l’inquadratura va su Moro, seduto, visto – o quasi intravisto – attraverso lo spioncino.

MORO

«La morte...libertà o morte, lo diceva qualcuno...eh, certo non mi potete condannare all'ergastolo. Vorrei scrivere a mia moglie e anche ai miei amici di partito»

Quando esce, Moretti appare stanco e sfiduciato, anche se siamo appena all’inizio della prigionia. Commenta con i suoi compagni dicendo: «Non lo so se ha capito». Moro, per contro, è lucido, sereno. Chiede di scrivere dopo averci pensato un attimo su: è consapevole del fatto che quelle lettere possono segnare l’inizio di una trattativa, con quelli che – fino a quel momento – definisce i “suoi amici”; i quali non tarderanno a tradirlo, proprio nell’ora fatale, esattamente come fecero con Cristo i suoi apostoli.

Morte, martirio e figura di Cristo ritornano insistentemente anche nei dialoghi successivi.

Proprio mentre alla televisione vengono riportate le parole di Andreotti, che screditano le lettere di Moro e lo dipingono come un uomo in balia dei suoi carcerieri, Bellocchio ci porta nuovamente dentro al cubicolo: ci mostra, questa volta sin dalla prima battuta, il volto di Moro – sempre dallo spioncino, raccordandolo con il gesto di Chiara che, appena rientrata a casa, lo va a spiare. Il presidente della DC, in perfetto contrappunto alle parole di Andreotti, ci appare perfettamente lucido e in sé.

MORETTI

«Hai paura di morire?»

MORO

«Perché me lo chiedi?»

MORETTI

«Eppure, tu credi nell’aldilà»

MORO

«Anche Cristo, nell’orto del Getsemani, ha avuto paura»

81

Quando poi, incalzato da Moro che gli domanda: «Lei non ha paura di morire?», Moretti argomenta che tutti dobbiamo morire, ma non tutte le morti sono uguali e che la superiorità dei comunisti sta nel fatto che siano disposti a morire per i loro ideali, Moro ribatte laconicamente: «Anche per i primi martiri cristiani. In fondo la sua è una religione, proprio come la mia». Poco dopo, nella medesima conversazione, Moro chiede se ci sono state reazioni alle sue lettere. Quello che ricrea la sceneggiatura di Bellocchio è un dialogo dal fortissimo valore simbolico, accentuato dall’insolita inquadratura di un Moro a tutto schermo, prima con il volto in primo piano, poi seduto: la sua figura intera, integra, oltre la sagoma, di schiena, di Moretti.

«Non mi riconoscono più? Neanche io li riconosco più. Credono che io sia diventato un altro; sì, effettivamente sono un altro, ma non come credono loro, io sono sempre me stesso»

MORO

«Ma le lettere le avete recapitate?»

MORETTI

«Sì»

MORO

«E risposte?»

82 MORETTI

«I tuoi amici non ti riconoscono più»

MORO

«Non mi riconoscono più? Neanche io li riconosco più.

Credono che io sia diventato un altro; sì, effettivamente sono un altro, ma non come credono loro, io sono sempre me stesso»

È, in effetti, un Aldo Moro diverso dal politico che è stato portato a forza in via Montalcini98. Più si consuma la separazione dal mondo politico dei suoi ex amici e si intensifica lo strano rapporto con i suoi carcerieri, in particolare con Chiara - sebbene i due, di fatto, si incontrino solo nella dimensione onirica - più Moro sveste i panni del presidente di partito e dello statista, per indossare quelli cristologici di martire.

Non è un caso che l’evoluzione del personaggio acceleri una volta che gli è stata comunicata la condanna a morte, che Moro ascolta quasi impassibile e stoico, nella mimica facciale appena accennata di Herlitzka. Simbolicamente, il Moro politico muore in quel momento, come ci suggerisce Bellocchio facendo scoprire il volto ai brigatisti davanti a lui: un’immagine irrealistica e prontamente sconfessata dalle scene successive, nelle quali i brigatisti appaiono nuovamente a volto coperto, ma altamente simbolica. Può iniziare una nuova fase dell’evoluzione della figura di Moro.

98 Come osserva Lombardi (cit.) «In effetti l’Aldo Moro che scrive da Via Montalcini non è più solo lo statista democristiano, bensì un uomo che esperisce personalmente la prigionia. Rimane tuttavia capace di intendere e di volere, restando fortemente conscio dell’effetto perlocutorio dei suoi scritti». Significativa, da questo punto di vista, è la sequenza dedicata alla lettera diretta al papa. Moro interroga i suoi carcerieri – nell’occasione, è assente il capo e lo ascoltano gli altri tre, senza mostrarsi – sull'efficacia delle sue parole.

È circondato da fogli stracciati: i tentativi di scrivere la lettera giusta, di trovare le parole più efficaci. I loro equivalente sono i fogli che Paolo VI fa volare dalla sua scrivania quando riceve il biglietto, con l’intestazione governativa, nel quale gli vengono “suggerite” le parole da inserire nel suo discorso alle BR:

“Liberamente e senza condizioni” (è questa l’unica concessione che Bellocchio fa alla storia dietro al sequestro e l’unica occasione in cui ci mostra qualcosa che non è visto dal personaggio di Chiara).

Documenti correlati