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La “filosofia” di Jackson.

Nel documento Hughlings Jackson neurologo (1835 - 1911) (pagine 48-62)

I.3 Parallelismo psico-fisico e coscienza

I.3.1 La “filosofia” di Jackson.

Gli interpreti che trattano del lavoro di H.J. non possono esimersi dall’affrontare il tema ricorrente di quanta importanza abbia avuto il pensiero filosofico per la neurofisiologia di H.J. e fino a che punto il suo lavoro possa essere considerato, in un certo senso, “filosofico”. La domanda prende spunto da un famoso episodio nella vita di H.J., un’indecisione giovanile sull’ambito in cui proseguire gli studi, di cui ci dà testimonianza solo Hutchinson:

When Dr. Jackson and myself first made acquaintance he had been some two or three years in the profession, and, in the belief that it did not afford attractive scope for mental powers of which he was unconscious, he was on the point of abandoning it, intending to engage in a literary life. From this I was successful in dissuading him, and for many years I plumed myself upon this as the most successful achievement of my long life. Of late, however, I have had my misgivings, and have doubted whether – great as had been the gain to medicine – it might not have been a yet greater gain to the world at large if

88

Hughlings Jackson 1932, vol. II, p. 85.

89

L’articolo riprende parte di un altro lavoro del 1888.

90

Hughlings Jackson 1932, vol. I, p. 460.

91

49 Hughlings Jackson had been left to devote his mind to philosophy. There are others who are better skilled than myself to give an opinion on this head, but at some future time I may hope to be able to produce some details in illustration of his character which may go far to justify my misgivings.92

George K. York e David Steinberg93 attribuiscono questa crisi momentanea alla necessità per H.J. di trovare una fonte di sostentamento economico immediata, per attutire le sue precarie condizioni. Interpretano quindi la “vita letteraria” non come il desiderio di intraprendere una carriera accademica in ambito filosofico, che a H.J. era preclusa, ma come il desiderio di scrivere un trattato scientifico sul genere dei Vestiges of the natural history of creation di Robert Chambers. Proprio in quegli anni un altro incontro fu decisivo per H.J: all’inizio della loro carriera, prima Hutchinson poi H.J., si dedicarono al giornalismo specializzato, diventando cronisti del settimanale Medical Times and Gazette. Tra i diversi professionisti con cui poterono entrare in contatto grazie a questa attività, H.J. conobbe Charles Edouard Brown-Séquard, all’epoca medico direttore al National Hospital for the Paralysed and Epileptic, a Queen Square, appena fondato. Fu Brown-Séquard a dirgli che «it was foolish to waste his effort in wide observation of disease in general, and that if he wished to attain anything he must keep to the nervous system.»94.

Si evince dalle citazioni dei capitoli precedenti che sicuramente H.J. rifiutava nella pratica medica qualsiasi tentativo di spiegazione definito “metafisico”, cioè estraneo all’osservazione diretta e che non poteva essere ricondotto al sistema sensori-motorio. Da qui, ad esempio, il rifiuto della localizzazione delle facoltà “mentali” e, probabilmente, dell’inconscio, e più in generale l’adesione alla dottrina della concomitanza come unica via per liberare la neurofisiologia da problemi

92

Hutchinson 1911a, p. 952.

93

York and Steinberg 2006, p. 28 sgg.

94

50 metafisici senza per questo ricadere nel materialismo. Riassumendo, un esempio chiaro della sua posizione si ritrova nella risposta di H.J. ad una critica alla dottrina della concomitanza, che la riconduceva in sostanza alla “two-clock theory” di Leibniz. H.J. rispose che anche se fosse stato così, la filosofia di Leibniz non suscitava alcun interesse dal punto di vista medico95. Aggiunse che anche se altre ipotesi sul rapporto mente-corpo fossero state corrette, la dottrina della concomitanza continuava ad essere in ogni caso “conveniente” per definire una diagnosi puramente neurofisiologica.

Sebbene quindi non si possa considerare H.J. un “filosofo”, non bisogna neanche annullare l’importanza delle sue fonti filosofiche che, come abbiamo visto, sono numerose e vanno a creare il supporto delle sue ipotesi. Non solo Spencer era fonte di ispirazione, ma più in generale H.J. era un uomo attento e interessato al dibattito contemporaneo anche riguardo specializzazioni diverse dalla neurofisiologia, dimostrando di conoscere almeno parzialmente autori come Bacone e Mill, addentrandosi in considerazioni sulla natura della coscienza e su quella del tempo96. Non avere pregiudizi riguardo ad un approccio interdisciplinare è anzi uno dei punti di forza del lavoro di H.J., sebbene qualsiasi ipotesi di natura più speculativa dovesse poi essere ricondotta nei limiti più ristretti dell’osservazione medica. Ed è proprio l’applicazione delle teorie più generali a disturbi specifici che vedremo nel secondo capitolo.

95

cfr. Critchley and Critchley 1998, p. 58. 96

51

II. Applicazioni cliniche

II.1 Epilessia

H.J. dedicò gran parte del suo lavoro allo studio dell’epilessia, per cui è ricordato ancora oggi. Essendo uno dei primi medici ad operare al National Hospital for the Paralysed and Epileptic1, fece dell’epilessia uno dei suoi principali

oggetti d’indagine, accurata e continuata nel tempo. H.J. è spesso considerato uno dei pionieri per quanto riguarda lo studio dell’epilessia, avendo fornito uno dei contributi più importanti nel delineare le linee di ricerca successive. L’epilessia è legata a H.J. non solo nella vita lavorativa ma anche in quella privata. Nel 1865, dopo molti anni di conoscenza, H.J. sposò sua cugina Elizabeth Dade Jackson, trascorrendo la loro vita insieme fino alla improvvisa morte di lei nel 1874. La causa della morte fu una trombo-flebite cerebrale, culmine di una serie di crisi di epilessia parziale, tristemente a dirsi proprio del tipo definito “jacksoniano”. H.J ne rimase profondamente colpito diventando, dopo la morte della moglie, ancor più riservato che in passato2.

Come vedremo nel corso del capitolo, si possono individuare tre punti principali di innovazione: la definizione di diversi tipi di epilessia in sostituzione al termine “epilessia genuina”, “vera epilessia”; la descrizione di ciò che sarà ricordata come

1

Il National Hospital for the Paralysed and Epileptic fu fondato nel 1860. La seconda metà dell’800 vedeva una rapida crescita degli ospedali specializzati, dovuta al parallelo perfezionamento, sempre maggiore, dei diversi settori della medicina. Sebbene in linea generale l’apertura di nuovi ospedali specializzati non era ben vista dall’opinione pubblica, la nascita del National Hospital fu ben accolta. I pazienti affetti da epilessia infatti non erano ammessi negli altri ospedali, a causa dello spavento che potevano provocare in altri pazienti e anche per il timore che potessero attaccare il disturbo, e sopratutto per il collegamento della malattia con le possessioni demoniache. Il National Hospital fu quindi il primo ospedale a sopperire alla mancanza di assistenza ai malati epilettici, e il primo ad essere dedicato alle malattie nervose. Oltre a H.J. e David Ferrier, il National Hospital fu il luogo di lavoro di altri importanti neurologi dell’epoca, quali Victor Horsley (1857– 1916) e William Gowers (1845–1915). Shorvon 2014.

2

52 “epilessia jacksoniana”. Da ultimo l’abbandono dell’ipotesi della localizzazione della patologia nel midollo allungato in favore della zona del corpo striato e, più in generale, dell’individuazione di diverse sezioni della corteccia a seconda del tipo di epilessia:

Previously I had accepted what was then, and is still, the almost universal opinion that there is a grouping of symptoms presented paroxysmally, to be called “idiopathic epilepsy” and that the morbid changes causing this clinical entity are in the medulla oblongata. But it occurred to me to study those simpler cases of convulsion (regardless whether they satisfied the definition of “true epilepsy” or not) which begins in, and chiefly affect, one side of the body and to study them in comparison and contrast with a unilateral paralytic symptom (the common form of hemiplegia) which was known to be owing to disease of the corpus striatum.3

L’originalità del lavoro di H.J. è, in generale, riconosciuta. Tuttavia, recentemente Edward H. Reynolds4 ha richiamato l’attenzione sulla precedente teoria elettrica di Robert Bentley Todd (1809 – 1860), alla quale spetterebbe, secondo l’autore, il primato della più moderna concezione dell’epilessia. Nel suo articolo evidenzia come Todd, influenzato dalle scoperte sui fenomeni elettrici di Faraday, concepisse il cervello in analogia ad una batteria, le cui scariche eccessive darebbero luogo ai fenomeni epilettici. Inoltre, riporta il fatto che Todd avesse già compiuto esperimenti sui conigli, stimolando con corrente galvanica diversi punti dell’asse cerebro-spinale – esperimenti che, come abbiamo visto, H.J. non eseguì mai. Anche York e Steinberg pongono l’accento sul fatto che la concezione di H.J. della scarica epilettica fosse chimica, e non elettrica come

3

Hughlings Jackson 1932, vol. I, p. 163.

4

53 quella di Todd. A sostegno di questa posizione, gli autori ricordano che uno dei primi interessi di H.J. fosse proprio la chimica (su testimonianza di Hutchinson)5. Non si può negare che H.J. descriva spesso le cause dell’epilessia in termini riconducibili più alla sfera della chimica (“katabolism” e “morbid nutrition”), come in questo passo delle Lumleian Lectures:

I have always assumed, and shall continue to suppose, that convulsion results from excessive discharges of nerve cells, meaning, of course, liberation of energy during rapid decomposition (katabolism) of some matter in, or part of, those cells. […]. Some material of the cells which make up the discharging lesion has, by morbid nutrition, become of very high tension and of most unstable equilibrium.6

Tuttavia, anche nella Lumleian Lectures di Todd è possibile ritrovare la stessa concezione della causa primaria dell’epilessia come difetto nella nutrizione, proprio a ridosso del passo in cui pone in analogia - e solo in analogia - le convulsioni epilettiche i fenomeni elettrici così come descritti da Faraday:

I would lay it down that epilepsy denotes a state of abnormal nutrition of the brain. This abnormal nutrition shows itself in the unnatural development of the nervous force at particular times, in such a manner as to disturb the functions of the whole cerebro-spinal centre, but of the brain in particular. These periodical evolutions of the nervous force which give rise to the complete epileptic paroxysm may be compared to the electrical phenomenon described by Faraday under the name of disruptive discharge.7

Inoltre, l’instabilità del sistema nervoso è dovuta, secondo Todd, ad un accumulo di “materiale nocivo” nel sangue. Le varietà del tipo e dell’intensità dell’attacco epilettico possono così essere ricondotte sia alla diversa

5

York and Steinberg 2006, p. 12 – 13.

6

Hughlings Jackson 1890, p. 702. 7

54 concentrazione del materiale nocivo nel sangue, sia alla qualità di quest’ultimo, e alla diversa intensità con cui raggiunge le parti del corpo. In conclusione, è Todd stesso a denominare questa teoria «humoral doctrine of epilepsy»8, che poco ha a che vedere con una teoria elettrica.

Più in generale inoltre, Todd ignorava il principio della specializzazione e localizzazione sensori-motoria della corteccia e della rappresentazione somato- topica. Sebbene Todd si dimostrasse aperto all’ipotesi che «in some degree at least»9 un disturbo dei “lobi emisferici” possa causare le convulsioni epilettiche, non attribuiva a questi ultimi la capacità di indurre stimoli motori direttamente a diverse parti del corpo:

But an important question remains: can a disturbed state of the hemispheric lobes induce or excite convulsive movements? The proper answer to this question appears to me to be this: under ordinary stimulation of the substance of the hemispheres, the fibres are incapable of exciting motion.10

Questo fu il probabile motivo per cui, come già giustamente osservato da Mervin Eadie e Peter Bladin11,la teoria umorale e circolatoria di Todd ha ricevuto meno attenzione rispetto a quella di H.J.

Rimane comunque curioso notare come H.J, che il più delle volte ha seguito una rigorosa onestà intellettuale citando più volte le sue fonti, non citi i contenuti della Lumleian Lectures di Todd del 1849. Tuttavia, sebbene manchi il riferimento esatto a quest’opera, H.J. condivideva la definizione di Todd di “epilepto- hemiplegia”, cioè che paralisi e convulsioni unilaterali fossero collegate:

8 Ivi, p. 1005. 9 Ivi, p. 999. 10 Ibidem 11 Eadie e Bladin 2001, p. 137.

55 The case I am describing are those cases of chronic convulsions which are so often followed by hemiplegia. It is the epileptic hemiplegia of Dr. Todd.12

Vedremo anzi che le convulsioni unilaterali sono proprio uno dei suoi principali oggetti di osservazione. Anche se H.J. ha scritto moltissimo sull’epilessia, ai fini di una corretta esposizione del suo nuovo metodo d’indagine e della sua nuova visione credo che siano sufficienti i riferimenti ai due articoli che ne riassumono il nucleo centrale, cioè A study of convulsion13 del 1870 e On the scientific and

empirical investigation of epilepsies del 1874, entrambi contenuti nei Selected Writings. Va ricordato, però, che H.J. dedicò stesso argomento sia le Goulstonian Lectures del 1869, sia le Lumleian Lectures del 1890 (uno dei pochi medici quindi

ad avere l’onore di tenere Goulstonian, Lumleian e Croonian Lectures)14.

Il primo punto di disaccordo con le teorie precedenti riguarda la natura stessa della causa dell’epilessia. L’opinione prevalente, come riporta H.J., sosteneva che vi fossero due processi: (1) una scarica del midollo allungato, e quindi un processo

attivo (2) una contrazione delle arterie del cervello, quindi un processo passivo.

H.J. invece, come vedremo, riduce i due processi ad una scarica attiva degli emisferi:

I think there is but one process in the paroxysm, an active one – that is, a discharge beginning in the highest processes of the cerebral hemisphere.15

12

Hughlings Jackson 1932, vol. I, p. 13.

13

Temkin individua tre periodi principali in cui dividere lo sviluppo delle idee di Jackson sull’epilessia: uno tra il 1861 e il 1863, in cui il suo contributo non era poi molto diverso da quello dei suoi contemporanei. Il secondo dal 1864 fino alla pubblicazione di A study of convulsion, momento decisivo per l’elaborazione del suo punto di vista. Il terzo e ultimo, dopo la pubblicazione del 1870, come un periodo di elaborazione e revisione ulteriore. Temkin 1979, p. 329 sgg.

14

“Obituary. John Hughlings Jackson, M.D., F.R.C.P., F.R.S”, British Medical Journal, 2:950-4, p. 951.

15

56 Prima di ogni altra considerazione sulle cause, H.J. introdusse un nuovo metodo di osservazione dell’epilessia. Essendo una patologia dai sintomi complessi e diversificati a seconda degli innumerevoli casi, la condizione necessaria per una sua migliore comprensione era un intenso lavoro di osservazione, registrazione e catalogazione. Ogni attacco che si presentava davanti ai suoi occhi, differente da paziente a paziente, rappresentava una occasione in più per raccogliere quante più informazioni possibili sulla sua natura e il sviluppo. Un approccio che richiedeva quindi una grande quantità di tempo per esaminare ciò che H.J. riteneva essere un «experiment made by disease»16, che rappresentava una nuova maniera di accostarsi alla malattia:

I have studied epilepsy on a novel method, and have written on it from widely different points of view.17

In cosa consisteva il “nuovo metodo” di H.J.? All’epoca di H.J., le diverse manifestazioni cliniche dell’epilessia erano racchiuse sotto la più generale definizione di “idiopathic epilepsy”, che H.J. chiama anche “epilessia dell’autorità”, secondo H.J. un concetto troppo ampio, vago ed irreale per poter essere utilizzato:

For I have long been convinced that “idiopathic epilepsy” is far too difficult a subject for precise investigation.18

Questa specie di vaga entità “metafisica” dell’epilessia idiopatica andava sostituita da una più precisa classificazione di diversi tipi di epilessia, tante quante sono le sedi della corteccia da cui proviene l’eccessiva scarica che dà luogo alle convulsioni. Gli effetti infatti potevano essere i più vari:

16 Ivi, p. 165. 17 Ivi, p. 162. 18 Ibidem.

57 I may now give some examples of epilepsies in accordance with my novel definition of epilepsy. A paroxysm red vision, of strong smell in the nose, a paroxysm vertigo […] are all epilepsies. […] Since I believe that any part of the cerebral hemisphere may become the seat of a discharging lesion, there will be any kind of phenomena produced.19

La ben conosciuta definizione di epilessia data da H.J. è, infatti, «a name for occasional, sudden, excessive, rapid, and local discharge of grey matter». Le convulsioni, sintomo principale dell’epilessia, andavano quindi scomposte e analizzate caso per caso:

A convulsion is but a symptom, and implies only that there is an occasional, an excessive, and a disorderly discharge of nerve tissue on muscles. This discharge occurs in all degrees; it occurs with all sort of conditions of ill health, at all ages, and under innumerable circumstances.20

Nella vastità dei movimenti incontrollati derivati dalla scarica epilettica, ai fini di una migliore comprensione era necessario secondo H.J. isolarli per cercare di trovare una base da cui partire. L’assunto generale che l’epilessia fosse causata da una attività eccessiva di una zona della corteccia era infatti il punto di partenza, non certo di arrivo. In questo senso, conveniva dal punto di vista pratico («We must have arbitrary standards for practical purposes»21) focalizzare l’attenzione sui casi che presentavano convulsioni solo su un lato del corpo:

I trust I am studying the general subject of convulsion methodically when I work at the simplest varieties of occasional spasm I can find. Cases of unilateral convulsion are unquestionably the simplest.22

19

Ivi, p. 182.

20

Hughlings Jackson 1932, vol. I, p. 8.

21

Ivi, p. 188.

22

58 Avere un metodo semplificato e soprattutto un tipo di classificazione dei sintomi utili ai fini empirici è uno dei punti su cui H.J. pone maggiormente l’accento. Proprio in On the scientific and empirical investigation of epilepsies c’è un paragrafo23 intitolato On classification and on method of investigation, in cui troviamo una delle metafore che H.J. usa più di frequente, non solo nelle opere riguardanti l’epilessia, per esemplificare l’importanza di portare avanti in parallelo due tipi di classificazione, una più strettamente scientifica e l’altra più legata alle osservazioni, per così dire, di vita quotidiana. Quest’ultimo metodo, quello

empirico, può essere assimilato a quello che usa il giardiniere per classificare le

piante. Il primo invece, quello scientifico, a come le classifica un botanico. Il giardiniere quindi, continua H.J., dividerà le piante in base alle loro funzioni: quelle che sono più adatte ad essere mangiate, altre per ornamento e via dicendo. E’ una diretta applicazione della conoscenza a dei fini immediatamente pratici. Il botanico, invece, grazie al suo genere di classificazione contribuirà a fornire una migliore organizzazione della conoscenza acquisita, utile anche per scoprire nuovi fatti. In base alla classificazione empirica, H.J. elenca i seguenti tipi di epilessia:

EMPIRICAL ARRANGMENT A. Epilepsy proper (1) Vertigo (2) Petit-mal (3) Grand-mal B. Epileptiform, or Epileptoid

(1) Convulsion beginning unilaterally (2) Unilateral Dysaesthesia (migraine)

23

59 (3) Epileptiform Amaurosis, etc. 24

Sarà necessario quindi, scrive H.J., fare spesso riferimento a questa classificazione empirica, partendo dalle convulsioni che attaccano una sola parte del corpo (senza, però, confondere i due metodi). Solo in questo modo sarebbe stato possibile trovare un filo conduttore nella catena dei movimenti, grazie a cui individuare la zona esatta della corteccia cerebrale danneggiata. Infatti, dato che ogni parte della corteccia poteva essere sede di un danno, e causare quindi innumerevoli manifestazioni a seconda della zona, dell’estensione e della gravità della lesione, era necessario ricostruire la sequenza dei movimenti incontrollati per “risalire” alla sede cerebrale interessata. Nell’attacco infatti non si presentavano convulsioni di diverse parti del corpo tutte insieme, benché qualsiasi parte del corpo poteva esserne affetta, ma in successione:

There are not merely degrees of more or less quantity of spasm. The point of significance is that the spasmodic movements are not contemporaneous, but follow a distinct march.25

Il fatto che un sintomo improvviso si potesse manifestare prima in una sola parte del corpo per espandersi solo in seguito, non poteva significare altro che la causa fosse in differenti parti del sistema nervoso. La prova della rappresentazione somato-topica dei movimenti era fornita dall’ “esperimento” dell’attacco epilettico che rappresentava, in ordine per così dire inverso al

24

Ivi, pp. 199-200. Riapplicare a fini pratici e diagnostici la distinzione tra “epilepsy proper” e “epileptiform” non significa tuttavia riproporla dal punto di vista scientifico (Temkin 1979, p. 341). H.J. torna in diversi punti della sua opera su questa distinzione, anche per quanto riguarda la diagnosi dei disturbi mentali. Il principio di evoluzione e dissoluzione è infatti elaborato da H.J. non per la classificazione clinica dei malati ma come paradigma generale del funzionamento del

Nel documento Hughlings Jackson neurologo (1835 - 1911) (pagine 48-62)

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