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Figura della vittima nel procedimento

Capitolo 2 Procedimento di ammissione della prova

2.3 Figura della vittima nel procedimento

Dalla normativa europea, per “vittima del reato” nel procedimento si intende che il nesso della condotta criminosa e danno derivante dall’illecito penale debba essere diretto44.

L’attenzione per l’individuazione del danno risarcibile, in base alla normativa europea (decisione- quadro 2001/220) e a quella italiana, si è spostato dal nesso causale alla natura del danno semplicemente identificato con la lesione di un diritto soggettivo. Non ha più significato stabilire il tipo di conseguenza del reato, se diretta o indiretta, avendo ormai significato esclusivamente la natura della lesione prodotta dal reato che se colpisce un diritto soggettivo genera automaticamente un danno risarcibile. In base alla decisione- quadro

43 L. CIVETTA, Rivista- Focus sulla voluntary disclosure: scenari internazionali e

nazionali: nell’attuazione della circolare n 10/E, 2015, pag. 1

44 Cfr. con la normativa italiana, all’art. 185 c.p., è stata superata tale tipo di

definizione, poiché ogni reato cagionato un danno patrimoniale o non, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che debbono rispondere per il fatto di lui secondo le norme civili.

2001/220 abbiamo due categorie di conseguenze risarcibili: un pregiudizio fisico o mentale45 (ma anche non), e le sofferenze e i danni materiali come conseguenza diretta del reato.

Con la direttiva 2004/80, in materia di indennizzo delle vittime di reato, il legislatore europeo ha introdotto previsioni contraddittorie e non sistematicamente coerenti; infatti si menziona “l’indennizzo” come distinto dal “risarcimento”, anche se il primo sarebbe il mezzo attraverso il quale realizzare il secondo. Nella direttiva sono previsti poi una serie di principi generali di una procedura amministrativa di indennizzo che dovrebbero adottare gli Stati a tutela delle vittime di reato. Il legislatore italiano con d.l. n. 204/2007, ha dato attuazione a tale direttiva solo occupandosi di “indennizzo”, prevedendo una procedura che si incardina dinanzi alla corte d’appello. Tale decreto, prevede che ci sia un diritto analogo a favore della vittima del reato nel territorio dello Stato nel quale la stessa si trovava o risiedeva al momento dell’illecito subito; ciò significa che, non essendo stato costruito un diritto assoluto all’indennizzo, la vittima che avesse subito il reato nel territorio di uno Stato che non riconoscesse tale diritto sarebbe priva di tutela. Resta comunque il problema della distinzione concettuale tra “risarcimento” e “indennizzo” che non è stato preso in considerazione dal legislatore europeo, il quale sembra avere ignorato l’ordinamento giuridico italiano a cui pure è stato fatto carico di introdurre la disciplina europea. Secondo il l’ordinamento italiano, mentre il risarcimento fa riferimento alla violazione di specifici diritti soggettivi determinati da condotta illecita, l’indennizzo si configura solo come contributo di solidarietà per alleviare le conseguenze dell’azione illecita (dimensione oggettiva); da questa distinzione si ricava che solo il danno risarcibile è la conseguenza della violazione di un diritto, mentre “l’indennizzo” essendo di natura diversa non deve

45 Considerando 18 art. 24 della Direttiva 2012/29/UE, si occupa della violenza nelle

relazioni strette, concentrandosi sul solo danno che ne deriva alla vittima, ovvero sul trauma fisico e psicologico sistematico dalle gravi conseguenze in quanto l’autore del reato è una persona di cui la vittima dovrebbe potersi fidare.

necessariamente essere commisurato all’entità del danno risarcibile. Ciò significa, che per attribuire l’indennizzo non è prevista necessariamente una procedura giurisdizionale.

Il legislatore europeo ha ignorato alcuni principi fondamentali dell’ordinamento italiano, come anche il legislatore italiano ha tralasciato alcune delle previsioni europee; quindi nel nostro ordinamento la misura dell’indennizzo può essere di entità inferiore al danno oggettivo anche se ciò non toglie che l’indennizzo debba essere “equo e congruo” e commisurato alla reale natura offensiva dell’azione criminosa46.

La decisione quadro del 2001, con la relativa direttiva del 2012, contempla I “Service rights” per la vittima come parti integranti della tutela obbligatoria che gli Stati membri sono tenuti a garantire. Tali servizi devono essere specifici, qualificati e gratuiti e devono supportare la vittima con i suoi familiari per tutto il procedimento penale e per un congruo periodo di tempo anche dopo tale procedimento. La direttiva prevede che tali servizi possono avere natura pubblica o non governativa, purchè organizzati su base professionale o volontaria. La direttiva prevede un contenuto minimo del supporto che i servizi di assistenza debbono offrire alla vittima avendo riguardo alle sue esigenze individuali: informazioni, consigli,assistenza, possibilità di risarcimento, il ruolo nel procedimento penale, la preparazione in vista della partecipazione al processo, il sostegno emotivo ecc.

La vittima ha diritto a ricevere protezione in base all’art. 18 della direttiva che stabilisce l’obbligo per gli Stati membri di adottare misure che assicurano la protezione della vittima e dei suoi familiari; queste misure si articolano in base a tre direttrici: evitare la vittimizzazione secondaria e ripetuta, creare uno scudo contro eventuali intimidazioni o ritorsioni e salvaguardare la dignità della

46 L. KALB, Spazio europeo di giustizia e procedimento penale italiano, Torino,

vittima durante gli interrogatori e le testimonianze47. Tali diritti non devono incidere negativamente sui diritti della difesa dell’imputato, anche se il bilanciamento è lasciato alle valutazioni degli organi nazionali. La vittima viene tutelata dal legislatore europeo, cercando di evitare l’incontro tra essa e l’autore del reato all’interno del processo penale, tranne nel caso in cui ciò risulti necessario; ma in tale caso vengono rispettate le regole probatorie in vigore nel singolo ordinamento che impongono la presenza fisica della vittima nel corso del dibattimento. Un altro problema che il legislatore europeo tiene conto, è di proteggere la vittima nelle fasi più delicate: presentazione per la deposizione in qualità di testimone, in cui l’audizione della vittima si svolge senza indebito ritardo dopo la presentazione della denuncia relativa ad un reato presso l’autorità competente e il numero delle audizioni della vittima devono essere limitate al minimo; visite mediche relative a reati di natura sessuale, che devono essere limitate al minimo e svolte solo se necessarie ai fini del procedimento penale e tutti i dati afferenti alla sua vita privata che devono essere protetti e non divulgati48.

Il diritto della vittima a ricevere il risarcimento del danno, può avvenire o attraverso l’esercizio dell’azione risarcitoria nel processo civile o all’interno del processo penale attraverso l’atto di costituzione di parte civile. Una volta avvenuta la costituzione di parte civile nel processo penale, essa assume i diritti di parte e viene a trovarsi in condizioni di parità con le altre parti processuali. Il problema che sorge a riguardo è che nell’ordinamento processuale italiano, la costituzione di parte civile è consentita solo sul presupposto del “danno” da reato, e

47 Cfr. L. KALB, Spazio europeo di giustizia e procedimento penale italiano, Torino,

2012. Pag. 395. Rispetto ad un simile quadro, il sistema processuale italiano è parzialmente inadeguato sia per difetto sia in alcuni casi per eccesso; perché non hanno funzionato i raccordi istituzionali tra gli organi legislativi europei e gli organi legislativi italiani,

48 L. LUPARIA- S. ALLEGREZZA- M. GIALUZ- K. LIGETI- G. ORMAZABAL-

R. PARIZOT, Lo statuto europeo delle vittime di reato- modelli di tutela tra diritto

non quindi la sola “offesa” da reato (in cui è consentita nella fase delle indagini preliminari non spettanti però al danneggiato).

Fino a quanto la fase delle indagini preliminari resterà soggetta a segreto, i diritti partecipativi dei soggetti privati, tecnicamente non ancora parti processuali dovranno essere residuali e limitati. Diverso è invece, la posizione della vittima quando è solo “danneggiata” e non anche “offesa” dal reato: la legge processuale attribuisce poteri e facoltà di intervento nella fase investigativa soltanto alla parte offesa dal reato.

Per quanto riguarda l’indennizzo, invece, l’ordinamento italiano prevede una serie di leggi speciali che attribuiscono aiuti finanziari alle vittime di specifiche tipologie di reati; e dall’altro lato prevedono che nelle situazioni di impossibilità di ottenimento del risarcimento, le vittime di reato non hanno diritto ad alcun indennizzo. Tali leggi speciali sono: d.p.r. 16 agosto 1999 n 455 a favore delle vittime di estorsione e un mutuo a favore delle vittime di usura; d.l. 7 settembre 2005 n 209, relativa alle vittime della strada, dove lo Stato italiano si assume il compito di rimborsare entro i limiti dell’obbligo di assicurazione, i danni alle cose o alle persone causati da un veicolo non identificato o per il quale non vi è stato adempimento dell’obbligo di assicurazione; l. 28 giugno 2012 n 112, sulla ratifica ed esecuzione della Convenzione civile sulla corruzione fatta a Strasburgo nel 1999, che per i firmatari della Convenzione è previsto in favore delle persone che hanno subito un danno risultante da un atto di corruzione, ricorsi efficaci in modo che possono difendere i propri diritti e interessi, compresa la possibilità di ottenere il risarcimento dei danni49.

Le norme di protezione processuale della vittima previsti in ambito europeo, possono entrare in conflitto con i diritti dell’imputato riconosciuti dall’art. 6 par. 3 CEDU. Infatti se l’imputato deve presumersi innocente, non si tiene conto più della vittimizzazione della

49 L. KALB, Spazio europeo di giustizia e procedimento penale italiano, Torino,

persona offesa; quindi la necessità di tutelare la vittima del reato, si traduce in un ridimensionamento dei diritti dell’imputato.

La Corte di Strasburgo, interviene cercando di bilanciare i diritti della vittima con le prerogative dell’imputato; essa ha riconosciuto la necessità di salvaguardare i diritti delle vittime, specialmente per quelle vulnerabili: la Corte riconosce l’equità in un processo nel quale una vittima del reato non sia stata sottoposta a un’audizione in contraddittorio per proteggerla dalla violenza della “cross- examination”, soprattutto se si tratta di reati a sfondo sessuale; l’importanza della tutela della vittima può spingersi fino ad ammettere la figura dei testimoni anonimi, le cui generalità non vengono svelate all’imputato e al difensore50.

L’anonimato del teste è contemplato da fonti internazionali come mezzo di protezione del soggetto dichiarante e dei suoi famigliari, ammettendo il ricorso come misura eccezionale dopo aver individuato cautele dirette a compensare le limitazioni generate dall’anonimato stesso per quanto attiene al diritto di difesa nel confronto con l’accusatore; il riferimento proviene dalla Raccomandazione 97 del Consiglio dei Ministri del Consiglio d’Europa, avente ad oggetto l’intimidazione dei testimoni ed i diritti della difesa che include l’anonimato a cui ricorrere se previsto dalle leggi nazionali in via eccezionale in modo tale da mantenere il “fair balance” fra le esigenze del processo ed i diritti della difesa. Secondo tale Raccomandazione, è previsto una procedura minima per utilizzare l’anonimato: l’autorità giudiziaria competente deve verificare in contradditorio la sussistenza di una minaccia alla vita o alla libertà del testimone, o se si tratta di un agente sotto copertura, la minaccia per la possibilità di svolgere

50

Legge n. 136 del 13 agosto 2010, ha introdotto una forma di testimonianza anonima non solo per gli esponenti della polizia giudiziaria, italiani e stranieri, ma anche per i soggetti privati utilizzati in operazioni “undercover”, quando essi siano chiamati a deporre, in ogni stato e grado del procedimento, in ordine alle attività svolte sotto copertura.

operazioni future, oltre che la rilevanza della prova e la credibilità del teste.

La Corte di Strasburgo si è occupata di testimonianza anonima sollecitata dai ricorsi proposti agli ordinamenti statali, che all’interno del Consiglio d’Europa ammettevano quell’istituto per previsione legislativa. La Corte è arrivata al punto di negare che l’anonimato assoluto(che consente di escutere il teste celando la sua identità non solo al pubblico, ma anche all’imputato e al suo difensore) possa essere in contrasto con la C.E.D.U. La giurisprudenza della Corte ha cercato di intensificare la protezione del testimone a causa dello sviluppo di forme di criminalità che utilizzano la minaccia e la violenza per ridurre gli elementi di prova a carico dei propri esponenti e per dare anche maggiore attenzione a tali soggetti che sono vulnerabili; La Corte, inoltre, sostiene che la misura dell’anonimato debba avere un carattere eccezionale, cioè l’autorità giudiziaria competente deve valutare preliminarmente la necessità della misura in relazione al pericolo, concreto ed attuale a cui sono esposte le vittime. E’ previsto anche che la difesa, avendo una posizione più rigorosa di quella dei testimoni assenti o vulnerabili, sia posta in grado di esercitare un confronto con il testimone di fronte al giudice che può essere quello della fase preliminare o dibattimentale; inoltre per compensare le compressioni del diritto di difesa è necessario che il giudice conosca l’identità del testimone cosi da poter svolgere la valutazione della sua credibilità intrinseca51.

Se la Corte ammette una limitazione del diritto al confronto con l’accusatore, essa richiede che questa sia affiancata da accorgimenti che controbilanciano l’handicap per la difesa dell’imputato: la facoltà di chiedere alla polizia di porre determinate domande alla vittima, o di assistere all’interrogatorio dietro un vetro oscuro; ciò che conta è che a

51 Rivista D.P.C., M. MIRAGLIA, Spunti per un dibattito sulla testimonianza

anonima- Le coordinate del dibattito sovranazionale e le novità introdotte nel nostro ordinamento dalla l. 136/2010, Milano, 2010. Pag. 2 e ss.

fronte del ridimensionamento del diritto al confronto con l’accusatore, si registrino forme di compensazione.

La giurisprudenza, di recente, ha attribuito grande rilievo alla videoregistrazione del colloquio compiuto dalla vittima nella fase preliminare, seguito dalla sua proiezione in giudizio; ciò consente alla difesa di verificare le modalità di realizzazione dell’interrogatorio e di analizzare la condotta della vittima durante l’esame. Comunque, la videoregistrazione non può essere ritenuta sufficiente a garantire il rispetto delle garanzie del “fair trial”, infatti è previsto che la difesa dell’accusato sia posta nelle condizioni di verificare la credibilità del testimone ponendogli delle domande, anche in via indiretta, mediante familiare o psicologo, o con l’utilizzo di tecnologie che impediscono il contatto diretto tra la vittima e l’accusato. Si può concludere che la prova dichiarativa della vittima vulnerabile può dirsi rispettosa dell’art. 6 par. 3, CEDU solo se la fonte viene comunque verificata52.

52 L. LUPARIA- S. ALLEGREZZA- M. GIALUZ- K. LIGETI- G. ORMAZABAL-

R. PARIZOT, Lo statuto europeo delle vittime di reato- modelli di tutela tra diritto

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