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Nuovi strumenti di cooperazione giudiziaria: l'ordine europeo di indagine penale

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INDICE SOMMARIO

Introduzione……….3

Capitolo 1 Mutuo riconoscimento degli atti 1.1 Decisione quadro 2003/577/GAI relative ai provvedimenti di blocco dei beni ....………...5

1.2 Decisione quadro 2006/783/GAI relativa alle decisioni di confisca………..8

1.2.1Esecuzione dell’ordine europeo di confisca nei confronti di enti e persone giuridiche………...13

1.3 Mandato europeo di ricerca delle prove………15

1.4 Trasferimento del condannato………18

1.4.1 Procedura attiva………..20

1.4.2 Procedura passiva………...22

Capitolo 2 Procedimento di ammissione della prova 2.1 Ripartizione dei ruoli tra il giudice e le parti……….25

2.2 Gli specifici doveri imposte alle parti………28

2.2.1 La “disclosure” imposta al prosecutor……….31

2.2.2 La “disclosure” imposta alla difesa………..35

2.3 Figura della vittima nel procedimento………...37

2.4 Procedimento davanti alla corte penale internazionale…………..45

Capitolo 3 Riconoscimento ed esecuzione dell’O.E.I. 3.1 Aspetti generali sul riconoscimento dell’O.E.I……… 51

3.2 Rispetto dei diritti sanciti dall’art. 6 TUE………..55

3.3 Il ruolo della Rete giudiziaria europea della trasmissione dell’O.E.I………..59

3.4 Il mandato di arresto europeo……….63

3.4.1 La procedura passiva……….66

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Capitolo 4 Intercettazioni telefoniche ed ambientali

4.1 Principi generali nell’ambito europeo………..74

4.2 Intercettazioni preventive……….79

4.3 Intercettazioni telematiche………...82

4.4 Individuazione del “ locus commissi delicti”………...87 4.5 Conversazioni intercettate su utenze mobili italiane all’estero…89

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INTRODUZIONE

La direttiva 2014/41/UE relativa all’ordine europeo di indagine penale si ispira al principio del mutuo riconoscimento per realizzare un sistema globale di acquisizione delle prove nelle fattispecie aventi dimensione transfrontaliera. La creazione di tale strumento di acquisizione della prova nasce dagli insuccessi avuti con i precedenti tentativi di innesto del principio del mutuo riconoscimento della prova penale. Tali tentativi sono stati: 1) la decisione quadro 2003/577/GAI, la quale attribuiva reciproco riconoscimento ai provvedimenti di “blocco dei beni o di sequestro probatorio” per impedire “atti di distruzione, trasformazione, trasferimento o alienazione di prove”; 2) la decisione quadro 2008/978/GAI, sul “mandato europeo di ricerca delle prove” (MER), teso ad ottenere da uno stato membro documenti e dati che vengono utilizzati nel procedimento penale instaurato in un diverso paese1. Da tale momento è stato istituito tale strumento, l’O.E.I. per l’acquisizione e la circolazione delle prove in ambito europeo, che consiste in una decisione giudiziaria emessa o convalidata da un organo giurisdizionale o da un magistrato inquirente di uno stato membro al fine di compiere atti di indagine in un altro stato membro per l’acquisizione di prove. La richiesta può essere fatta da una persona sottoposta ad indagine, o da un imputato, o dall’avvocato di quest’ultimo. L’O.E.I. viene trasmesso dall’autorità di emissione all’autorità di esecuzione2. Il procedimento di ammissione della prova, deve essere non solo pertinente all’oggetto, ma deve anche essere capace di apportare nuova conoscenza al giudice. Per quanto riguarda la ripartizione dei ruoli tra il giudice e le parti nella ammissione della prova, il giudice esercita un controllo penetrante con poteri d’ufficio su tutto il procedimento probatorio, e svolge la sua

1 C.M. PAOLUCCI, Cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale, Torino,

2011. Pag. 186

2 Direttiva 2014/41/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 3.4.2014,

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funzione in un tempo successivo a quello svolto dalle parti che emerge nella fase dibattimentale3.

Il tempo per il riconoscimento ed esecuzione dell’O.E.I. viene adottata entro trenta giorni dalla sua ricezione da parte della autorità di esecuzione competente, che compie l’atto di indagine entro 90 giorni dalla decisione. Se l’autorità di esecuzione ritiene che non è possibile rispettare tali termini, informa senza ritardo l’autorità competente dello stato di emissione con qualsiasi mezzo disponibile, indicando i motivi del ritardo e il tempo necessario per adottare tale decisione. Il termine può essere prorogato per un massimo di trenta giorni.

Un O.E.I. può essere emesso per l’intercettazione di telecomunicazioni nello stato membro, la cui assistenza è necessaria. Se più stati membri possono fornire l’intera assistenza tecnica necessaria per la stessa intercettazione di telecomunicazioni, l’O.E.I. è trasmesso solo ad uno di essi e la priorità viene data allo stato membro in cui si trova la persona soggetta a intercettazione4

3

M. CAIANIELLO, Ammissione della prova e contraddittorio nelle giurisdizioni

penali internazionali, Torino, 2008. Pag. 40

4 Direttiva 2014/41/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 3.4.2014, relativa

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CAPITOLO 1

MUTUO RICONOSCIMENTO DEGLI ATTI

1.1 Decisione quadro 2003/577/GAI relative ai provvedimenti di blocco dei beni.

La decisione quadro 2003/577 relativa ai provvedimenti di blocco dei beni prevede che gli Stati si impegnano a riconoscere ogni provvedimento “di blocco o di sequestro”, intendendosi “qualsiasi provvedimento adottato da un’autorità giudiziaria competente dello stato di emissione per impedire provvisoriamente ogni operazione volta a distruggere, trasformare, spostare, trasferire, o alienare beni che potrebbero essere oggetto di confisca o costituire una prova”. Tale disposizione prevede nell’art. 3 un catalogo di reati per i quali è esclusa la verifica di doppia incriminabilità (partecipazione a un’organizzazione criminale, terrorismo, sfruttamento sessuale dei bambini e pornografia infantile, traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope, traffico illecito di armi, munizioni ed esplosivi, corruzione, frode, compresa quella che lede gli interessi della CE, riciclaggio di proventi di reato, falsificazione e contraffazione di monete, criminalità informatica, criminalità ambientale ecc.)5.

L’elenco non è esaustivo e il Consiglio può decidere in qualsiasi momento di inserirvi altre categorie di reati. Per i reati non inclusi nell’elenco, lo Stato di esecuzione può subordinare il riconoscimento e l’esecuzione di un provvedimento di blocco o di sequestro a talune condizioni. Un cospicuo numero di paesi UE ha attuato l’elenco di cui all’art. 3, in conformità alla decisione quadro. Tuttavia il diritto belga stabilisce che l’aborto e l’eutanasia non rientrano nella fattispecie di

5 C.M. PAOLUCCI, Cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale,

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reato di << omicidio volontario, lesioni personali gravi >>. Ciò è in contrasto con la decisione quadro in quanto è l’ordinamento dello Stato di emissione e non dello Stato di esecuzione a stabilire se una fattispecie di reato rientri o meno nell’elenco. All’art. 7 la decisione quadro elenca i motivi di non riconoscimento o di non esecuzione considerati legittimi. La disposizione comprende quattro motivi facoltativi di non riconoscimento o di non esecuzione del provvedimento di blocco o di sequestro. In generale è stata attuata la maggior parte di questi motivi di rifiuto, tuttavia gli stati membri spesso li hanno recepiti come motivi obbligatori. L’art. 7, relativo al rifiuto di riconoscere o eseguire un provvedimento di blocco o di sequestro, non è stato attuato da tutti i paesi UE ( in tal caso, si applica la convenzione del Consiglio d’Europa relativa al riciclaggio, all’individuazione, al sequestro ed alla confisca dei proventi di reato del 1990 ). Oltre ai motivi di non riconoscimento o di non esecuzione riportati nella decisione quadro, alcuni legislatori nazionali hanno introdotto ulteriori motivi di rifiuto, sebbene l’elenco dell’art. 7 avesse carattere tassativo. Ciò chiaramente non è conforme alla decisione quadro. I motivi ulteriori riguardano principalmente le questioni relative ai diritti umani, il conflitto con i principi generali degli stati membri o situazione con cui il diritto interno vieta una misura o è impossibile l’esecuzione ai sensi del diritto nazionale. Alcuni motivi riguardano, inoltre, il regime linguistico e gli interessi in materia di ordine pubblico nazionale, sicurezza e giustizia6.

Per gli ulteriori reati è prevista la condizione della doppia incriminazione: se si tratta di provvedimento di blocco o di sequestro

ai fini probatori, lo Stato di esecuzione può subordinarne il

riconoscimento e l’esecuzione alla condizione che per i fatti per i quali esso è stato emesso costituiscano un reato ai sensi della legge di tale stato, indipendentemente dagli elementi costitutivi o della qualifica

6 A. DAMATO- P. DE PASQUALE- N. PARISI, argomenti di diritto penale

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dello stesso ai sensi della legge dello stato di emissione. Per quanto riguarda le modalità di trasmissione, la decisione quadro adotta un sistema aperto, prevedendo che la stessa potrà essere effettuata con qualsiasi mezzo atto a produrre una traccia scritta in condizioni che consentano allo stato di esecuzione di stabilirne l’autenticità. La decisione deve essere accompagnata da un certificato compilato dall’autorità giudiziaria richiedente, contenente tutte le informazioni necessarie alla verifica da parte dello stato di esecuzione, e tradotto nella lingua di tale ultimo stato ( eurordinanza ) : il certificato deve essere tradotto nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali dello stato di esecuzione, salvo che all’atto dell’adozione quest’ultimo abbia dichiarato di accettare la traduzione in altra lingua ufficiale delle comunità europee. Ove tale certificato sia incompleto, insufficiente o contraddittorio rispetto all’ordine di sequestro, lo stato richiesto potrà non riconoscerlo e non darvi esecuzione. Altre ipotesi di rifiuto di esecuzione sono previste dall’art. 7 per il caso di :

• violazione del principio di ne bis in idem,

• carenza di doppia incriminazione del fatto per cui si procede, cioè il caso in cui il fatto per il quale è emesso l’ordine di

sequestro da parte di uno stato non è previsto come reato nello stato richiesto,

• sussistenza di immunità o privilegi nello stato richiesto che impediscano l’esecuzione.

E’ inoltre contemplata la possibilità di rinvio dell’esecuzione di blocco o di sequestro ove possa arrecare pregiudizio ad un’indagine penale in corso, quando i beni o la prova siano già oggetto di analogo provvedimento nell’ambito di procedimenti penali pendenti all’interno dello stato richiesto e fino alla revoca di tale provvedimento; qualora, nel caso di un provvedimento di blocco e di sequestro di un bene in vista della sua confisca, lo stesso bene sia oggetto di provvedimento preso nel corso di altri

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procedimenti nello stato di esecuzione e sino a che tale provvedimento non è sospeso. In tal caso tuttavia deve ricorrere l’ulteriore condizione che il provvedimento abbia la precedenza su altri successivi provvedimenti di blocco o di sequestro nell’ambito di procedimenti penali a livello nazionale ai sensi del diritto interno. Questa ulteriore condizione appare conseguente al principio del reciproco riconoscimento, perché pone sullo stesso piano il sequestro emesso dallo stato sovrano ed il sequestro proveniente da altro stato membro. Secondo la decisione quadro, va segnalato comunque che il bene sottoponibile a tale misure è limitata alle cose che costituiscono l’oggetto, lo strumento, ovvero il prodotto del reato con esclusione dei proventi del successivo reimpiego7.

1.2 Decisione quadro 2006/783/GAI relativa alle decisioni di Confisca.

La decisione quadro 2006/783 relativa alle decisioni di confisca mira a consentire il superamento dei limiti prima riscontrati all’ambito di operatività della decisione quadro in tema di sequestro; è collegata alla decisione quadro 2005/212/GAI del Consiglio, e mira ad assicurare a tutti gli stati membri norme efficaci per i casi in cui è richiesta la confisca dei proventi di reato, anche per quanto riguarda l’onere della prova relativamente all’origine dei beni detenuti da una persona condannata per un reato connesso alla criminalità organizzata. Tale decisione, che avrebbe dovuto trovare attuazione entro il novembre 2008, prevede il riconoscimento diretto, nel territorio degli stati

7 C.M. PAOLUCCI, Cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale,

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membri, della “decisione di confisca” che consiste nel privare definitivamente di un bene emesso dalle autorità di altro stato membro. Deve comunque trattarsi di un provvedimento emesso nell’ambito di procedimenti relativi a reati punibili nello stato di emissione con una pena privativa della libertà della durata massima di almeno tre anni, ovvero ai reati specificamente indicati nell’art. 6. Lo stato emittente deve trasmettere allo stato di esecuzione:

- il provvedimento di confisca o una copia autentica di esso ( nel caso di beni esattamente individuati la richiesta verrà trasmessa allo stato nel quale i beni stessi si trovano, mentre in caso di confisca per equivalente nel luogo ove si presume che la persona interessata abbia dei beni ovvero ove la persona alla quale i beni devono essere confiscati ha la residenza, ovvero se si tratta di persona giuridica, la sede legale ).

- La certificazione ( eurordinanza ) contente una serie di indicazioni sommarie relative all’autorità che ha adottato il provvedimento, ai reati per i quali è stata pronunciata la condanna, al tipo di confisca, ai beni ed alla persona, fisica o giuridica, nei cui confronti deve essere eseguita, sottoscritto dalla autorità dello stato di emissione, che attesta l’esattezza dei dati ivi indicati. Il provvedimento tradotto nella lingua dello stato di esecuzione, deve essere trasmesso direttamente all’autorità competente per l’esecuzione, con qualsiasi mezzo, purchè lasci traccia scritta e consenta la verifica dell’autenticità ( in ogni caso lo stato di esecuzione può richiedere la trasmissione dell’originale o della copia autenticata del provvedimento di confisca e del originale del certificato ). In base alla decisione quadro, sarà possibile richiedere l’esecuzione di provvedimenti ablatori definitivi emessi all’esito di un procedimento giurisdizionale di natura penale conformemente ai sistemi giuridici e ordina mentali di ciascuno stato membro. Sono da escludere misure

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quali quelle di prevenzione rientranti nell’area di operatività della decisione quadro, nonché i provvedimenti di confisca emessi da autorità non giurisdizionali. E’ ammessa comunque la confisca per equivalente. Oggetto di confisca possono essere: beni costituenti lo strumento del reato, il suo prodotto, o l’equivalente del suo valore8. In questi casi l’autorità competente dello stato di esecuzione è obbligata a riconoscere il provvedimento di confisca straniero e a eseguirlo sul proprio territorio, a meno che ricorra uno dei motivi di rifiuto o rinvio dell’esecuzione previsti dagli artt. 8 e 10; ma la decisione quadro prevede anche l’esecuzione dei provvedimenti di confisca aventi ad oggetto altri beni, individuati attraverso il rinvio alla norma sui poteri estesi di confisca contenuta nella decisione quadro del 2005, e quindi la confisca riguarda beni detenuti dal condannato ma riconducibili ad attività criminose diverse da quelle per la quale è intervenuta la condanna. Per tale tipo di confisca è necessario in primo di luogo che si tratti di condanne relative a determinati reati ( previsti dalle precedenti decisioni quadro ), e puniti con pene detentive massime comprese tra i cinque ed i dieci anni. Inoltre, nel procedimento di cognizione, il giudice deve avere accertato che il bene da sottoporre a confisca, pur non essendo direttamente collegato al reato per il quale la persona è stata condannata, costituisca il provento di attività criminose, poste in essere dalla stessa persona. Ciascuna di queste condizioni può essere verificata dall’autorità statale che agisce nella fase di esecuzione, che può decidere di eseguire la confisca estesa nei limiti consentiti dal diritto interno, in un analogo caso nazionale. La decisione quadro prevede la possibilità di esecuzione anche ai provvedimenti giudiziari con i quali sia stata disposta la confisca dei beni acquisiti da persone che abbiano con il condannato relazioni strette, ovvero da una persona giuridica, sulla quale il condannato esercita un controllo o da cui riceve una parte rilevante del suo reddito.

8 Le relative disposizioni sono contenute nel’art. 1 della decisione quadro

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Tuttavia, ciascuno stato membro può dichiarare, che agendo in qualità di stato di esecuzione, non riconoscerà queste particolari tipologie di confisca estesa perché ad esempio non ammissibili secondo il proprio ordinamento. E’ previsto un provvedimento di riconoscimento, ma non può andare oltre il controllo formale della eurordinanza e della sua corrispondenza con la decisione di confisca emessa nel procedimento straniero. Le autorità competenti dello stato di esecuzione riconoscono senza che siano necessarie altre formalità una decisione di confisca adottando senza indugio tutte le misure necessarie alla sua esecuzione, a meno che le autorità competenti non decidono di addurre uno dei motivi di non riconoscimento o di non esecuzione previsti dall’art. 89. Tale art. prevede alcune ipotesi di rifiuto da parte dello stato di esecuzione tra le quali annovera:

- La violazione del ne bis ib idem;

- L’esistenza di immunità personali o di privilegi sul bene da confiscare, secondo il diritto dello stato di esecuzione;

- La prescrizione del provvedimento con il quale è stata applicata la confisca;

- Il principio di territorialità.

Non è prevista la possibilità di rifiutare l’esecuzione della confisca nei confronti di una persona giuridica, per il fatto che l’ordinamento dello stato membro di esecuzione non riconosca il principio della responsabilità penale dell’ente. Una volta eseguita la confisca del bene, l’autorità dello stato di esecuzione deve informare l’autorità di emissione e provvedere in ordine alla destinazione dei beni confiscati. Per i casi di confisca di somme di denaro sono previste alcune disposizioni in tema di ripartizione tra stato emittente e stato di

9 Negli ordinamenti giuridici degli Stati membri, alcune di queste figure di confisca

potrebbero non essere riconosciute, ovvero potrebbero essere riconosciute con limiti e condizioni; la decisione-quadro,obbliga gli Stati membri ad eseguire l’eurordinanza relativa ad una decisione giudiziaria emessa in un altro Stato membro anche in presenza di fattispecie non armonizzate o solo parzialmente armonizzate, L. KALB,

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esecuzione: se l’importo della confisca non è superiore a diecimila euro, esso è trattenuto dallo stato di esecuzione; negli altri casi, lo stato di esecuzione trattiene il 50% del valore della confisca, trasmettendo allo stato emittente la restante metà. Quando la confisca ha per oggetto un bene diverso dal denaro, lo stato di esecuzione dovrà decidere se provvedere alla sua vendita, distribuendone i proventi secondo la regola predetta, o al suo trasferimento nello stato di emissione. In ogni caso, lo stato che ha eseguito la confisca non è obbligato a vendere o trasferire beni che, in base alla propria legislazione, costituiscano beni culturali nazionali. Le spese sostenute non verranno ripetute dallo stato di esecuzione allo stato di emissione, salvo che si tratti di spese ingenti o eccezionali10.

La decisione quadro 2006/783/GAI fissa il termine di recepimento da parte degli stati membri entro il 24 novembre 2008. I legislatori nazionali, in fase di attuazione, devono tener conto, in via preliminare, dell’esigenza di coordinare tale strumento con la connessa decisione quadro 2005/212/GAI. Per l’attuazione della decisione quadro, il legislatore italiano ha scelto lo strumento del decreto legislativo, inserendo la relativa delega al governo nella legge comunitaria per il 2008. Il procedimento di discussione ed adozione del decreto legislativo non è stato avviato, sebbene l’esecutivo italiano è delegato ad adottare entro il termine di dodici mesi dalla entrata in vigore della legge comunitaria 2008, il decreto legislativo recante le norme di attuazione. Ne segue che lo stato italiano è inadempiente sotto il profilo degli obblighi europei quanto di quelli interni. Ad ogni modo, la legge comunitaria del 2008, ne fissa i principi guida per l’esercizio della delega. Inoltre ha individuato l’autorità centrale della decisione quadro, nel Ministero della Giustizia, mentre l’autorità competente a chiedere il riconoscimento e l’esecuzione, ai sensi dell’art. 4 della decisione quadro, nell’autorità giudiziaria italiana procedente. Il grado

10 C.M. PAOLUCCI, Cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale,

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di recepimento della decisione quadro da parte degli stati membri dell’unione europea non è soddisfacente. In particolare, l’analisi dei motivi di rifiuto del riconoscimento rivela che quasi tutti i paesi UE hanno incluso nella legislazione nazionale diversi motivi supplementari, contravvenendo alle disposizioni dettate dalla decisione quadro e dando vita ad un recepimento parziale e incompleto11.

1.2.1 Esecuzione dell’ordine europeo di confisca nei confronti di enti e persone giuridiche

Nei confronti di una persona giuridica, l’esecuzione dell’ordine europeo di confisca non può essere rifiutata per il fatto che l’ordinamento dello stato di esecuzione non riconosce la responsabilità penale dell’ente. Infatti, al pari degli altri strumenti fondati sul principio del mutuo riconoscimento, la decisione quadro 2006/783/GAI, prevede l’esecuzione dell’eurordinanza nei confronti di enti e persone giuridiche anche per quegli Stati membri che ancora applicano nel proprio ordinamento la regola “ societas delinquere non

potest ”. Il mutuo riconoscimento, non modifica però, le fattispecie

sostanziali; vale a dire: i reati presupposto della responsabilità della persona giuridica, che sono contemplate dagli ordinamenti giuridici degli stati membri, conformemente agli obblighi di incriminazione eventualmente derivanti dalle decisioni quadro dell’Unione Europea. Quindi, è il diritto nazionale a stabilire per quali reati e con quali limiti la confisca può essere disposta a carico di persone non fisiche e, di conseguenza, in quali casi l’ordine europeo può essere emesso anche

11 A. DAMATO- P. DE PASQUALE- N. PARISI, argomenti di diritto penale

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nei loro confronti. Per quanto riguarda l’Italia, la confisca può essere ordinata in via sussidiaria, anche per equivalente, quando si tratta di beni appartenenti alla persona giuridica cui sia stato contestato l’illecito amministrativo dipendente da uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 231/2001, qualora il profitto da confiscare sia ricollegabile casualmente al reato. Nella medesima fattispecie, l’ autorità giudiziaria italiana potrà, attraverso l’eurordinanza, richiedere agli altri stati membri di eseguire la confisca nei confronti di una persona giuridica. Va considerato comunque, che alcuni stati membri hanno fatto prevalere la propria tradizione giuridica che non consente di eseguire la confisca nei confronti degli enti e persone giuridiche12. In tali casi, può verificarsi che l’autorità richiesta rifiuti di eseguire l’ordine europeo di confisca applicando la lex loci13.

La responsabilità della persona giuridica è aggiuntiva e non sostitutiva di quella delle persone fisiche, che resta regolata dal diritto penale comune. Il criterio d’imputazione del fatto all’ente è la commissione del reato a vantaggio o nell’interesse del medesimo ente da parte di determinate categorie di soggetti. Vi è quindi, una convergenza di responsabilità, nel senso che il fatto della persona fisica cui è riconnessa la responsabilità della persona giuridica deve essere considerato fatto antigiuridico e colpevole di entrambe, con l’effetto che l’assoggettamento a sanzione sia della persona fisica che di quella giuridica s’inquadra nel paradigma penalistico della responsabilità concorsuale14.

12 E’ il caso dell’Austria, dei Paesi Bassi, della Polonia, della Repubblica ceca. Su

tale punto c’è stata una Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, ai sensi dell’art. 22 della decisione quadro 2006/783/GAI del Consiglio, relativa al principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca.

13 L. KALB, Spazio europeo di giustizia e procedimento penale italiano, Torino,

2012. Pag. 662 ss.

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1.3 Mandato europeo di ricerca delle prove

Il mandato di ricerca delle prove è un provvedimento emesso dalle autorità competenti dallo Stato membro in sede di esecuzione della decisione quadro, volto ad acquisire in altro stato membro oggetti, documenti e dati. L’art. 4 esclude espressamente che tale strumento possa essere utilizzato per :

• condurre interrogatori, raccogliere dichiarazioni o avviare altri tipi di audizioni di indiziati, testimoni, periti o di qualsiasi altra parte;

• procedere ad accertamenti corporali o prelevare materiale biologico dal corpo di una persona, ivi compresi campioni di DNA o impronte digitali15;

• acquisire informazioni in tempo reale, ad esempio attraverso l’intercettazione di comunicazioni, la sorveglianza dell’indiziato o il controllo dei movimenti su conti bancari;

• condurre analisi di oggetti, documenti o dati esistenti;

• ottenere dati sulle comunicazioni conservati dai fornitori di servizi di comunicazioni elettroniche accessibili al pubblico o di una rete pubblica di comunicazione.

E’ evidente però, che la sfera di applicabilità dello stesso è estremamente limitata. La decisione quadro prevede l’obbligo per lo Stato di esecuzione di riconoscere il M.E.R. senza formalità, nonché di adottare le misure necessarie per la sua esecuzione. Sono previste, tuttavia, ipotesi di rifiuto. L’art. 13 prevede la possibilità per lo Stato di esecuzione di non riconoscere o non eseguire il M.E.R. :

• qualora la sua esecuzione sia contraria al principio del ne bis in idem; • qualora gli atti non costituiscano reato a norma della legislazione dello Stato di esecuzione;

15 Se, però, il materiale probatorio appena menzionato è già nella disponibilità

dell’autorità straniera per averlo acquistato “motu proprio” e per propri fini prima dell’emissione del MER, sarà possibile ricorrere a questro strumento per ottenerne la consegna.

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• qualora non sia possibile eseguire il M.E.R. con le misure a disposizione dell’autorità giudiziaria di esecuzione;

• qualora il diritto dello Stato di esecuzione preveda immunità o privilegi che rendono impossibile l’esecuzione dello stesso;

• qualora il M.E.R. non sia stato convalidato da un giudice, un organo giurisdizionale, un magistrato inquirente o un p.m. nello Stato di emissione, se richiesto;

• qualora il M.E.R. si riferisca a reati commessi nel territorio dello Stato di esecuzione o al di fuori dello Stato di emissione quando la legislazione dello Stato di esecuzione non consente l’azione penale; • qualora la sua esecuzione leda gli interessi riguardanti la sicurezza nazionale;

• qualora il formulario sia incompleto o errato.

Inoltre sono previsti ipotesi di rinvio. Il riconoscimento o l’esecuzione del M.E.R. può essere subordinato alla sussistenza del requisito della doppia incriminazione solo dove si tratti di M.E.R. per la cui esecuzione è necessario effettuare una perquisizione o un sequestro, per i reati espressamente indicati dall’art. 14, purchè siano puniti nello Stato di emissione con una pena o una misura di sicurezza privative della libertà della durata massima di almeno tre anni. La decisione quadro prevede inoltre, l’obbligo per gli stati membri di prevedere disposizioni necessarie per assicurare che ogni soggetto interessato, compresi i terzi in buona fede, disponga di mezzi d’impugnazione a tutela dei propri legittimi interessi, attraverso un azione esperibile dinanzi alle autorità giurisdizionali dello Stato di esecuzione16.

Per quanto concerne l’esecuzione del M.E.R., allo Stato di emissione spetta fissare l’obbiettivo da raggiungere, mentre a quello di esecuzione compete l’individuazione delle modalità di acquisizione in base al proprio diritto interno Anche quando la raccolta di dati probatori si estenda alle dichiarazioni di persone presenti all’atto

16 C.M. PAOLUCCI, Cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale,

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dell’esecuzione del M.E.R. e direttamente collegate all’oggetto dello stesso, dovranno applicarsi le relative norme processuali dello Stato di esecuzione. La regola della “lex loci” riguarda solo il “modus

procedendi” per la ricerca e l’assicurazione dei dati probatori richiesti,

i quali debbano però risultare ammissibili secondo la legislazione dello Stato emittente. Lo strumento “de quo” non può essere utilizzato per ottenere la disponibilità di elementi che in base alla normativa interna non sarebbero acquisibili. A tale riguardo, è prevista la possibilità per l’autorità di emissione, di chiedere e di ottenere il rispetto di determinate formalità e procedure, che non impongano l’adozione di misure coercitive e che non siano contrarie ai principi fondamentali dello Stato d’esecuzione. Assume un'altra importanza, invece, se oggetto del mandato fosse stata la prova assumibile “all’estero” e non semplicemente introdotta “dall’estero” ; cioè se il mandato fosse stato concepito come strumento per l’assunzione di prove costituende, e non come previsto dalla decisione quadro, per la ricerca e acquisizione di prove preformate (risultanze probatorie già formate in atti processuali penali). Sempre riguardo all’esecuzione del M.E.R., va detto che non sempre l’autorità di esecuzione deve procedere ad una perquisizione e al sequestro: se gli elementi probatori preesistenti all’euro mandato sono già in suo possesso, o se per acquisirli, la legislazione nazionale consente l’utilizzo di mezzi meno intrusivi quali la richiesta di consegna, non c’è motivo per cui debba ricorrere a strumenti di coercizione reale invasivi per assicurare la messa a disposizione degli stessi17.

Tenendo conto delle specificità dei vari modelli di organizzazione giudiziaria seguiti dai paesi membri dell’U.E., l’autorità competente per l’emissione è stata individuata nella figura del giudice, del pubblico ministero, ovvero di qualsiasi altra autorità giudiziaria definita tale nello Stato di emissione, che agisce come autorità

17 L. KALB, Spazio europeo di giustizia e procedimento penale italiano, Torino,

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inquirente nei procedimenti penali e che sia competente ad ordinare l’acquisizione di mezzi di prova sulla base della pertinente legislazione nazionale. Le condizioni generali per l’adozione di un mandato europeo di ricerca delle prove sono la “proporzionalità” del tipo di prova richiesta nel ambito dei procedimenti in cui essa si rende necessaria ai fini dell’azione penale, e un’analoga possibilità di acquisizione del mezzo di prova secondo le regole proprie della legislazione dello Stato di emissione (qualora il dato, l’oggetto o il documento richiesti fossero disponibili sul suo territorio). Spetta comunque soltanto all’autorità di emissione garantire il rispetto di tali condizioni di ordine generale, poiché al catalogo dei motivi di rifiuto appare estranea la considerazione di tali materie. Analoga condizione viene esplicitata nel considerandum n. 12 sul versante “passivo” della procedura, ove si afferma che l’autorità di esecuzione deve ricorrere ai “mezzi meno intrusivi possibili” per acquisire gli oggetti, i documenti o i dati ricercati, tenuto conto del fatto che le misure prescelte potrebbero risultare invasive della sfera della libertà personale18.

1.4 Trasferimento del condannato

Allo scopo di far fronte alle esigenze di giustizia sovranazionale gli Stati già da tempo, avvalendosi degli strumenti predisposti dal diritto internazionale, si sono adoperati in ordine al trattamento di coloro cui viene addebitata una violazione della legge penale dei singoli Stati. Il primo mezzo che a tal fine è stato adoperato è “l’estradizione”, definito come particolare ordinamento politico-giuridico, di mutua assistenza internazionale per il quale uno stato provvede alla consegna di un individuo, imputato o condannato, che si trova nel suo territorio, allo

18 G. DE AMICIS, limiti e prospettive del mandato europeo di ricerca della prova,

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Stato estero nel quale ha commesso il reato; perché in questo Stato venga giudicato o sottoposto all’esecuzione di una pena. L’istituto può essere osservato da due angolazioni diverse: dal punto di vista dello Stato che avanza la richiesta di consegna di un imputato o di un condannato (estradizione attiva) e dal punto di vista dello Stato cui si chiede la consegna di un imputato o condannato (estradizione passiva). In base ai principi generali di diritto internazionale comunemente accettati dagli Stati, l’estradizione è regolata dalla normativa esistente nello Stato richiesto e ad essa lo Stato richiedente deve attenersi presentando la domanda di estradizione nei termini e con le forme prescritte per la stessa, spettando solo allo Stato richiesto la decisione sull’accoglibilità secondo le norme convenzionali o secondo la propria disciplina interna19.

La convenzione sul trasferimento delle persone condannate è stata sottoscritta a Strasburgo il 21 marzo 1983, la cui ratifica è stata autorizzata in Italia con l. 25 luglio 1988 n. 388 e comprende anche un elevato numero di Paesi. L’obbiettivo principale della Convenzione è quello di favorire il reinserimento del condannato; tale finalità potrebbe essere compromessa nella ipotesi di esecuzione della pena in territorio straniero, a causa delle difficoltà che il condannato si trova a dover affrontare a causa della lingua, della lontananza dei familiari e di altri fattori. Per far fronte a tali difficoltà, la Convenzione prevede la possibilità che una persona condannata sia trasferita nel territorio di un’altra parte per scontarvi la pena inflittale. Il trasferimento può essere chieste sia dallo Stato di condanna sia dallo Stato di esecuzione. I presupposti per poter agire sono: che si deve trattare di una sentenza definitiva; la persona condannata deve essere cittadino dello Stato di esecuzione o per alcuni stati anche ivi residente; la fattispecie deve essere prevista come reato da entrambi gli Stati (doppia incriminabilità); la pena deve avere una durata non inferiore a sei mesi.

19 A. GAITO, le dinamiche probatorie e gli strumenti per l’accertamento giudiziale,

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Ogni persona condannata deve essere informata dallo Stato di condanna del contenuto della Convenzione (della possibilità di scontare la pena nel proprio paese di cittadinanza) e in Italia è previsto che il condannato presti il proprio consenso20 per il trasferimento21.

1.4.1 Procedura attiva

L’ordine europeo di trasferimento è emesso dal P.M. presso il giudice dell’esecuzione o dal P.M. presso il magistrato di sorveglianza competente per l’esecuzione delle misure di sicurezza. Prima di emettere il certificato, il P.M. acquisisce le disposizioni che regolano la liberazione anticipata e la liberazione condizionale nello Stato di esecuzione. Allo Stato di esecuzione devono essere trasmessi due atti: il certificato e la sentenza di condanna o che applica la misura di sicurezza. La lingua di tali atti, però, è diversa; infatti la sentenza può essere trasmessa in lingua italiana mentre il certificato deve essere tradotto nella lingua ufficiale dello Stato di esecuzione. La trasmissione degli atti può avvenire con qualsiasi traccia scritta (non deve essere trasmesso né l’originale né una copia autenticata degli atti). Alla trasmissione degli atti provvede il Ministero della giustizia ma in alcuni casi può provvedervi il P.M. informandone l’autorità centrale. L’avvio della procedura di trasferimento deve essere comunicato al condannato mediante notifica di uno specifico atto che contiene l’indicazione del certificato e della sentenza e il P.M. può revocare il certificato sino a quando l’esecuzione della pena all’estero

20 Il “consenso” deve essere volontario, e reso nella consapevolezza delle

conseguenze giuridiche che ne derivano; deve essere manifestato con una

dichiarazione formale davanti all’autorità giudiziaria richiedente, a meno che non si trovi già in espiazione pena all’interno dello Stato di condanna(in tal caso il consenso dovrà essere verbalizzato dalle autorità competenti di detto Stato.

21 C.M. PAOLUCCI, Cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale,

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non abbia avuto inizio, qualora venga meno uno dei presupposti sui quali si basa l’ordine di trasferimento. La revoca deve essere comunicata all’interessato e allo Stato di esecuzione, con l’indicazione delle ragioni che l’hanno determinata, e quando lo Stato membro di esecuzione rifiuti il trasferimento del condannato, il Ministero della giustizia né da comunicazione al P.M. di emissione, che dovrà avviare o proseguire l’esecuzione in Italia della pena o della misura di sicurezza. Nel termine non perentorio di trenta giorni dalla comunicazione del riconoscimento della sentenza occorre provvedere alla consegna della persona condannata nello stato membro di esecuzione. In questa fase, gli organi esecutivi sono il Ministero della giustizia e il servizio per la cooperazione internazionale di polizia del Ministro dell’interno, che deve consegnare la persona alle autorità di polizia dello Stato di esecuzione. Con la consegna della persona condannata e l’inizio dell’esecuzione della pena all’estero cessano gli effetti esecutivi della sentenza italiana; se invece lo Stato di esecuzione rifiuti il trasferimento, la pena detentiva è eseguita in Italia secondo le regole ordinarie. Se invece la persona si trova già nello Stato nel quale deve essere trasferita, il pubblico ministero, con lo stesso ordine di trasferimento può chiederne l’arresto provvisorio22. Non è da trascurare, che la normativa di alcuni Stati prevede un controllo circa la fondatezza dell’accusa: è necessaria la produzione di prove sufficienti a consentire un giudizio presuntivo in ordine alla commissione del reato da parte della persona richiesta con facoltà, per lo Stato di rifugio, di rigettare la domanda qualora gli elementi a carico dell’estradando siano insufficienti. Nell’attesa della decisione dello Stato straniero, non potendosi escludere il diniego della consegna, le attività esperibili dall’autorità giudiziaria mutano a seconda che la domanda sia stata inoltrata in fase di indagini preliminari, ovvero nel caso del giudizio: se nel primo caso, il procedimento può seguire le

22 L. KALB, Spazio europeo di giustizia e procedimento penale italiano, Torino,

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normali cadenze; nel secondo, invece, il processo debba essere sospeso fino alla concessione dell’estradizione ovvero il suo diniego23.

1.4.2 Procedura passiva

La procedura passiva del trasferimento, si basa su un procedimento decisionale relativo ad esso, svolto all’interno della Corte d’appello. La Corte riconosce con sentenza, la pena o misura di sicurezza, quando la persona condannata:

a) è cittadino italiano;

b) ha la residenza, dimora o domicilio in Italia

c) si trova in Italia o nello Stato membro che ha emesso la sentenza di condanna.

Quando tali condizioni sussistono congiuntamente, il trasferimento è obbligatorio (non occorre né il consenso del condannato, né il previo accordo tra i due Stati)24. La procedura per il trasferimento in Italia può avvenire in due modi: su iniziativa dello Stato di condanna, che trasmette il certificato e la sentenza al Ministro della giustizia, per l’inoltro alla Corte d’appello competente, o su iniziativa del Ministro della giustizia. Nel silenzio del legislatore, si deve ritenere che il trasferimento deve essere disposto mediante l’ordine europeo previsto dalla decisione quadro (certificato). Il procedimento dinanzi la Corte d’appello si svolge nelle forme della camera di consiglio, dove Essa, tramite il Ministero della giustizia, può fare richiesta di integrazione o

23A.GAITO, le dinamiche probatorie e gli strumenti per l’accertamento giudiziale,

Torino, 2008. Pag. 281

24

Il trasferimento obbligatorio può essere disposto anche nei confronti del cittadino italiano che non vive in Italia o nei confronti del cittadino di un altro Stato che, per sfuggire alla condanna o al procedimento penale, si sia rifugiato in Italia. In tali casi è necessario che il Ministro della giustizia presti il consenso alla richiesta dello Stato membro di emissione di esecuzione della pena in Italia.

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correzione del certificato e può chiedere nuovi documenti, assegnando allo Stato di emissione un termine. La corte d’appello provvede entro un termine di sessanta giorni dalla data in cui ha ricevuto la sentenza di condanna; tale termine,poi, può essere prorogato di trenta giorni se ricorrono ragioni eccezionali. In tal caso occorre informare lo Stato di emissione tramite il Ministero della giustizia. Al termine della camera di consiglio, la Corte deciderà con sentenza la cui lettura sostituirà la notificazione alle parti. Quando la Corte pronuncia una sentenza di riconoscimento della sentenza straniera, questa è trasmessa per l’esecuzione al procuratore generale, se invece la decisione è contraria al riconoscimento della sentenza, la Corte d’appello procede alla revoca della misura coercitiva eventualmente applicata. Il provvedimento emesso dalla Corte d’appello è ricorribile in cassazione anche per ragioni di merito, ai sensi dell’art. 22 l. n. 69/200525, cui la norma espressamente rinvia la sentenza favorevole, divenuta irrevocabile decorsi dieci giorni dalla conoscenza legale della stessa senza che le parti l’abbiano impugnata, è comunicata al Ministero della giustizia che ne informa l’autorità competente dello Stato di emissione e il servizio per la cooperazione internazionale di polizia, competente ad eseguire il trasferimento in Italia della persona condannata. La Corte d’appello può anche riconoscere la sentenza straniera parzialmente (per un solo reato o misure di sicurezza irrogate); in questi casi la Corte d’appello deve informare lo Stato di emissione tramite il Ministero della giustizia, per concordare le modalità per il riconoscimento parziale. La persona condannata può inoltre essere sottoposta a misure cautelari che vengono applicate dalla Corte d’appello su richiesta dello Stato di emissione. La Corte applica tale

25 Corte costituzionale, art. 22 l. n. 69/2005; soggetti legittimati sono la persona

interessata, il suo difensore e il procuratore generale presso la corte d’appello; non è prevista la possibilità di impugnare per il rappresentante dello Stato richiedente. La C. di cassazione decide entro 15 giorni dalla ricezione degli atti in forma di rito camerale; l’avviso alle parti deve essere notificato almeno cinque giorni prima dell’udienza.

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misura esclusivamente se c’è il pericolo che la persona in attesa della pronuncia sul riconoscimento della sentenza, possa darsi alla fuga. E’ prevista, però, la revoca di tale misura se sono trascorsi i termini massimi per la decisione sul trasferimento (la revoca è disposta anche quando nel termine di tre mesi non sia stato deciso il ricorso in cassazione contro la sentenza di riconoscimento) e la polizia giudiziaria può procedere all’arresto provvisorio della persona condannata quando ricorre il duplice presupposto dell’urgenza e del pericolo di fuga. Nel trasferimento delle persone condannate è previsto anche il principio di doppia incriminazione, infatti lo Stato membro di esecuzione non può rifiutare il riconoscimento della sentenza straniera e il trasferimento del condannato per mancanza di doppia incriminabilità. Un altro problema che attiene al trasferimento del condannato è il rifiuto di tale trasferimento che avviene se ricorre uno dei motivi previsti tassativamente nell’art. 13 del decreto legislativo del 2005; in altri casi avviene per impossibilità di eseguire la sentenza straniera per difetto di requisiti fondamentali previsti dalla decisione quadro 2008/909/GAI. A seguito del suo riconoscimento, la sentenza straniera è equiparata a quella italiana. In questi casi si applica la disciplina interna sull’esecuzione della pena e sulle cause di estinzione del reato (amnistia) o della pena (indulto e grazia)26.

26 L. KALB, Spazio europeo di giustizia e procedimento penale italiano, Torino,

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CAPITOLO 2

PROCEDIMENTO DI AMMISSIONE DELLA PROVA

2.1 Ripartizione dei ruoli tra il giudice e le parti

Una volta avvenuta la previa valutazione positiva sull’ammissibilità giuridica della rogatoria da parte della corte d’appello del luogo in cui deve procedersi agli atti richiesti, con la medesima ordinanza quello stesso giudice ne ordina l’esecuzione delegando a tal fine uno dei suoi componenti, ovvero il giudice per le indagini preliminari del luogo in cui gli atti devono essere compiuti. La giurisprudenza di merito, ha affermato che gli atti compiuti all’interno di tale procedimento, essendo orientati funzionalmente all’esercizio dell’azione penale, rientrano nella competenza del pubblico ministero, che diventa il titolare della fase procedimentale. Nell’ordinare l’esecuzione della rogatoria la corte delega uno dei suoi componenti, cioè il giudice per le indagini preliminari del luogo in cui gli atti devono compiersi. Per il compimento degli atti richiesti si applicano le norme di questo codice, salva l’osservanza delle forme richieste dall’autorità giudiziaria straniera che non siano contrarie ai principi dell’ordinamento giuridico dello Stato27. Il concetto di “atti d’istruzione” assume nell’ambito della cooperazione penale internazionale un senso più ampio rispetto alla nozione presente nel sistema processuale italiano, nel quale si distingue tra fase procedimentale e fase processuale, in quanto nell’attività di esecuzione probatoria sono ricompresi tutti gli atti destinati ad inserirsi nello svolgimento di un processo in corso nello Stato assistito e quindi diventano strumentali alla decisione straniera. La corte costituzionale ha poi precisato che l’organo competente delle

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attività richieste deve essere individuato nella corte d’appello e non anche nel pubblico ministero. Dalla normativa europea, come anche in quella internazionale, discende che non esiste alcun vincolo in ordine all’individuazione dell’organo competente nei vari ordinamenti all’espletamento della rogatoria, ma spetta alla disciplina interna del paese richiesto individuare i soggetti competenti e le varie forme processuali opportune per l’esecuzione degli atti. La dottrina dominante, però, accoglie come individuazione dell’organo competente il giudice, dal momento che la sua posizione di terzietà conferisce all’attività rogata il grado più elevato di affidamento che lo Stato sia in grado di assicurare, al contrario del pubblico ministero che è istituzionalmente parte nel processo penale italiano. Il codice di procedura penale italiano demanda esclusivamente alla corte d’appello la competenza di dare esecuzione alla rogatoria28.

L’istruzione, prima dell’esercizio dell’azione penale, è affidata al magistrato requirente; infatti si potrebbe affermare che i veri responsabili dell’accertamento in giudizio sono le parti,mentre il collegio giudicante riveste un ruolo temporalmente e qualitativamente secondario. L’organo giudicante ha il potere di intervenire nella fase di ammissione della prova, disponendo di propria iniziativa che nel dibattito siano acquisite nuove informazioni non richieste dalle parti. Per la citazione dei testimoni in giudizio non è prevista alcuna forma di controllo della richiesta e nessuna procedura di deliberazione, perché si tratta di una rogatoria prettamente esecutiva e per il fatto che il testimone è libero di decidere se comparire o meno. Le uniche forme di controllo formale previste sono: quella relativa ai presupposti essenziali da parte del Procuratore della Repubblica, della legittimazione attiva della autorità richiedente, del rispetto delle norme

28 G. LA GRECA- M. R. MARCHETTI, Rogatorie penali e cooperazione giudiziaria

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convenzionali, della valutazione positiva del Ministro29 sulla idoneità delle garanzie in ordine alla immunità della persona citata e della sussistenza della propria competenza per territorio. Se manca uno di tali requisiti, il Procuratore della Repubblica dovrà restituire al Ministro la richiesta di rogatoria. Il termine entro il quale lo Stato richiedente dovrà far pervenire l’atto allo Stato richiesto deve essere non superiore a cinquanta giorni. Nella legislazione italiana, all’art. 726 c.p.p. è prevista la possibilità per i testimoni di notificare direttamente all’imputato l’atto oggetto di richiesta rogatoriale sottraendola alla necessità dell’exequatur di competenza della Corte d’Appello purchè sia consentito da accordi internazionali; è richiesto comunque sempre un controllo circà la conformità della richiesta alla normativa pattizia da parte del Procuratore della Repubblica, che risulta competente ad effettuare la notifica previo controllo della provenienza della richiesta e della sua competenza territoriale a dare seguito alla norma degli artt. 156 c.p.p. e ss. Lo Stato, comunque, può avvalersi della procedura ordinaria con necessità del provvedimento dell’exequatur della Corte d’Appello. Per le citazioni dei periti, dell’imputato o di altri soggetti processuali, invece, è previsto che ci sia un controllo e una delibera da parte della Corte d’appello del luogo in cui deve procedersi agli atti richiesti30.

29 Il ministro della giustizia è titolare di un potere di “blocco” che esercita mediante

l’emissione di un decreto, entro trenta giorni dalla sua ricezione, quando la

trasmissione della rogatoria sia ritenuto atto idoneo a compromettere “la sicurezza o altri interessi essenziali della Repubblica;

30 C.M. PAOLUCCI, Cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale,

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2.2 Gli specifici doveri imposte alle parti

Il procedimento di ammissione della prova prevede una fase detta “disclosure” intendendosi con tale termine, l’attività di comunicazione delle prove tra le parti e tra queste e il giudice. Nell’ambito europeo come anche in quello internazionale,principi ed esigenze attinenti alla fase di comunicazione predibattimentale tra le parti tutelano gli stessi valori protetti nei modelli processuali nazionali ispiratisi ad un processo di parti. Il motivo principale di tali valori è dato dal fatto che si vuole mettere in risalto la necessità di consentire l’esplicazione in modo adeguato del diritto di difesa, nella sua concreta manifestazione del difendersi seguita anche dalla dottrina e giurisprudenza italiana con riferimento al sistema interno. “la discovery” mira a consentire alla parte avversaria la preparazione del controesame rendendo effettivo il diritto di interrogare e fare interrogare i testimoni a carico31.

Nello Statuto della Corte penale internazionale, si afferma che conclusa l’udienza di conferma delle imputazioni e avviato il predi battimento, l’organo competente a verificare il corretto adempimento dei doveri inerenti lo scambio di informazioni tra le parti è la Camera di Primo Grado32. Essa deve assicurare che la discovery sia correttamente compiuta, tra accusa e difesa, e che si perfezioni prima della apertura del dibattimento, in tempo sufficiente per consentire alle parti un’adeguata preparazione della rispettiva strategia33.

La complessa attività con la quale le parti sono tenute ad esporre all’organo giudicante la propria strategia processuale probatoria, comporta che ciò sia fatto con uno svolgimento della contesa in

31 M. CAIANIELLO, Ammissione della prova e contraddittorio nelle giurisdizioni

penali internazionali, Torino, 2008. Pag. 77

32 Cfr. sul punto; nelle giurisdizioni ONU, viene deputato a sovrintendere la fase

preliminare un singolo magistrato.

33 L.MEZZETTI- C.PIZZOLO, Diritto processuale dei diritti umani, Bologna, 2013.

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maniera corretta; specialmente per la comunicazione delle fonti di prova tra “Prosecutor” e difesa. Il modello accolto rigetta l’ipotesi delle prove a sorpresa, cercando all’apertura del caso che ogni contendente sia stato posto in condizioni di conoscere ciò che l’avversario presenterà in giudizio. Tale modo di operare risulta simile con l’ordinamento italiano; infatti la ratio dell’istituto appare la stessa: rendere le parti informate in modo completo sulle richieste probatorie dell’avversario, cosi da agevolare la preparazione del controesame dei testi introdotti e tutelare l’esercizio effettivo del diritto alla prova contraria. Inoltre, il lavoro investigativo condotto dall’organo pubblico risulta determinante anche per l’impostazione della strategia difensiva. Infatti la difesa anche se sia possibile la conduzione di proprie indagini, essa non dispone di fatto di risorse paragonabili a quelle di cui può fruire il magistrato inquirente, il quale è in grado di operare uno ricostruzione delle vicende ben più vasta e approfondita di quella realizzabile dall’indagato. A ciò si aggiunge che le peculiari modalità di ricerca delle fonti adottate dall’ufficio del Prosecutor rendono altamente probabile il rinvenimento di elementi rilevanti e talora decisivi per la preparazione dei casi per la difesa in procedimenti diversi: le indagini condotte dal ufficio inquirente non riguardano una vicenda individuale, ma hanno ad oggetto un complesso di episodi, verificatosi in un contesto unitario, consumati in un determinato periodo e in una localizzata zona geografica.

Una volta raccolte tutte le informazioni rilevanti in merito ad una complessiva vicenda, si costruiscono le singole imputazioni. Dalla sommaria descrizione di questo metodo investigativo, si può desumere che l’ufficio del prosecutor si può trovare a disporre di dati conoscitivi rilevanti per la difesa, pur non intendendo egli richiederne l’ammissione in dibattimento. In questo modo si può ritenere che risulti imprescindibile per costruire una adeguata linea difensiva. A ciò il sistema fa fronte imponendo all’attore istituzionale un dovere di

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“disclosure” più penetrante ed ampio rispetto a quello imposto alla difesa, al fine di consentire a quest’ultima di procurarsi elementi utili alla preparazione della propria strategia processuale. La disciplina della discovery tra le parti del processo può essere ripartita in base a diversi parametri: la disclosure a carico del Prosecutor e la disclosure a carico della difesa34.

Un riferimento importante, và comunque fatto alla discovery in relazione al tipo di Costituzione adottata nel ordinamento Italiano: in Essa si rinvengono non solo principi di carattere generale ma anche norme dirette a regolare determinati rapporti. I principi costituzionali sono rappresentati dagli artt. 24 e 111 Cost., i quali assicurano, rispettivamente, il diritto di difesa ed il diritto al contraddittorio: essi segnano il confine entro il quale qualsiasi disposizione legislativa in argomento deve essere orientata. La prevalenza accordata al contraddittorio e la sua vocazione probatoria, rappresentano la nuova frontiera del processo penale ed esprimono l’esigenza di cambiamento radicale del sistema processuale, il suo adeguarsi ai principi costituzionali e all’idea accusatoria che in esso si riconosce. Nell’ordinamento italiano, il processo penale ruota intorno al ruolo assegnato ai protagonisti: giudice e parti, collocate in posizione di parità tra loro e in continua relazione dialettica con il giudice; è per questo, infatti, che il principio della ripartizione dei ruoli trova la sua migliore rappresentazione nel codice di procedura penale, il quale sancendo il diritto alla prova, delinea un processo di parti35.

34 M. CAIANIELLO, Ammissione della prova e contraddittorio nelle giurisdizioni

penali internazionali, Torino, 2008. Pag. 87 e ss.

35 A.GAITO, le dinamiche probatorie e gli strumenti per l’accertamento giudiziale,

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2.2.1 La “disclosure” imposta al prosecutor

La disciplina in esame si sofferma soprattutto sulla comunicazione delle informazioni fra le parti nella fase pre-trial, cioè nella fase intercorrente tra la conferma delle imputazioni e l’avvio del dibattimento. Prima dell’avvio del “trial”, per consentire un’adeguata preparazione delle proprie strategie, il Prosecutor deve comunicare secondo il regolamento 76 CPI (camera di primo grado della Corte penale internazionale) all’imputato, il nome dei testimoni di cui si intende avvalere in giudizio, rendendo allo stesso tempo conoscibili le dichiarazioni da costoro rilasciate nel corso delle fasi precedenti. La lettera della disposizione sembra non lasciare spazio per una discovery soltanto riassuntiva, pretendendo anche una copia delle dichiarazioni dei testimoni; inoltre per l’ufficio dell’accusa sorge un altro dovere a suo carico, che è quello di tradurre in lingua comprensibile per la difesa le deposizioni delle persone informate sui fatti oggetto di trasmissione. L’inquirente è tenuto oltre alla comunicazione dei verbali dichiarativi, secondo “la rule” 77 CPI, a consentire l’ispezione all’imputato di qualsiasi documento, fotografia e altro oggetto tangibile, purchè esso sia rilevante per la preparazione della strategia difensiva o che comunque è destinato ad essere presentato come prova in dibattimento dal Prosecutor o che è stato ottenuto o appartenesse allo stesso imputato. L’accusa deve anche comunicare le prove favorevoli all’imputato. Anche davanti alla Corte, il meccanismo di disclosure si perfeziona secondo due momenti successivi: una prima fase è di competenza esclusiva del magistrato inquirente, che in autonomia decide cosa possa risultare scagionatorio per la difesa e gliene dà comunicazione; ad essa si aggiunge, il potere della parte privata di richiedere una “additional disclosure”, ove essa dimostri la rilevanza del materiale di cui si richiede l’ostensione e ne sappia

(32)

indicare l’identità36. Quando l’organo requirente si accorge che ciò che è in suo possesso potrebbe rivelarsi vantaggioso per la difesa, il magistrato è tenuto ad interpellare l’organo giudicante (la camera di primo grado) rimettendo ad essa la scelta; si tratta di un’ iniziativa, che è quella di chiamare in causa “la trial Chamber”, rimessa alla discrezionalità dell’organo dell’accusa che non intacchi la struttuta della disclosure del materiale scagionatorio lasciato alla opzione discrezionale del Prosecutor37.

Lo Statuto prevede che le “pre-trial e trial chambre” siano composte da giudici dotati di esperienza criminale dibattimentale; comunque nel decidere di una prova pregiudizievole, tutti i giudici ne verrebbero a conoscenza del contenuto, perché la decisione sulla ammissibilità spetta all’intero collegio e non al solo presidente. Il motivo dell’introduzione della regola è stato con l’intenzione di inserire una valvola di sicurezza in un sistema altrimenti privo di un vaglio di inammissibilità all’istruzione dibattimentale, allo scopo di evitare che quest’ultima sia piena di materiali cumulativi che ne rallentino e paralizzano lo svolgimento con risultati contrari al “fair trial” cui va ricollegato il diritto dell’imputato ad essere processato senza ritardi indebiti e a disporre di tempi e risorse per preparare la sua difesa. Per quanto riguarda la protezione delle prove a sorpresa incompatibili con il “fair trial” è previsto che si ricorre alle sanzioni connesse alla violazione delle regole sulla discovery o alla concessione di una sospensione del trial.

Per quanto riguarda la figura del testimone, invece, prevista come ipotesi distinta del “fair trial” dovuta ad un atteggiamento iperprotettivo adottato nei confronti del testimone/vittima cercando di

36 Ciò viene desunto implicitamente dalla rule 84 CPI, secondo la quale la trial

chambre adotta le decisioni necessarie per la comunicazione dei documenti o delle informazioni non precedentemente resi noti, al fine di consentire ad accusa e difesa di prepararsi per il dibattimento e di facilitarne l’equo svolgimento.

37 M. CAIANIELLO, Ammissione della prova e contraddittorio nelle giurisdizioni

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evitare un esame eccessivamente aggressivo, basato sulla contestazione di fatti e circostanze dai connotati infamanti e raccapriccianti, che vengono addossati al soggetto sottoposto ad escussione allo scopo di minarne la credibilità38;

Il bilanciamento tra pregiudizio ed esigenze di accertamento dei fatti si rivela delicato in riferimento alla testimonianza, nella cui formazione è inevitabile l’effettuazione di un severo vaglio sull’attendibilità del dichiarante. Tale prospettiva trova ragion d’essere sull’applicazione della “prejudice rule” in conformità con “le regole di procedura e prova” previsto nel comma 4 dell’articolo 68 St CPI, che si limitano a una regolamentazione più dettagliata dell’evidenza in sede di predisposizione delle regole, indicativo di un atteggiamento tutt’altro che orientato a elargire troppo margine di manovra ai giudici. Ad eccezione delle ipotesi in questione, tutte le prove rilevanti sono da ritenersi in generale ammissibili e possono essere presentate in giudizio, salvo che non rientrino in ulteriori casi soggettivi di privilegi o non siano frutto di specifiche violazioni di disposizioni dello Statuto o di norme internazionali. La disciplina dei privilegi prevista dall’art. 69 comma 5, stabilisce che la Corte rispetterà ed osserverà i privilegi di confidenzialità previsti nelle” regole di procedura e prova”; tali regole, prevedono per il coniuge, il figlio o il genitore dell’imputato la facoltà di astenersi dal rispondere a domande volte all’incriminazione dell’imputato stesso,anche se il giudice nel valutare la testimonianza, potrà tenere conto della circostanza che la mancata risposta sia indirizzata a smentire una precedente dichiarazione o della selettività nel vaglio delle domande cui non rispondere. Una serie di comunicazioni sono dette “privilegiate” ai fini di una tutela specifica: quelle tra imputato e difensore,quelle intercorse nel contesto di un tipo

38 Le misure di protezione del testimone rappresentano una vasta area che viene

disciplinata nelle sue linee generali, dall’art. 68 St. CPI, che rimette nella fase del processo il potere di adottare tale misure all’organo giudicante, lasciandolo nelle mani del Prosecutor nel periodo delle indagini.

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di rapporto professionale o confidenziale39; è inoltre garantito al testimone il diritto a non rispondere a domande miranti ad ottenerne l’autoincriminazione, anche se è prevista la facoltà del giudice di assicurare al testimone che le sue dichiarazioni non saranno divulgate pubblicamente né utilizzate dalla Corte contro di lui: il teste è tenuto a rispondere, previa adozione da parte del giudice di misure atte a garantire l’efficacia dell’assicurazione stessa40.

Qualche considerazione, va tenuta presente con riguardo agli elementi ricevuti dal Prosecutor su base confidenziale. Le disposizioni a tale riguardo prevedono che il magistrato requirente ha il potere di garantire al terzo fornitore di informazioni, attraverso un apposito atto negoziale , il mantenimento del segreto su di esse. Dei dati ricevuti su base confidenziale,infatti, sarà possibile avvalersi soltanto al fine del proseguimento delle indagini. Se comunque, il Prosecutor ritiene che simili elementi siano importanti e intende produrli come prova nel processo, dovrà necessariamente ottenere il consenso da parte della persona interessata, senza il quale né l’introduzione in giudizio né la disclosure in favore della difesa risulta possibile. Infatti la “rule 82 CPI” attribuisce esclusivamente al soggetto che ha fornito l’informazione su base confidenziale il potere di far cessare il segreto su di essa41.

39 Tale tutela specifica può essere intesa come quella ad esempio tra medico e

paziente, fondato su un’aspettativa di privacy e di non divulgazione, nell’ambito del quale la confidenzialità sia essenziale alla natura del rapporto e il riconoscimento del “privilege” compatibile con gli obbiettivi dello Statuto e delle Regole.

40 V. FANCHIOTTI- M. MIRAGLIA- J. P. PIERINI, La Corte Penale

Internazionale, Torino, 2014. Pag. 152 e ss.

41 M. CAIANIELLO, Ammissione della prova e contraddittorio nelle giurisdizioni

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2.2.2 La “disclosure” imposta alla difesa

Come succede all’accusa, anche alla difesa sono imposti oneri nella fase in esame. Sussiste il dovere,infatti stabilito sempre nello Statuto, di consentire l’accesso alle prove documentali raccolte, ove si sia chiesto di ispezionare quelle in mano del Prosecutor, e devono essere comunicate al requirente prima dell’inizio del dibattimento specifiche linee difensive. Si tratta della difesa di alibi, della legittima difesa e dello stato di necessità, dell’incapacità di intendere e di volere, sia essa congenita o dovuta all’assunzione di sostanze che l’hanno cagionata; per ciascuna di queste ipotesi, è previsto che vengano comunicati all’attore i nomi dei testimoni e ogni altro elemento che si intende dimostrare quanto affermato. Molto importante risulta poi la questione che riguarda la disciplina dell’esclusione della responsabilità penale fondata su leggi nazionali o su altre fonti previste dall’art. 21 St. CPI. Quando la difesa intende invocare la propria non punibilità sulla base di previsioni legislative contemplate nell’ordinamento nazionale di riferimento o in altre fonti riconosciute dallo Statuto della Corte Penale Internazionale, dovrà dare comunicazione previamente al Prosecutor e alla “trial chamber”. A seguito di tale informazione, il collegio giudicante è tenuto a convocare un udienza sulla base della quale stabilire l’ammissibilità di una simile linea difensiva. Si tratta di una disposizione che con la disclosure ha poco a che fare, e richiama più da vicino la questione dell’ammissibilità di determinate fonti del diritto davanti al consenso internazionale.

La complessità dell’ordinamento cui la Corte penale si riferisce, attraverso l’art. 21 St. CPI richiamato, impone una sorta di discovery e di contradditorio sulla sostenibilità di certe tesi giuridiche in giudizio:

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